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Aleksandr Ermakov |
Non ho molto da dire riguardo a Francesca Pala, se non che la sua naturale semplicità e la sua innata capacità di emozionare hanno fatto la differenza. Credetemi, non è per nulla scontato avere queste caratteriste per natura. Di seguito "Una melodia nel silenzio".
Tommaso
si accarezzò la barba leggermente lunga. Era seduto davanti a un pianoforte. La
mano incerta, sui tasti bianchi e neri, sembrava chiedere a quel vecchio
strumento cosa dovesse fare. Gli occhi infossati sembravano tristi e vuoti, come
fantasmi di ciò che erano stati. Alcune dita della mano accarezzarono i tasti e,
dopo qualche minuto, una bellissima melodia scacciò il silenzio della
solitudine. Chiuse gli occhi e si lasciò trascinare nel mondo che quella musica
gli ricordava. Un’unica flebile luce accanto a una vecchia poltrona donava
un’atmosfera irreale a quella notte di pioggia. Aveva lasciato andare la donna
che più al mondo l’aveva amato. L’aveva cacciata via dalla sua miserabile vita senza
domani. Le sue mani si fermarono bruscamente e la stanza ripiombò nel silenzio.
Un lampo illuminò tutto per un eterno secondo e poi, il boato del tuono
riecheggiò tra gli alberi piegati dal vento. Tommaso si passò una mano sul viso
stanco, si chiese cosa avrebbe fatto. Incerto si alzò, guardò oltre la pioggia,
oltre gli alberi spogli e vide Laura nella sua mente: la vide danzare nel suo
salotto. Appoggiò una mano sul freddo vetro della finestra e rabbrividì mentre
quell'immagine di lei svaniva nella notte. Lei meritava un uomo che le stesse
accanto, che la ricordasse ogni giorno e quell'uomo non poteva essere lui. A
breve, pian piano, la sua memora se ne sarebbe andata e lui con lei. La
malattia gli avrebbe rubato i ricordi. La malattia non perdona. Gli era
capitato di lasciare il fuoco dei fornelli accesi. Quando se ne accorse si
accasciò al suolo e si mise a piangere. Mentre piangeva, tremava al pensiero di
ciò che sarebbe potuto succedere, ma dopo un po' - come in una specie di atroce
magia - si trovò a ridere vedendo davanti a sé un pagliaccio che non esisteva,
se non nella sua mente. Nell’ultimo barlume di lucidità assunse una donna che
fosse la sua memoria e lo proteggesse da sé stesso. Col tempo iniziò a mettersi a sedere sempre
sulla solita poltrona, per poi non spostarsi più da lì. Nei mesi successivi il
suo salotto diventò ora una strada, ora un vecchio capanno in cui aveva giocato
da piccolo. Le persone, così come i luoghi, svanivano e poi ricomparivano in
una danza confusa tra realtà e immaginazione. Un
giorno, per uno strano scherzo del destino, Laura seppe da un’amica che Tommaso
aveva il morbo di Alzheimer e che non riconosceva più nessuno. Capì che aveva voluto lasciarla libera,
quella maledetta sera. Decise così di andare da lui, mentre le sue guance si
coloravano di speranza e le mani sudate stringevano il volante. Bussò alla
porta e attese che qualcuno aprisse. Una grassottella signora di mezza età la
accolse, sorpresa da quell'inaspettata visita. Cosa avrebbe trovato? o meglio,
chi avrebbe trovato? Il pianoforte era perfettamente pulito e chiuso: un tempo era
stato sommerso di fogli, canzoni mai finite e vecchi spartiti. Guardò
Tommaso seduto sulla poltrona: aveva un maglione azzurro e un vecchio paio di
jeans. Sembrava sempre lui, con il suo solito buon profumo:
- Ciao Tommy…
- Ci conosciamo? – chiese lui con i suoi soliti
modi pacati.
Laura
smise di respirare. Come poteva aver cancellato tutto? Era questo il dolore dal
quale lui l’aveva protetta in quell'anno di silenzio?
- Sono Laura…
- Piacere di conoscerti Laura!
La sua
calda voce accarezzò l’animo di lei. Forse Tommaso non era più lì dentro o
forse era ingabbiato da quella malattia, legato, imbavagliato e nascosto in
qualche posto lontano.
- Come stai? - chiese di nuovo la donna sedendosi.
- Guarda, ormai non sopporto più quel cane che
continua ad abbaiare per ore. Poi vorrei tanto tornare a casa mia.
- Come a casa tua? – chiese Laura stupita.
Lui la
guardò e Laura capii: “hai ragione Tommy, ti porto a casa io” pensò tra sé e
sé.
- Giusto. Andiamo? - lo rassicurò a voce alta.
- Ma tu sai dove abito? - la voce di quell'uomo sembrava speranzosa. I suoi occhi la raggiunsero dritta in fondo all'anima. Lui
era lì.
- Certo, abiti là – affermò indicando lo studio.
Lui si girò e sembrò sollevato nel vedere ciò che cercava.
- Esatto!
- sbottò raggiante.
- Si
alzò, Laura gli prese la mano e insieme si diressero verso lo studio:
- Vuoi ballare? - invitò Tommaso guardandola
negli occhi - Senti che bella musica…
Forse
era una follia. Sicuramente era una follia, ma l’unico modo che aveva per
ritrovarlo era vivere il suo mondo. Iniziarono a volteggiare nello studio sulle
note di una canzone silenziosa. Una melodia che non si sentiva con le orecchie,
ma solo con il cuore.
- Sai,
conoscevo un uomo così folle che pensava di potermi mandare via.- Davvero?
- Tommaso era incuriosito da ciò che quella donna aveva da dire.- Sì,
davvero. Non sapeva che io sono più pazza di lui - sussurrò lei quasi fosse un
segreto.
Lui
rise, dopo tanti mesi di silenzi. Finalmente sentiva di avere qualcuno che lo
capiva, che vedeva il suo mondo. Laura, in quel momento, decise che sarebbe
stata accanto a lui sempre, pronta per vivere nuove avventure insieme, tra le
pareti di casa.