martedì 1 dicembre 2015

Enrico Mantovani: la musica che si vede


Ernico Mantovani. Venerdì 26 Settembre ho assistito, non per la prima volta, ad uno dei suoi magnifici, emozionanti e sempre unici concerti (a "La Taverna delle Fate Ignoranti" di Quinzano d'Oglio (Bs), un luogo delizioso). Enrico Mantovani è un "OneManBand", perché definirlo "solo" un chitarrista di talento è poco; non a caso "OneManBand" è il suo biglietto da visita e quando lo senti suonare, quando lo vedi suonare e le emozioni si trasformano in musica, percepisci che le melodie, le armonie, il ritmo, diventano colori, temperatura, immagine, suono percepibile al tatto ed allora comprendi perché Enrico Mantovani non è "solo" un chitarrista di talento e a quel punto non è più necessario spiegare perché il suo biglietto da visita è "OneManBand"; però ve lo spiego, perché molti di voi magari non l'avranno ancora mai sentito nonostante giri in lungo e in largo l'Italia (come invece alcuni già adoreranno il suo sound). Al di la' di questo, mi capita spesso di partire dalle emozioni quando parlo di un talento, perché la differenza tra un "bravo musicista" e un "musicista di talento" sta nell'anima, nella grinta, in quel che arriva alle persone. È così per tutte le discipline artistiche, naturalmente a parer mio. Enrico Mantovani è un artista bresciano, polistrumentista, ma la chitarra è nel suo nome. Vive a Orzinuovi ed ha collaborato con grandi artisti quali il cantautore Massimo Bubola, Giorgio Cordini i più noti (al grande pubblico si intende) Massimo Ranieri, Francesco Renga, Eugenio Finardi... ed ha suonato anche con Alex Britti (spero vi sia capitato di sentire una volta almeno il Britti blues), Gianna Nannini, Fausto Leali e molti altri. Le ho scritte, le collaborazioni, perché è giusto, per far capire a chi non dovesse conoscerlo che di cose ne ha fatte e pure tante (e non solo queste, poi ci arriviamo), ma il mio intento non è parlare dei nomi con cui Enrico Mantovani ha collaborato; il mio intento è parlare di Enrico Mantovani, un musicista come pochi, della musica che si vede, dunque, delle infinite sfumature dell'arte.

Enrico Mantovani chi è? E poi... è abbastanza classico chiederlo, ma è sempre interessante per capire di più: come hai iniziato a suonare, quando, cosa ti ha spinto a imbracciare la chitarra?

"Direi che la mia fortuna è stata di iniziare molto giovane, con mio padre quando avevo sedici, quindici anni e già suonavo il blues e i pezzi degli Stones insieme al mio amico Riccardo Maffoni... ho iniziato con mio padre, dicevo, scriveva canzoni e racconti brevi ed era il mio consigliere su libri e dischi che mi hanno poi accompagnato fino ad oggi; mi sono subito reso conto, sin da adolescente, che non era solo una questione di “musica“, ma anche di parole, di pensieri e di poesia. La chitarra ok, saper suonare ok... mi veniva facile e spontaneo... ma sentivo che la magia vera erano le storie che le canzoni mi raccontavano... Così, assieme a mio padre, iniziai a suonare la chitarra nei suoi spettacoli sulla seconda guerra mondiale, sui partigiani, sulle storie dei partigiani nella nostra pianura e l'ultimo spettacolo si intitolava proprio "Novecento" e... sia i libri che le sue canzoni parlavano sempre di queste vicende e di storie che abbiamo dietro l'angolo, che risalgono a cinquanta, sessant'anni fa, non è un tempo poi così lontano. Del resto un piede nel novecento ce l’ho avuto anche io: da piccolo si passavano giornate intere in cascina, a giocare sui fienili, a contatto con gli animali, ci tuffavamo nei fossi e di sera, dopo cena, spesso mio padre imbracciava la chitarra e cantava canzoni di Nanni Svampa e di altri cantastorie. Più che la musica in se, sono le canzoni che mi hanno affascinato sin da piccolo."

Hai tanti progetti in corso: i meravigliosi Matmata, i concerti "OneManBand", la collaborazione costante con il grande Bubola ed altre collaborazioni. Raccontami un po' cosa stai combinando.

"Beh… con Massimo Bubola ho avuto la fortuna di partecipare ad un percorso sulla Prima Guerra mondiale, sulla Grande Guerra, che mi ha dato modo di rivedere la storia dell' Italia e degli italiani negli ultimi duecento anni; un lavoro a ritroso nel tempo, con brani e melodie popolari di fine ottocento e anche più antiche che hanno resistito fino ai giorni nostri. Massimo ha fatto il primo disco sulla guerra nel 2004, "Quel lungo treno", il secondo nel 2013, "Il testamento del capitano" e l' anno prossimo dovrebbe uscire il terzo; una trilogia con brani degli alpini e canti popolari riarrangiati in chiave folk e rock; tratti da una letteratura popolare e contadina, questi brani vanno a comporre parte della musica detta "poplare", che è quel tracciato dal quale nessun musicista dovrebbe mai discostarsi troppo secondo me. Purtroppo in Italia non abbiamo questa cultura che ad esempio è molto radicata in Irlanda, dove i nonni suonano con i nipoti e tutti conoscono un repertorio di duecento, trecento canzoni folk... e lo stesso vale anche per gli americani e sicuramente per molti atri popoli.

Un incontro raro e fortunato è stato poi quello con i Matmata; mentre con Bubola, con Massimo Ranieri, con Giorgio Cordini e altri ero maturato come musicista o come turnista, imparando a fare questo mestiere, con i Matmata c’è stato un’incontro tra musicisti maturi e già più consapevoli, grazie ai quali ho scoperto il valore della "Band", trovarsi tutti i giorni, suonare insieme più volte alla settimana per il piacere di suonare e per la volontà di creare un groove comune, un sound, un feeling, lavorando sui pezzi che Gianmario continua a creare ancora oggi con grande abilità. Infine nei Matmata ho trovato una famiglia; non è un lavoro da "turnista", è un lavoro con la tua band, coi tuoi amici, coi quali si condividono tantissimi momenti di vita, al di la' della musica…. è stato davvero magico incontrarli."

Per me che ho assistito più volte a tuoi live, con i Matmata e come OneManBand, sapendo quante emozioni, diversificate, trasmetti, mi viene istintivo chiederti: in quei momenti, sul palco, cosa provi, cosa pensi, cosa senti tu, cosa ti passa per la testa?

"Quando suoni.... non pensi a niente, suoni e basta; la musica ce l'hai nel cervello e nel cuore, è li che ti gira attorno, come fanno gli avvoltoi, come una giostra con tante lucine e tu sai già quali vanno accese e quali spente, senza pensarci.... suonare mi fa stare mezzo metro sopra terra, è una droga, la droga più bella e sana che esista e il concerto, il live, è il vero motivo per cui ho imparato a suonare e per cui, grazie al Cielo, continuo a suonare."

Hai fondato nel 2013 l'Accademia di Musica Hendrix (cliccate, cliccate ragazzi). Com'è nato questo progetto e come lo senti? Qual è il contesto?

"L'Accademia... mmmm…... Non credo moltissimo nelle scuole di musica, credo che all'uomo siano più utili i corsi di cucito o di giardinaggio. Le scuole di musica quando io avevo quindici anni non esistevano, o quasi; c'era qualche insegnante che dava lezioni private e se volevi suonare dovevi essere davvero portato, perché dovevi imparare ascoltando i dischi in vinile o la radio, quindi dovevi avere orecchio ed essere molto svelto nel capire le note da riportare sullo strumento. Oggi invece, forse anche a causa dei "talent", molta più gente vuole fare musica, ma siccome da sola non ci riesce, nemmeno con i video di youtube, si rifugia nelle accademie di musica. L’accademia comunque l’ho aperta per portare un po' di fermento sul territorio dove sono nato e dove ho sempre vissuto, sperando di imbattermi in qualche talentuoso futuro musicista."

Ora ti faccio una delle mie domande strane. Altre volte ho fatto questa domanda perché è per me parte dell' "andare oltre" e potrebbe sembrare una domanda semplice, ma non lo è affatto. Di che colore è secondo te la tua musica? E la tua anima? Combaciano?

"Mi piace suonare con le luci blu... e poi il blu è indubbiamente blues..."

Hai un pezzo che su tutti, per te, è il migliore?

"Beh, un brano è troppo poco, ne amo troppi, ma tra i miei artisti preferiti spiccano Bob Dylan e i Rolling Stones. Il resto è tutto sotto."

La tua parola preferita... (Enrico qui è favolosamente indeciso, ma poi la prima parola che gli viene in mente è...)

"Grembo."

Ecco qui, Enrico Mantovani. Penso non ci sia altro da aggiungere se non che, come ho detto anche a lui, una delle cose che lo rende più speciale è che non si rende conto davvero di quanto è raro.

Grazie infinite Enrico.

Link:

venerdì 28 agosto 2015

Grembo


Caldo il tuo grembo,
alimento e rifugio
del mio stesso respiro.

Intima grazia per noi,
il grembo della terra.

Focolare nel gusto,
il grembo di una donna.
Nel grembo il dono.

Poggiati sul grembo,
piccoli granelli,
al sicuro nell'infinito.

E respirando il tuo grembo
il mio si riscalda,
felice giaciglio d'entrambi.

Avvolti nel nostro abbraccio,
profumo di biscotti,
aroma di pane fresco
e polvere di caffè.

lunedì 29 giugno 2015

Les Deux Magots


Avorio titilla le luci,
i passi, vedo salire.
Su piccoli mari di ocra,
profumo di legni vicini.
Ciliegi e pelli
di tempo e di tatto.
Unghie e inchiostro;
brillante, ritorna, il tuo passo;
hai amato e io amo, ora-qui.

martedì 16 giugno 2015

Massimo Bubola e la Eccher Band: "Rosso su Verde Tour" a Verolavecchia il 26 giugno 2015

MASSIMO BUBOLA

Rosso su Verde Tour ”

Parole di Pace Canzoni di Guerra

per il 100° anniversario della Grande Guerra


"Il re del folk-rock Massimo Bubola torna a interpretare e rivisitare le canzoni della Grande Guerra con questo nuovo progetto dal titolo Rosso su Verde Tour che prevede nel corso dell’anno anche un libro in uscita e un prossimo album che va a completare la trilogia iniziata nove anni fa con il successo di Quel lungo treno e proseguito poi con Il Testamento del Capitano nel 2014 Massimo Bubola riprende e ri-arrangia, caratterizzandoli profondamente col suo sound e la sua poetica inconfondibile, grandi brani tradizionali come: Ta pum, Il Testamento del Capitano, Sul ponte di Perati, Monti Scarpazi, Bombardano Cortina, La tradotta e proponendo anche suoi grandi successi del passato.

Tutto quanto rivisitato con la sensibilità e l'esperienza di un grande autore, scrittore e musicista, autore di capolavori della canzone italiana e non, come Fiume Sand Creek, Andrea, Don Raffaè e Il cielo d’Irlanda, solo per citarne alcuni presenti nella scaletta del concerto.
 
Il progetto prevede, oltre a Massimo e la Eccher Band sul palco (Enrico Mantovani alle chitarre e mandolino - Erika Ardemagni alla voce e auto harp - Alessandro Formenti al basso) , la presenza di un attore gardesano, Fabio Gandossi che leggerà brani da alcune lettere dal fronte ed estratti dal materiale storico di Massimo.

Il 26 Giugno 2015, all'Anfiteatro Sotto La Torre Civica di Verolavecchia (Bs), l'occasione imperdibile di assistere a questo grande live. Alle ore 21,30. Ingresso: 10 euro.

Non mancate!"

E per rendere l'idea di quello a cui potrete assistere...

Info e dettagli:


 

lunedì 18 maggio 2015

Garrapateros. "Compartìr", "Con - dividere". Patchanka rebelde!


Stasera parliamo di libertà, passione, fatiche e duro lavoro ripagato, talento, calore, allegria, profondità; parliamo della forza del suono, degli arcobaleni infiniti delle note musicali e dei ritmi, parliamo della potenza delle parole, parliamo dell'eccelsa, sublime, potenza della musica. Ne parliamo con Nic e Michele e parliamo dei Garrapateros; perché la loro storia, il loro sound, i loro sogni, i loro traguardi, sono un perfetto esempio di quanto la musica può fare e dare. I Garrapateros definiscono il loro genere “patchanka rebelde”, vale a dire “patchanka ribelle”. Il genere patchanka, per chi non ne sapesse molto, è nato con i Mano Negra, che hanno coniato il termine dando come titolo al loro primo album, nel 1988, proprio questa parola. Letteralmente può significare “miscuglio”, “confusione”, “caos”, nel senso che il genere è una miscela costituita da diverse sfumature della musica e della tradizione latina. Ora, aggiungiamo il “rebelde”, ribelle; perché i Garrapateros sono patchanka, rock, funky, punk. La libertà assoluta del suono e del ritmo, le cui principali ispirazioni sono i Mano Negra e Manu Chao, ma anche gruppi quali i Delinquentes, i Calle 13, gli Ojos de Brujo e i Canteca de Macao, gruppi anche molto diversi tra loro (consiglio: andate ad ascoltarli se non li conoscete). Quel che i Garrapateros hanno in più, quello che rende il loro sound “il loro sound” è... in parte frutto delle loro esperienze musicali precedenti, punk, rock, rock grunge... e in parte - e qui è la parte bella dell'Italia che viene fuori - della loro italianità. Il loro essere italiani fa la differenza, perché l'approccio musicale di un italiano, per una questione di genuina cultura generale e musicale, sarà sempre diverso dall'approccio che uno spagnolo ha verso la musica, così come l'approccio di un francese sarà sempre diverso da quello di un irlandese ecc ecc. Tutte queste cose, messe insieme, hanno creato qualcosa che pur avendo una base e riferimenti di un certo tipo, rendono il loro sound unico per il loro genere, assolutamente “rebelde”. Conoscevo Michele Cannibal, perché conoscevo il fantastico progetto grunge rock dei Cronofobia, ai quali nessun ascoltatore con un minimo di conoscenza musicale può rimanere indifferente e nel quale era ed è batterista (ma questa è un'altra storia). Conoscevo Michele appunto e una sera, vado in un locale della mia zona e per caso me lo ritrovo in duo con Nic Garrapatero, nella versione acustica che portano in giro qui e la'. Quella sera mi hanno steso e al secondo live a cui sono andata  - un live che aspettavo con gioia da quando avevo avvistato la notizia della data, un mese prima - mi hanno steso il triplo. La prima volta, ho scoperto poi, erano reduci da un viaggio lunghissimo e devastante ed erano fisicamente a pezzi (oh scusate! non me ne ero accorta ragazzi!), però poi al secondo live mi sono accorta della differenza, anche se già al primo mi avevano rapito, buona alla prima. Il loro primo album “Vida No Mata” l'ho praticamente consumato in macchina, non riuscivo a smettere di ascoltarlo. Brani del secondo album, il loro ultimo lavoro “Esperando”, li ho sentiti proprio in questo secondo live, con successivo inevitabile acquisto del cd. Cos'altro posso dire? Quando ho iniziato a scrivere questa intro stavo cercando il modo giusto per “rendere l'idea” e come spesso mi accade, è la descrizione delle mie stesse emozioni ad aiutarmi a trasmettere i concetti, perché la musica è questo, è passione pura, emozioni d'gni sorta, parole e suoni, poesia e ritmi, tradizioni e scoinvolgimenti. Mi fermo qui, potrei andare avanti per ore, ma è “pericoloso” perché le mie dita mi porterebbero a parlare di troppe cose e non arriverei al nucleo. Stasera il nucleo si chiama Garrapateros. Stasera, vi presento questo fantastico progetto, attraverso Nic e attraverso Michele, un percussionista che è solo da vedere e sentire, inutile descriverlo, non saprei nemmeno come. Nic Garrapatero... che è partito per la Spagna con qualche soldo da parte per potersi cercare un lavoro e fermarsi un po', niente Erasmus; per approfondire la lingua spagnola, perché allora studiava lingue all'università. Immaginate ora, immaginatelo in testa: un ragazzo che fino ad allora aveva suonato e ascoltato punk, parte per la Spagna, borsa in spalla. Arriva, conosce gente, sente profumi, vede colori, conosce tradizioni, si fa rapire dolcemente dai gitani che abitano poco distante da lui, comincia ad ascoltare musica che prima non conosceva e che forse mai avrebbe ascoltato e quando torna, inizia a fare musica diversa, prima da solo e poi... da Garrapatero, fonda i Garrapateros. Ora la parola a loro, a Nic – il mosaico, così l'ho soprannominato dopo questa chiacchierata – e a Michele, di poche parole – poche ma ben precise - e tanto ritmo dentro e tutto intorno.

"Vida no Mata". E' il primo pezzo del vostro primo lavoro e da' il titolo all'album stesso. "La vita non uccide". Il testo è molto intenso, parla di un uomo che in sostanza odia l'ipocrisia, le menzogne e che non vuole smettere di lottare. Mi chiedevo se il testo fosse ispirato a una storia reale visti i riferimenti alla protesta o se fosse nato da una tua pura riflessione.

Nic: " “Vida No Mata”... no, in realtà non è una canzone che prede spunto da una particolare vicenda personale, bensì... più in generale - dalla visione che ho della realtà, della quotidianità, da ciò che è questo preciso momento storico e che sicuramente mi riguarda. L'ho scritta riflettendo su un contesto globale che rientra poi nella dimensione personale di ognuno perché... l'informazione, i mass media, “quello che passa” e che descrive la nostra realtà, ci fa intendere che nonostante siamo su questa terra... praticamente saremmo “dei morti che camminano”, ci fa pensare che abbiamo più situazioni su cui piangere rispetto a situazioni dalle quali prendere spunto in positivo. Il testo dice “La vida no mata” nel senso che... è un controsenso che la Vita uccida! la Vita dovrebbe essere una crescita, uno spunto di riflessione e cambiamento, non certo qualcosa di negativo o un motivo per pensare di togliersela, la vita. Eppure questa visione negativa appare in modo sempre più frequente, il messaggio che passa è che viviamo in una specie di inferno o per spiegarlo meglio se “la sorte non è dalla tua” sembra che questo significhi non essere produttivo e che l'unica cosa che puoi fare è quella di disperarti. Io non credo sia così. “Vida no mata” poi ripende anche una frase molto familiare agli spagnoli che è “la prisa mata” che vuol dire “la fretta uccide”; che poi... non è nemmeno la fretta a uccidere messa a confronto con questo “senso di morte” diffuso."

Il secondo pezzo invece "Sevilla Maravilla" racconta della vita di strada che presumo tu abbia visto e portato dentro di te quando eri in Spagna, ma c'è una sorta di sottolineatura... in strada c'è chi sta meglio e chi sta peggio, ma in ogni caso c'è fratellanza. Ti riferivi in particolare ai gitani di quartiere che ti hanno praticamente accolto da quanto ho capito e che ti hanno fatto scoprire le loro tradizioni, la loro musica... o era un più discorso generale? Nel testo poi dici che quella è la parte migliore di Siviglia, al di la' di quello che possono essere le apparenze, ma mi chiedo: la popolazione spagnola accoglie la realtà gitana come parte integrante della cultura spagnola o ci sono pregiudizi come ad esempio accade in Italia per molte diverse realtà?

Nic: "Si è un pezzo che racconta l'esperienza quotidiana che ho avuto in un breve periodo che ho vissuto nella città di Siviglia, nel quartiere della Macarena. Quello che io ho visto in quel quartiere - che è un quartiere molto importante a Siviglia nonostante sia considerato un quartiere a rischio perché è un quartiere popolare con un forte tasso di immigrazione e una forte presenza dell'etnia gitana – è molto simile a quello che ho visto nel quartiere Cabanyal di Valencia, in cui appunto ho vissuto per un po' di tempo. Nel pezzo dico che è un quartiere in cui “non ci sono differenze”. Non è del tutto vero in realtà perché è chiaro che esistono sempre situazioni di discriminazione in una realtà in cui convivono diverse realtà culturali che condividono lo stesso spazio geografico e ci sono scontri, è ovvio. Nel pezzo dico che è la parte migliore di Siviglia nel senso che questi quartieri sono luoghi che ti sbattono in faccia la realtà, sopratutto per quanto riguarda il tema dei gitani. L'etnia gitana... non è più integrata in Spagna rispetto all'Italia, ma sicuramente c'è molta più accettazione rispetto a qui. Questo perché culturalmente e storicamente la cultura gitana è assimilata nella cultura del ballo e della musica spagnola. Ci sono generazioni e generazioni di cantanti, musicisti, ballerini di flamenco, di etnia gitana. In Spagna l'arte e la cultura del canto e della musica hanno un riconoscimento assoluto, molto più che in Italia perché il sentimento è molto più vivo e radicato e in effetti, tutto ciò che “di nuovo” si crea in Spagna, ha molte delle sue fondamenta “nel vecchio” e per forza di cose la cultura gitana ne è parte integrante. Siviglia con la Maccarena e Valencia con il Cabanyal, sono esperienze che io ho voluto fermare, come in uno scatto fotografico, attraverso questa canzone e sicuramente ho voluto raccontarne il meglio perché è quello che io stesso sono riuscito a tirare fuori dal peggio di quel che ho visto."

Passiamo al nuovo album, "Esperando". Mi piace moltissimo il fatto che in un modo o nell'altro, nei testi che scrivi ci sia sempre un incoraggiamento a non mollare, a continuare a lottare, a continuare a credere nei propri sogni. In "No falta nada" scrivi "Di quello che c'è non manca niente", un detto popolare che rende perfettamente il concetto: smettere di pensare di "non poter fare", perché come scrissi una volta "il sudore è nobile" e porta sempre a qualcosa di buono. Non è il "dove arrivo" ma il "come e perché", il "cosa porto con me e cosa lascio agli altri". Ed anche in "Querida vida", parli della meravigliosa esistenza di un insieme di energie che ogni persona può usare per affrontare la quotidianità, la frenesia, il senso di insofferenza e - anche qui - si parla di sogni. "Non ho più molto per me, però ho il mio sogno". Mi piace molto tutto questo, siamo sulle stesse corde. Questo meraviglioso atteggiamento verso la vita che porti con te, ce l'hai sempre avuto per carattere o credi che ci sia stato un momento in particolare in cui hai maturato questa consapevolezza?

Nic: "Si è vero... in quasi in tutti i pezzi che compongono il nostro primo album “Vida no mata” e anche il secondo mini album “Esperando”, c'è sicuramente un incoraggiamento a non mollare. Io in generale ho avuto un fortissimo cambiamento a partire dalla mia esperienza in Spagna. Non sono mai stato una persona negativa perché dal mio punto di vista essere realista significa riflettere su situazioni anche negative e prenderne spunto per arrivare a qualcosa di positivo. Le mie vicende ed esperienze personali poi mi hanno fatto rendere conto, misurandomi con me stesso e con gli altri, che in sostanza ero molto più pieno di risorse di quanto pensassi e così... ho maturato una gran voglia di risorgere. “Cenere e fuoco” già lo dice no? “sotto la cenere c'è ancora un po' di fuoco”. “Querida vida” dice proprio “nonostante io non abbia più spazio, non abbia più tempo, non abbia più molto per me, ho sempre il mio sogno” e questo è un pensiero di importanza assoluta nella mia esistenza perché - oltre ai Garrapateros - i Garrapata Sound System appena nati, il set acustico Rebelde, come side project... sono il mio sogno, progetti in cui io credo da morire. Credere nel mio sogno è la mia identità, è l'identificazione precisa della mia vita adesso. In passato non era assolutamente così; ero molto più attaccato a una sorta di linearità di come forse volevo fosse la mia vita e quindi nell'impossibilità di riuscire a raggiungere questa linearità stavo male, ero molto meno consapevole su chi fossi, su cosa volessi e su che cosa rappresentasse per me la musica; poi ho capito che siamo noi la nostra stessa risorsa. “Di quello che c'è non manca niente” dice “No falta mada”, vale a dire che da quello che abbiamo - seppur poco - si può partire, si può iniziare a costruire il passo successivo, a salire un nuovo gradino, per poi renderlo sempre più solido e quindi... è un continuo “non arrendersi”. Anche con il progetto Garrapateros “di quello che abbiamo in questo momento non ci manca niente” e proprio per questo ora è nato il “Garrapateros Sound System”, qualcosa che già esisteva ma che può avere uno sviluppo sempre più consistente. Basta volerlo."

Allora Nic... Il vostro nome significa libertà in sostanza, non letteralmente, ma per il concetto che ha... Spiega tu però, cosa significa per te, per voi.

Nic: "Il nome Garrapateros è stato scelto in omaggio ai Delinquentes, “capitanati” al tempo da Miguel Benítez, un ragazzo morto molto giovane - a ventuno anni - per un probabile arresto cardiaco causato dall'abuso di sostanze. Era un poeta, ha scritto diverse poesie oltre che canzoni stupende. Circa dieci anni dopo la sua morte il fratello ha pubblicato una raccolta di testi inediti scritti da Miguel prima di morire e che mai sono stati registrati e in questa raccolta ci sono anche alcune interviste. In una di queste Miguel spiega che cosa significa “garrapatero”. Letteralmente la "garrapata” è la "zecca”. Lui racconta che quando era piccolo viveva in campagna, aveva molti cani e gli toglieva spesso le zecche e la zecca è sempre stato un insetto che in qualche strano modo lo affascinava e dunque ha iniziato a usare il termine “garrapatero” associandolo però a una concezione positiva o a qualcosa che a lui piaceva. Ho voluto fare un omaggio a loro perché è sopratutto grazie ai loro pezzi che ho cominciato a conoscere la lingua spagnola; il loro modo di comunicare, il modo di comunicare di Miguel, è stato fondamentale per me. Adesso - con il progetto “Garrapata Sound System”  - abbiamo voluto staccarci dal termine “garrapateros” perché ad oggi, se in rete si digita il termine viene fuori di tutto e di più. Molte cose legate ai Garrapateros, ma anche tante tante band che fanno cover, per esempio dei Los Delinquentes e che si chiamano “Garrapateros”. Il Garrapata Sound System è il nuovo progetto, con cinque elementi, in cui il flauto non compare più e con il quale vorremmo arrivare un po' di più, rimanendo affezionati alla base - che è la stessa - ma “togliendo di mezzo” tutta la confusione che si può fare ora cercando informazioni su di noi e la nostra musica. Il senso di libertà che io sento in questo termine è determinato dalla realtà per cui c'è stato un grande cambiamento per me. La mia propensione naturale è stata quella di slegarmi dall'origine punk per far ramificare la base in altro; mantenere la radice, facendo crescere però rami che vanno in direzioni diverse."

Inizialmente sei partito da solo, poi avete iniziato a suonare insieme tu e Michele e pian piano si sono aggiunti gli altri ragazzi della band. Se tu e Michele non vi foste trovati, pensi che avresti cercato prima o poi altri musicisti con cui portare avanti il tuo progetto? Avevi già in mente di creare una band o è stato un effetto “Sliding doors” per cui le cose sarebbero andate diversamente perché inizialmente non ci pensavi? E se tu avessi continuato da solo? Cosa pensi avresti fatto? Come sarebbe andata secondo te?

Nic: "Beh... quando sono tornato dalla Spagna ho sentito la necessità di portare quello che avevo assimilato in Italia. Il distacco dalla Spagna all'Italia per me è stato molto forte, avevo bisogno di ritrovarmi a casa mantenendo però le stesse vibrazioni che avevo percepito e sviluppato là e ho portato con me lo stesso intento che là avevo maturato, di farmi conoscere con questa musica, diversa da quella che solitamente facevo e alla quale la gente che mi conosce era abituata. Ho iniziato da solo, ma dopo un po' che suonavo da solo - cosa che non avevo mai fatto avendo avuto in precenza una punk rock band - durante i live non potevo condividere con nessuno né le gioie né i dolori ed avendo comunque consapevolezza di quel che avrei voluto fare, già immaginavo sul palco con me un'altra persona proprio per... riedere insieme o “prenderci male” insieme. Con Michele è stato sicuramente un effetto “sliding doors”, nel senso che l'intenzione da parte mia di creare un'alternativa al onemanband c'era sicuramente, però per esempio, io e Michele ci conoscevamo abbastanza superficialmente al tempo e mai avrei pensato allora di trovarmi spalla a spalla con quello che ora per me è un fratello, dopo cinque anni. C'è stato ovviamente intresse da parte sua, dopo due giorni si era già procurato un cajòn flamenco. E' stato anche quello che tra i Garrapateros si è arricchito sempre di più, veniva dal rock, dal grunge, generi che a volte non vanno proprio d'accordo con quello che ho portato io, molto più leggero e anche spensierato se vogliamo, meno “pesante” rispetto al grunge che proprio per la sua storia è legato a situazioni molto più introspettive, anche se in realtà – come hai ben descritto tu stessa - nel genere dei Garrapateros questa “leggerezza” e “spensieratezza” è apparente, c'è sempre un'interiorizzazione della realtà e la volontà di buttar fuori questa interiorizzazione e renderla esplicita nelle canzoni. Sicuramente io avrei creato una band perché sono “un animale sociale” fondamentalmente, da solo mi sarei stato un po' stretto, però ecco, nel corso del tempo si sono create tutte le collaborazioni, sempre comunque con un effetto “sliding doors”. Non so come sarebbe andata se non avessi incontrato Michele... avrei magari incontrato qualcun'altro, ma probabilmente non così bravo..."

Michele, te lo devo chiedere............... ma perché “Cannibal”?!?

Michele: "Cannibal... eheh... semplicemente perché ho ascoltato e ascolto tuttora i Cannibal Corpse; è dunque un riferimento alla fissa che ho per questo gruppo, niente di più semplice. In adolescenza gli amici con cui suonavo, un giorno mi hanno chiamato così e da quel momento ho deciso che sarebbe stato il mio nome d'arte!"

A parte gli scherzi... tu che vieni da un progetto come i Cronofobia... come ti sei avvicinato a questa musica, cosa ti ha catturato? Nic ha avuto esperienze che lo hanno avvicinato (per fortuna aggiungo) a questo mondo musicale... e tu? Cosa è successo dentro di te? Qual è stato il tuo viaggio?

Michele: "Mi sono interessato ai gusti musicali di Nic semplicemente per curiosità... Non avevo mai suonato musica Spagnola ed essendone incuriosito mi è sembrata la cosa più giusta da fare, mi ha subito attirato l'idea di fare una nuova esperienza. Ed è stata la scelta più giusta perché grazie a questo ho imparato una miriade di cose, proprio come musicista; ho imparato ad essere più dinamico nel suonare batteria e percussioni, ho iniziato a cantare ed ho anche imparato a conoscere e ammirare un sacco di persone che ballano i vari generi della musica spagnola."

"Il destino è un pazzo che gioca coi fili". Tema ricorrente nei pezzi dei Garrapateros. Ditemi qualcosa di più. Nic, Michele, parlatemi del destino.

Michele: "Io personalmente non credo nel destino, credo più alla fortuna. Ritengo una grande fortuna il poter sentire il ritmo in ogni cosa che faccio, lo sento nelle vene!" Nic: "Il tema del destino, associato anche al tema della casualità quindi all'effetto “sliding doors” di cui parlavamo prima, è una medaglia a due faccie che io non ho ancora ben identificato a dire il vero. Intendo dire che... in me è più presente “la visione della casualità”; quando scrivo del destino in “Huele a Pasado” per esempio, quello è un testo molto personale, una canzone dal gusto agrodolce, una tristezza consapevole - che non ti porta a buttarti giù da una finesta ma come dicevo anche prima serve per cercare di crescere. A volte... fa un po' parte della natura umana colpevolizzare qualcuno e in quella canzone io colpevolizzo il destino. Il destino che è appunto “un burattinaio”, è capriccioso, in questo pezzo. Completamente diversa invece è la visione di quando ho scritto “Casualidad” che è uscita nel 2012. Li scrivo che la vita è una casualità da quando inizia a quando finisce, ma è anche una possibilità, “sfrutta il momento e non te ne pentirai”. Il caso e il destino sono due cose che spesso fanno molta paura, perché rappresentano quel che non si conosce, ma allo stesso tempo quel che non si conosce incuriosisce. Molti lo temono e lo vivono con angoscia, io lo vivo con interesse, sono curioso di sapere quel che mi accadrà, anche se non credo che le persone siano legate a una predestinazione, questo no; sarebbe molto triste pensare che tutto è già scritto. In ogni caso mi ritengo una persona molto fortunata, perché ho un sogno e non tutti ce l'hanno. Per me è vitale. Avere un sogno, portarlo avanti, è una cosa... molto rara, una cosa preziosa... Che sia allora una casualità, destino... nellla mia vita c'è questo sogno, che è la mia vita stessa. Nella canzone in cui ho scritto che è “un pazzo che gioca coi fili” ho cercato di stare nel mezzo tra casualità e destino anche per... “impersonificare” la casualità stessa e facendone una “casualità personificata” allora non è più “casualità”, diventa un qualcosa, qualcuno, senza nome né cognome, a cui poter dare la colpa e che crea una serie di eventi che possono sembrare anche casuali, ma nel caso di questa voluta “personificazione” molto probabilmente non lo sono."

Allora.... so che nel vostro percorso musicale avete avuto grandissime soddisfazioni, tantissimi live, l'apertura del concerto agli Ska-P, a Tonino Carotone, il calore del pubblico, i vostri fantastici viaggi e tutto ciò che avete scatenato. Al di la' però di queste fantastiche esperienze, qual è stato per voi il momento in cui avete pensato “va alla grande, stiamo realizzando il nostro sogno”? Una scena, un ricordo, un momento, un'immagine, una riflessione.

Nic: "Le situazioni in cui... ho pensato “va alla grande, stiamo realizzando il nostro sogno”... sono tantissime... Non voglio sembrare banale ma... “vivere il presente” è sicuramente una cosa che mi caratterizza, penso al futuro ma in una prospettiva che si basa però sempre sul vissuto del presente, dunque si, l'elenco sarebbe molto lungo. Da quando ho iniziato a fare tanti concerti da solo – cosa che comunque non avevo mai fatto avendo avuto prima una band – a quando ho iniziato a suonare con Cannibal e abbiamo fatto esperieze stupende per cui a volte ti dici e chiedi: “Fanstastico! cosa succederà dopo...?”. Tanti live, tante esperienze diverse, quindi... ogni passo che si fa è vitale. Dalle cose più belle come l'apertura agli Ska – P e a Tonino Carotone fino alle “porte in faccia” che ti fanno dire “sta diventando sempre più vero”. Ad oggi, ti dico con ancora più convizione “Va alla grande, stiamo realizzando il nostro sogno”. Siamo in contatto con una casa discografica, con booking... non c'è ancora niente di ufficiale dunque al momento non posso fare “nomi” per così dire, ma c'è qualcuno che è molto interessato al nostro progetto e che ci aiuterà nella produzione... dunque... questo sicuramente è il raccolto di una serie di grandi soddisfazioni che ci hanno dato sempre più la carica per andare avanti, che mi ha fatto andare avanti con l'entusiasmo che ho tuttora." Michele: "Ricordo con grande piacere molta gente che non ci aveva mai sentito, che non sapeva chi fossimo e non conosceva la nostra musica, ballare e divertirsi con grande energia. Per me questa è sempre una soddisfazione. E poi... fare così tanti concerti fa pensare ad un futuro da musicista anche a livello lavorativo... il che è fanstastico..."

Come immaginate il vostro futuro...?

Nic: "Il mio futuro io lo immagino... in tour... con i Garrapata Sound System - dunque gli elementi nuovi che hanno creato un sound stupendo e con i quali c'è un intesa perfetta - visitando posti che non ho mai visto, facendo la cosa che più amo al mondo che ovviamente è suonare. Lo immagino... pensando che quel che ora è una passione e un lavoro part-time – per rendere l'idea – si trasformi nel mio lavoro a tutti gli effetti e di fatto già ora ho un tetto sulla testa e vivo grazie a questo. Condividere e vivere grazie a questo, così vedo il mio futuro." Michele: "Riguardo al futuro e a quel che si vuol credere a riguardo... so solo che ci vuole un grande impegno per realizzare i propri sogni e unicamente il grande impegno può portare ad avere la fortuna di fare esperienze grandiose, come è successo a noi, per esempio potendo suonare a concerti fantastici, con grandi artisti."

Parole. Colori. Sono due realtà che spesso – alternativamente - introduco nelle domande che faccio nelle chiaccherate su "Il cammino". Due mondi che dicono molto. A voi desidero proporre entrambi i mondi... dunque... di che colore siete? e qual è o quali sono le parole più significative per voi?

Nic: "I colori e le parole... io sono bianco e nero, sono gli estremi... e sto lavorando, negli anni, per trovare il compromesso tra gli estremi. Sono... sono un lunatico, altalenante, sono... un giorno a cento e un giorno a zero. Nella musica però è diverso, cerco sempre di essere a cento e mi impegno per esserlo, anche perché so che se do' il massimo nella musica, tutto il positivo che ne nasce mi ritorna e mi arrichisce anche per altri aspetti della mia vita. Anche nei Garrapateros sono bianco e nero e i ragazzi sicuramente lo hanno visto negli anni, a volte "sclero", a volte mi sento troppo rigido, ma poi comunque anche queste cose hanno portato a qualcosa di buono il più delle volte. I Garrapateros invece... per me... sono un colore unico fatto di miriadi di colori o per meglio spiegarlo... spettri di luce, miriadi di colori diversi che vanno a formare la luce stessa. La parola che più mi ha rapito invece... è sicuramente... "Compartir", "Condividere" e ... penso non ci sia bisogno di dire altro" (sorride, ndr). Michele: "Io sono porpora! Assolutamente porpora. E le parole che amo di più sono sicuramente... Consapevolezza, Gusto e Pensiero..."





sabato 25 aprile 2015

Massimo Bubola e la Eccher Band: al Teatro Odeon, la sacralità della Vita


"Concerto". Questa parola ha una storia intricata, complessa, piena di sfumature... La prima apparizione documentabile di questa parola splendida nella lingua italiana risale al 1519 ed è un termine dalle origini grandiose, perché è come una storia anzi, è una storia, per ogni popolo. Ogni parola è una storia, ogni parola è un mondo a se, perché le parole hanno un peso e un valore inestimabile e il mio appello è sempre stato una sorta di disperato richiamo, non sprecatele, vi prego; e ribadisco ogni giorno il mio... "Mi metto nelle mani delle parole, come fossi tra le mani di Dio"... una frase che le Parole mi hanno permesso di scrivere... in "Punti senza fine". E... "Mùsica", la Musa e ... "Spettàcolo"... "guardare", "tutto ciò che attrae lo sguardo, la vista, l'attenzione". Capite perché...? riesco a trasmettere, mi chiedo, il motivo, per cui personalmente, mi metto nelle mani delle parole come fossi tra le mani di Dio...? Bene, parto da qui. Pane, vita, grazie, promessa, amore, amicizia, dolore, gioia, immensità. Parto da questo per tentare di descrivere la Bellezza (richiamo di... "Armonia") ... si la Bellezza con la B maiuscola, di tutto ciò che Massimo Bubola e la Eccher Band (Enrico Mantovani, alle chitarre e al mandolino - Erika Ardemagni ai cori e auto harp e Alessandro Formenti, al basso) mi hanno saputo donare nella spettacolare serata di ieri, al Teatro Odeon di Lumezzane. Finalmente ho potuto assaporare dal vivo la grandezza di Massimo, della sua musica, della sua penna, il suo sapere e il suo intimo calore umano. Credo che se non sapete chi sia Massimo Bubola, beh, siamo alle solite... se non lo sapete, abbiate il buon senso di andare ad ascoltare i suoi pezzi, di leggere la sua storia, di tutto ciò che ha fatto in quarant' anni di musica, essendo egli parte importante, essenziale, profonda, della musica italiana; della Musica che che è Musa, la Musica che è Bellezza, la Musica. Ho cominciato a scrivere queste righe ieri sera tardi, appena rientrata dalla serata, all'una e ventitre del 25 aprile 2015, nel giorno del settantesimo anniversario della Liberazione della nostra Terra. Non volevo perdere un secondo, volevo perlomeno riuscire a fissare, come in uno scatto fotografico vivente, tutte le emozioni, le lacrime, le risa, il sènso dunque il "sensus", la percezione, il poter cogliere con lo sguardo, l'olfatto, l'udito, il tatto e con immenso, immenso gusto, il senso profondo e l'amore, la profondità di tutto quel che ho vissuto, in quelle due ore a Teatro, con dolore e vita nell'aria. Massimo Bubola ha iniziato l'articolato progetto riguardante la Grande Guerra con un primo album nel 2005, "Quel lungo treno" nel quale sono racchiusi brani tradizionalli riarrangiati e... rivitalizzati. Folk, country, rock, ballata e anche un tocco d'Irlanda. A proposito di Irlanda... per me che per la prima volta sono riuscita ad assistere dal vivo alla musica di Massimo Bubola, sentire "Il cielo d'Irlanda" è stato un colpo al cuore, una sorta di tachicardia emozionale, che mi ha accompagnato in realtà per tutta la serata, durante ogni pezzo. "Il fiume sand creek" scritta da Massimo pensando a un massacro di pellerossa realmente accaduto, nel novembre 1864. Stragi, umane. La guerra, i massacri, di ieri e di oggi, perché l'umanità non ha ancora compreso quanto sia sacra la vita o preferisce far finta di nulla perché... "tanto è così". No... non dev'essere così. Massimo Bubola con la sua band ha proposto al pubblico canzoni quali le sopracitate "Il cielo d'Irlanda" e "Il fiume sand creek" ed anche una versione dolcissima di "Volta la carta" perché "è come mi piace farla ora che ho un bimbo piccolo, come una ninna nanna" ha detto. Torniamo però al progetto dedicato alla Grande Guerra, proseguito con la pubblicazione, nel maggio 2014 dell'album "Il testamento del capitano", uscito in occasione del centenario. Sei brani della tradizione popolare, alpina e sei inediti del maestro. Ieri sera ho potuto ascoltare le meravigliose "Ta pum", "Bombardano Cortina", "Sul ponte Perati", "Il testamento del Capitano", brani che... ho ricordato, perché li avevo già  uditi, in tenera età probabilmente... e le parole tornavano alla mente, mentre Massimo cantava e così... le ho sentite. E il capolavoro che Massimo ha scritto pensando a quei tempi non lontani in cui la sera si cantavano canzoni popolari che riguardavano proprio la guerra, il dolore, la nostalgia e l'amore e che lui ha saputo racchiudere in "Rosso su verde", così, come se fosse la cosa più semplice del mondo, scrivere un brano che racchiude tutto questo. Ma quanto... quanto... è... e li ho visti quei momenti, nella testa e nel cuore, quei momenti di cui raccontava e in cui la memoria, c'era davvero.  La voce calda e intensa di Massimo Bubola, le sue parole... la dolcezza estrema e tutto l'amore racchiuso in "Tre rose"; tutto, tutte le molecole della mia anima sono state rapite. La voce e il volto angelico di Erika Ardemagni, la passione e i colori, il gusto, di Enrico Mantovani, il tocco, di Alessandro Formenti. La Eccher Band. Mi hanno "ammazzato" e "ridato la vita".  E "come se non bastasse", tra un pezzo e l'altro, l'attore gardesano Fabio Gandossi, che ha interpretato scritti pieni di pathos, storie di soldati al fronte, scritti donati al pubblico da Massimo, un dono, un altro, grande dono. Grazie... grazie... grazie... e anche questa parola... racchiude un grande mondo.


Lara Aversano

giovedì 9 aprile 2015

Frank Zappa: il funambolo danzante attorno a un fuoco


Frank Zappa... americano, origini siciliane da parte del padre, un po' di sangue francese e un altro po' di italiano dalla madre, americana di origini appena citate. Sangue misto, meticcio, favolosamente meticcio. Che c'entra il sangue meticcio? nulla. Ho collegato questo dato di fatto genetico solo perché lui era un gran meticcio musicale, nel senso più ispirato del termine ovviamente. Frank Zappa, come si fa a scrivere di Frank Zappa... potrò esserne all'altezza? me lo chiedo sempre prima di scrivere di qualcosa o qualcuno di grandioso. "Non ho alcuna convinzione per come è intesa dalla gente del mio secolo. [...] Solo i briganti sono convinti - di che? - di dover riuscire. Così riescono. [...]. Tuttavia ho qualche convinzione, in senso più elevato, e che non può essere capita dalla gente del mio tempo" (Charles... quanto lo adoro...). In effetti... c'è così tanto da dire... e so che molti di coloro che leggeranno sapranno benissimo di chi si parla, ma so anche che purtroppo troppe persone, così come per altri grandi, geniali musicisti, di un tempo non lontano da noi (o a volte si, ma l'arte non può essere storicizzata, "non per come lo intendono gli uomini del nostro tempo")... potrebbero averlo sentito nominare molte volte senza pensare chi fosse e cosa facesse, potrebbero aver visto il suo volto - ed è un volto che ti rimane nel cervello a vita, quando lo vedi, per come la vedo io - senza sapere nulla, nulla di lui. La cosa triste è proprio questa. In Italia c'è una non cultura così diffusa da far star male chi la musica la ama, la vive, sa come funzionano le cose e perché. Pur essendo un dato di fatto, che è così, che tanta gente se ne frega, non si pone il problema, come non se lo pone per la mancanza di rispetto assoluta per l'arte tutta, anche se lo so, è più forte di me, non lo accetterò mai e continuerò a sognare che le cose cambino e che anche piccole gocce in un oceano di persone, a loro modo, possano fare del loro meglio perché questo accada; e se anche così non fosse, signore, signori, ragazzi e ragazze, questo è "Il cammino" ed è così; lo faccio, perché è una vocazione e se anche solo una delle persone che legge, anche per caso, uno dei miei articoli, scopre qualcosa che non conosceva e va oltre, per me quella goccia sarà un oceano e io sarò sempre una goccia, ma avrò fatto qualcosa di buono. Sto divagando da Frank Zappa? si, anche; ma è anche questo che amo della scrittura. Si può parlare di qualcosa e a un certo punto può sembrare che si parli d'altro, ma in realtà non è così perché c'entra eccome. C'entra Frank Zappa, perché c'entra la musica, c'entrano le parole, c'entra l'arte, c'entra il mondo, c'entrano le persone, c'entra tutto... ed io sto scrivendo dunque... scrivo. Nato nel dicembre 1940 a Baltimora, chitarrista, compositore, interprete, produttore discografico, direttore d'orchestra e arrangiatore. Note biografiche, come per "il sangue misto". Queste cose però potete cercavele anche da soli, giusto? allora stavolta le evito totalmente. Parliamo d'altro. Parliamo del perché, Frank Zappa, è considerato un genio della musica. Una persona che non ne sa nulla, lo guarda, ascolta un pezzo, il primo o il secondo che trova su you tube, si fa l'idea che abbia fatto rock, rock blues ecc ecc, magari gli piace oppure no, magari approfondisce... oppure no. In realtà Frank Zappa non è stato solo un cantautore rock. Ha fatto di tutto e di più! e spesso non se ne parla, nei così detti "speciali" in tv o sui giornali musicali. Frank Zappa è passato dal rock al rock blues, dal jazz alla fusion, dalla musica classica al cabaret fino alla satira. I suoi testi sono sempre stati "nudi e crudi"; era volontariamente esagerato, tanto crudo in molti casi da non essere immediatamente colto da gran parte del pubblico del suo tempo e come spesso accade, compreso in seguito. Un'altra cosa che chi non lo conosce può pensare è che come molti rocker storici... beh... siate sinceri, voi che state leggendo e non lo conoscete, guardate il suo volto, collegate le vostre impressioni, le impressioni classiche di quando "non si sa", niente di che, solo che non si sa... pensereste che come molti grandi del rock la sua vita andasse a braccetto con le droghe e invece, guarda un po'! ci sono artisti, anche italiani, della storia musicale italiana, che ne hanno fatte di tutti i colori e "non si dice" chissà perché e ci sono persone che si basano sulle impressioni quando non conoscono, che si tratti di artisti italiani o stranieri; il che è abbastanza irritante dal mio punto di vista. Comunque sia, certo non era un santo Frank, ma per quanto riguarda le droghe, se tra i suoi musicisti trovava qualcuno che ne faceva uso lo cacciava immediatamente, provava repulsione verso la droga. Era strano, qualcuno parla di scarsa igiene e ci sono quasi comici aneddoti su accuse ricevute e poi decadute, ma in sostanza... Vi basti sapere che fu un perenne un funambolo; un funambolo spericolato e consapevole, che si spostava avanti e indietro e saltellava di qui e di la' sulla sua bella corda ad alta quota, immaginate, la corda meravigliosa del teatro dell'assurdo e del jazz, iper protagonista ed iper creativo, fu come se danzasse attorno a un fuoco, alimentato da una positiva anarchia musicale per la quale ogni genere ha fatto parte delle sue composizioni. Meravigliosamente folle, professionalmente impeccabile, preparatissimo, contaminato nelle ispirazioni da miriadi di sfumature e riferimenti diversi, geniale. Mi ha colpito leggere di un concerto dell'82, nel quale fece installare un allora ancora poco diffuso megaschermo sul quale fu proiettata una partita di calcio; la sua spiegazione al pubblico prima di iniziare fu: "Chi non capisce un tubo della musica che faccio può tranquillamente guardarsi le partite... così non ha buttato i soldi del biglietto". "Does Humor Belong in Music?". Oh si che può, Zappa ne era un maestro e questo è il titolo di un suo live album e di un tour, con grandiosi musicisti naturalmente, del quale vi propongo sotto un video, in particolare qui si tratta dello storico "Live At The Pier" e del brano "Keep it greasey". Come scrissi in un post sulla pagina fb de "Il cammino", dopo un minuto e trenta secondi dall'inizio di questo video, sul finire di "Bobby Brown" e collegando simpaticamente i due pezzi, Frank Zappa annuncia: " Watch me now because the name of this song is "Keep it greasey". Si tratta di un brano che fa parte di un concept album suddiviso in tre atti, pubblicato nel '79 e che narra le avventure e le disavventure del protagonista Joe. Nel caso di "Keep it greasey", Joe è prigione da un po' e Zappa ne narra le disavventure... come parlare di una realtà terribile, trasmettere un messaggio forte e riderci pure sopra? Presto detto, "Keep it greasey".


venerdì 27 marzo 2015

Rossodannata: "Oggi, domenica"


"Oggi, domenica" è il primo EP dei Rossodannata, un progetto di Russu (Totale Apatia) e Dade (CDU). Un paio di mesi fa feci una chiacchierata con i ragazzi, curiosa di sapere di più di quel che sarebbe stato ed essendo già a conoscenza della storia musicale del duo. La prima reazione che ho avuto, nel sentire e vedere il video del singolo "La Nave" è stata quella di commuovermi, non "solo" perché il testo è molto significativo e il video anche, non "solo" perché le melodie e il cantato rispecchiano il testo, ma perché ho visto un punk rocker meticcio, come ha sempre dimostrato di essere Alessandro Rossoni, autore della maggior parte dei testi dei "Rossodannata", mettersi completamente a nudo nei confronti di chi avrebbe ascoltato. E' sempre stato un autore sincero, onesto, incazzato, serio, felice, ironico, ma qui, ho trovato il Russu che tanti non conoscono o non immaginavano, la familiarità, l'intimità, il coraggio di mettersi in gioco. "Acoustic Punk". Il punk può essere acustico? che cos'è il punk per voi? è "solo" un genere musicale? per molti, per coloro che non ne percepiscono il nucleo, la parte più profonda... punk e punk rock, significano "fare casino", "protesta", "andare contro tutto e tutti", addirittura "anarchia". Forse lo è stato, anzi sicuramente lo è stato, ma la musica ha il meraviglioso potere di essere in continua evoluzione, di farsi scoprire, di poter significare sempre qualcosa di diverso. Bene, è difficile da spiegare, ma la concezione punk, come Russu e Dade stessi hanno affermato in una recente intervista, è anche "uno stile di vita" e io aggiungo che è "non mollare", "rialzarsi quando si cade", "riflettere su ciò che ci circonda", "riflettere su se stessi", è "l'alternativa, perchè così non mi piace", "è divertimento" ma anche "serietà"; il tutto nella più totale, disarmante, onestà. Senza ipocrisie, senza far finta di star bene, senza per forza dover arrivare a qualcosa di cosmico; la semplicità. Non il semplicismo, attenzione. Questo, per me, è punk rock. E questo Ep, porta due punk rocker a qualcosa di certamente alternativo, perché i loro ascolti cantautorali si mescolano a quell'irrefrenabile spirito che è parte di loro e che non li mollerà mai, perché punk rocker lo saranno anche a settant'anni. "Sobrio". E' il primo pezzo dell'EP, testo breve, conciso, quasi ermetico, semplice e difficile da interpretare (il che lo rende molto punk). Iniziano le prime note di chitarra, solitarie, come fossero in attesa di qualcosa e quel qualcosa è un'inizio che fonde la melodia punk di una chitarra elettrica al suono surreale di flauti che tanto ricordano certi cantautori, con le loro melodie, "non punk" (ma anche qui dipende dai punti di vista). "Flebile, la mia volontà di avere in tempo quello che mi spetta". Potrebbe sembrare la frase di qualcuno che ha un po' mollato la presa, che è stanco di aspettare qualcosa che gli sembra non arrivare mai, ma la realtà, per come la vedo io, è che nel momento in cui questo pensiero è diventato musica, si è automaticamente trasformato in voglia di vivere e di non mollare. Un po' come... "Sono stufo, stanco, annoiato, disgustato.... pronto, a lanciare la sfida" (Totale Apatia). "Sobrio" è una presa di coscenza, è una riflessione, è la sobrietà che l'autore ha nel valutare ciò che è attorno a noi e dentro di noi, esseri umani, ogni giorno. "Forse un giorno arriverà una novità [...]. I tuoi occhi blu riflettono cose che forse sai solo tu, come non è stato mai." E questo "come non è stato mai", ripetuto più e più volte, che un po' mi ricorda i finali di alcune canzoni dei Nirvana, è una dichiarazione di sobrietà. "La nave", il secondo pezzo, il primo singolo. E' una canzone allegra e triste al tempo stesso, è riflessiva, ma si prende in giro. Si guarda allo specchio, fa la faccia un po' storta, poi si capisce e sorride, ironica, sincera, intima. La chitarra di Davide Baronio (Dade) crea un'atmosfera che va contro se stessa, nel senso più positivo dell'affermazione. E' come un ossimoro, io la sento così ed è perfetta in questo pezzo. La voce di Russu è quasi sofferente, è una voce punk che riflette più a fondo e questo già dice molto. Tutti abbiamo delle paure, tutti abbiamo momenti di sconforto, il pezzo lo afferma con tutta onestà, con parole nude e crude, ma... "Sorridi, è la vita... e non farti del male" (!). Si arriva poi al terzo pezzo, "Down the Street", la versione acustica di un pezzo dei Totale Apatia che sarà presente nel nuovo album, in uscita proprio quest'anno (i Totale Apatia hanno anticipato al pubblico alcuni dei nuovi pezzi, compesa "Down the Street" in versione originale, nel live di Sabato 21 Marzo a Brescia). Nella versione alla "Rossodannata" il brano ha sfumature folk, popolari, ma allo stesso tempo mantiene lo sfondo punk, nonostante il suono di una popolarissima fisarmonica. "Il soffio del vento", il quarto pezzo, nostalgico, commuovente, sofferente. Al primo ascolto, durante il live d'esordio, mi ha fatto piangere come una disperata. E' senza dubbio il pezzo che amo di più. "E il ricordo sale in me/ non ricordo neanche se/ sono solo sogni e fantasie/ le tue mani sulle mie." Dolce e soffice, si trasforma poi in un tango, passione, rabbia e solitudine, la voglia di svegliarsi con un ricordo nostalgico che torna ad essere realtà e poi di nuovo malinconia, perché il soffio del vento, in questo pezzo porta via qualcosa di grande, così... come fosse stato niente. "Ventricoli del cuore", scritta, cantata e intepretata da Davide, è in parte narrata, incentrata sul peso dell preoccupazioni, sulle tensioni, sulle speranze, sulle lotte quotidiane, il tempo che passa e il valore che ogni passo ha, sulla nostra strada. Passi che non sono da bruciare e poi... "Miete vittime il rancore", il rancore dentro, mai; meglio liberarsene alla svelta, per non perdere la strada. Infine, la traccia nascosta: "Angelina" (anche qui l'autore è Dade), fantasticamente rustica, ricorda lo stile "Cochi e Renato" sia per il cantato che per il testo simpatico e ironico. Un bel finale, sia l'EP che per il live, un saluto al pubblico, perché anche quando si riflette e spesso si soffre, la vita va sempre presa per quello che è, un dono meraviglioso; ed è meglio sapersi prendere un po' in giro, non perdere il sorriso, perché un nostro sincero sorriso, è l'arma più potente che abbiamo verso tutto ciò che non va.


martedì 17 marzo 2015

Dario Cecchini e i Funk Off: l'energia che esplode in musica


Funk Off
Oltre sedici anni di storia, quasi settecento concerti. I Funk Off sono stati la prima funky marchin' band italiana e al termine hanno dato un nuovo significato, unendo quest'accezione al groove della black music, ad arrangiamenti jazz, a movimenti e coreaografie di grande impatto emotivo e visivo, senza mai perdere la loro "italianità", le origini, la musicalità della propria terra. Dopo di loro tante band sono nate, seguendo la loro scia meravigliosa ma... loro sono unici, unici e inimitabili. Sono passione, grinta, originalità, feeling, groove, calore, colore e potenza. Dario Cecchini (clik click!) è il fondatore e leader della band fiorentina, scrive ed arrangia la loro musica dall'inverno del 1998, quando il progetto nasce e comincia ad attirare l'attenzione dei responsabili dell'Umbria Jazz che dal 2003 in poi li inviterà a tutte le edizioni del Festival, scegliendoli come marchin' band ufficiale sia della manifestazione perugina che dell'Umbria Jazz Winter di Orvieto, coinvolgendo, come è inevitabile che sia, tutto il pubblico e portandoli fino al palco di un entusiasta James Brown. Ci sarebbero così tante cose da scrivere, ma... cliccate sul link tra parentesi e vi renderete conto di cosa hanno combinato questi musicisti eccezionali (FunkOff on Fb). Personalmente li ho scoperti nel 2011, ospiti di "Sostiene Bollani" su Rai3. Io e il mio compagno ci siamo guardati, con gli occhi spalancati, l'ascolto che si trasforma immediatamente in un istante di stupendo entusiamo, un sussulto e se non ricordo male un "Oh mio Dio...!". Una rivelazione. Sul loro sito www.funkoff.it potete trovare tutte le news e le date sempre aggiornate. Ora, veniamo a noi... una bella chiacchierata con lui, Dario Cecchini...
Dario Cecchini

Per prima cosa sono curiosa di sapere come ti è venuta l'idea di questo progetto, ma non desidero chiederti, per così dire, "informazioni generali". Intendo proprio a livello "fisico/chimico/mentale/temporale". Mi spiego meglio: so che sei cresciuto con il jazz, che hai molte influenze (dal funk alla black music o la soul latina), hai molte esperienze diverse, prima di questo progetto per esempio dirigevi la Big Band del Cam (scuola di musica fiorentina) con la quale hai iniziato a mescolare il jazz, il funk, la black music... ma la mia domanda è: l'istante. C'è un istante, un punto di illuminazione in cui è nato il progetto Funk Off? Il culmine dell'idea, il climax dell'ispirazione, riguardo all'idea del progetto Funk Off appunto.

"Allora... il momento è stato... durante una prova della Big Band del Cam, la Ballroom Dance Band che dirigevo oramai da circa tre anni, anzi dal '94, quattro anni... In questa band c'erano diversi dei ragazzi che poi sono entrati a far parte dei Funk Off: Andrea Pasi, Nicola Cipriani, Paolo Bini, Francesco Bassi, Luca Bassani, che in quella formazione suonava il basso e... durante una prova ebbi quest'idea, pensai "porca miseria! Potrei fare una band che fa questo tipo di musica, con la formazione della banda e quindi con il suono della banda, però unendo a questo il movimento". Al momento ho pensato che poteva essere un'idea sulla quale lavorare, poi ricordo che ne ho parlato con Francesco Bassi, gli dissi dell'idea, che avrei scritto un po' di pezzi e che poi avremmo potuto valutare cosa fare. C'è da dire che... qualche anno prima credo, un nostro amico Dj mi chiese di fare una cosa con la formazione della banda, di suonare "Reginella Campagnola" e io feci un'arrangiamento, così a voce, poi diedi le direttive musicali. E' un brano tipico delle bande di paese insomma - e non so.. non so se questa cosa mi ha influenzato in qualche modo, non ci avevo mai riflettuto, poi fu lui, questo Dj, a chiedermi se mi fossi ispirato a quell'esperienza e io gli dissi "Mah... no, non ci avevo mai riflettuto, però...". Io credo di essermi più ispirato di più... nel vedere i movimenti spontanei che i musicisti facevano quando provavamo i pezzi, arrangiamenti di brani più e meno funk e anche qualche brano mio... ed è stato anche il momento in cui presi fiducia sull'idea che mescolare musica jazz, funk, soul... potesse avere una ragion d'essere e che potesse funzionare; quindi anche una presa di coscienza e una presa di fiducia in me stesso."

Funk Off
E quando hai dato il via al progetto ti aspettavi di risultare così sconvolgente? Cioè, fin dall'inizio, siete stati un'esplosione per tutti!

"Ma sai... io non sono molto bravo a trovare concerti, a gestire questi aspetti, però c'era e c'è Nicola Cipriani che invece è molto bravo in questo e lui si diede molto da fare e... grazie a lui iniziammo a fare le prime date; poi è ovvio che quando parte un progetto non pensi che possa diventare quello che poi diventa... quello che è diventato. Tu provi a portarlo avanti nel miglior modo possibile. Non immaginavo che alla gente potesse piacere così tanto questo progetto, anche perché... oggi in giro ci sono tante marchin' band, ma all'epoca non ce n'erano, noi siamo stati i primi e quindi... era tutto da vedere, magari andavi fuori e la gente non ti stava nemmeno ad ascoltare... Poi... uno non fa il progetto per la gente, lo fa prima di tutto per esprimere le proprie idee artistiche, musicali, poi se va bene... naturalmente fa piacere! Quando ho iniziato con i Funk Off avevo trentacinque anni, erano quindici anni che provavo a fare musica e che vivevo di musica comunque e non lavoro nel mondo del pop – ho avuto collaborazioni pop, ma comunque non faccio musica pop - quindi per me un progetto parte come un'esigenza artistica, in altri contesti parte invece con l'idea di guadagnare, di diventare famosi, come nel caso dei talent."

Oltre a questo... vedo gruppi che hanno avuto un ottimo riscontro, che se lo meritano e che... anche loro non partono con l'intenzione di "diventare famosi" e tantomeno si aspettavano quello che poi sono riusciti a realizzare, parlo di gruppi assolutamente non commerciali, che però nell'impostazione iniziale avevano un approccio diverso fin dall'inizio, a livello di diffusione della loro musica, rispetto alle nuove tecnologie per esempio.

"Una banda così" Funk Off
"Ah la nostra diffusione è stata quella più vecchio stile del mondo, abbiamo cominciato a fare live, a quei tempi solo marcianti. Al tempo, nei live in strada, facevamo un po' come ora in realtà, alcuni dei pezzi avevano delle coreografie più strutturate e altri invece meno, poi però andando avanti negli anni si sono aggiunti Alessandro Sugelli, Francesco Bassi, Andrea Pasi (i principali curatori delle coreografie, ndr). All'inizio eravamo veramente "solo" una marchin' band; io mi ricordo che quando ci è successo di fare il primo concerto su un palco io... non è che fossi tanto sicuro e convinto che la cosa potesse funzionare, quindi poi... ovviamente c'è stato uno sviluppo, dal concerto di marchin' band che marcia per la strada e che suona muovendosi a quello di una formazione che resta di marchin' band ma che suona anche su un palco e naturalmente è diversa la cosa."

Una cosa però mi ha colpito, per la sua dolcezza... Già dai video dei live, dalle performance che ho potuto trovare online perché purtroppo non ho mai avuto occasione di vedervi dal vivo, mi dai l'impressione, in particolare con i più giovani, di essere un po' "lo zio" della situazione; mentre suonate, lo scambio di gesti, di sguardi, sembra tu abbia un senso di protezione verso i tuoi musicisti, anche con quelli che più o meno hanno la tua età in realtà, però con i più giovani è più palpabile la cosa... è un'impressione mia o è così davvero?

"Beh... certo... io sono... diciamo così... a capo dei Funk Off, quindi... è ovvio che proteggo i Funk Off. In realtà non ce n'è mai bisogno, anzi, a volte devo stare attento a proteggermi da loro perché sai, in quattordici contro uno...! (ride con affetto..., ndr). No beh, sono protettivo nel senso che voglio bene a questa band, fa parte di me, dunque sono protettivo con loro come lo sarei verso me stesso; poi lo scambio di sguardi, di gesti, sicuramente è una questione di feeling, ma è anche frutto di esigenze musicali, direttive. C'è talmente tanto affiatamento che... basta che loro mi guardino, gli basta vedere come mi muovo, con un'occhiata ci intendiamo, se c'è qualcosa che non va o se c'è qualcosa che voglio dire, loro lo capiscono al volo. Quello che mi piace dei Funk Off è che il concerto si sviluppa in maniera diversa tutte le volte, a volte nascono cose nuove durante i live, proprio perché c'è molto feeling e dunque io posso "chiamare" delle cose che nelle prove non abbiamo fatto perché c'è molta empatia tra noi. Riguardo ai più giovani... non so... tanto sono tutti più giovani di me! (ride - ah ah, ndr). Mi piace che succedano le cose sul palco, nel jazz succede questo, quello che accade stasera non accade domani sera e quello che succede domani sera non succederà l'indomani e il nostro approccio viene molto dal jazz. Per esempio, se parliamo di un concerto di musica pop, si parla di un "prodotto perfetto", pensato, organizzato, perché deve essere più o meno sempre così com'è. Nel progetto dei Funk Off è esattamente il contrario, è un "prodotto imperfetto", comunque organizzato, ma che trova energia, linfa e cambiamento durante lo sviluppo del concerto. Questo ci riporta al fatto dell'essere empatici l'uno nei confronti degli altri e anche al correre dei rischi. A volte è successo, magari io ho lanciato delle chiamate che al momento non sono state colte ed è capitato facessimo degli errori anche evidenti, ma va bene, ci sta, anche nella vita è così. A me proprio... non interessa fare una musica perfetta."

Siete anche a lavoro per il nuovo album che esce ad Aprile 2015 giusto? Dimmi dimmi, racconta eh eh...

"Riguardo al nuovo album beh, io sono molto contento perché ha un sound diverso dagli album precedenti – al di la' del fatto che ovviamente sono pezzi nuovi - proprio come ispirazione, arrangiamenti, produzione. Oltretutto ci sono tre ospiti, due dei quali hanno collaborato anche alla composizione dei brani, hanno scritto i testi di due brani e li cantano. "Dance with me" con AverySunshine e "Déjà Vu" con Raul Midon. L'altro ospite è Fred Wesley, che era il trombonista della della band di James Brown (The J.B. 's - ndr). Per me questo è l'album più soul tra gli album dei Funk Off. Non tutti i brani sono soul, ma una buona parte è comunque d'ispirazione soul, anche perché venivo da un periodo di ascolti di artisti come Marvin Gaye, Bill Withers, Leon Ware, Curtis Mayfield e io... ce li sento, sono veramente contento."

Qualche novità sui prossimi live? (date a fondo articolo, ndr)

"Abbiamo vari concerti e varie Street Parades. Inoltre presenteremo in alcuni teatri il nuovo album e in questi eventi avremo come ospite Karima, una collaborazione nuova. Lei è molto brava a cantare ed è molto brava a cantare in inglese ed avendo composto dei pezzi in inglese è nata questa cosa; poi faremo anche un pezzo suo, con un arrangiamento un po' "funkoffizzato" diciamo eh eh..."

Ora parliamo di parole, è una cosa che adoro quando chiacchiero con musicisti, artisti e anche in generale... dimmi una, due.. quelle che vuoi... parole per te essenziali e qual è per te il loro significato più profondo, il motivo della scelta... Perché le parole, come la musica, sono un mondo non credi...?

"Di sicuro "armonia", "equilibrio", sono le parole che hanno un significato particolare per me. "Armonia" perché... mi piace avere armonia intorno, mi piace dal punto di vista umano e mi piace perché nella musica... amo molto l'armonia o le sfumature che l'armonia può dare... penso che quando c'è armonia tutte le cose siano migliori. "Equilibrio" perché l'equilibrio è una cosa importante, una cosa della quale sono sempre alla ricerca e... a volte lo trovo e a volte non lo trovo; e questo sia nella musica che nella vita. Questo però non significa che i pezzi debbano per forza essere equilibrati, anzi, fondamentalmente penso che nel momento compositivo, creativo, sia necessario essere tutt'altro che equilibrati, che si debba essere "esagerati", "illogici", che si debba seguire l'istinto, abbandonarsi ai sentimenti e alla creatività stessa, quindi in quella fase credo che l'equilibrio non sia produttivo. Per tutto il resto però credo che nella vita l'equilibrio sia una cosa fondamentale; questo non vuol dire che poi io ce l'abbia (sorride..., ndr)."

Ai di la' della musica ci sono altre discipline artistiche che ami particolarmente? e se si, perché?

"In realtà mi piacciono molto tutte le discipline artistiche, mi piace molto la danza, mi piace molto la pittura, il disegno, mi piace l'arte in generale, infatti soffro molto per la totale assenza di rispetto che c'è nei confronti dell'arte e della cultura in Italia. Mi piacerebbe saper disegnare, ma non ho un gran talento e non avrei nemmeno il tempo per potermi applicare. Mi piacciono molto anche le parole, mi piace molto... il suono delle parole... Le parole hanno un peso, dunque cerco di usarle per il peso che penso che abbiano e per il peso che gli do' io..."

[Non commento più di tanto ma... se seguite quello che faccio un po' mi conoscete, quindi potrete immaginare quanto mi abbia fatto un'immenso piacere sentire queste parole...]

Per chiudere... come descriveresti te stesso e come descriveresti i Funk Off...?

"Beh... io mi descrivo come uno che cerca di vivere per quanto può nella Musica e... di sicuro i Funk Off lo sanno... Cerco di esprimere le mie idee nella musica in maniera sincera, prendendomi dei rischi anche, cercando sempre di andare avanti, di fare sempre cose diverse rispetto a quelle che ho già fatto. Penso di essere una persona molto sensibile, ma anche perché... me lo dicono gli altri... credo si saper ascoltare, quindi cerco sempre – rispetto anche a quello che ti dicevo prima – di costruire un'armonia, cerco di avere il massimo dell'armonia attorno a me. A volte ci riesco e a volte no. Questo non vuol dire che poi non si arrivi talvolta anche a degli scontri, purtroppo succede... ("Beh... servono anche quelli..." commento io nel frattempo...). I Funk Off... come descriverli... mi ritengo una persona fortunata perché ho avuto un'idea e ho trovato quattordici persone che mi hanno seguito per realizzarla ed è una fortuna che non tutti hanno avuto. I Funk Off sono un gruppo che si basa sulla musica e sull'amicizia, su una forte aggregazione tra le persone che ne fanno parte e che sono in gran parte vissute insieme essendo undici di noi dello stesso paese; poi c'è Alessandro che da tanti anni abita a Vicchio e poi ci sono tre musicisti che vengono da Firenze, da Prato, da Montepulciano e sono i membri più recenti della band. Comunque sia i Funk Off sono un gruppo che si basa molto sui rapporti umani e questi rapporti umani, un po' per indole, un po' per come è nato il progetto, per come nascono i pezzi... si trasmettono con naturalezza nella musica stessa. E' un gruppo molto unito, nonostante sia fatto di persone molto diverse tra loro e dunque quando ci sono da prendere delle decisioni io dico sempre "cerco di scontentare tutti il meno possibile" perché accontentare tutti è impossibile."

Grazie Dario, per questo bell'incontro sul Cammino.



I prossimi Live:

24 aprile 2015 – a Latina (LT)
02 maggio 2015 – al Teatro Carrara, Carrara (MS)
16 maggio 2015 – al Vicenza Jazz Festival, Vincenza (VI)
17 maggio 2015 – al Teatro Thiene, Thiene (VI)
20 maggio 2015 – alla Casa del Jazz, Roma
29 maggio 2015 – a Novazzano (CH)

I Funk Off:
Dario Cecchini - sax baritono e direzione musicale
Paolo Bini, Mirco Rubegni ed Emiliano Bassi - tromba
Sergio Santelli e Tiziano Panchetti - sax alto
Andrea Pasi e Claudio Giovagnoli - sax tenore
Giacomo Bassi e Nicola Cipriani - sax baritono
Giordano Geroni - sousafono
Francesco Bassi - rullante e coordinatore sezione ritmica
Alessandro Suggelli - cassa
Luca Bassani - piatti
Daniele Bassi - percussioni leggere