lunedì 26 giugno 2017

Flacopunx e i "Coleotteri" di Flaco


Fabrizio Castelli, per tutti Flaco. Per vent'anni ha contribuito a scrivere la storia del punk rock italiano con i Punkreas, con la sua inconfondibile chitarra, con la sua vena da cantautore (scrivendo alcuni dei pezzi più amati della band) ed anche come punto di riferimento, perché lo è sempre stato per tutti. Ora volta pagina e lo fa con il suo stile inconfondibile. Il nuovo progetto di Flaco, i Flacopunx, ha esordito con il primo album "Coleotteri" alla fine del 2016. Ad accompagnarlo in questa nuova avventura, naturalmente, ottimi musicisti (Checco Faini alla voce, Mattia Foglia al basso e ai cori, Matteo Campana alla chitarra, Dario Magri alla batteria e ovviamente il nostro Flaco, alla chitarra e cori. Ah, scusate, c'è un "sesto uomo", Carlo Tattoo, di cui parleremo poi...). Flaco è ancora lì, con la sua inseparabile chitarra, con i suoi fantastici testi, con la sua voglia di fare e con la grinta di chi ci crede fino al midollo. È un album in cui l'identità tutta di Flaco si vede, si sente, in una fusione nitida tra passato e presente, con uno sguardo alto verso il futuro e l'orizzonte. Flaco è un autore che ama le ispirazioni e le contaminazioni, che dice - con grande umiltà - di ritenersi fortunato quando riesce a distillare "una goccia di profumo" da quel che gli capita, dal caos attorno, dai libri che legge, dai film che vede, dalla vita, sua e del mondo. Quando lo guardi suonare vedi la stessa passione che aveva dieci anni fa, quindicianni fa... sapete, non è di quelli che dopo un bel po' di anni che suonano perdono il gusto perché "si abituano". No, Flaco non si abitua, si diverte, fa divertire ed è pieno di passione. Propone tematiche non da poco, il più delle volte, ma lo fa con ironia, vivacità, senza appesantire nulla. Gli è sempre piaciuta l'idea di portare testi da cantautore nel punk rock e ci è sempre riuscito. Se dovessi scegliere un brano che mi ha colpito più di tutti gli altri, in questo nuovo lavoro, è "Dodici ore". Il testo di "Dodici ore" è qualcosa che va al di là del punk, al di là del rock, al di là di tutto, perché è un brano che qualsiasi genitore può sentire suo ed è un brano che anche io che non sono genitore posso sentire mio. E mi commuove, perché i bambini, i ragazzi, sono il futuro e lo sappiamo. Anche chi non è genitore e semplicemente si guarda attorno, un po' di preoccupazioni le ha di certo e spera, pensa, vorrebbe trasmettere il meglio che ha a chi è più giovane, piccolo, bambino. Le tematiche più varie attraversano l'album in quella che Flaco stesso definisce una metamorfosi, personale e musicale, dunque a questo punto, direi di parlarne con lui...

Flaco, il coleottero è proprio un simbolo di trasformazione no? e se si pensa al testo della canzone che poi da il titolo all'album ("Coleotteri", appunto), è una sorta di presa di coscenza, di superamento di una fase di cambiamento, emozioni miste e probabilmente una messa a fuoco sul futuro...?

"Bhe, più del coleottero, che per me rappresenta il ricordo e il memento della mia animalità, è lo scarabeo egiziano a simboleggiare la rinascita e per questo l'ho scelto come simbolo. Caso ha voluto che mi trovassi ad affrontare un cambiamento personale importante (la fine del rapporto coi Punkreas) nello stesso periodo in cui meditavo sulla necesità di uscire dalla bolla ideologica tipica della guerra fredda. Ho cercato per quanto possibile di far coincidere le mie trascurabili vicende biografiche con più importanti cambiamenti geopolitici e storici."

I testi e la musica sono tutti tuoi, ma il sesto uomo, Carlo "Tattoo" Ferrè, mi dicevi che è stato fondamentale...

"Il mio vecchio amico Carlo ha anche fornito spunti importanti dal punto di vista musicale, suggerendo arrangiamenti e soluzioni a cui non avevo pensato. Tuttavia, per quanto mi riguarda, il suo massimo merito sta nell'avermi convinto che potevo scrivere qualcosa di nuovo e di valido e nell'aver sostenuto il mio sforzo in un momento in cui ero piuttosto sfiduciato. Non penso che ce l'avrei fatta senza il suo appoggio e la sua fiducia nelle mie qualità."

"Gorky". È ispirata al romanzo di Martin Cruz Smith?

"No, in realtà è più ispirata a un noto saggio di Hobsbawm intitolato "Il secolo breve", in cui lo storico britannico tratteggia i caratteri della società europea dal 1914 al 1991, mettendo bene in rilievo il potere evocativo della rivoluzione russa su tutta la produzione intellettuale e politica del '900. Solo che l'.U.R.S.S. non c'è più e prima o poi ce ne renderemo conto anche in Italia (mai disperare). Casualmente in quel periodo ho rivisto un mediocre film, penso tratto dal libro e intitolato "Gorky" ed ho pensato che il parco più famoso di Mosca fosse perfetto per il titolo."

Andando in ordine beh, che dire... "Codice rosso". Le tematiche sono tante. Cosa pensavi o cosa hai pensato mentre scrivevi il testo di questo pezzo?

"Ho pensato che non potevo sopportare che una cultura le cui ultime produzioni intellettuali degne di questo nome e libere dal controllo religioso risalgono al XII-XIII secolo d.C., venisse a infettarci con le sue fantasie teologiche. È stata dura "liberarsi della Chiesa": sono seviti Cartesio, Kant, gli Illuministi e poi Nietzsche, Marx, Freud. Tutto questo percorso di secolarizzazione e relativizzazione del sentimento religioso l'Islam non l'ha affrontato. Usano la tecnologia occidentale, le armi, i computer e le droghe occidentali, ma li innestano utilitaristicamente su una cultura ingenuamente religiosa con tratti di violenza per me inaccettabii. Non parlo solo dei cosiddetti martiri che ammazzano bimbe di otto anni ai concerti pop. Parlo anche di un sistema patriarcale che tiene le donne sotto il giogo maschile, impedendone l'emancipazione. Capisco che uno nato e cresciuto nell'insegnamento islamico non possa pensare altrimenti, ma è compito suo evolversi e io non gli devo nessuna particolare comprensione né tolleranza."

Come immagini il futuro? In tutti i sensi, per questo progetto e anche in generale...

"Quanto al progetto ovviamente aspiro al massimo di successo. Dirlo ora che non mi si fila nessuno fa un po' ridere, ma ho la convinzione di essere semplicemente in anticipo sui tempi e basterà avere la pazienza di aspettare per capire chi ha ragione. In generale, invece, penso che le differenze culturali e le rigidità che separano popoli e nazioni siano destinate all'estinzione, ma per questo temo che ci vorranno secoli. La tendenza è inarrestabile, ma le resistenze sono molto forti."

"La canzone di Adamo"? Mi chiedevo... a chi si rivolge (se si rivolge a qualcuno)?

"Adamo non è altri che Adam Smith, noto economista sostenitore del liberismo e dell'automatica capacità delle leggi di mercato di operare per il meglio (la cosiddetta "mano invisibile"). Si rivolge a tutti quelli che negli ultimi decenni hanno sostenuto i miracoli del libero mercato e spinto per privatizzazioni e deregulation. La verità è che il nostro sitema di produzione, se non controllato e direzionato verso un'equa distribuzione, tende naturalmente ad arricchire i ricchi e impoverire i poveri. Fino al punto in cui i disagi dei poveri sono così forti da mettere a rischio il patto sociale. Ci stiamo avvicinando."

E poi c'è "Bubblegum". È una denuncia e questo è abbastanza evidente e forse c'è anche del timore per il futuro. Il messaggio è quello di non farsi prendere da tutto ciò che ci può in qualche modo togliere umanità e renderci solo... gomma da masticare?

"La tecnologia digitale e la biogenetica portano con sé minacce di una grave disumanizzazione. Non vedo soluzioni private efficaci. È un movimento storico e collettivo, perciò non basta "astenersi". Temo che tra qualche anno si passerà dalla miocentesi alla selezione preventiva del patrimonio genetico ai fini della riproduzione, che a quel punto non sarà nemmeno più una ripoduzione sessuale. Ci penserannno i medici a far incontrare ovuli e spermatozoi selezionati. Tecnicamente ci siamo già molto vicini. Penso che contro questa tecnicizzazione del bios, della vita, risorgeranno fanatismi religiosi e superstizioni violente. Al momento non trovo un posto confortevole né da una parte né dall'altra. Sono nato umano e credo che da umano morirò. Ci tengo."

Adesso la mia preferita. "Docici ore". Racconta tu, è tanto bella che preferisco sia solo tu a parlarne.

"Bhe, questa è proprio una canzone scritta per i figli. Innanzitutto i miei, ma poi per i figli in generale. Molti artisti a un certo punto della loro vita sentono il bisogno di lasciare un messaggio in bottiglia alle future generazioni. Questo è il messaggio che sento di poter lasciare io. In sintesi: non aspettarti che il passato e nemmeno il presente abbiano una particolare stabilità, soprattutto oggi. E non dimenticare che se il presente è sempre e comunque il frutto del passato (e per questo bisognerebbe studiare la storia prima e più di qualsiasi altra disciplina, scienza compresa), tuttavia il futuro è sempre aperto, "unwritten" come diceva Joe Strummer. Almeno finché resteremo "imprevedibili esemplari umani". Non ho - purtroppo o per fortuna - molte altre verità da consegnare ai miei figli."

Dici che 'siamo quasi fuori dalla "Zona d'influenza" ', quella che avrebbe portato all'americanizzazione generale e globale... come la intendi? Perché secondo te saremmo quasi fuori da questa zona d'influenza?

"Perché il secolo americano è finito. Oggi altri attori importanti si affacciano e prendono posto nelle dinamiche culturali, economiche, politiche. Cambiano i rapporti di forza e l'America, da Impero, sta lentamente - ma io penso inesorabilmente - trasformandosi in uno dei tanti centri di potere. L'elezione di Trump, ben lungi dall'essere un incidente di percorso, mi sembra il sigillo che gli americani stessi hanno messo sulla loro oscura consapevolezza di aver terminato la loro parabola imperiale iniziata con l'intervento durante la prima guerra mondiale. Ci vorrà ancora molto, sia chiaro. Dopotutto hanno qualcosa come quattordici portaerei e controllano tutti gli oceani, ma questa è la tendenza."

Fermiamoci un attimo. Se tu dovessi pensare a qual è la canzone che hai scritto alla quale sei più legato in assoluto... riesci a individuarne una sola?

"Sono particolarmente legato a "Cuore nero". Forse perché sia musicalmente che a livello di testo è un po' anomala. Sicuramente perché nel video la protagonista è mia figlia Melissa, all'età di otto anni, vestita di bianco e coi capelli al vento: quanto di più vicino alla pura innocenza e alla bellezza in sé, la bellezza in quanto tale. Scrivere, registrare e dare un'immagine a quella canzone è tata un'emozione unica e particolare."

In "Scura", oltre che parlare delle guerre, dei massacri, di tutta quella povera gente che scappa e non sa più da che parte andare... sembra tu abbia perso un po' la speranza che le cose possano migliorare in futuro. È un'impressione o è così...?

"No, non direi. Ho un rapporto problematico con quella canzone. Mi piace musicalmente – c'è anche lo zampino di Carlo – ma il testo è stato scritto sull'onda dell'emozione. L'emozione è importante, ma in politica serve a poco e anzi, rischia di essere dannosa. Sull'immigrazione va fatto un discorso non ideologico e non emotivo. Accogliere e respingere in blocco mi sembrano ambedue reazioni emotive poco sensate. Se dovessimo prendere decisioni in base alla pura emotività, le tragedie del mare ci porterebbero ad aprire tutte le frontiere senza distinguo, ma gli orribili attentati di cui si sono macchiati gli integralisti ci spingerebbero in un direzione opposta altrettanto irrealistica e insensata. Direi che l'emozione va bene per una canzone, ma è bene che resti confinata lì."

Quali sono i tuoi ascolti adesso e cos'è cambiato rispetto a vent'anni fa?

"Non molto a dire la verità. A parte il fatto che leggo sempre molto più di quanto ascolto, non mi sembra che negli ultimi dieci anni sia uscito qualcosa di indimenticabile. L'ultimo gruppo cui concederei lo statuto di "irrinunciabile" sono i RATM e il loro disco migliore è del 1992. In compenso sono costretto, sempre grazie ai miei figli, a spararmi pesanti dosi di rap italiano contemporaneo e a sentirmi questi ragazzini che si dipingono come pericolosi criminali perché hanno tre grammi di fumo in tasca. Sopporto e ogni tanto storco il naso, anche per dargli la soddisfazione di una disapprovazione. È importante che i figli si sentano sostenuti e compresi, ma è altrettanto importante che ogni tanto io dichiari la mia totale estraneità al loro mondo, musicale e non. Se no che ci sto a fare?"

"1861". È un anno in cui sono successe un sacco di cose storicamente parlando. Nel pezzo sembri fare riferimento più allo "spegnimento", come lo definisci tu, di tutte quelle comodità e dell' "agio", se così possiamo chiamarlo, derivato dal boom economico, dall'arrivo anche qui del consumismo di massa e così via. Tutto ciò a causa delle/ della crisi, nazionale e internazionale e forse da un decadimento che sembri, almeno dal testo, ritenere naturale perché... "la storia si ripete"? Sembri poi riportare il discorso proprio a quell'anno, il 1861, in cui c'erano i primi segni dell'unione d'Italia, in cui è stata coniata la Lira... e in America al tempo stesso si formavano pian piano gli Stati Uniti e arrivava Lincoln come 16° presidente americano. Che mi dici riguardo a tutto questo?

"Bhe, hai già detto molto tu. L'Italia è nata in condizioni molto particolari, ultima tra le principali nazioni europee e tramite la fusione di un Nord e un Sud molto diversi e piuttosto ostili l'uno all'altro. Dopo la prima e soprattutto dopo la seconda guerra mondiale abbiamo goduto di una rendita di posizione (strategica) particolare. Da noi la guerra fredda è stata piuttosto "calda", se consideri il terrorismo e le stragi di stato. Tuttavia eravamo importanti per le grandi potenze che facevano arrivare i loro aiuti. Oggi non è più così. O (ri)scopriamo il senso di una politica e un interesse nazionali o finiremo frantumati."

"Testata nucleare". Non c'è molto altro da dire, nel senso che già il titolo è una denuncia verso i potenti che minacciandosi gli uni con gli altri per le loro smanie, se ne fregano altamente delle persone.

"Sai, a volte l'impressione è che ai grandi progressi in campi come la tecnologia militare non siano corrisposti da adeguati aggiustamenti antropologici. Siamo sempre delle vecchie scimmie litigiose, ma invece dei bastoni oggi abbiamo le atomiche. La cosa è un po' inquietante."

Stai già scrivendo altri pezzi?

"Comincio in questi giorni a lavorare su delle tracce accumulate negli ultimi mesi. Vorrei uscire con un paio di pezzi nuovi entro fine anno. Vedremo."

Cosa augureresti alle nuove generazioni di musicisti e cosa alle nuove generazioni in generale?

"Ai musicisti non saprei. Tendo a considerarli una razza in via di estinzione dal momento che il digitale ha reso la musica tanto disponibile quanto insignificante, se non come sottofondo sonoro. Restano giusto gli adolescenti a ritenerla una parte importante della loro esistenza. Per tutti gli altri, l'augurio è di studiare e conoscere abbastanza il passato per non ripeterne gli errori nel futuro. Non è vero che la storia non serve a nulla e che tutto si ripete uguale a se stesso. Diciamo che gli insegnamenti della storia sono un po' più complessi di quelli della matematica e non possono avvalersi della sperimentazione per fare le verifiche necessarie. Quelle arrivano dalla storia stessa, con calma e non si possono produrre in laboratorio."


This is Flaco!

Flacopunx
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"Testata nucleare" e "Dodici Ore" - Flacopunx:

 

lunedì 19 giugno 2017

La storia del cinema (parte 6): dal muto al sonoro, con Ford e Hawks

Dopo il cinema dadaista degli anni Venti, le avanguardie sostanzialmente morirono. Con l'arrivo del sonoro, delle nuove tecniche e tecnologie e con i maggiorati costi di produzione, le sperimentazioni artistiche si ridussero notevolmente fino a scomparire del tutto negli anni Trenta. Il cinema sonoro nasce infatti proprio intorno alla crisi del '29 e non a caso inizia ad essere una sorta di antidoto alla difficile situazione della società americana e non solo. Il cinema, che già con il muto aveva conquistato il grande pubblico, si rafforzò ulteriormente. E' un momento di evasione dalla realtà, da una quotidianità sicuramente difficile per le persone ed è questo il suo grande punto di forza, come era accaduto in precedenza per il muto. Il primo film sonorizzato (e si parla ancora di musica, non di dialoghi tra attori), fu realizzato dalla Warner, che sperava di risollevarsi dalla crisi in cui si trovava proprio introducendo questa novità.

Nel 1926 dunque, la Warner lanciò il primo film in sonoro ("Don Giovanni e Lucrezia Borgia"), accolto dal pubblico con enorme entusiasmo e Il successo di questa prima realizzazione la portò inevitabilmente a proseguire in quella direzione, fino ad arrivare l'anno dopo alla produzione di film con musica, suoni e parlato. Tutte le case cinematografiche iniziarono perciò a seguire l'esempio della Warner, dall'America all'Europa, portando alla definitiva scomparsa del cinema muto a favore di sempre più numerose produzioni in sonoro. Il periodo Roosvelt, dunque, coincise con una grande ripresa dell'industria del cinema americano, che si impose sempre di più a livello globale. Lo stampo hollywoodiano, con i suoi generi e le sue caratteristiche, diventò il vero punto di riferimento del settore. E' in questo periodo che la figura del produttore cinematografico diviene essenziale, perché è lui, il produttore, ad essere realmente a capo di tutto. Per quanto riguarda il resto del mondo e l'Europa appunto, nonostante l'influenza americana sia la più imponente, si fa strada anche la completamente diversa idea di cinema del mondo sovietico. I sovietici non hanno ancora la tecnica già presente da anni negli Stati Uniti quando iniziano a produrre in sonoro, ma vi si interessano soprattutto perché credono che la nuova tecnologia sia impiegata dagli americani nel modo sbagliato. Per i sovietici, gli americani puntano solo al gradimento del pubblico, mentre per loro, il miglior modo di elevare questa nuova tecnologia è quello di rappresentare la realtà così com'è. In Italia, così come nel resto d'Europa, arrivano pian piano entrambe le influenze, anche se quella americana continua ad essere la più influente. Due registi fondamentali nella storia cinematografica americana, furono John Ford e Howard Hawks.

John Ford
Il primo, per tanti anni si occupò di western con grande successo (vista anche la sua personale interpretazione del genere, spesso presentato con un'impostazione ironica e un linguaggio povero ma mai scontato). In un secondo tempo però, decise di evadere dai cliché del genere, dimostrando così un talento ben superiore a quello mostrato in tutti gli anni precedenti. Si inoltrò in generi diversi, cercando ispirazione nella realtà d'ogni giorno, negli accadimenti storici, nei drammi – spesso – della società, della gente. I suoi personaggi erano caratteristici, complessi e mostrarono al pubblico, con le sue storie, la sua personale visione della realtà, della vita e delle casualità che la stessa a volte pone, in positivo e in negativo. Il suo modo di fare film rende le storie quasi senza tempo, anche se poi il cinema di Ford divenne negli anni un punto di riferimento e certamente lo specchio di un'intera epoca. Il tutto con una grande attenzione per i dettagli.

Howard Hawks
Hawks invece lavorò in modo differente. Rappresentò l'altra faccia dell'americanismo, fu l'esempio perfetto del regista hollywoodiano e fu egli stesso produttore. Hawks rappresentò i costumi e le ideologie americane dagli anni Trenta ai Sessanta, produsse molto e si concentrò sulle trasformazioni che la storia portava. Ciò che più lo interessava erano gli aspetti più strani, inusuali e a tavolta umoristici della realtà. Non gli importava molto degli ideali. I suoi personaggi erano coraggiosi ed eroici, ma apparentemente disinteressati e le sue ambientazioni non avevano nulla a che fare con la cura del dettaglio che oramai miriadi di registi ritenevano fondamentale. Hawks non credeva nel cinema – spettacolo, disprezzava la tecnica e non se ne interessava più di tanto. Il suo intento era quello di raccontare, narrare attaverso personaggi, resi liberi di agire come meglio credevano. Nonostante questa "non curanza" per la spettacolarità e il dettaglio, il risultato è lo stesso. I suoi film sono comunque perfetti e raggiungono sempre il successo popolare, come se dietro ci fosse stato un lavoro preciso e paziente. E a quanto pare fu proprio questo il suo punto di forza.

Dopo aver realizzato nel 1928 il suo primo successo "Barbablù", la sua carriera trovò grande possibilità nella realizzazione di "Scarface", prodotto nel 1930/1931 ed uscito nel 1932. Molti non sapranno in effetti che il gigantesco "Scarface" di Brian De Palma del 1983, interpretato dal'unico e inimitabile Al Pacino, è stato tratto liberamente proprio da questa prima versione di Hawks. L'abilità di Hawks stava nel riuscire a produrre con successo film d'ogni genere, dal noir alla commedia sino al musical. E' lui, in effetti, a dirigere - ad esempio - film quali "Gli uomini preferiscono le bionde" con l'intramontabile Marilyn Monroe. Dagli anni '50 in poi invece, Kawks si dedicò soprattutto al western, esaltando temi a lui cari quali il coragggio e l'amicizia virile.