"Oggi,
domenica" è il primo EP dei Rossodannata,
un progetto di Russu (Totale Apatia) e Dade (CDU). Un paio di mesi fa
feci una chiacchierata con i ragazzi, curiosa di sapere di più di
quel che sarebbe stato ed essendo già a conoscenza della storia
musicale del duo. La prima reazione che ho avuto, nel sentire e
vedere il video del singolo "La Nave" è stata quella di
commuovermi, non "solo" perché il testo è molto
significativo e il video anche, non "solo" perché le
melodie e il cantato rispecchiano il testo, ma perché ho visto un
punk rocker meticcio, come ha sempre dimostrato di essere Alessandro
Rossoni, autore della maggior parte dei testi dei "Rossodannata",
mettersi completamente a nudo nei confronti di chi avrebbe ascoltato.
E' sempre stato un autore sincero, onesto, incazzato, serio, felice,
ironico, ma qui, ho trovato il Russu che tanti non conoscono o non
immaginavano, la familiarità, l'intimità, il coraggio di mettersi
in gioco. "Acoustic Punk". Il punk può essere acustico?
che cos'è il punk per voi? è "solo" un genere musicale?
per molti, per coloro che non ne percepiscono il nucleo, la parte più
profonda... punk e punk rock, significano "fare casino",
"protesta", "andare contro tutto e tutti",
addirittura "anarchia". Forse lo è stato, anzi sicuramente
lo è stato, ma la musica ha il meraviglioso potere di essere in
continua evoluzione, di farsi scoprire, di poter significare sempre
qualcosa di diverso. Bene, è difficile da spiegare, ma la concezione
punk, come Russu e Dade stessi hanno affermato in una recente
intervista, è anche "uno stile di vita" e io aggiungo che
è "non mollare", "rialzarsi quando si cade",
"riflettere su ciò che ci circonda", "riflettere su
se stessi", è "l'alternativa, perchè così non mi piace",
"è divertimento" ma anche "serietà"; il tutto
nella più totale, disarmante, onestà. Senza ipocrisie, senza far
finta di star bene, senza per forza dover arrivare a qualcosa di
cosmico; la semplicità. Non il semplicismo, attenzione. Questo, per
me, è punk rock. E questo Ep, porta due punk rocker a qualcosa di
certamente alternativo, perché i loro ascolti cantautorali si
mescolano a quell'irrefrenabile spirito che è parte di loro e che
non li mollerà mai, perché punk rocker lo saranno anche a
settant'anni. "Sobrio". E' il primo pezzo dell'EP, testo
breve, conciso, quasi ermetico, semplice e difficile da interpretare
(il che lo rende molto punk). Iniziano le prime note di chitarra,
solitarie, come fossero in attesa di qualcosa e quel qualcosa è
un'inizio che fonde la melodia punk di una chitarra elettrica al
suono surreale di flauti che tanto ricordano certi cantautori, con le
loro melodie, "non punk" (ma anche qui dipende dai punti di
vista). "Flebile, la mia volontà di avere in tempo quello che
mi spetta". Potrebbe sembrare la frase di qualcuno che ha un po'
mollato la presa, che è stanco di aspettare qualcosa che gli sembra
non arrivare mai, ma la realtà, per come la vedo io, è che nel
momento in cui questo pensiero è diventato musica, si è
automaticamente trasformato in voglia di vivere e di non mollare. Un
po' come... "Sono stufo, stanco, annoiato, disgustato....
pronto, a lanciare la sfida" (Totale Apatia). "Sobrio"
è una presa di coscenza, è una riflessione, è la sobrietà che
l'autore ha nel valutare ciò che è attorno a noi e dentro di noi,
esseri umani, ogni giorno. "Forse un giorno arriverà una novità
[...]. I tuoi occhi blu riflettono cose che forse sai solo tu, come
non è stato mai." E questo "come non è stato mai",
ripetuto più e più volte, che un po' mi ricorda i finali di alcune
canzoni dei Nirvana, è una dichiarazione di sobrietà. "La
nave", il secondo pezzo, il primo singolo. E' una canzone
allegra e triste al tempo stesso, è riflessiva, ma si prende in
giro. Si guarda allo specchio, fa la faccia un po' storta, poi si
capisce e sorride, ironica, sincera, intima. La chitarra di Davide
Baronio (Dade) crea un'atmosfera che va contro se stessa, nel senso
più positivo dell'affermazione. E' come un ossimoro, io la sento
così ed è perfetta in questo pezzo. La voce di Russu è quasi
sofferente, è una voce punk che riflette più a fondo e questo già
dice molto. Tutti abbiamo delle paure, tutti abbiamo momenti di
sconforto, il pezzo lo afferma con tutta onestà, con parole nude e
crude, ma... "Sorridi, è la vita... e non farti del male"
(!). Si arriva poi al terzo pezzo, "Down the Street", la
versione acustica di un pezzo dei Totale Apatia che sarà presente
nel nuovo album, in uscita proprio quest'anno (i Totale Apatia hanno
anticipato al pubblico alcuni dei nuovi pezzi, compesa "Down the
Street" in versione originale, nel live di Sabato 21 Marzo a
Brescia). Nella versione alla "Rossodannata" il brano ha
sfumature folk, popolari, ma allo stesso tempo mantiene lo sfondo
punk, nonostante il suono di una popolarissima fisarmonica. "Il
soffio del vento", il quarto pezzo, nostalgico, commuovente,
sofferente. Al primo ascolto, durante il live d'esordio, mi ha fatto
piangere come una disperata. E' senza dubbio il pezzo che amo di più.
"E il ricordo sale in me/ non ricordo neanche se/ sono solo
sogni e fantasie/ le tue mani sulle mie." Dolce e soffice, si
trasforma poi in un tango, passione, rabbia e solitudine, la voglia
di svegliarsi con un ricordo nostalgico che torna ad essere realtà e
poi di nuovo malinconia, perché il soffio del vento, in questo pezzo
porta via qualcosa di grande, così... come fosse stato niente.
"Ventricoli del cuore", scritta, cantata e intepretata da
Davide, è in parte narrata, incentrata sul peso dell preoccupazioni,
sulle tensioni, sulle speranze, sulle lotte quotidiane, il tempo che
passa e il valore che ogni passo ha, sulla nostra strada. Passi che
non sono da bruciare e poi... "Miete vittime il rancore",
il rancore dentro, mai; meglio liberarsene alla svelta, per non
perdere la strada. Infine, la traccia nascosta: "Angelina"
(anche qui l'autore è Dade), fantasticamente rustica, ricorda lo
stile "Cochi e Renato" sia per il cantato che per il testo
simpatico e ironico. Un bel finale, sia l'EP che per il live, un
saluto al pubblico, perché anche quando si riflette e spesso si
soffre, la vita va sempre presa per quello che è, un dono
meraviglioso; ed è meglio sapersi prendere un po' in giro, non
perdere il sorriso, perché un nostro sincero sorriso, è l'arma più
potente che abbiamo verso tutto ciò che non va.
venerdì 27 marzo 2015
martedì 17 marzo 2015
Dario Cecchini e i Funk Off: l'energia che esplode in musica
Funk Off |
Oltre
sedici anni di storia, quasi settecento concerti. I Funk Off sono
stati la prima funky marchin' band italiana e al termine hanno dato
un nuovo significato, unendo quest'accezione al groove della black
music, ad arrangiamenti jazz, a movimenti e coreaografie di grande
impatto emotivo e visivo, senza mai perdere la loro "italianità",
le origini, la musicalità della propria terra. Dopo di loro tante
band sono nate, seguendo la loro scia meravigliosa ma... loro sono
unici, unici e inimitabili. Sono passione, grinta, originalità,
feeling, groove, calore, colore e potenza. Dario
Cecchini (clik click!) è il fondatore e leader della band
fiorentina, scrive ed arrangia la loro musica dall'inverno del 1998,
quando il progetto nasce e comincia ad attirare l'attenzione dei
responsabili dell'Umbria Jazz che dal 2003 in poi li inviterà a
tutte le edizioni del Festival, scegliendoli come marchin' band
ufficiale sia della manifestazione perugina che dell'Umbria Jazz
Winter di Orvieto, coinvolgendo, come è inevitabile che sia, tutto
il pubblico e portandoli fino al palco di un entusiasta James Brown.
Ci sarebbero così tante cose da scrivere, ma... cliccate sul link
tra parentesi e vi renderete conto di cosa hanno combinato questi
musicisti eccezionali (FunkOff
on Fb). Personalmente li ho scoperti nel 2011, ospiti di
"Sostiene Bollani" su Rai3. Io e il mio compagno ci siamo
guardati, con gli occhi spalancati, l'ascolto che si trasforma
immediatamente in un istante di stupendo entusiamo, un sussulto e se
non ricordo male un "Oh mio Dio...!". Una rivelazione. Sul
loro sito www.funkoff.it potete
trovare tutte le news e le date sempre aggiornate. Ora, veniamo a
noi... una bella chiacchierata con lui, Dario Cecchini...
Per
prima cosa sono curiosa di sapere come ti è venuta l'idea di questo
progetto, ma non desidero chiederti, per così dire, "informazioni
generali". Intendo proprio a livello
"fisico/chimico/mentale/temporale". Mi spiego meglio: so
che sei cresciuto con il jazz, che hai molte influenze (dal funk alla
black music o la soul latina), hai molte esperienze diverse, prima di
questo progetto per esempio dirigevi la Big Band del Cam (scuola di
musica fiorentina) con la quale hai iniziato a mescolare il jazz, il
funk, la black music... ma la mia domanda è: l'istante. C'è un
istante, un punto di illuminazione in cui è nato il progetto Funk
Off? Il culmine dell'idea, il climax dell'ispirazione, riguardo
all'idea del progetto Funk Off appunto.
"Allora...
il momento è stato... durante una prova della Big Band del Cam, la
Ballroom Dance Band che dirigevo oramai da circa tre anni, anzi dal
'94, quattro anni... In questa band c'erano diversi dei ragazzi che
poi sono entrati a far parte dei Funk Off: Andrea Pasi, Nicola
Cipriani, Paolo Bini, Francesco Bassi, Luca Bassani, che in quella
formazione suonava il basso e... durante una prova ebbi quest'idea,
pensai "porca miseria! Potrei fare una band che fa questo tipo
di musica, con la formazione della banda e quindi con il suono della
banda, però unendo a questo il movimento". Al momento ho
pensato che poteva essere un'idea sulla quale lavorare, poi ricordo
che ne ho parlato con Francesco Bassi, gli dissi dell'idea, che avrei
scritto un po' di pezzi e che poi avremmo potuto valutare cosa fare.
C'è da dire che... qualche anno prima credo, un nostro amico Dj mi
chiese di fare una cosa con la formazione della banda, di suonare
"Reginella Campagnola" e io feci un'arrangiamento, così a
voce, poi diedi le direttive musicali. E' un brano tipico delle bande
di paese insomma - e non so.. non so se questa cosa mi ha influenzato
in qualche modo, non ci avevo mai riflettuto, poi fu lui, questo Dj,
a chiedermi se mi fossi ispirato a quell'esperienza e io gli dissi
"Mah... no, non ci avevo mai riflettuto, però...". Io
credo di essermi più ispirato di più... nel vedere i movimenti
spontanei che i musicisti facevano quando provavamo i pezzi,
arrangiamenti di brani più e meno funk e anche qualche brano mio...
ed è stato anche il momento in cui presi fiducia sull'idea che
mescolare musica jazz, funk, soul... potesse avere una ragion
d'essere e che potesse funzionare; quindi anche una presa di
coscienza e una presa di fiducia in me stesso."
Funk Off |
E
quando hai dato il via al progetto ti aspettavi di risultare così
sconvolgente? Cioè, fin dall'inizio, siete stati un'esplosione per
tutti!
"Ma
sai... io non sono molto bravo a trovare concerti, a gestire questi
aspetti, però c'era e c'è Nicola Cipriani che invece è molto bravo
in questo e lui si diede molto da fare e... grazie a lui iniziammo a
fare le prime date; poi è ovvio che quando parte un progetto non
pensi che possa diventare quello che poi diventa... quello che è
diventato. Tu provi a portarlo avanti nel miglior modo possibile. Non
immaginavo che alla gente potesse piacere così tanto questo
progetto, anche perché... oggi in giro ci sono tante marchin' band,
ma all'epoca non ce n'erano, noi siamo stati i primi e quindi... era
tutto da vedere, magari andavi fuori e la gente non ti stava nemmeno
ad ascoltare... Poi... uno non fa il progetto per la gente, lo fa
prima di tutto per esprimere le proprie idee artistiche, musicali,
poi se va bene... naturalmente fa piacere! Quando ho iniziato con i
Funk Off avevo trentacinque anni, erano quindici anni che provavo a
fare musica e che vivevo di musica comunque e non lavoro nel mondo
del pop – ho avuto collaborazioni pop, ma comunque non faccio
musica pop - quindi per me un progetto parte come un'esigenza
artistica, in altri contesti parte invece con l'idea di guadagnare,
di diventare famosi, come nel caso dei talent."
Oltre
a questo... vedo gruppi che hanno avuto un ottimo riscontro, che se
lo meritano e che... anche loro non partono con l'intenzione di
"diventare famosi" e tantomeno si aspettavano quello che
poi sono riusciti a realizzare, parlo di gruppi assolutamente non
commerciali, che però nell'impostazione iniziale avevano un
approccio diverso fin dall'inizio, a livello di diffusione della loro
musica, rispetto alle nuove tecnologie per esempio.
"Una banda così" Funk Off |
"Ah
la nostra diffusione è stata quella più vecchio stile del mondo,
abbiamo cominciato a fare live, a quei tempi solo marcianti. Al
tempo, nei live in strada, facevamo
un po' come ora in realtà, alcuni dei pezzi avevano delle
coreografie più strutturate e altri invece meno, poi però andando
avanti negli anni si sono aggiunti Alessandro Sugelli,
Francesco Bassi, Andrea Pasi (i principali curatori delle
coreografie, ndr). All'inizio eravamo veramente "solo" una
marchin' band; io mi ricordo che quando ci è successo di fare il
primo concerto su un palco io... non è che fossi tanto sicuro e
convinto che la cosa potesse funzionare, quindi poi... ovviamente c'è
stato uno sviluppo, dal concerto di marchin' band che marcia per la
strada e che suona muovendosi a quello di una formazione che resta di
marchin' band ma che suona anche su un palco e naturalmente è
diversa la cosa."
Una
cosa però mi ha colpito, per la sua dolcezza... Già dai video dei
live, dalle performance che ho potuto trovare online perché
purtroppo non ho mai avuto occasione di vedervi dal vivo, mi dai
l'impressione, in particolare con i più giovani, di essere un po'
"lo zio" della situazione; mentre suonate, lo scambio di
gesti, di sguardi, sembra tu abbia un senso di protezione verso i
tuoi musicisti, anche con quelli che più o meno hanno la tua età in
realtà, però con i più giovani è più palpabile la cosa... è
un'impressione mia o è così davvero?
"Beh...
certo... io sono... diciamo così... a capo dei Funk Off, quindi... è
ovvio che proteggo i Funk Off. In realtà non ce n'è mai bisogno,
anzi, a volte devo stare attento a proteggermi da loro perché sai,
in quattordici contro uno...! (ride con affetto..., ndr). No beh,
sono protettivo nel senso che voglio bene a questa band, fa parte di
me, dunque sono protettivo con loro come lo sarei verso me stesso;
poi lo scambio di sguardi, di gesti, sicuramente è una questione di
feeling, ma è anche frutto di esigenze musicali, direttive. C'è
talmente tanto affiatamento che... basta che loro mi guardino, gli
basta vedere come mi muovo, con un'occhiata ci intendiamo, se c'è
qualcosa che non va o se c'è qualcosa che voglio dire, loro lo
capiscono al volo. Quello che mi piace dei Funk Off è che il
concerto si sviluppa in maniera diversa tutte le volte, a volte
nascono cose nuove durante i live, proprio perché c'è molto feeling
e dunque io posso "chiamare" delle cose che nelle prove non
abbiamo fatto perché c'è molta empatia tra noi. Riguardo ai più
giovani... non so... tanto sono tutti più giovani di me! (ride - ah
ah, ndr). Mi piace che succedano le cose sul palco, nel jazz succede
questo, quello che accade stasera non accade domani sera e quello che
succede domani sera non succederà l'indomani e il nostro approccio
viene molto dal jazz. Per esempio, se parliamo di un concerto di
musica pop, si parla di un "prodotto perfetto", pensato,
organizzato, perché deve essere più o meno sempre così com'è. Nel
progetto dei Funk Off è esattamente il contrario, è un "prodotto
imperfetto", comunque organizzato, ma che trova energia, linfa e
cambiamento durante lo sviluppo del concerto. Questo ci riporta al
fatto dell'essere empatici l'uno nei confronti degli altri e anche al
correre dei rischi. A volte è successo, magari io ho lanciato delle
chiamate che al momento non sono state colte ed è capitato facessimo
degli errori anche evidenti, ma va bene, ci sta, anche nella vita è
così. A me proprio... non interessa fare una musica perfetta."
Siete
anche a lavoro per il nuovo album che esce ad Aprile 2015 giusto?
Dimmi dimmi, racconta eh eh...
"Riguardo
al nuovo album beh, io sono molto contento perché ha un sound
diverso dagli album precedenti – al di la' del fatto che ovviamente
sono pezzi nuovi - proprio come ispirazione, arrangiamenti,
produzione. Oltretutto ci sono tre ospiti, due dei quali hanno
collaborato anche alla composizione dei brani, hanno scritto i testi
di due brani e li cantano. "Dance with me" con
AverySunshine
e "Déjà Vu" con Raul
Midon. L'altro ospite è Fred Wesley, che era il trombonista
della della band di James Brown (The J.B. 's - ndr). Per me questo è
l'album più soul tra gli album dei Funk Off. Non tutti i brani sono
soul, ma una buona parte è comunque d'ispirazione soul, anche perché
venivo da un periodo di ascolti di artisti come Marvin Gaye, Bill
Withers, Leon Ware, Curtis Mayfield e io... ce li sento, sono
veramente contento."
Qualche
novità sui prossimi live? (date a fondo articolo, ndr)
"Abbiamo
vari concerti e varie Street Parades. Inoltre presenteremo in alcuni
teatri il nuovo album e in questi eventi avremo come ospite Karima,
una collaborazione nuova. Lei è molto brava a cantare ed è molto
brava a cantare in inglese ed avendo composto dei pezzi in inglese è
nata questa cosa; poi faremo anche un pezzo suo, con un arrangiamento
un po' "funkoffizzato" diciamo eh eh..."
Ora
parliamo di parole, è una cosa che adoro quando chiacchiero con
musicisti, artisti e anche in generale... dimmi una, due.. quelle che
vuoi... parole per te essenziali e qual è per te il loro significato
più profondo, il motivo della scelta... Perché le parole, come la
musica, sono un mondo non credi...?
"Di
sicuro "armonia", "equilibrio", sono le parole
che hanno un significato particolare per me. "Armonia"
perché... mi piace avere armonia intorno, mi piace dal punto di
vista umano e mi piace perché nella musica... amo molto l'armonia o
le sfumature che l'armonia può dare... penso che quando c'è armonia
tutte le cose siano migliori. "Equilibrio" perché
l'equilibrio è una cosa importante, una cosa della quale sono sempre
alla ricerca e... a volte lo trovo e a volte non lo trovo; e questo
sia nella musica che nella vita. Questo però non significa che i
pezzi debbano per forza essere equilibrati, anzi, fondamentalmente
penso che nel momento compositivo, creativo, sia necessario essere
tutt'altro che equilibrati, che si debba essere "esagerati",
"illogici", che si debba seguire l'istinto, abbandonarsi ai
sentimenti e alla creatività stessa, quindi in quella fase credo che
l'equilibrio non sia produttivo. Per tutto il resto però credo che
nella vita l'equilibrio sia una cosa fondamentale; questo non vuol
dire che poi io ce l'abbia (sorride..., ndr)."
Ai
di la' della musica ci sono altre discipline artistiche che ami
particolarmente? e se si, perché?
"In
realtà mi piacciono molto tutte le discipline artistiche, mi piace
molto la danza, mi piace molto la pittura, il disegno, mi piace
l'arte in generale, infatti soffro molto per la totale assenza di
rispetto che c'è nei confronti dell'arte e della cultura in Italia.
Mi piacerebbe saper disegnare, ma non ho un gran talento e non avrei
nemmeno il tempo per potermi applicare. Mi piacciono molto anche le
parole, mi piace molto... il suono delle parole... Le parole hanno un
peso, dunque cerco di usarle per il peso che penso che abbiano e per
il peso che gli do' io..."
[Non
commento più di tanto ma... se seguite quello che faccio un po' mi
conoscete, quindi potrete immaginare quanto mi abbia fatto un'immenso
piacere sentire queste parole...]
Per
chiudere... come descriveresti te stesso e come descriveresti i Funk
Off...?
"Beh...
io mi descrivo come uno che cerca di vivere per quanto può nella
Musica e... di sicuro i Funk Off lo sanno... Cerco di esprimere le
mie idee nella musica in maniera sincera, prendendomi dei rischi
anche, cercando sempre di andare avanti, di fare sempre cose diverse
rispetto a quelle che ho già fatto. Penso di essere una persona
molto sensibile, ma anche perché... me lo dicono gli altri... credo
si saper ascoltare, quindi cerco sempre – rispetto anche a quello
che ti dicevo prima – di costruire un'armonia, cerco di avere il
massimo dell'armonia attorno a me. A volte ci riesco e a volte no.
Questo non vuol dire che poi non si arrivi talvolta anche a degli
scontri, purtroppo succede... ("Beh... servono anche quelli..."
commento io nel frattempo...). I Funk Off... come descriverli... mi
ritengo una persona fortunata perché ho avuto un'idea e ho trovato
quattordici persone che mi hanno seguito per realizzarla ed è una
fortuna che non tutti hanno avuto. I Funk Off sono un gruppo che si
basa sulla musica e sull'amicizia, su una forte aggregazione tra le
persone che ne fanno parte e che sono in gran parte vissute insieme
essendo undici di noi dello stesso paese; poi c'è Alessandro che da
tanti anni abita a Vicchio
e poi ci sono tre musicisti che vengono da Firenze, da Prato, da
Montepulciano e sono i membri più recenti della band. Comunque sia i
Funk Off sono un gruppo che si basa molto sui rapporti umani e questi
rapporti umani, un po' per indole, un po' per come è nato il
progetto, per come nascono i pezzi... si trasmettono con naturalezza
nella musica stessa. E' un gruppo molto unito, nonostante sia fatto
di persone molto diverse tra loro e dunque quando ci sono da prendere
delle decisioni io dico sempre "cerco di scontentare tutti il
meno possibile" perché accontentare tutti è impossibile."
Grazie
Dario, per questo bell'incontro sul Cammino.
I
prossimi Live:
24
aprile 2015 – a Latina (LT)
02
maggio 2015 – al Teatro Carrara, Carrara (MS)
16
maggio 2015 – al Vicenza Jazz Festival, Vincenza (VI)
17
maggio 2015 – al Teatro Thiene, Thiene (VI)
20
maggio 2015 – alla Casa del Jazz, Roma
29
maggio 2015 – a Novazzano (CH)
I
Funk Off:
Dario
Cecchini - sax baritono e direzione musicale
Paolo
Bini, Mirco Rubegni ed Emiliano Bassi - tromba
Sergio
Santelli e Tiziano Panchetti - sax alto
Andrea
Pasi e Claudio Giovagnoli - sax tenore
Giacomo
Bassi e Nicola Cipriani - sax baritono
Giordano
Geroni - sousafono
Francesco
Bassi - rullante e coordinatore sezione ritmica
Alessandro
Suggelli - cassa
Luca
Bassani - piatti
Daniele
Bassi - percussioni leggere
giovedì 26 febbraio 2015
Il meraviglioso mondo di Lisa Marie Simmons e degli Hippie Tendencies
Stasera
si parla di "Hippie Tendencies". Non di "tendenze
hippie" in senso letterale ne di concetto "hippie" di
per se. "Hippie Tendencies" è una band che ha l'intento di
riflettere nella propria musica valori in cui crede quali, citando la
loro biografia "soluzioni pacifiche ai problemi globali,
l'energia sostenibile e l'accettazione delle differenze religiose,
culturali e sessuali". La band nasce nel 2006 e si forma
dall'incontro di quattro musicisti italiani con una cantautrice
americana. Marco Cremaschini al piano, Cesare Valbusa alla batteria,
Massimo Saviola al basso elettrico, Christian Codenotti alla chitarra
acustica e voce e Lisa Marie Simmons, voce portante, autrice dei
testi e co - compositrice. Le melodie e i ritmi spaziano da pezzi
quali "Wana Wa Africa", che già dal titolo e fin dalle
prime note e ritmiche ricorda la grande terra, a pezzi funky/pop,
divententi e solari come "Poppy Rock" fino alle sfumature
soul/blues di "Shame on You" e alla malinconia di "The
Trees", per citare alcuni pezzi che possono rendere l'idea delle
molteplici influenze del progetto. I testi hanno approcci diversi e
tematiche anche molto distanti tra loro, dal tema dell' immigrazione
alla "poca voglia di stare zitti di fronte a certe cose",
fino a sentimenti di solitudine - provati nel mezzo di una folla
davanti alla quale qualcuno sorride chiedendosene un po' il motivo e
dunque... anche l'espressione del desiderio di incrociare una mano
tesa. Si parla di ingiustizie, delle logiche del potere e della brama
di denaro, mascherate, anche se non così tanto, ma anche di
risvegli, prese di coscienza, le domande sull'esistenza che ogni
essere umano si fa o potrebbe farsi; si giunge poi a temi pesanti,
quali l'orrore degli abusi sui minori e si torna all'allegria con
pezzi quali appunto "Poppy rock" in cui in sotanza Lisa si
chiede a gran voce "ma perché devi per forza etichettare la mia
musica?". Per quanto riguarda i loro album, i tour in Europa e
in America, le informazioni più classiche, vi rimando alla loro
pagina fb e al loro sito. Ora, l'intento è quello di parlare
con Lisa, il caldo timbro, il centro attorno al quale si crea il
mondo degli Hippie Tendencies.
-
Lisa dolce Lisa... qualche giorno fa ho visto il video di una tua
intervista del 2009 a "Luci della città". Mi ha colpito
moltissimo la tua dolcezza, la gioia che si percecisce nel tuo
sguardo, il modo in cui parli della musica e dei tuoi ricordi legati
ad essa... Parlavi del Colorado, in cui sei nata e nel quale ti sei
avvicinata alla musica grazie alla passione di tuo padre e di tuo
nonno, un batterista jazz... parlavi del suo locale e dell'ambiente
in cui sei cresciuta, con la musica attorno fin da piccolissima...
Una meraviglia insomma. Poi il tuo lungo percorso girando per il
mondo seguendo sempre, costantemente, la musica. Dal Colorado a New
York, dall'Olanda alla Francia fino ai Caraibi e poi l'Italia, che a
quanto pare... ti ha rubato il cuore. A proposito di questo, del
fatto che qui hai deciso di mettere radici... cosa ti ha colpito così
tanto da farti scegliere di fermarti proprio qui, dopo tutti i posti
meravigliosi in cui avevi vissuto?
Io
amo l'Italia profondamente. Ho cantato in ogni regione, tranne la
Sardegna e ho sempre trovato in ogni luogo qualcosa di grande valore.
Adoro la realtà per la quale a pochi chilometri da un posto
all'altro si possono trovare dialetti diversi e piatti tipici
differenti, una cultura unica per ogni luogo. Come in ogni luogo in
cui ho vissuto ci sono paradossi. Ci sono cose bellissime, l'antica
cultura italiana, l'arte, il cibo, il vino, la bellezza dei paesaggi.
Comunque... in ogni posto c'è del bello e del brutto. Tuttavia mi
sento a casa qui, c'è un vasto mare di talento artistico in questo
Paese e... questo talento, unito a tutte le altre sfaccettature, mi
piacciono un sacco e tutto combina per me come un' ispirazione
giornaliera, quoditiana. E poi... io sono innamorata di un italiano e
i musicisti che formano la mia band sono italiani; siamo diventati
davvero una famiglia. Per il momento continuo ad essere ispirata e
produttiva musicalmente stando, poi ... se questo dovesse cambiare mi
sposterò di nuovo!
-
Hippie Tendencies. Il primo album è uscito nel 2010 e porta il
vostro nome, il secondo album invece, "Identity", è uscito
nel maggio 2014. Da quando hai iniziato questa esperienza con gli
Hippie Tendencies, avete attraversato generi musicali d'ogni sorta e
tu sei sempre stata l'autrice dei testi. Ho ascoltato pezzi del primo
album e del secondo e c'è veramente "una zuppa" - come la
chiamavi tu nell'intervista sopracitata - di musiche ed emozioni. Una
zuppa delle più buone e sane aggiungo io, è fantastico il tuo
paragone con la zuppa perché relazionato alla vostra musica mi fa
immaginare veramente una zuppa di quelle che già solo a guardarle ti
dicono "mangiami", insomma, è vero, non è come in molti
casi in cui ho sentito dire "il nostro gruppo è pieno di
generi, è pieno di questo o quello" e poi ascoltando a volte ti
dici "ma sono sicuri?". A parte gli scherzi, hai dei
musicisti bravissimi e tu sei come un fiore attorno al quale loro
girano incantati. Questa è l'impressione che ho, nell'ascolto dei
pezzi e sopratutto vedendo i video dei live. Allo stesso tempo,
sembra che tra voi ci sia un feeling incredibile, palpabile e che
tutti voi siate legati da un filo, l'uno per l'altra. Parlaci di come
si sono incrociati i vostri percorsi, di come è iniziato tutto e
soprattutto... quando si parla di musica e delle emozioni che ci da'
è difficile dare una spiegazione, ma ... proviamoci... come "ti
spieghi" tutto questo, come si è creato questo filo, come si è
creata questa "zuppa" di emozioni? Penso sia una delle più
belle sensazioni da poter sentir descrivere, per me che te lo chiedo
e per chi leggerà...
Ho
incontrato il pianista Marco Cremaschini quando sono andata da lui
per migliorare le mie capacità al pianoforte. Ero frustrata, perché
le canzoni che sentivo nella mia testa non riuscivano ad uscivare
delle mie dita. Mi sono seduta al suo pianoforte e cantavo, mentre
suonavo un paio di canzoni... e mi ha detto: “Mi piace il tuo
stile, cerchiamo di mettere insieme una band?”. Così,
all'improvviso, è stata la prima cosa che mi ha detto dopo avermi
ascoltata. Irresistibile! Mi ha detto che il mio stile andava proprio
nella stessa direzione in cui lui e un suo amico bassista si stavano
avventurando. La mia prima impressione su di lui è stata altrettanto
positiva. Ho pensato che fosse divertente, profondo, gentile e
intelligente e sono stata immediatamente attratta dalla sua maestria
incredibile con il piano; mi ha subito colpito quanto fosse delicato
e allo stesso tempo potente. Il giorno dopo ho chiamato il mio amico
Filippo De Paoli (oggi membro dei Plan de Fuga) e gli ho parlato del
progetto, chiedendogli se volesse partecipare. Marco ha chiamato
Massimo Saviola e Cesare Valbusa e insomma... abbiamo riscotrato un
feeling immediato e e abbiamo scritto la nostra prima canzone insieme
("Feel No Pain") nel giro di una settimana. Poi Filippo,
che è un grande frontman, ha deciso di dedicare il suo tempo ai
"Plan de Fuga", un progetto che stava decollando e, quando
lui ha deciso di dedicarsi a questo, abbiamo incontrato Christian
Codenotti . Christian è il sound engineer del primo album (e anche
del secondo) e anche con lui abbiamo subito sentito un grande
feeling, durante la registrazione e il mixaggio dell'album. Si
percepiva il suo amore per il progetto ed è stato davvero naturale,
spontaneo, chiedergli di unirsi a noi. Per quanto riguarda la nostra
chimica... chi... può spiegare questo? Anche se ognuno di noi
proveniene da diversi mondi musicali, in un modo che non so spiegare,
quando scriviamo insieme, tutte le diverse esperienze si fondono
dando vita ad un suono originale ed organico. Abbiamo un grande
rispetto l'uno per gli altri e anche questo, sul palco, nei live, si
vede, si sente…In più, per così dire, siamo tutti "animali
del palco", amiamo il nostro lavoro ed è essenziale per ognuno
di noi comunicare al pubblico la profondità delle nostre emozioni,
l'essenza che abbiamo cercato durante la scrittura e la composizione
di ogni singolo pezzo. L'essere stati in tour insieme in Europa e in
America poi, ha certamente contribuito anche al consolidamento del
nostro sound e della nostra resa sul palco.
-
Parlando del tuo amore per la scrittura... ti piace scrivere anche
testi che non siano canzoni, magari prose, poesie o altro? e... le
tue letture? quali sono i tuoi autori preferiti parlando di
letteratura e/o poesia?
Io
sono affascinata dalle parole e dalla forza insita in loro. Sì, io
scrivo anche poesie e spoken word. Se ne può trovare alcuni esempi
sul sito internet "AllPoetry"
con
lo pseudonimo "Limarie". Una mia poesia, "Hair" è
stata pubblicata in Sud Africa in una raccolta di poesie chiamata
"The Long and the Short of it".
L'elenco
dei poeti - e ci tengo a precisare che per me molti cantautori sono
poeti - e scrittori che ammiro è infinito. Alcune delle mie prime
influenze sono state Alice Walker, Maya Angelou, Toni Morrison, C.S.
Lewis, Tom Robbins, Tom Wolfe, Isabel Allende, Ani Di Franco, Bob
Dylan, Joni Mitchell, James Taylor, Gabriel Garcia Marquez, Angela
Davis, Nina Simone, Paul Simon, Stevie Nicks, David Bowie, Gil
Scott-Heron, Walt Whitman, Richard Wright, F. Scott Fitzgerald, James
Baldwin, James Joyce, Flann O’Brien, Emile Zola, etc. etc. etc.
Parlando invece di autori contemporanei direi Dave Mathews, Karen Joy
Fowler, Donna Tartt, Anthony Doerr, Zadie Smith, Jonathan Franzen,
Jeffrey Eugenides, Dave Eggers, Leonard Cohen, Jonathan Safran Foer e
molti molti altri!
-
Il cd che hai inciso da piccola, quello che ti ha fatto dire "questo
è ciò che voglio fare". Raccontaci qualcosa di questo, in
sostanza è stato il momento decisivo, quello che ti ha tolto ogni
possibile dubbio no? un passaggio fondamentale per te... L'album su
cui ho cantato da piccola era un coro di bambini di cui facevo parte
e per me è stato un onore poter avere un assolo tutto mio in quel
contesto e.. si, quel momento, così come la mia prima volta sul
palco, di certo è stato un momento cruciale. E' stato allora che ho
scoperto quanto per me fosse naturale il dediderio di comunicare il
messaggio delle canzoni al pubblico. Il rapporto, lo scambio
incredibile che si crea tra il performer e il pubblico mi ha
incantato. Anche se per un po' sono stata indecisa tra recitazione e
canto, dentro di me sapevo che in ogni caso avrei lavorato con le
parole, amavo stare sul palco e adoravo il potere curativo della
musica.
A
casa mio padre ascoltava molto jazz e mia madre ascoltava musica folk
americana, così le influenze sono state varie. Mia madre ci leggeva
libri e passavo la maggior parte delle serate così, con
l'infiammarsi dell'immaginazione, amando sempre più le parole e
spesso, tutti riuniti cantavamo i pezzi gli album dei miei genitori,
imparando e analizzando ogni parola dei testi.
-
Ora siete in tour con il nuovo album... le ultime novità riportano
un live il 5 Marzo in Austria, il 13 Marzo a Verona, poi di nuovo
all'estero il 09 e il 10 maggio a Chicago e così via... (tutte le
date e i dettagli sul sito - ndr). Siete delle trottole insomma, cosa
ti piace di più dei vostri viaggi, al di la' del live che andate a
fare, parlo proprio del viaggio in se, tu e i tuoi musicisti verso
mete sempre così diverse l'una dall'altra.
Beh,
una volta mentre eravamo in partenza per un tour in Italia e in
Francia, Marco ha detto: “Eccoci qui! andiamo verso un'altra
avventura!” Questo è esattamente lo spirito dei nostri viaggi,
sono una meravigliosa avventura senza fine. Non si sa mai cosa
troveremo, anche parlando del pubblico; ogni pubblico è diverso e
rende ogni concerto differente, tenendolo il live sempre fresco ed
emozionante.
Visto
che siamo, come ho detto, un po 'come una famiglia, passare del tempo
sulla strada insieme assomiglia proprio a ciò che succede in una
famiglia appunto; ci facciamo un sacco di scherzi, litighiamo e poi
facciamo la pace, ci godiamo il paesaggio che attraversiamo, il cibo,
la gente. Amo scrivere mentre siamo in viaggio, alcuni dei nostri
pezzi sono nati proprio in questo modo. "Woke Ui" è stato
scritto, in sostanza, a partire da un'idea di Massimo che abbiamo
sviluppato dopo un concerto a Firenze seduti ai bordi del palco del
teatro vuoto.. Assolutamente, il fuoco della nuova idea, molto spesso
è alimentato da un' esperienza avuta on the road.
-
Avete avuto grandi, eccellenti soddisfazioni, questo è certo ma...
visto che sappiamo qual è... cosa pensi della situazione
discografica italiana?
In
generale vivere di musica è straordinariamente difficile e richiede
una quantità enorme di energia e convinzione. Il business della
musica è cambiato in tutto il mondo, con l'avanzamento della
tecnologia e di internet, sotto certi aspetti in modo positivo e
sotto altri punti di vista in modo molto meno costruttivo. Ci sono
molto più musicisti rispetto a un tempo e in Italia, come in altri
paesi, c'è un monopolio su ciò che le stazioni radiofoniche
scelgono di trasmettere. Il pubblico è sottovalutato e molte Major
credono che le persone richiedano poca sostanza; quello che arriva
alle masse non si avvicina minimamente a rappresentare il vasto
numero di belle canzoni e bravi musicisti che ci sono in Italia e nel
mondo di oggi. Noi abbiamo la fortuna di essere con l'etichetta indie
Alfa Music, che ci rispetta e promuove la nostra musica senza cercare
di etichettarci in nessun modo.
-
Un ultima domanda, pura curiosità... stai già scrivendo altri
pezzi? e "Identity", dal tuo punto di vista, cosa pensi
abbia in comune con il primo album "Hippie Tendencies" e
cosa invece pensi ci sia di particolarmente diverso... Ma certo!
Scrivo sempre! Mentre stavamo scrivendo e registrando "Identity”
ho scritto anche un altro album via skype con i miei amici Lisa Bell
e Bob Story, intitolato
"The
ItalianProject".
I ragazzi della band hanno partecipato anche a quel progetto e Lisa
Bell tornerà in Italia questa estate e presentiamo alcuni di questi
brani insieme a noi. Ho anche un progetto parallelo con mio fratello,
un grande cantante... e non lo dico solo da sorella orgogliosa, è la
verità! Mio fratello si chiama Miles Simmons e il progetto è "The
Downbeat
Trio".
Sto scrivendo canzoni per questo progetto, così come scrivo e
collaboro anche con il suo altro progetto, la " Miles
Simmons
e The Granny Says Band", con favolosi musicisti Simone Boffa,
Henry Sauda, Arcangelo “Arki” Buelli, e Giorgio Marcelli
E
poi ancora, Marco ed io abbiamo un altro progetto del quale siamo
molto entusiasti; è di un genere completamente diverso risetto agli
"Hippie Tendencies". Si incentra su "spoken word"
con musica. Poi scrivo per altri cantanti e naturalmente sto
scrivendo anche nuovi pezzi per gli HT. Seguendoci su Facebook o
tenendo d'occhio il nostro sito, si può sapere naturalmente,
riguardo a tutti i progetti in corso e al loro sviluppo.
Per
quanto riguarda le differenze e i punti in comune tra i due album...
direi che “Identity” riflette la nostra crescita come musicisti e
come band ed è forse più sofisticato in qualche modo rispetto al
primo album. Il punto in comune più evidente invece, riguarda
certamente le tematiche, quello che vorremmo trasmettere e il nostro
approccio rispetto a questioni delicate. Poi beh... naturalmente
lascio al pubblico il giudizio finale!
Grazie
Lisa per averci presentato il tuo mondo e i migliori auguri per
tutto!
giovedì 19 febbraio 2015
La meravigliosa arrabbiatura di Dante ne "Il Convivio" e il suo amore per la lingua italiana
Introduzione
dovuta, per coloro che non sapessero - o non ricordassero - di quale
opera si sta parlando. "Il Convivio" è un'opera scritta da
Dante agli inizi del suo esilio, intorno al 1304-1308, ed è un'opera
mista di versi e prosa. Il titolo, "Il Convivio" significa
letteralmente "il banchetto" poiché Dante intendeva
trasmettere ai lettori la sua sapienza attraverso canzoni (nel loro
significato etimologico) e commenti in prosa, nella sua immagine,
rispettivamente, "vivande" e "pane". Già questo
è spettacolare. E' un'opera incompiuta, inizialmente Dante aveva in
progetto di scrivere quindici trattati in prosa volgare, uno
introduttivo, altri quattordici trattati di commento e altrettante
canzoni dottrinali, composte anche negli anni precedenti all'inizio
di quest'opera. Lo ha lasciato però al IV, si pensa per dedicarsi
alla Divina Commedia. Le argomentazioni sono filosofico-dottrinali,
anche perché con quest'opera Dante avrebbe voluto dimostrare la sua
maestria letteraria e la sua sapienza, creando una grande opera
enciclopedica, per riscattare la sua condizione di esule. Al tempo
stesso, sceglie l'utilizzo del volgare, per essere più vicino alla
gente, perché lo ama e perché è talmente grande che nel I trattato
dice di essere solo "ai piedi dei veri sapienti", dunque di
essere un raccoglitore delle briciole di questi grandi e di avere
l'intento di condividere le proprie stesse scoperte. La meraviglia
assoluta. Il problema di molti giovani con Dante, ho sempre pensato,
è che gli viene proposto a scuola in modo tanto didattico ma poco
emozionale e dunque a scuola si studia che ha fatto le tali opere,
nei tali periodi, se si hanno buoni libri di testo c'è un accenno al
significato più profondo, ma solo se si è molto fortunati si
trovano insegnanti che sanno trasmettere (così come per tutta la
letteratura in realtà) il vero senso e la vera grandezza di questo
poeta. Non è nemmeno detto che sia "colpa" degli
insegnanti (molti sono bravi, non sto dicendo questo), ma
piuttosto... è colpa dell'abitudine, del modo in cui è sempre stato
presentato, del dato di fatto che anche gli insegnanti più
bravi, spesso si ritrovano a usare più "il metodo" che
l'anima. Questo però è un altro discorso, torniamo all'opera. "Il
Convivio". Qui vi ripropongo l'undicesimo capitolo del primo
libro, con vari commenti esplicativi tra parentesi. Tenete sempre
presente, mentre leggete, che colui scrive, Dante, ha scritto queste
cose nel '300 (sembra scontato dirlo ma non lo è!) e provate a
pensare e a sentire... quanto tutto ciò che scrive sia vicino a noi,
pensate a quanto lui vedesse oltre il tempo, oltre lo spazio, oltre
tutto. Si parla proprio del volgare, il nostro volgare, la lingua
italiana... e la protesta, la meravigliosa arrabbiatura che Dante
esprime, verso coloro che non la sanno apprezzare. Mi ricorda
qualcosa di attuale... a voi no?!?
"A
perpetuale infamia e depressione de li malvagi uomini d'Italia, che
commendano lo volgare altrui (apprezzano, raccomandano) e lo
loro proprio dispregiano (dunque disprezzano), dico che la loro mossa
viene da cinque abominevoli cagioni (ragioni). La prima è la
cechitade di discrezione (l'incapacità di valutazione e di poter
dunque fare scelte corrette); la seconda, maliziata escusazione
(semplicemente, presuntuose scuse); la terza, cupidità di vanagloria
(desiderio di vuota gloria); la quarta, argomento d'invidia; la
quinta e ultima, viltà d'animo, cioè pusillanimità (pusillanime è
colui che è piccolo d'animo, che ha poco coraggio e poca volontà).
Sarà
bene se ci limitiamo alle ultime tre "abominevoli cagioni".
La
terza setta contra nostro volgare si fa per cupiditate di vanagloria.
Sono molti che per ritrarre (esporre) cose poste in altrui lingua e
commendare quella, credono essere più ammirati che ritraendo quelle
de la sua. E sanza dubbio non è sanza loda d'ingegno apprendere bene
la lingua strana (straniera); ma biasimevole (incromprensibile) è
commendare quella oltre a la verità, per farsi glorioso di tale
acquisto.
La
quarta si fa da uno argomento di invidia. Sì come è detto di sopra,
la invidia è sempre dove è alcuna paritade (emulazione). Intra li
uomini di una lingua è la paritade del volgare; e perché l'uno
quella non sa usare come l'altro, nasce invidia. Lo invidioso poi
argomenta, non biasimando (capisce, in questo caso ne comprende
l'amareggiamento) colui che dice di non saper dire (dunque che non
conosce la lingua straniera), ma biasima (dunque non capisce) quello
che è materia della sua opera (non capisce l'importanza e la
bellezza dell'italiano), per tòrre (togliere), dispregiando l'opera
da quella parte, a lui che dice (l'autore oggetto d'invidia e che
utilizza ed apprezza la propria lingua) onore e fama; sì come colui
che biasimasse lo ferro d'una spada, non per biasimo da dare al
ferro, ma a tutta l'opera del maestro.
La
quinta e ultima setta si muove da viltà d'animo. Sempre lo magnanimo
si magnifica in suo cuore (si stima, intimamente), e così lo
pusillanimo, per contrario, sempre si tiene meno che non è (si
sminuisce, in modo eccessivo). E perché magnificare e parvicare
(sminuire) sempre hanno rispetto (si riferiscono) ad alcuna cosa (a
qualcosa), per comparazione a la quale (rispetto alla quale) si fa lo
magnanimo grande e lo pusillanimo piccolo, avviene che 'l magnanimo
sempre fa minori lì altri che non sono, e lo pusillanimo sempre
maggiori. E però che (siccome) con quella misura che l'uomo misura
sè medesimo, misura le sue cose, che sono quasi parte di sé
medesimo, avviene che il magnanimo le sue cose sempre appaiono
migliori che non sono, e l'altrui men buone: lo pusillanimo sempre
crede le sue cose valere poco, e l'altrui assai. Onde molti (per
questo molti) per questa viltade dispregiano lo proprio volgare, e
l'altrui pregiano: e tutti questi cotali sono li abominevoli cattivi
d'Italia (abbietti, spregievoli) che hanno a vile questo prezioso
volgare, lo quale, s'è vile in alcuna (in qualcosa), non è se non
in quanto elli suona ne la bocca meretrice di questi adulteri (nella
bocca puttana di questi traditori)".
giovedì 12 febbraio 2015
Eternità
Le
Tempeste degli Scrittori,
I
Sussulti dei Poeti,La sorprendente Crescita del Cielo,
I Colori dei Musicisti,
L'alta Luce dell'Amore,
Il Tatto della Terra,
Il Puro Significato di Ogni Istante.
Questo è ciò che importa. Qui. Ora.
(born in English, with Italian title)
The Writers' Storms,
The Poet's Jolts,
The Sky's startling Growth,
The Musicians' Colors,
The lofty Light of Love,
The Touch of Earth.
The Pure Meaning of Each Moment.
This is what matters. Here. Now.
sabato 7 febbraio 2015
La meravigliosa storia di ... "Riturnella"
"Riturnella".
Alcuni traducono questo termine calabrese accostandolo come sinonimo
a "rìnnina" e traducendole con "rondine" o
"rondinella". Facendo ricerche però, si scopre che colui
che ha riportato alla luce questo brano popopolare calabrese, negli
anni '70, vale a dire il prof. Antonello Ricci, ritiene che il
termine "Riturnella" sia intraducibile in quanto "inserto
nonsense". "Rìnnina" però, significa comunque
"rondine" e nel testo è il termine "rìnnina"
a farla da padrone. Ci sono molte traduzioni e versioni di questa
lirica, anche se si ritiene che la più fedele sia quella appresa dal
professor Ricci da Mariangela Pirito, una "ancient"
signora. Non è un caso che io riporti il termine in inglese, in
italiano sarebbe più sensato dire "vecchietta" o "vecchia
signora" perché dietro a questo termine, come in inglese o in
francese, c'è "la storia"; si dice "i nostri vecchi
del paese" quando si parla di storie, di ricordi... "se
vuoi saperlo, devi chiederlo ai vecchietti in paese!", "i
nostri vecchi, loro si che sanno". Invece è luogo comune
pensare che il termine "vecchio" sia un'offesa. In realtà
non lo è, non che io sappia. L'etimologia del termine "vecchio"
è una rivelazione in se. "Vecchio" o "Veglio"
significa non solo "che ha molti anni". Qualche ricerca su
internet rivela: "Dicesi degli esseri organizzati, che dal
nascere al morire corrono più stadi o gradi di vita". Dunque la
storia, l'esperienza, i ricordi, le cose che "solo se sei
vecchio puoi sapere" e "solo se te le tramanda un vecchio"
sopravvivono. Il termine "anziano" invece è certo
indicazione di una persona con maggiore esperienza, maggior dignità
e autorità rispetto ad altre, sempre pensando all'etimologia della
parola, ma la radice "ante" ovvero "avanti" unito
a "anus", in latino "vecchio", mi pare si
concentri più sull'avanzare del vecchio, più che sulla sua storia,
dell'avanzare del passo lento o del suo avanzare e basta. Tutto
opinabile, anche perché non sono etimologa, non ho studiato latino e
questa mia sensazione viene dall'insegnamento di qualcuno che me lo
fece notare. Resta il fatto che il termine "vecchio", al di
la' degli insegnamenti ricevuti, mi sembra avere più sapore e
colore. Perché allora non ho subito usato il termine "vecchia",
"vecchietta" ed ho introdotto il termine in inglese?
perché "ancient" in inglese non è solo indicativo di una
persona avanti negli anni, vecchia, anziana o quello che preferite;
il termine "ancient" si usa anche quando si parla di rarità
storiche, di cose preziose, di storie narrate, della storia di un
individuo così come della storia in se. Tutto questo discorso,
partito dalle mie dita senza alcun filtro, ha allungato di molto quel
che doveva essere inizialmente la mia idea di introduzione a
"Riturnella". Il fatto è che tutto ha un senso e se le mie
dita sono partite "senza filtro" c'è un motivo.
"Riturnella", torniamo a lei, anche se ancora di lei
stavamo parlando in realtà. Lei. L'ho chiamata "Lei". Mi
accorgo pochi secondi dopo averlo scritto, di aver scritto quello che
ho scritto (scusate il gioco di parole, ma notare i dettagli è
istintivo per me). "Riturnella" è un canto popolare
calabrese e risale al periodo del primo dopoguerra, dunque agli inizi
del '900, in cui milioni di italiani andavano in cerca di lavoro,
perlopiù in america, per avere qualche speranza in più, perché in
Italia tutto era stato distrutto, mentre in america c'era molta
richiesta di manodopera... "Riturnella" è la storia
dell'inimicizia tra "lavoro" ed "amore" diffusa
in quei tempi, poiché il lavoro portava lontano dagli affetti... dai
genitori, dai figli, dal proprio compagno o compagna di vita. E' una
storia d'amore, è la storia di una donna e del suo amore lontanto, è
la storia della sua premura, della "rìnnina", simbolo di
tristezza e speranza insieme. Il tutto, in parole e musica. Vi
propongo sotto il testo in dialetto per intero e una traduzione
(volutamente un po' scremata delle ripetizioni tipiche del dialetto e
non suddivisa nella forma originale, un po' parafrasata in sostanza,
ma solo per mettere ulteriormente l'accento sulla storia).
Ovviamente... ve ne consiglio vivamente l'ascolto. E' stato Eugenio
Bennato a renderla nota ai più, con il suo "Musicanova"
pubblicato nel 1978 ed è sua la versione che troverete nel video,
con un testo leggermente differente da quello considerato come
originale, per la diversa scelta di alcuni termini dialettali.
Volendo, se vi interessa approfondire la lirica in se, la
composizione del testo, potrete trovare informazioni interessanti
facendo altre ricerche. Questo mio articoletto però, vorrebbe
concentrarsi di più su tutto ciò che questo brano può significare,
su tutta la storia che c'è dietro e su cosa possa significare anche
per noi oggi.
Tu, rondine che vai
Per mari e mari
Oh rondinella
Tu, rondine che vai
per mari e mari...
Ferma, quando ti dico
due parole, o rondinella,
ferma, quando ti dico due parole.
Corri a gettare il sospiro a mare
e guarda se mi risponde.
Guarda se mi risponde il bene mio...
Non mi risponde, no,
è troppo lontano,
oh rondinella, non mi risponde...
è troppo lontano.
E' sotto una frescura
che sta dormendo, o rondinella,
poi si risveglia con
il pianto agli occhi...
Si asciuga gli occhi
e gli passa il pianto, o rondinella.
Si asciuga gli occhi... e gli passa il pianto.
Prendigli il fazzoletto,
vado a lavarlo, o rondinella,
poi lo stendo a una pianta di rosa
e poi lo mando a Na,
lo mando a Napoli a stirare, o rondinella.
Poi te lo piego alla napoletana,
te lo piego alla napoletana, o rondinella.
E poi te lo mando col vento a portare
o rondinella, te lo mando a portare col vento.
Vai vento e portaglielo...
Vai vento e portalo al mio bene.
Attenta che non ti cada,
attenta che non ti cada
sopra il mare o rondinella,
che perdi i sigilli di questo cuore,
o rondinella...
che perdi i sigilli... di questo cuore.
Il testo originale:
Tu rìnnina chi vai
Tu rìnnina chi vai
Lu maru maru
Oi riturnella
Tu rìnnina chi vai lu maru maru
Ferma quannu ti dicu
Ferma quannu ti dicu
Dui paroli
Oi riturnella
Ferma quannu ti dicu dui paroli
Corri a jettari lu
Corri a jettari lu
Suspiru a mari
Oi riturnella
Corri a jettari lu suspiru a mari
Pe’ vìdiri se mi rišpunna
Pe’ vìdiri se mi rišpunna
Lu mio beni
Oi riturnella
Pe’ vìdiri se mi rišpunna lu mio beni
Non mi rišpunna, annò
Non mi rišpunna, annò
È troppu luntanu,
Oi riturnella
Non mi rišpunna, annò, è troppu luntanu
È sutt’ a na frišcura
È sutt’a na frišcura
Chi sta durmennu
Oi riturnella
È sutt’a na frišcura chi sta durmennu
Poi si rivigghja cu
Poi si rivigghja cu
lu chjantu all’occhi
Oi riturnella
Poi si rivigghja cu lu chjantu all’occhi
Si stuja l’occhi e li
Si stuja l’occhi e li
Passa lu chjantu
Oi riturnella
Si stuja l’occhi e li passa lu chjantu
Piglia lu muccaturu
Piglia lu muccaturu
Lu vaju a llavu
Oi riturnella
Piglia lu muccaturu, lu vaju a llavu
Poi ti lu špannu a nu
Poi ti lu špannu a nu
Peru de rosa
Oi riturnella
Poi ti lu špannu a nu peru de rosa
Poi ti lu mannu a Na
Poi ti lu mannu a Na
puli a stirare
Oi riturnella
Poi ti lu mannu a Napuli a stirare
Poi ti lu cogliu a la
Poi ti lu cogliu a la
Napulitana
Oi riturnella
Poi ti lu cogliu a la napulitana
Poi ti lu mannu cu
Poi ti lu mannu cu
Ventu a purtari
Oi riturnella
Poi ti lu mannu cu ventu a purtari
Ventu và portacellu
Ventu và portacellu
A lu mio beni
Oi riturnella
Ventu và portacellu a lu mio beni
Mera pe’ nun ti cara
Mera pe’ nun ti cara
Pe’ supra mari
Oi riturnella
Mera che nun ti cara pe’ supra mari
Ca perda li sigilli
Ca perda li sigilli
De chistu cori
Oi riturnella
Ca perda li sigilli de chistu cori.
La versione di Eugenio Bennato (1978):
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