Omar Pedrini ieri sera si sentiva come a casa. Quinzano d'Oglio (Bs), sede del fanclub fondato in suo onore, lo accoglie al "Festorio", una festa che di anno in anno diventa sempre più bella e grande grazie alla passione e all'impegno degli organizzatori e di tutti coloro che ci lavorano, con una bella dose di entusiasmo. Fan storici giunti dal Piemonte stanno in prima linea davanti al palco con gente del posto in attesa del suo arrivo, mentre altre persone, giovani e non, si siedono alle loro spalle. Dopo aver gironzolato qui e la' dando un'occhiata ai libri sulle bancarelle e tentando di reidratarmi con acqua frizzante vista l'afa, cominicio a prendere posto vicino al mixer, il punto migliore per ascoltare il concerto. Luci: una sagoma comincia a sputare dal retro, Omar è arrivato e viene accolto naturalmente da un caloroso applauso. Nei saluti d' inizio concerto decide di raccontare le ragioni della serata parlando di "incroci di energie" e appunto, del suo sentirsi a casa... Ed è proprio questo sentimento ad introdurre la meravigliosa "Casa mia", portata a Sanremo con i Timoria nel 2002 e che lo stesso Omar dedica al pubblico bresciano variando sul finale in un bell'incrocio con "L'isola di Wight". Omar si augura che le nuove generazioni possano vivere in situazioni migliori delle attuali e sa per esperienza che spesso il vento va nel verso opposto al nostro percorso; la vita è piena di sorprese, ma il coraggio sta anche nel saper prendere il volo, anche controvento; saper combattere per i propri sogni e ideali nonché per il proprio diritto alla Vita. E' con l'augurio alle nuove generazioni che introduce "Senza vento", altro brano di grande peso nella storia dei Timoria: "Qualcosa di mio lo lascerò in questo mio tempo. Saltando nel vuoto aspetterò il nostro momento. Sono pronto, per volare senza vento". Coraggio ragazzi, siamo forti. Da qui il collegamento ad un accenno di "Riders On The Storm" (Doors)... [c'è un lieve venticello, più tardi pioverà?] e l'atmosfera si fa certamente ancora più magica. A fine del brano Omar chiama sul palco Enrico Ghedi, storico amico e tastierista dei Timoria con il quale si ritrova per questo tour e che va ad unirsi al bravissimo Giancarlo Zucchi che fino a quel momento ha suonato con Omar: tastiera, chitarra, voce. Niente di più semplice, ma come Omar stesso ricorda, le cose semplici, spesso non sono semplici da realizzare e sono generalmente le meglio riuscite. Per farla breve: "semplice" non è, ovviamente, da confondere con "semplicistico". Quanto adoro il peso delle parole. Bellissimi gli sguardi d'intesa tra i musicisti, fanstastica l'energia che si crea sul palco fin dall'inizio. Divertentissimo lo sketch iniziale all'entrata del maestro Ghedi: Omar ed Enrico decidono di salutarsi in stile giapponese e con un accenno di Omar, dal testo personalizzato e dedicato all'amico, de "Il ballo del mattone": ".... con te! con te! con te! che sei la mia passione! io suono, Via Padana Superiore!". Omar ci tiene a ricordare il libro scritto e pubblicato dal maestro Ghedi affermando che "trasuda sangue e vita" ed è in quel momento che Ghedi comincia ad accompagnare il poeta Igor Costanzo nella lettura di una delle poetiche contenute nel libro. A fine poesia, Ghedi e Costanzo scendono dal palco per tornare successivamente. Ghedi risale sul palco poco dopo e insieme danno il via alla precedentemente citata "Via Padana Superiore": "Cade la pioggia e piovono i ricordi, a questo foglio non so che dire ormai"; la voce di Omar è calda, bella, direi "in forma". Continuando a ringraziare Giancarlo Zucchi (o Giancarlo 'Manzarek' Zucchi, come lo chiama Pedrini) arriva il momento di "Lulù" e "l'incantesimo delle sue labbra" riempie l'aria attarverso la voce del cantautore. Ecco, ora è dura. Arriva... sta per arrivare... Personalmente "Sangue impazzito" mi "distrugge", positivamente questo è certo. Omar introduce il pezzo raccontandone la nascita: una mattina, di ritorno da una serata di eccessi, Omar incontra alcune persone che stanno per andare in chiesa e qualcosa scatta dentro di lui, così nascono i meravigliosi versi di una delle canzoni/poesie, che a parer mio e non solo, rimane una delle più belle in assoluto del repertorio Timoria: "... e penso che un tempo, quel tempio era mio e mi chiedo perché un giorno ho detto... addio ". Dopo aver coinvolto anche uno degli storici fan nei cori, oltre che il maestro Ghedi e Gilda Reghenzi, Omar ricorda l'intramontabile "Joe" e lo spettacolo continua. "Scalda la voce Gilda, che fra poco tocca a te!" - e in effetti poco dopo Gilda risale sul palco per cantare "Ultima Poesia" un brano scritto da Omar proprio per lei. Arriva poi un altro momento di personale grande emozione: "Sole Spento". Gilda rimane sul palco, Ghedi e Zucchi "play together" (in tutti i sensi: suonano e giocano). Nell'esecuzione del brano c'è spazio anche per una deviazione su "Get Up, Stand Up" di Bob Marley, per poi ritornare sulla meravigliosa "Sole spento". Dopo questo brano Omar e tutti gli altri fanno una breve pausa e al richiamo dei fan più vicini Pedrini rientra, parlando del delicato tema delle morti sul lavoro e introducendo così "Giorno per giorno" (da "La capanna dello zio Rock"), una canzone scritta in occasione della tragedia che colpì gli operai della Tissen. Un pezzo richiesto, non previsto ma ben riuscito: "Iniziamo. In Là minore" dice. Si è quasi giunti alla fine ed Omar ricorda di quando, ricoverato in ospedale... diciamo così: "rimase colpito" dalla bellezza di una delle infermiere che lo assistevano e in particolare racconta di come fu positivamente "scioccato" da un episodio che coinvolse la donna e che gli ispirò per l'appunto il brano "Shock" (da "Pane, burro e medicine"): divertente, ironico, realistico. A chiudere il concerto un'improvvisata "Mexico" e i saluti finali: "Grazie a tutti, al prossimo anno e auguri Hidalgo". Alla prossima Omar...
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sabato 23 giugno 2012
sabato 9 giugno 2012
Sul filo
Ondeggia, traballa,
dondola, cade, forse.
Logoro, bruciato, schiacciato,
devastato, ha paura, forse.
Paura del buio,
la stessa che aveva da piccolo,
ma ora se lo va a cercare, a volte.
Paura di quello che vede
in se stesso di sicuro,
intorno, è quasi certo.
Consuma e si consuma,
perde tempo, lo rincorre,
non lo trova, forse.
"No, non ho paura,
non ho paura", grida.
martedì 5 giugno 2012
Quadrittico
Vedo alla finestra un flebile scorcio di luce, non c'è nebbia oggi, ma le nuvole si apprestano a coprire il cielo, forse pioverà; le piante sembrano assonnate, verdi talune, rossastre e gialle in altri casi, vestite di foglie ciondolanti. Le case vicine, lo scorcio del cielo dell'orizzonte, un giorno che cala, un altro che fra poche ore di sonno inizierà.
Vedo alla finestra un cielo cupo, non c'è luce e il freddo entra nelle ossa più che durante altri inverni. Le piante sono in letargo, ghiacciate, ma non nei sensi; durante il sonno sognano, sogni belli. Le case sono come tane, accolgono i bambini di ritorno da scuola tutti infreddoliti, imbottiti di sciarpe e guanti, così come le mamme, i papà, gli innamorati che finalmente si ritrovano al nido e tutti gli altri. Il giorno cala presto, in questo periodo vuole riposare un po' e il calore di noi stessi, delle persone vicine, della nostra dimora, è la dimensione in cui vivere il nostro giorno, fino a quello dopo.
Vedo alla finestra un candido scorcio di luce, non ci sono nuvole oggi e il cielo s'appresta a farsi gioia di se, di certo per oggi non pioverà; le piante si stanno vestendo di colori diversi, i fiori contornano le rive del paese, proprio come il contorno felice di un fiume che si risveglia con la nuova stagione. Le case hanno luce nuova, l'orizzonte festeggia e quando il giorno cala per lasciar posto alla serena sera, si intravede già il rossastro presagio di un giorno che viene.
Vedo alla finestra una luce potente, quasi accecante, la meraviglia. Il cielo è di un azzurro come pochi, sembra dipinto a mano da un impressionista o ... da un surrealista! Durerà a lungo, durerà tanto e le piante si stanno ricaricando di vita nuova, di energia sincera. Le case sono aperte al mondo e si cullano in quest'abbondanza di luce vagabonda che in ogni cosa trapela. L'orizzonte è infinito, ancora di più e quando la sera arriva è luce che si ristora, come a dissetarsi, nell'attesa del nuovo Sole.