Pagine

domenica 29 gennaio 2017

La storia del cinema (parte 5): il cinema degli artisti, le avanguardie


Fin dagli anni Venti, accanto all'evoluzione così detta "tradizionale" del cinema, si sono fatte strada le avanguardie cinematografiche. In contrasto con il divismo e gli scenari che si stavano sviluppando, fecero il loro ingresso nel mondo delle pellicole poeti e pittori. Gli artisti infatti consideravano il linguaggio utilizzato nei film, solo una copia riportata e tra l'altro alquanto automatizzata del linguaggio già in uso nella letteratura e nel teatro. Consideravano così il nuovo mezzo di comunicazione, terreno fertile per lo sviluppo artistico, andando fuori dagli schemi considerati adatti al cinema "di massa". Ogni opera aveva così un valore aggiunto e soprattutto portò modelli estetici e ideologici. L'analisi del linguaggio che gli artisti portavano avanti, permise al cinema d'avanguardia e più in generale a tutto il cinema, di giungere ad un linguaggio proprio, non più legato alla sopracitata letteratura o al teatro. Nuovi elementi espressivi e formali, l'applicazione di nuove vie di sviluppo lontane dalla normale linguistica, portarono negli anni a un sempre più acceso e creativo sviluppo dell'estetica e del linguaggio stesso. Dopo i primi esperimenti da parte dei futuristi, il cinema d'avanguardia si sviluppò parecchio nell'ambiente del dadaismo internazionale, negli anni successivi alla prima guerra mondiale; il dadaismo diede vita a due poetiche: la poetica dell'opera globale e la poetica del caso. Le due poetiche, tra le altre cose, fungevano da punto di collegamento tra autori ed opere molto diversi tra loro. I pittori e i poeti, cercavano con l'avanguardia nuovi legami con le percezioni sensoriali e relative all'esperienza della realtà, attraverso basi morali ed estetiche certamente considerabili come moderne rispetto alla tradizionale visione. Nascono negli anni successivi anche nuovi legami tra cinema e musica e nuove ritmiche nell'immagine e nella narrazione. Il dadaismo, in sostanza, diede il via allo sviluppo delle avanguardie, che poi continuarono ad evolversi negli anni Venti attraverso il surrealismo. Entrambi i movimenti, pur se in modi ovviamente differenti, si ponevano al pubblico come posizione alternativa, un punto di vista nuovo sul mondo, con nuove filosofie dell'arte e della vita. Spesso nelle singole opere, nei singoli autori, si riconoscono anche influenze di avanguardie diverse, quali il futurismo, il cubismo o il razionalismo e l'insieme di questi autori e delle loro diverse influenze va a formare un discorso generale sull'arte e sul cinema – in quanto nuova arte – in periodi di continuo fermento, evoluzione e trasformazione creativa. Fernand Léger, ad esempio, portò un esempio eccezionale di cinema cubista con il suo "Ballet Mécanique" (1924). Léger è stato un pittore, ma anche un creatore di vetrate e arazzi, uno scultore, decoratore, ceramista, scenografo, costumista e illustratore. Questo film ispirò molti altri artisti, pur non avendo una trama. Si concentra infatti su oggetti inanimati e animati, ripetuti in diversi fotogrammi, con prospettive diverse, immagini a specchio, dettagli, dalle forme geometriche a un sorriso, la silhouette di un uomo, un cappello, una bottiglia, un volto che cambia espressione, miriadi di immagini destreggiate in maniera nuova, con tecniche differenti, il tutto presentato e accomiatato da uno Charlot composto da ritagli geometrici. Anche Marcel Duchamp, con "Anemic Cinema" (1926) si mosse in una direzione simile e l'opera è l'insieme di una serie di ricerche portate avanti dall'artista nel campo della cinetica delle forme; riprendendo oggetti in movimento da diverse prospettive, cercava la poliespressività degli stessi. Intorno al 1921 invece, Man Ray, pittore, fotografo e grafico statunitense, aveva scoperto il rayograph, vale a dire la fotografia senza macchina fotografica. Gli oggetti venivano posti su materiale sensibile, generalmente carta fotografica e posti sotto la luce di una semplicissima lampadina. Il risultato era appunto una rayografia (termine che naturalmente prende forma dal nome del suo scopritore). Il primo film di Man Ray, "Ritorno alla ragione" (1923), fu realizzato in una sola notte con diversi materiali cinematografici; durava pochi minuti ed era costruito al di fuori di ogni struttura formale o razionale; un'opera dadaista, che volutamente in contrasto con il suo titolo, determinava un significato culturale d'impatto, infrangendo le convenzioni della cultura e dell'arte. Un' altra opera molto importante per quegli anni fu "Entr'acte" (1924), realizzato da René Clair (attore, sceneggiatore e regista) in collaborazione con il pittore e scrittore Francis Picabia (anche lui francese), che divenne il simbolo del cinema dadaista nonostante le tecniche cinematografiche utilizzate per la realizzazione dello scenario facessero parte di un'avanguardia rifiutata dal dadaismo, ma essenziale nel cinema sperimentale di quegli anni. "Entr'acte" significa "intermezzo", poiché inizialmente doveva essere solo l'intermezzo cinematografico di un balletto, anche se poi, oltre ad essere esteticamente centrato per quel "ruolo", divenne molto di più. Il film rendeva i caratteri del non-sense dadaista: le situazioni, il gioco, la provocazione, la presa in giro antiborghese. La poetica del film dunque, lo rese, al di la' delle tecniche utilizzate, il più significativo esempio di cinema antitradizionale e dadaista; provocatorio e illogico, dedito al caso e al superamento della cultura e dell'arte borghesi.

rayografia, Man Ray

Nessun commento:

Posta un commento