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martedì 21 maggio 2013

Alla Fiera Internazionale del Libro di Torino (con sorpesa)


Sto visualizzando una serie di micro scene di quando ero piccola. Ricordo, prima di tutto, che ancor prima di iniziare ad andare a scuola i miei genitori e i miei fratelli sorridevano nel tentare di insegnarmi a scrivere la "L" del mio nome nel verso giusto. Il mio istinto mancino mi portava a disegnarla al contrario e, anche se loro pazientemente mi facevano rivedere qual era il modo giusto per farla, la mia manina continuava ad andare per conto suo ed io scrivevo il mio nome da destra verso sinistra. E così è stato anche per le prime volte a scuola, fino a che poi la manina "ribelle" si è decisa a prendere la via giusta. Ricordo anche quando la maestra di matematica ci chiamò uno a uno alla cattedra per guidare la nostra mano sulla lavagna pulita, facendoci disegnare il numero otto. Mi ricordo il numero otto e non gli altri numeri; credo sia perché la maestra, al tempo, mi aveva chiesto se fossi destrorsa o mancina e a me è rimasto impresso nella mente come, preso atto del mio essere mancina, lei mi avesse guidato la mano insegnandomi a scrivere il numero otto andando nel verso opposto ai bambini destrorsi. In seguito - non so come o in che preciso istante - quando queste prime prove di base si sono trasformate nel normale apprendimento dell'atto dello scrivere, io, come se fosse stato inciso nel mio DNA fin dal concepimento, ho iniziato a Scrivere, scrivere per davvero insomma. Da allora, non ho più smesso. Dai primi biglietti affettuosi dedicati ai miei famigliari, cosa comune a tutti i bambini, sono passata in brevissimo tempo alle prime composizioni. Le prime frasi di riflessione, alcune già istintivamente poetiche, nascevano nella naturalezza più assoluta dalle mie mani piccine. E poi le favole, quelle favole che immaginavo in testa come cartoni animati e film fantastici nello stesso momento in cui le scrivevo e che poi accompagnavo a disegni dei personaggi e scene della storia. Ricordo che nella mia testolina li immaginavo in un certo modo e tentavo di disegnarli meglio che potevo, il più simili possibile a ciò che avevo in testa; ovviamente a sette anni non si può avere l'abilità di Van Gogh (!), però mi divertivo. Alcune favole e fiabe le ho create a quattro mani con mia madre: potrei definirla la prima collaborazione artistica della mia vita in effetti. Lei lo ha capito subito che mi piaceva scrivere, che per me era un atto spontaneo come bere acqua, mangiare, dormire. È sempre stato essenziale per me ed essenziale è stato il sostegno ricevuto dalle persone care... la mia famiglia, il mio compagno di vita, alcuni cari amici. Ricordo queste scene, i primissimi passi di un percorso e rifletto sulla crescita esponenziale che ha avuto per me questa passione nel tempo. Tra i quindici e i sedici anni ho scritto il mio primo romanzo breve, un testo molto giovane sotto tutti gli aspetti, ancora acerbo, ma interessante devo dire, per l'idea, forse proprio per l'impostazione strana che aveva. Era una sorta di thriller psicologico. Ogni giorno scrivevo, leggevo, scrivevo... Più crescevo e maturavo, più mi rendevo conto di quanto fosse importante per me scrivere, cercare il miglioramento, la crescita della mia stessa scrittura. Un giorno, all'improvviso come spesso mi accade, ho iniziato a scrivere quello che poi è diventato il mio primo vero e proprio romanzo: "Punti senza fine". Ho iniziato a scrivere senza sapere  come sarebbe maturata la stesura del libro, senza immaginare cosa avrei scritto poi o che direzione avrebbe preso il testo; in realtà non sapevo nemmeno che avrei scritto un libro vero e proprio nel momento in cui ho iniziato. Scrivevo come al mio solito nella totale spontaneità, nella più profonda libertà. Così è nato questo testo che poi è stato selezionato e pubblicato. Quando ho iniziato a battere i tasti sul computer, certo non immaginavo che avrei davvero potuto essere contattata da una casa editrice. Avevo già provato a inviare quel famoso testo acerbo ad alcune case ed anche alla mia attuale editrice e ovviamente, essendo acerbo, non era stato preso in considerazione, ma stavolta... stavolta sì. Alla redazione de Il Filo giungono circa 45 mila testi l'anno; di questi, giungono alla pubblicazione un centinaio di testi circa: come potevo immaginarmi che sarei stata una di quelle cento persone? No, non potevo immaginare, mentre scrivevo, che un giorno avrei visto il mio dattiloscritto rilegato nella forma e nella cura di quell'oggetto che solo oggetto non è, che sempre e così tanto ho ammirato. Un libro, un libro vero. Tra le tante belle esperienze avute prima e dopo la pubblicazione, è arrivato anche il momento della Fiera Internazionale del Libro di Torino. Quella stessa fiera che anni fa osservavo a occhi sgranati in tv, sperando un giorno di poterci andare per poterla ammirare dal vivo, senza minimamente pensare che un giorno, in quel luogo magico che tanto mi faceva brillare gli occhi da lontano, ci sarebbe stato anche il mio, di libro. La Fiera del Libro di Torino è meravigliosa e importante, un evento grandioso e, tra quella miriade di stand, di case editrici note e meno note, con gli occhi e l'anima completamente immersi in tutti quei libri, con le espressioni buffe di un bimbo che vede caramelle ovunque, felice di essere in compagnia del mio amore e di un'amica del posto che da tempo aspettavo di incontrare... mi sono ritrovata a rimanere d'un colpo pietrificata. Pietrificata dallo sbucare improvviso di una persona speciale che mai avrei sperato di incrociare. In un posto così grande? a quell'ora e in quel giorno? proprio lì in quei pochi metri quadrati in cui ci eravamo fermati a parlare? Non ci potevo credere. Ero pietrificata nel vero senso del termine, le gambe per un attimo non ho potuto proprio muoverle (!). Roberto Saviano è balzato fuori all'improvviso, pochi metri davanti a noi. Il mio compagno lo ha chiamato e salutato e lui ha risposto sorridendo, continuando a camminare all'indietro per non dargli le spalle mentre gli rivolgeva qualche frase. Un gesto di estrema gentilezza. Piccole cose che si notano. Io, che nel frattempo ero riuscita a reagire allo shock del momento, ho seguito il mio compagno che, vedendomi attonita, aveva già provveduto a prendere dalla mia borsa una copia di "Punti senza fine". "Posso lasciarti il libro?" gli ha chiesto - e lui camminando all'indietro: "Sì!". Consegnato all'assistente in pochi istanti e via, è giustamente sparito in un battito di ciglia all'interno di uno stand. Potrebbe finire in mezzo a mille altri libri che gli sono stati consegnati o potrebbe capitargli in mano e ... potrebbe leggerne qualche pagina (?) o forse, pur se il genere è molto distante dal suo e certo non posso paragonarmi nemmeno lontanamente alla sua maestria, potrebbe leggerlo anche tutto. È solo un forse, ma quel forse basta. È ovvio che anche se dovesse leggerlo non riceverei di certo un commento o simili, ma quella possibilità su mille che gli capiti in mano e ne legga anche solo qualche tratto, beh... basta a riempirmi di gioia. È stata già una grande emozione essere là e vedere il mio libro in mezzo gli altri, certo non potevo aspettarmi di incrociare Saviano. Quando poi tentavo di imparare a scrivere la "L" per il verso giusto... assolutamente no, non avrei mai potuto immaginare nulla di tutto questo. E allora di nuovo Grazie, Parole care.

Lara Aversano