mercoledì 17 giugno 2020

"Vita di un respiro" - Gentili Emanuele - 3° classificato al Concorso L.A. Editing



Con grande gioia vi presento il racconto del terzo classificato al concorso letterario di L.A. Editing: “Vita di un respiro” di Emanuele Gentili. Emanuele è un poeta e nel suo racconto questo emerge, non c’è che dire. Il suo stile, la stesura del testo, la scelta del “come” trattare gli argomenti (più di uno e tutti certamente di peso), sono immagine perfetta del poeta che si ritrova a scrivere un racconto, nel senso più positivo che ci sia. Anele è protagonista, insieme ai genitori e in particolare al padre, di una storia attuale quanto storica (poiché sappiamo che la storia si ripete). Anele, nata in una zona del mondo in cui i sacrifici e il pericolo vengono ben presto a bussare alla porta, è respiro del padre. Un padre che tanto la ama da non esser più riuscito, per le preoccupazioni e il  timore di perderla, a emettere respiri pieni, tanto è preso dalla paura. Anele è però anche simbolo del suo respiro fisico: un respiro che gli viene a mancare per un ceppo di polmonite assai duro da superare, per il quale ci sono già state molte vittime. Mike si trova faccia a faccia con la morte e Lucia – la cara moglie – già teme il peggio e si domanda in qualche modo come potrebbe spiegarlo alla sua piccola. Anele però è forte: sia Anele come bambina e figlia che Anele come simbolo e realtà del respiro, portatore di vita. C’è tanto in questo racconto. Ci sono emozioni forti, realtà, riflessioni. La vita è respiro, il respiro è vita. I figli stessi sono respiro e i genitori lo sono per loro. Cosa accade a Mike, Anele e alla mamma Lucia? Leggete e gustatevi ogni frase. Complimenti a Emanuele per questo splendido racconto.

Vita di un respiro:

Anele è un respiro. È appena nata e non sa ancora di esserlo. Si scalda sotto il caldo africano, nella regione dello Zimbabwe, nei pressi di una diga alta 130 mt, a Kariba. Una diga che non è più sicura, ormai: comincia a dare dei segni di cedimento. Piccole crepe e improvvise fuoriuscite d’acqua potrebbero mostrarsi da un secondo con l’altro.

Anele è forte, la madre non ha dubbi. Queste cose si sanno, sono impostate di default dentro di noi. Non ci si inganna né si mente a noi stessi, riguardo a queste sensazioni. La sua preoccupazione, dopo il primo vagito, sembra svanire; compensata dalla consapevolezza che la piccola resisterà, fino al compimento del proprio dovere. Quello che però Kali non sa e non può immaginare è che la sua cucciola di respiro è destinata a grandi cose.

Tempo di un saluto, un bacio sulla fronte e la piccola è libera di spiegare le proprie ali: al di sotto di quella diga. Non vi è tempo per i romanticismi e per i saluti. Questo ogni madre lo sa. Una volta nato, il respiro appartiene al vento e, con lui, deve andare incontro al proprio destino. Anele, questo non può ancora saperlo.
È solo curiosa: come può esserlo chiunque veda il suolo della sua amata madre terra, dall’alto della propria vita: per questo in Africa si pensa che ogni respiro abbia due madri. È confortante, nascere respiro. Così piccolo, già con un dovere da compiere, ma con la sicurezza di avere un senso, uno scopo.

-      - Mamma, papà ha gli occhi ancora chiusi. Quanto sta dormendo?

La piccola Anele ripete la stessa domanda ogni cinque minuti, alla madre Lucia. La risposta che riceve non cambia, estratta come fosse una confessione sotto tortura:

     Lascialo riposare, è stanco.

Si gira Lucia, come se questa risposta la dovesse dare al vento o forse per non far vedere alla figlia le lacrime che da quindici giorni albergano su quegli zigomi scavati dalla paura.

Il padre fatica a respirare, tossisce. La febbre non si abbassa, se non di qualche grado. La sera sembra aver assorbito tutto il sole africano. Tosse da fumatore senza mai averne aspirata alcuna. Tosse che sembra voler sputare sul mondo il dolore che lo sta attanagliando da dentro.

I respiri non arrivano, se non forzati. Si scambiano come fossero a una partita di pallavolo. Prima la tosse, poi il respiro e così via, fino a… Un fisico robusto, bloccato da una banale influenza.

La madre ha spento da ieri la televisione. Notizie strane arrivano da paesi distanti pochi km da loro. Una nuova malattia, simile alla polmonite, sta contagiando molte persone e i morti aumentano. Lei non ha dubbi: si tratta dello stesso ceppo di influenza. Queste cose si sanno, sono impostate di default dentro di noi. Non ci si inganna né si mente a noi stessi, riguardo a queste sensazioni. 

Di guardare Anele negli occhi però non se ne parla:

- Ora andiamo a dormire, piccola. Vedrai che domani starà meglio.

Da madre non avrebbe mai pensato che sarebbe stata in grado di mentire come una professionista a sua figlia.

Il padre Mike, italo americano, si finge equilibrato. Simula respiri calmi. Asseconda la pancia con la mente - grazie alle poche lezioni di Yoga - prendendola per mano, come se dovessero attraversare una strada pericolosa.

Da cinque anni, età della figlia, teme il domani: è stato spavaldo sino ai quaranta, poi un nuovo orizzonte si è presentato davanti ai suoi occhi innamorati. Quel meraviglioso profumo d’abbracciare che ora pare essergli negato, chiuso come è nelle proprie paure. Già da allora gli manca il respiro pieno, completo. Lei nascendo se n’è preso un po’.

- Come mi sento, come mi sento, come mi sento? - continua a ripetersi, prima di coricarsi.

I brividi non lo hanno mai abbandonato: prima erano d’amore, di gioia. Erano brividi d’emozione pura, semplice e contagiosa. I brividi da bollicine, spumeggianti e color dell’oro. Luminosi, solari, africani.

Ora trema: è decisamente diverso. I tremori hanno incrementato la loro intensità, fino a divenire scosse, come fossero terremoti, veri e propri sussulti.

Oramai il suo corpo freme per la gran paura. Continua a mostrarsi distaccato, persino a sé stesso. Si osserva dall’alto della montagna e non si riconosce più. Sente freddo. La sua anima è oramai in cima, si guarda attorno. È sola là sulla vetta, almeno per il momento. Si vede così, mentre sente quella gran paura di perdere l’equilibrio, di soffiare fuori l’emozione per non farla morire di freddo. Ha paura persino di piangere: magari poi si ghiacciano, queste lacrime dimenticate. Si sbuccia l’anima, cadendo esausto per l’ennesima volta. Sangue nuovo viene dalla sua ferita e gli pare come se fosse stato lasciato custodito in fondo a un pensiero. Se non lo vedesse così lucente, rosso vivo, lo avrebbe dato per “morto”.

Anele vola veloce. Il vento da dietro le tiene i capelli con amore, vola verso il proprio destino. Scorge in lontananza la sua bella casetta e nota subito la finestra aperta, perché di solito a marzo è tutto chiuso. Lei non conosce le dinamiche però, non si pone domande. La casa prende aria, ricicla vita. Un cuore aperto non può permettersi porte chiuse. La speranza passa dalle crepe di un muro portante ed è proprio una crepa che segna la via ad Anele. È la strada più angusta, stretta e scomoda a fare da ponte tra la morte e la vita.

- Mamma, papà ha riaperto gli occhi!

Anele vede la sua vita in una pancia, quella che papà ritrova dopo anni svuotata completamente grazie a un respiro, finalmente pieno di vita.


Autore: Emanuele Gentili
Editing testo: L.A. Editing&Digital Marketing

mercoledì 27 maggio 2020

Concorso letterario L.A. Editing




Sezione: narrativa

Il concorso invita i partecipanti a scrivere un racconto a tema libero e senza restrizioni di genere. La lunghezza massima consentita è di tre cartelle (una cartella è costituita da 1800 caratteri spazi inclusi) e i risultati delle selezioni saranno pubblicati di volta in volta sulla pagina L.A. Editing.

Per partecipare inviare il proprio racconto alla mail lailcammino@gmail.com specificando in oggetto "Concorso L.A. Editing". Inviare il file in formato word o similari come allegato alla mail e scrivere nel testo della mail il proprio nome e cognome.

La scadenza entro la quale inviare gli scritti è il 6 giugno 2020.

La selezione avverrà secondo insindacabile giudizio di L.A. Editing. La partecipazione è totalmente gratuita.

Premi:

1° posto: una lezione di scrittura creativa di un'ora e l'invio di una breve guida per scrittori emergenti con suggerimenti utili al miglioramento del proprio modo di scrivere e accenni all'auto promozione.
2° posto: Invio della guida.
3° posto: Invio della guida.

Tutti e tre i racconti saranno pubblicati su "Il cammino" e condivisi sui social.

Evento Fb 

mercoledì 11 dicembre 2019

Il Trio Bobo: Faso, Meyer, Menconi



Il Trio Bobo è un’esplosione di energia, espressività, passione e livello musicale altissimo. Non a caso è composto da tre dei musicisti più bravi d’Italia, vale a dire Christian Meyer (batteria), Faso (basso) e Alessio Menconi (chitarra). Come già molti di voi sapranno si tratta della sezione ritmica di Elio e Le Storie Tese unita ad uno dei chitarristi più bravi del jazz italiano (e chitarrista di Paolo Conte). Vederli dal vivo è una goduria. Li vedi sorridenti, allegri, liberi e mi ricordano un po’ degli atleti che fanno numeri di grande difficoltà con il viso rilassato e gioioso, facendo comprendere che quel che fanno, pur se difficile, è per loro di una naturalezza infinita. È ovvio che quando si parla di musicisti di questo calibro si rimane a bocca aperta. Io in particolare ero allibita da Christian, avevo la mascella autonoma, viveva di vita propria. Naturalmente anche per Faso e Alessio, ma amando particolarmente lo strumento, vedere un batterista come Christian Meyer suonare a pochi metri e stare ad osservare, con una certa conoscenza dello strumento, quello che fa… non può che suscitare questo effetto. Faso e Alessio comunque, sono – come dire – "bestioline da palcoscenico" e chi li ha potuti ascoltare e vedere anche in altre occasioni lo sa, non c’è molto da spiegare. Questo Trio sta suscitando sempre più successo tra il pubblico e non è solo per la musica straordinaria, coinvolgente e originale che creano – anche se è fondamentale – ma anche, credo io, per la capacità che i tre hanno di coinvolgere ed interagire con le persone che hanno di fronte. È un continuo scambio, di musica, emozioni ed allegria e alla fine del concerto non si può fare a meno di acquistare almeno uno dei loro album. Per questa chiacchierata con loro, per la prima volta da quando esiste Il cammino, ho voluto coinvolgere anche i lettori e chi era interessato a fare domande ha mandato un messaggio privato sulla pagina Facebook, scoprendo in anteprima di chi si trattasse. Tra queste domande, le selezionate sono state inserite nell’intervista che potete leggere qui sotto.

Allora “gggiòvani”, raccontate a chi ancora non lo sapesse come è nato e cosa combina il Trio Bobo... aneddoti particolari da raccontare a riguardo?

Alessio: Il trio nasce 17 anni fa, quando ci siamo riuniti quasi per caso per fare due concerti nei quai abbiamo suonato cover jazz/rock. Da lì ci siamo trovati bene in tutti i sensi ed abbiamo deciso di proseguire scrivendo musica nostra.

Chris: Io pensavo che avremmo dovuto avere un nome tipo “Power Trio” e Faso ci ha convinti che Trio Bobo fosse il nome giusto. Aveva ragione Faso e ho dovuto rivedere tutte le mie convinzioni di titolista farlocco.   

Avete pubblicato tre album, accolti con grande energia da tutti, con live pieni di entusiasmo da parte del pubblico più svariato... e ora? state già lavorando a un nuovo album?

Faso: Abbiamo pubblicato “Trio Bobo” nel 2005, “Pepper Games” nel 2016 e “Sensurround” nel 2019. Il primo album però è poco noto perché ha avuto diffusione molto limitata.

Alessio: Magari al quarto ci lavoreremo il prossimo anno!

Chris: Fare un cd richiede molto tempo e oggi siamo schiacciati da un mondo veloce, perciò le due cose coincidono poco, ma noi teniamo duro!

Faso: Nel trio confluiscono i gusti musicali e le passioni di tutti e tre i componenti, che coprono uno specchio abbastanza ampio di generi musicali: rock, blues, jazz, progressive, dance ’70, pop, afro, musica brasiliana, soul. Va da sé che le nostre composizioni contengono tante spezie diverse e posso quindi incuriosire ed essere apprezzate da un pubblico eterogeneo.

Christian, come sai - visto l'amico/idolo in comune (Gianni Cazzola, re dello swing italiano, n.d.r.) - ho una predilezione per i batteristi anche se è ovvio che in quanto appassionata fino all'osso di musica amo ogni grande musicista, però cavolo, vederti suonare è praticamente un viaggio e sembra che il viaggio lo stia facendo anche tu. Mettendo la frase tra virgolette, "sei più tu a "tenere il controllo" - se così si può dire - su quello che fai o è più la musica che trascina te"? Un po' come dire... chi è che "comanda" di più?

Chris: Quando un batterista suona con dei bravi musicisti vi è una sorta di traino musicale che ti facilita il compito di sostenere il gruppo. Io tendenzialmente, sul palco entro in una fase molto selvaggia e libera. Naturalmente non spengo il cervello e cerco anche di non esagerare con imposizioni ritmiche, bensì di rispettare gli spazi degli altri musicisti. Sicuramente il batterista ha la potenzialità di rendere un gruppo più o meno interessante. Come? grazie alle dinamiche, alle pause o ai colori che decide di utilizzare. Il batterista può o non può suggerire scenari ritmici immediati e stimolanti.

Ora, per la prima volta nella storia del blog, vi riporto alcune domande da parte del pubblico. La prima domanda è di Arianna Capirossi che chiede: qual è la parte che preferite del vostro lavoro? la composizione, l'esibizione live, l'incisione…?

Alessio: Io preferisco suonare dal vivo.

Faso: Anche io preferisco suonare dal vivo, però non nascondo che lavorare sull’arrangiamento di un brano in studio non mi dispiace affatto.

Chris: Concordo con i miei amici musicisti. Dal vivo hai adrenalina e contatto con il pubblico, in studio puoi ragionare e divertirti in un altro modo.

La seconda è di Alain Morandi (un grande musicista tra l'altro, n.d.r.): qual è la scintilla che ha innescato la miccia per dar vita a questo trio? e a chi vi siete ispirati?

Alessio: Abbiamo diverse influenze, alcune in comune e altre no ed è forse per questo che nasce un sound particolare ed originale.

Faso: Concordo con Alessio e aggiungo solo una cosa: come ispirazione sull’approccio dal vivo di sicuro ci ispiriamo - con grande umiltà - ai Weather Report, che dicevano di essere “sempre in solo, mai in solo”, vale a dire “improvvisare si, ma in modo misurato”.

Chris: Concordo e aggiungo che suonare in trio ti permette di prendere direzioni musicali diverse mentre sei live sul palco. Il trio è un divertimento.

La terza e ultima domanda dei lettori è di Sergio Gritti, cantautore: quando si è musicisti affermati si ha la possibilità e la capacità di suonare un po' tutti i generi musicali, ma mi sembra che spesso capiti che alcuni musicisti suonino generi non proprio consoni ai loro gusti musicali, a volte per questioni di mercato, di richiesta. Che ne pensate?

Alessio: A volte non tutti hanno la possibilità di suonare la propria musica o semplicemente non hanno abbastanza “motivazione”, quindi molti musicisti si ritrovano a suonare musica che non amano semplicemente per lavoro.

Faso: Se di lavoro fai il musicista devi tenere conto che non sempre suonerai la musica che preferisci. Anche perché se fai troppo il difficile diventa complicato mantenersi! Mi reputo molto fortunato ad aver suonato per 30 anni con gli Elio e le Storie Tese e da oltre 15 anni con il Trio Bobo, non capita a tutti in Italia.  

Chris: Infatti noi siamo fortunati perché suoniamo la nostra musica. Ecco perché ci vedete sorridenti sul palco!!!

Chiudo io, con una mia domanda di rito. Di che colore è il Trio Bobo?

Alessio: Giallo.
Faso: Giallo limone. 
Chris: Giallo canarino.

Grazie ragazzi e voi che leggete, andate a sentirli da vivo!!!

Link:

sabato 31 agosto 2019

Zio Rock Sempre in Volo

ph Simone Serughetti

30 agosto, Trescore Balneario (BG). Al Bum Bum Festival aprono le danze i Gambardellas, bravissimi come sempre e che consiglio a chi non li conoscesse. A seguire Daniele Celona con la sua band, per me un nuovo ascolto dai suoni interessanti. Poi arriva lui, Omar, accolto dal boato del pubblico che lo attende con ansia e grande affetto. Ho iniziato a seguire Omar Pedrini praticamente da bimba e il mio primissimo album originale è stato una cassetta (si, c'erano ancora le musicassette) dei Timoria che come dissi a lui mi aiutarono molto, perché Omar è per me e per tanti altri, da sempre, lo Zio Rock. Non è la prima volta che scrivo di lui: una recensione, una bella chiacchierata anni fa per il blog - che con mia sorpresa aveva fatto pubblicare al tempo anche sul suo sito ufficiale - e lui è sempre stato così dolce, affettuoso, protettivo. Omar è una persona meravigliosa, un cuore grande, un uomo che prima di essere un grande artista è un grande essere umano. Quando sale sul palco, per questo concerto che fa parte del tour dedicato ai venticinque anni di "Senza Vento", è proprio quello il pezzo che con grande emozione avvolge tutti. Subito dopo, come una bomba di sensazioni, ricordi, coinvolgimento, "Sangue Impazzito" e la voce di Omar prendono possesso dell'anima di chi Joe lo conosce e anche di chi non lo conosce ancora. E' una voce unica, Omar e noi. "Sono contento che vi ricordiate ancora di Joe", commenta alla fine sorridendo. Durante la serata, zio Rock ci spiega che "se i suoi pezzi sono arrivati anche alle nuove generazioni è merito di tutte le tribute band che negli anni hanno suonato in giro con passione, perché al tempo non c'era you tube e loro sono stati un po' come you tube" e che per questo, pian piano, li sta invitando tutti a salire sul palco con lui, per ringraziarli. E' l'amicizia, importante quanto l'amore, che unisce tutti e il momento di "Freedom" è uno dei più toccanti: tutti insieme, sul palco e giù dal palco, a rendere palpabile le sensazioni dell'amicizia e della libertà, in questo viaggio, in questo cammino, che è la Vita. E poi Frankestein, Angel (incredibile pensare che siano passati già venticinque anni anche da quel momento in cui Kurt ci ha lasciati). Tutti i pezzi si susseguono in una commozione generale evidente, tutti cantano, tutti alzano le braccia al cielo, così come quando risuona nell'aria "Sole Spento". Un Sole spento che in realtà è così acceso da scottare. Scotta ma non brucia: non bruciano quelle chitarre. Carlo si, Carlo brucia le corde e le tastiere, non a caso è soprannominato "Octopus". Eccezionali anche gli altri musicisti che accompagnano Omar: "Largo ai giovani" dice Zio Rock, perché lo sono tutti. Ancora una volta, l'ennesima, sentire la voce splendida di Omar, la sua chitarra, i suoi testi che sono poesia e vedere la sua energia, la sua passione, il suo affetto, mi lascia - ancora - senza parole e senza fiato. Ti vogliamo bene Zio Rock.

giovedì 30 maggio 2019

Dolore


Cuore spappolato,
tenaglie alla gola.
Mi manca il fiato,
il vuoto avanza, spietato.

L'anima è in guerra,
sale forte la rabbia,
non c'è una ragione,
non c'è giustizia,
non c'è opinione.

Le mani protestano,
gelide e bollenti,
la testa traballa confusa,
i passi procedono a stenti.

Perché è veleno,
l'aria la infestano,
Perché non c'è pace,
siamo tormenti.

Volevo donargli vita,
ho fame di Sole.
Pensavo "non è finita",
ma il mio battito duole.

Vorrei donarle gioie,
ho fame di Stelle,
sono sempre qui,
ci provo con la mia pelle.


[Dedicata ai miei genitori]

mercoledì 13 marzo 2019

La storia del cinema (parte 7): il musical e la commedia fino al non-sense dei fratelli Marx



L’ultima volta che ho trattato della storia del cinema eravamo rimasti intorno agli anni trenta. Alla parte 6 di una rubrica lasciata ferma per un po’. Bene, allora riprendiamo. L’ultima cosa di cui avevo scritto riguardava Hawks, il padre di Scarface (1932). 

Frank Capra
Più o meno nello stesso periodo, a pellicole come questo spettacolare film, si affiancavano produzioni più commerciali, commedie e tanti musical; il che in America fu sinonimo di sempre maggior impegno nella realizzazione di scenografie elaboratissime, scintillanti, davanti alle quali si esibivano ballerini, cantanti e attori del genere. Fu Frank Capra il maggior esponente della commedia e del dramma sentimentale degli anni Trenta in America. Le sue commedie di costume trattavano aspetti della quotidianità con particolare sensibilità e gusto e questo lo rese un autore apprezzato anche all’estero. Se da una parte il genere era limitato dalla forma, il suo stile scorrevole, l’umorismo sottile e in generale il modo in cui i fatti erano trattati, davano allo stesso la possibilità di arrivare ad un pubblico ampio, dalle persone comuni ai critici. Andando avanti nelle produzioni, toccò argomenti anche più riflessivi, sempre al passo con la regola dell’insegnare divertendo. La sua ispirazione però era costituita principalmente dai fatti storici di quel tempo e si esaurì con l’esaurirsi delle conquiste sociali e con lo sciogliersi di stimoli ideali che erano quotidianità nell’America del Presidente Roosevelt. Dalla fine degli anni Venti e per tutto il decennio degli anni Trenta, dunque, il Musical si evolve e diviene un genere di riferimento per le persone che hanno un profondo bisogno di evasione.

Ginger e Fred
Dopo Frank Capra i più grandi furono Florenz Ziegfield, che fu un maestro anche per gli autori degli anni successivi e i più noti Fred Astaire e Ginger Rogers che con i loro film sono certamente i più ricordati tuttora per le meravigliose scene di danza, create con precisione matematica visto il contesto cinematografico e con l’utilizzo di tecniche di movimento della cinecamera, velocissimi cambi di scenografie, angolazioni particolari scelte per sottolineare ogni dettaglio del ballo e la perfetta sincronia da video e suono. Ci fu poi un periodo di maggior staticità per il musical, durante gli anni Quaranta, ma negli anni Cinquanta il cinema del divertimento riprese ad essere molto popolare e diversi furono gli autori e le opere di successo.

Oltre al musical, un altro tipo di cinema commedia era quello dei fratelli Marx, ad esempio. La loro era una commedia sofisticata, che nasceva da spunti totalmente diversi, caratterizzati da un umorismo inconsueto per gli anni in cui erano. Le scene erano basate sull’assurdo, si impegnavano di grottesco. Le rigide regole del musical venivano qui smontate e non era la spettacolarità il fulcro dei film. I cardini erano l’ironia e la volontà di alterare la realtà e distorcere le regole della commedia che fino a quel momento erano state seguite con il musical. Il loro approccio era per certi versi molto simile a quello dei surrealisti e la successione di scene esilaranti e assurde si intrecciava alla volontà di creare una storia che potesse sostanzialmente unire i non – sense l’uno all’altro, capovolgendo la razionalità.

giovedì 14 febbraio 2019

La "nuova sindrome": fibromialgia (parte 3)


In questa terza parte della rubrica sulla Sindrome Fibromialgica affrontiamo l'aspetto delle cause scatenanti e dei diritti violati con un primo accenno alle possibili "cure". Una piccola integrazione al precedente articolo: una paziente fibromialgica mi ha suggerito di inserire tra i sintomi più frequenti anche capogiri e vertigini. In effetti molte persone affette da SFM ne soffrono e ringrazio la persona in questione per avermelo fatto notare. Ora proseguiamo con gli argomenti sopracitati.

Cause scatenanti:

Ho compreso dalle miriadi di testimonianze raccolte e dai successivi approfondimenti, che la sindrome fibromialgica può essere anche infantile o adolescenziale, ma per la maggior parte dei casi, si sviluppa in una fascia d’età compresa tra i 30 e i 40 anni circa, anche se pensandoci, il paziente spesso ricorda di essersi sempre sentito più fragile del normale. Quando poi la sindrome esplode, è la catastrofe. Ci sono dei fattori scatenanti, ma cosa significa questo? Una persona con gene “difettato”, per farla semplice, potrebbe teoricamente essere un “portatore sano” di fibromialgia e la stessa potrebbe non manifestarsi mai, ma la cosa è tanto soggettiva ed ha un equilibrio tanto sottile, da essere tranquillamente definibile come rarità. I fattori scatenanti possono essere fisici: dalla rottura di un arto a un incidente, da una caduta a forti dimagrimenti, da un periodo fisicamente più impegnativo sul lavoro a… mille altre cose. In sostanza, ognuno ha il suo personale sottile equilibrio e dunque a una persona può scatenarsi con “meno” e ad altre con “più”. La stessa cosa vale per i traumi psicologici, che possono essere più o meno gravi e che portano alla manifestazione della sindrome per l’accumulo di molto stress che si ripercuote inevitabilmente sul corpo. In molti casi poi, le due cose coesistono e si hanno spessissimo casi di cause scatenanti relative sia a traumi fisici che psicologici (per fare qualche esempio anche qui: per qualcuno può essere un periodo di particolare stress a lavoro o in altri ambiti e per altre persone il dover affrontare un grande dolore).

Come dimostrano le spiegazioni e l’elenco dei sintomi (per approfondire leggete la parte 1 e la parte 2 della rubrica), la SFM è una patologia estremamente debilitante. Dunque la prossima domanda è:

La sindrome fibromialgica è riconosciuta dalla legge?

La sindrome fibromialgica è stata riconosciuta come invalidante nel 1992 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ed è stata inserita l’anno successivo nella International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (Classificazione Statistica Internazionale delle malattie e dei Problemi di Salute Correlati). In seguito a questo, il Parlamento Europeo ha riconosciuto di conseguenza la sindrome fibromialgica come invalidante portando all’attenzione dei Paesi membri dell’UE gli articoli riguardanti i diritti alla salute nella Carta dei Diritti dell’Uomo (sia la carta europea che quella internazionale); la stessa ha dunque sollecitato i Paesi perché provvedessero a inserire la SFM nell’elenco delle malattie invalidanti, formare il personale medico, dare assistenza multidisciplinare, provvedere al riconoscimento delle esenzioni e alla pensione d’invalidità ove necessario. L’Italia, non sta rispettando questo mandato mondiale ed europeo, non rispettando:
  • l' inviolabilità della dignità umana (articolo 1) e il diritto alla vita (articolo 2);
  • il diritto alla integrità della persona (art. 3;
  •  il diritto alla sicurezza (art. 6);
  •  il diritto alla protezione dei dati personali (art. 8);
  •  il diritto alla non discriminazione (art. 21);
  •  il diritto alla tutela e alla sicurezza dei minori (art. 24);
  • i diritti degli anziani (art. 25);
  • il diritto a condizioni di lavoro giuste ed eque (art. 31);
  • il diritto alla sicurezza sociale e all’assistenza sociale (art. 34)
e molti altri diritti che vengono puntualmente violati. L’Italia viola inoltre la sua stessa Carta Costituzionale, in riferimento all’articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.”

Un paziente fibromialgico, oltre ai farmaci di base, dovrebbe potersi sottoporre a tutte le cure possibili ora esistenti per migliorare la qualità della sua vita e che ora sono tutte a pagamento e molto costose. E chi c’è li ha i soldi per fare tutte le visite, gli esami, le cure e i trattamenti necessari? Il paziente dovrebbe essere tutelato in ambito lavorativo in qualità di categoria protetta (se in grado di lavorare almeno per qualche ora) o ricevere una pensione d’invalidità quando lavorare gli è impossibile ecc ecc. Insomma, ci siamo capiti.

Qualcosa si muove in Italia, ma poi si ferma tutto e si riparte da zero. E’ sempre così. Si fanno conferenze, incontri, vengono presentati i dati scientifici e le prove di quanto la sindrome sia invalidante, ma in Italia le cose vanno sempre più per le lunghe che altrove e se in altri paesi europei la sindrome è stata già riconosciuta legalmente così come nella maggior parte delle nazioni extra europee, con relativi aiuti ai pazienti, in Italia questo ancora non è avvenuto e ditemi voi se questo è rispetto.

A lottare per i malati ci sono le associazioni locali e soprattutto quelle Nazionali come l’Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica e l’Associazione Fibromialgici Uniti che si impegnano costantemente – non solo per sostenere ed informare i pazienti – ma anche per monitorare e tentare di velocizzare tutti i passaggi necessari perché la SFM sia finalmente riconosciuta. E’ una lotta costante e una costante corrispondenza e presentazioni di richieste, documentazioni ecc. tra l’associazione – con tutti i professionisti che ne fanno parte – e lo Stato. A riguardo, posso dire che sono stati fatti passi avanti, ma il percorso pare essere molto difficile.

Si può guarire?

No, per ora non si può guarire. Non esiste un farmaco specifico per la sindrome fibromialgica e il massimo risultato che si può raggiungere, è quello di riuscire a ridare al paziente una vita “il più normale possibile”. Non sarà mai come essere sani, ma un fibromialgico sviluppa suo malgrado una certa pazienza e sopportazione e già solo sentirsi meglio, avere dei miglioramenti, è tanto. Se poi riesce a raggiungere un buon equilibrio, può dirsi già abbastanza soddisfatto. A livello farmaceutico vengono utilizzati, per dirla in parole povere, farmaci che sono stati creati per altre patologie/malattie ecc. e che si è scoperto possono aiutare e in certi casi migliorare sensibilmente la situazione del paziente. Alla terapia farmacologica però, va associata una cura a tutto tondo. Dire “terapia” e dire “cura” infatti, non è la stessa cosa. La cura è tutto ciò che anche al di là dei farmaci può aiutare il paziente. Nel caso delle persone con SFM questo significa molte cose.