Walt Disney |
Chi
di noi non ha amato i classici Disney? Chi di noi non si è
appassionato, da bambino – e non solo! - almeno a un film animato?
Chi di noi non rimane affascinato, quando si trova a vedere, magari
un po' per caso, sul web o in tv, un filmato che illustri le techiche
di disegno usate in tempi lontani per creare animazioni fantastiche,
così come le techiche odierne, così avanzate e attente al
dettaglio? La "quarta parte" di questo susseguirsi di
articoli, si concentra proprio sulla nascita del disegno animato. Già
intorno agli anni dieci, parallelamente alla produzione comica, i
"cartoons", in America, hanno cominciato a farsi notare,
anche se le sue primissime origini sono da ricercare addirittura a
prima dei fratelli Lumière. La maggior parte di essi, nel muto prima
e nel sonoro poi, hanno preso ispirazione dai fumetti, che avevano
interessato già da tempo generazioni intere di lettori.
Assomigliavano molto, in effetti, ai loro "padri" cartecei.
Raccontavano dello stesso tipo di situazioni comiche, avventurose o
grottesche e presero sempre più piede nel decennio successivo,
quando la produzione comica risultava essere troppo vuota di
contenuti. Come in diversi ambiti del cinema però, anche il cinema
animato entrò in crisi per almeno un decennio, nel momento in cui i
produttori tentarono di passare ai lungometraggi, perché
sostanzialmente non si trattava di grandi produzioni. Furono gli anni
Trenta a dare vera vita al mondo animato. Se inizialmente si trattava
solo di illustrazioni umoristiche in movimento, con l'arrivo di Walt
Disney vi fu una vera e propria svolta, nelle tecniche e nei
contenuti. Il cartone animato iniziò a raccontare storie più serie,
più emozionanti rispetto alle prime produzioni e vi furono poi
autori che al tempo stesso cominciarono a considerare il disegno
animato un'arte sperimentale, da utilizzare anche per la satira o a
scopo pedagogico. Nacquero miriadi di personaggi tuttora conosciuti:
dallo storico Popeye, nato dalle "daily strips" e portato
all'animazione, sino a Betty Boop (1931-1939), creata appositamente
per il cinema. Disney, Warner Bros e Metro-Goldwyn-Mayer furono le
prime grandi case di produzione nel campo dell'animazione. La Warner
Bros lanciò personaggi quali Duffy Duck, Wile E. Coyote e Bugs Bunny
e la casa di produzione
Metro-Goldwyn-Mayer/ Hanna e Barbera
presentò invece gli intramontabili "Tom e Jerry", "I
Flintstones" e "Lo scoiattolo Picchiatello". E' Walt
Disney, in ogni caso, ad essere considerato il vero padre del film
d'animazione. Egli detiene tuttora un incredibile primato: le sue
produzioni vennero candidate all'Oscar ben cinquantanove volte e di
queste, ventidue furono le statuette ricevute, senza contare ben
quattro Oscar alla carriera e un David di Donatello vinto nel 1956
per "Lilly e il Vagabondo". Walt Disney ebbe una visione
nuova e fondamentale fu anche la sua collaborazione con l'eccellente
disegnatore ed amico di una vita Ub Iwerks, interrotta solo per sei
anni, quando dopo alcuni dissapori Iwerks fondò una propria casa di
produzione che però, senza il genio creativo ed imprenditoriale di
Walt, non ebbe successo. I due tornarono ben presto a lavorare
insieme risolvendo i propri personali screzi e il binomio tra i due
fu essenziale nella storia dell'animazione. Walt Disney sviluppò,
tra le altre cose, un rapporto tra immagini e musica che mai nessuno
aveva usato prima e creò effetti speciali assolutamente innovativi e
decisivi. Al tempo, nonostante disegnatori e registi, facessero un
lavoro enorme per portare al pubblico i loro film d'animazione, erano
più i personaggi a rimanere nella memoria, oscurando un po' le
fatiche di chi li aveva creati con grandi sacrifici. Persino Walt
Disney ebbe delle difficoltà in questo. Gli fu rubato il personaggio
di "Lucky Rabbit" e fu proprio quell'episodio a spingerlo
ad aprire degli studi di produzione che portavano ben in evidenza il
suo nome. I diritti poi, per il magico Rabbit, furono riconquistati
dalla Disney solo nel 2006. Dietro al lavoro di quest'uomo vi furono
non anche dei sacrifici naturalmente.. Ad esempio, quando la Warner
Bros lanciò il primo film animato sonoro, Walt Disney, capendo di
dover dare una svolta alle proprie produzioni, arrivò a vendersi
l'automobile pur di raccogliere il denaro necessario per realizzare
il primo film in sonoro di Topolino (un personaggio che poi, come
sappiamo, diede il via ad altri meravigliosi soggetti, quali Minnie,
Paperino ec ecc). Oggi ci sono film d'animazione a dir poco
meravigliosi e tante volte ci pare quasi che i personaggi e le loro
emozioni siano reali. Il film animato è diventato un mezzo per
lanciare messaggi sociali, ma anche un modo per ricordare agli adulti
cosa significa essere bambini o per sottolineare con dolcezza valori
di pace ed amicizia che nel nostro tempo l'umanità fatica a portare
con se. La fantasia, l'immaginazione, sono tra le cose più preziose
che abbiamo e di certo, nel film animato, sono un ingrediente
essenziale; ma torniamo più indietro, molto più indietro. Si
perché, se fino ad ora vi ho raccontato di cose che più o meno
tutti sappiamo, forse la maggior parte di noi – io compresa, prima
di fare ricerche – non sa che i primordi del disegno animato
risalgono addirittura al 1675. Si, avete letto bene! Il lontano 1675
è infatti l'anno in cui il gesuita e filosofo tedesco
Athanasius Kircher inventò la
"lanterna magica", il primo esempio di proitettore di
immagini fisse. Grazie a questo strumento era possibile proitettare
su vetri trasparenti disegni ingranditi e dipinti, utilizzando come
fonte luminosa lanterne o candele. La "lanterna magica"
conquistò tanto le persone da diffondersi in tutto il mondo e fu il
primissimo passo verso l'invenzione di numerosissimi strumenti che
portarono poi alla nascita ufficiale del disegno animato, nel 1892,
con il "teatro ottico" di Émile Reynaud. L'ingegnoso
strumento di quest'ultimo aveva il nome di "prassinoscopio"
(1877) ed era costituito da un prisma di specchi, posizionati al suo
interno in diverse angolazioni che permettevano una visione più
chiara delle immagini riflesse. Prima di quest'invenzione invece, uno
strumento d'animazione diffuso era il "cineografo" (1868),
un piccolo libro illustrato in ogni sua pagina che sfogliato molto
velocemente dava vita a piccole storie animate. Impossibile non
citarlo, visto che molti di noi da bambini hanno provato a crearne
uno! Passando per sperimentazioni e continue invenzioni (arrivando
anche alla decisiva invenzione dei fratelli Lumière), si giunse alla
creazione del primo cartone animato moderno nel 1908, con Emile Cohl.
Egli creò infatti il primo vero e proprio personaggio, un piccolo
clown di nome Fantôche sul quale Cohl lavorò per tre lunghi mesi
per un prodotto finale di un paio di minuti. Per comprendere il
perché di un periodo di lavorazione così lungo, basta pensare al
fatto che quei due minuti d'animazione erano frutto di ben settecento
disegni. Settecento. Avete presente quanti sono settecento disegni?
Il problema di Cohl fu che non depositò mai un brevetto per le sue
invenzioni e questo lo portò ad essere superato dagli americani che
presero spunto dalle sue tecniche durante il suo soggiorno in terra
statunitense. Nonostante avesse prodotto durante la sua carriera ben
trecento film, morì in miseria e senza riconoscimenti e solo in
tempi più recenti è stato ricordato e riconosciuto per il suo
grande lavoro. Molti registi europei, oltre a Chol, viaggiarono
oltreoceano e fu proprio questo, come accennato in parte prima, a
dare il via anche in America a questo genere cinematografico. Prima
di Walt Disney, nonostante come già detto gli anni Venti non si
distinguano per giganteschi passi avanti perlomeno per quanto
riguarda la parte tecnica, vi furono tre persone, in particolare, a
risultare storicamente importanti per lo sviluppo di quest'arte: Pat
Sallivan, creatore della serie "Felix the Cat" (1919) e i
fratelli Max e Dave Fleisher inventori di "Popeye the sailor"
e "Betty Boop", ma anche di "KoKo", un clown
protagonista di diverse avventure. Pat Sallivan ebbe una vita molto
travagliata; ebbe infatti una contesa per l'attribuzione della
creazione di Felix, passò nove mesi in carcere e morì a soli
quarantasei anni per alcoolismo e polmonite. La contesa fu mossa da
Otto Messmer, che rivendicava la paternità di Felix. Ci fu un
ricorso e alcuni sostengono che anche al giorno d'oggi non sia
possibile sapere quale sia la verità, anche se in realtà, come
sottolineato da molti, nel 1917 Sallivan aveva già creato un
prototipo di Felix con un film intitolato "The Tail of Thomas
Cat" e la grafia in "Feline Folies" nel quale Felix fu
inserito, era la sua. Arrivato dall'Australia, il giovane Sallivan
iniziò lavorando come assistente ad un altro animatore e dopo aver
fatto un po' di esperienza, creando anche un paio di strisce a
fumetti, decise nel 1916 di aprire un proprio studio e creò un
cartone animato chiamato "Sammy Jhonsin" al quale aveva
iniziato a lavorare anni prima. Il suo vero e proprio boom però
arrivò proprio con Felix, il famoso gattino nero alle prese con
avventure giornaliere. Il progetto ebbe un successo fenomenale, sia
per la storia creata da Sallivan che per le tecniche utilizzate e
così il famigerato gatto divenne una vera e propria star del cinema
muto, tanto da arrivare anche in Italia con il "Corriere dei
Piccoli", che pubblicava le sue storie ribattezzandolo Mio Mao.
Così come lo aveva creato però, Sallivan lo distrusse. Alla fine
degli anni Venti, con un successo sempre più in crescere di Mickey
Mouse, egli si rifiutò di aggiungere il sonoro alla serie e la
interruppe. Negli anni Trenta, volendo rilanciare il personaggio,
annunciò che avrebbe convertito il suo Felix al sonoro, ma oramai
era evidentemente troppo tardi e per il pubblico il divertente
gattino era già un ricordo. Max Fleisher, a differenza di Sallivan,
ebbe una vita più tranquilla. Nel 1914 inventò con il fratello Dave
la tecnica del "rotoscopio", brevettata l'anno successivo,
che permetteva una resa decisamente migliore nel movimento delle
immagini e garantiva un aspetto dei personaggi nettamente superiore.
Con il rotoscopio le immagini del cartone animato venivano prima di
tutto fotografate; in seguito, le stesse venivano proiettate su un
pannello trasparente ed ogni fotogramma era poi ricalcato con lo
stile del fumetto ma in modo molto più realistico. Questa tecnica
permise loro di dare vita a molti personaggi di successo e in
particolare, come già detto, agli ancora amatissimi Betty Boop e
Braccio di Ferro (1930/1933). Oltre a questi due noti personaggi
però, la tecnica venne utilizzata con grande successo nella serie
"Out of the Inkwell" (1918-1929), nella quale venne
adottata una "tecnica mista" per la quale attori reali e
cartoni animati potevano "recitare" insieme e così fu
anche per la splendida invenzione del clown Koko. E'
interessante,
tra l'altro, il modo in cui Koko il clown fu ideato. Il prototipo
usato per realizzarlo infatti, fu proprio il fratello di Max, Dave,
che venne fotografato da lui vestito da clown proprio per
sperimentare sulla sua nuova invenzione. Koko, che nel tempo fu
modificato ed evoluto e cambiò anche diversi nomi, prendeva spesso
vita nel cartone uscendo da un calamaio ed interagendo poi con
oggetti, animali ed anche con il suo stesso disegnatore. Con il
capolavoro di Betty Boop, Fleisher introdusse anche Braccio di Ferro,
che fece la sua prima apparizione proprio in un episodio della bella
e seducente ragazza jazz. Purtroppo, la serie di Betty Boop, anche se
molto amata, dovette essere interrotta dopo nove anni a causa di
diverse proteste. Il personaggio, seducente ed ironico, non piaceva a
tutti perché "troppo succinto" secondo alcuni. Betty
ricordava tra l'altro una cantante molto popolare in quegli anni,
soprattuto per la sua voce da bambina e la cantante, Helen Kane, fece
causa a Fleisher per aver utilizzato senza permesso la sua
personalità nel personaggio creato, anche se poi in realtà perse la
causa. Quando però, nel 1934, vi furono ampie proteste da parte del
pubblico conservatore, Betty Boop venne rilegata in abiti diversi,
venne vestita molto di più e portata ad occuparsi di faccende di
casa e simili. Il che ovviamente le tolse tutto lo charme che l'aveva
portata al successo e la serie fu per l'appunto interrotta, nel 1939.
A livello commerciale, Fleisher continuò ad avere grande successo e
guadagno per i diritti riguardanti le animazioni di Braccio di Ferro
che addirittura divenne il più diretto concorrente di Mickey Mouse.
E' importantissimo sottolineare però chi fu il padre originale di
Braccio di Ferro. Fleisher lo portò all'animazione, ma il suo
disegnatore originale, fumettista, fu Elzie
Crisler Segar. Se non fosse uscito dalla sua matita, è ovvio che non
sarebbe esistito nemmeno il cartone animato, così come per tutti i
disegnatori, padri reali di molti dei personaggi che abbiamo amato.
Proseguendo nella sua carriera, Fleicher si cimentò nell'animazione
di altri personaggi già esistenti, tra i quali anche Superman e
nonostante i costi fossero stati molto alti, egli riuscì ad
ottenere grandi soddisfazioni anche da questo lavoro. La crisi per
Fleisher giunse con alcune scelte sbagliate, tra le quali il
tentativo – che non ebbe appunto grande successo – di animare “I
viaggi di Gulliver”. A questo si aggiunse lo scoppio della seconda
guerra mondiale e alla fine, dopo aver lavorato ad alcune pellicole
didattiche per l'esercito ed aver avuto problemi anche con il
fratello, Max perse il controllo dei suoi Studios e passò a lavorare
dalla Paramount alla Columbia. Nel 1958 si risollevò producendo
altri cento episodi di “Out of the Inkwell”, stavolta a colori e
destinati alla tv. Contemporaneamente al lavoro di Sallivan e dei
fratelli Fleisher vi furono ovviamente altri animatori d'interesse,
anche se loro rimangono quelli di maggior successo e in sostanza
sbaragliarono la concorrenza, perlomeno fino a che Walt Disney e le
altre grosse case di produzione non iniziarono seriamente ad essere
un passo avanti rispetto a tutti gli altri. Gli anni Quaranta e
Cinquanta, in ogni caso, furono terreno fertile per la creazione di
miriadi di personaggi, alcuni dei quali inventati e animati anche da
disegnatori e tecnici che avevano lasciato gli Studios della Disney a
seguito di uno sciopero, per creare – negli anni Quaranta - una
propria casa di produzione, nota come U.P.A. (United Production of
America). Questa diede i natali, tra gli altri, a personaggi come
“Mr. Magoo” (di John Hubley), un miope personaggio alquanto
scontroso e “Dick Tracy” (del fumettista Chester Gold),
incorruttibile poliziotto di Chicago le cui avventure vennero
ambientate negli anni Trenta. Rispetto ai lavori della Disney, della
Warner e della Metro-Goldwyn-Mayer che puntavano molto alla resa
realistica delle animazioni, la U.P.A. utilizzava sfondi meno
realistici e personaggi molto più bidimensionali, ma nonostante
questo, le loro tecniche – anche se più semplici – vennero
apprezzate e riprese da diverse case di produzione fino agli anni
Sessanta e Settanta. La U.P.A. chiuse ufficialmente nel '64,
mantenendo licenze e diritti su personaggi come Mr. Magoo e rimanendo
fonte di ispirazione per molte case che ripresero i loro personaggi,
come ad esempio la Columbia Pictures, per la quale già prima aveva
prodotto diversi cortometraggi di animazione. Per quanto riguarda
l'Italia, i primi lungometraggi uscirono intorno agli anni Cinquanta.
Il primo si intitolava “La rosa di Bagdad”, prodotto e diretto da
Anton Gino Domenighini e il secondo, uscito lo stesso anno (1949), fu
“I fratelli Dinamite”, prodotto da Nino Pagot. “La rosa di
Bagdad” era una storia in Technicolor e narrava dell'amore tra
Zelia, figlia di un sultano, e il flautista di corte Amin. Nella
storia i due ragazzi vengono ostacolati da un visir, Jafar, che a
tutti i costi vuole sposare la ragazza e impadronirsi del regno,
anche se poi l'amore vince e i due giovani riescono a sposarsi e a
vivere felici. La pellicola venne però apprezzata più all'estero
che in Italia, anche se successivamente è stata rivalutata e
restaurata. Ci sarebbe davvero molto altro da dire sulla storia del
disegno animato, dai personaggi degli animatori francesi, terra dalla
quale tutto era nato, agli altri innumerevoli capolavori della Disney
(“Biancaneve e i sette nani”, “Dumbo”, “Pinocchio”,
“Fantasia”, “Alice nel Paese delle Meraviglie”,
“Cenerentola”, “Peter Pan”...). Dalla nascita, con MGM
dell'Orso Yoghi e Braccobaldo, fino all'arrivo dell'animazione
giapponese, di tutt'altro stampo e con una storia e uno stile molto
diversi.
Tutte
queste cose possono farci capire quanto il mondo animato sia una
forma di cinema con una storia indipendente e al tempo stesso
incrociata a quella del cinema "tradizionale" e quanto sia enorme,
incredibile, l'evoluzione che quest'arte ha avuto in centinaia di
anni. Da quella “lanterna magica”... fino ad oggi.
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