Siamo ad aprile, è vero, ma io
ancora mi sento felice se penso al 20 di Gennaio, una serata in cui i Crancy
Crock hanno festeggiato i loro venticinque anni al Joe Koala di Osio Sopra
(BG). Avevo già ascoltato il loro album, prima di sentire le belle novità anche
dal vivo e, nel frattempo, direi che me lo sono mangiato, anzi, “smangiato” (fra
un po’ il cd va in sciopero per “abuso d’uso”). Quella sera i ragazzi hanno
riportato sul palco la loro storia: la gente era letteralmente impazzita (“la
gente giusta”, come ha commentato Dario); salti, pogo, persone che
volavano riuscendo a sfidare la forza di gravità, mani alzate, sudore e
mancanza d’ossigeno (le pareti protestavano, era il pubblico a comprimerle, non
viceversa). Alla fine, coi Crancy, è sempre una grande festa. Poi bisogna
dirlo, Crancy Crock e Totale Apatia sono veramente e sinceramente una grande
famiglia, di quelle belle davvero ed ogni volta che si trovano insieme, che sia
per seguirsi a vicenda o per suonare, “si fa il botto”; non solo con l’energia
e la musica, bensì con il bene vero che ci si vuole, le risate, le prese in
giro, il dire, a fine serata: “No, ma non lo so cosa è successo stasera”, perché
va sempre talmente bene l’accoppiata che succedono cose stupende. E quella sera
la sezione ritmica dei Totale Apatia (Cresta e Ringhio) è salita sul palco per
la versione Crancy di “Giorni Storti” (poi ci arriviamo). A me i Crancy
sono sempre piaciuti, ma devo dire che ho apprezzato in modo particolare gli
ultimi due lavori. Il penultimo “Ci vuol partecipazione”, album live
registrato durante il Bergamo Strange Music Fest e, rullo di tamburi,
quella meraviglia di “Mayday” (clicca per ascoltare). E qui
arriviamo al succo.
“Positive punk”: ho deciso
di coniare questo termine per i Crancy e per il loro “Mayday” perché l’album è
pieno di carica positiva. Dirlo così è persino riduttivo, bisogna ascoltarlo ed
è uno di quegli album che più li ascolti e più li ami. Se siete in un periodo
scarico, negativo o triste, ascoltate “Mayday” ogni giorno come se fosse una
prescrizione medica, perché – seriamente - sarà la vostra medicina. La prima
traccia è “Basta piangere” che affronta a muso duro e dolce al tempo
stesso le situazioni di stallo. “Basta piangere, basta lamentele. Ti sei
trovato in trappola nella tua stessa rete”. A volte pensiamo di essere
troppo stanchi, mentalmente oltre che fisicamente, per affrontare le sfide che
la vita propone. In realtà, se ci fossilizziamo su questo, è come chiuderci in
trappola da soli. Dunque “Niente tristezza, che è solo fine a sé stessa e
dona a chi ti parla la superiorità”; si, perché poi, se non reagiamo come
Rocky Balboa ai colpi incassati, se non ci rialziamo, diventa tutto un loop e
poi arrivano pure i sapientoni a farti la morale (c’è sempre il
sapientone/finto guru che vuole dirti come stare meglio quando hai un periodo
buio. Peccato che di solito non sa nemmeno di cosa parla, perché nemmeno ti
chiede come stai). Pone poi l’attenzione su quelle persone che diventano un po’
vittime di sé stesse, ma non si fanno mai le domande giuste. A volte le persone
si sentono bersagli della vita, senza rendersi conto che – certo, molte volte
accadono cose spiacevoli indipendentemente da noi – ma a volte, è proprio
l’atteggiamento mentale che si mantiene a portare tristezza, rabbia e frustrazione.
Bisogna prendere in mano la propria vita, lavorare su sé stessi, è questo il
suggerimento del pezzo: cambiare, crescere, per fare del bene a sé stessi, alla
propria esistenza e a coloro che abbiamo intorno e vicino. Arriva dunque
l’esempio del “narratore”: “Non credi più alle favole, non credi più ai tuoi
sogni, ma è un cambio di mentalità. Seppur colpito spesso, non hai mai smesso
di credere in te stesso.” Per quante botte arrivino, tu rialzati sempre e
credi in te. È una cosa che si può imparare o reimparare, non è necessariamente
innata, anzi. Infatti anche Dario, nel testo, lo fa presente: “Io sono
cambiato, tu puoi fare altrettanto. La strada stavolta la detta il tuo istinto.
Alimenta quel fuoco che ti brucia dentro. Col muso nel sangue, sempre più
infelice, la rabbia nel sangue dà forza alla voce. Adesso alza la testa, ne sei
nato capace.” “La rabbia nel sangue dà forza alla voce”: una
delle frasi più belle dell’intero album. Contiene tanta, tanta, tanta roba.
Musicalmente allegra, di un punk rock della più bella scuola, unisce alla base
punk rock l’apertura di contaminazioni ben piazzate. “La guerra delle
lancette” è un bel “quadro futurista”, uno sguardo alle lancette che
scorrono, a tutti noi che sfiliamo e ci defiliamo come particelle impazzite; i
giorni si susseguono uno dopo l’altro, togliendoci l’opportunità di vivere
davvero gli istanti. All’inizio del brano, si sente subito nelle chitarre, quel
tempo che scorre “uguale”, ma si sente anche il “suono di contrasto” che questa
cosa non la accetta mica tanto e quindi via, la batteria inizia con il suo di
tempo e Pongo conduce col basso di Gio alle varie dimensioni sonore delle
chitarre di Dario e Toma, dal punk all’hardcore con tratti di colore che
riescono a raccontare con la musica, come se fossero colonna sonora di sé
stesse, le emozioni e le idee che il messaggio va a scaturire. Una narrazione
in toto, testo e musica, in una miscela perfetta. Il tempo vola via e noi lo
stiamo quasi a guardare. Quel che fa “La guerra delle lancette” è esortare il
pubblico a non darla vinta a tutta questa frenesia. Dobbiamo lavorare, dobbiamo
fare un sacco di cose, è vero, ma se lo desideriamo veramente, basta aprire un
po’ gli occhi per rendersi conto di quanta meraviglia si può ottenere dalla
vita, a partire dalle piccole cose, fino a quelle più importanti. È tutta una
questione di coraggio in fondo, perché non è semplice fare i conti con sé
stessi. Ci vuole, per forza, il coraggio: quello per ritrovarsi nel caos,
quello che serve ad assaporare le cose genuine, vere ed anche la forza di
volontà per ritagliarsi sempre un pezzetto di tempo per fare quello in cui
crediamo: “Per non sprecare il tuo talento, cambia passo e vai più lento, ce
l'hai il coraggio? Trovalo! Senti il sapore di ogni istante, osserva tutto
attentamente, il tempo - un giorno - nacque libero! Il giorno nacque libero!”.
E con quest’ultimo verso del ritornello, direi che non c’è altro da aggiungere.
Quello di quest’album è un punk
rock gustoso, che fa riflettere senza pesantezza, che dona sempre
all’ascoltatore uno spunto per darsi la carica e dirsi “Ma sai che questi ragazzi
hanno proprio ragione?”. I Crancy del resto sono allegria pura, dei padri
di famiglia che hanno saputo mantenere negli anni il gusto del gioco e la
genuinità; al giorno d’oggi non è affatto scontato essere così. Sono sempre
ragazzi, anche se uomini e sono sempre uomini, pur se ragazzi. E cosa significa
essere un uomo secondo voi? Con “Mayday”, il brano di punta che
dà il titolo all’album e primo singolo, i Crancy Crock ci dicono chiaramente cosa
non è, un uomo. Di sicuro, un uomo non è tale per “la voce grossa” o
perché fa “un’offerta da bravo cristiano, ma senza il coraggio di
guardarsi in faccia”. C’è questa grave malattia nell’uomo, la violenza, che
sembra dare a questi soggetti un senso di onnipotenza come dicono i Crancy
stessi, ma alla fine si sa: “A volte sembra invincibile, ma tutti sanno che
il mostro, alla luce del giorno, ha paura di me!”. Ed è esattamente così: c’è un’enorme codardia nella
violenza. “Mayday” richiama fortemente il tema della violenza sulle donne.
Certo, il brano è contro ogni forma di violenza, ma credo che l’intento fosse
mettere l’accento su quanto siano schifosi, codardi, insulsi, tutti quegli
uomini che fanno del male, psicologicamente e fisicamente, alle loro compagne,
fidanzate, mogli, figlie, sorelle. In quel che dovrebbe essere un circuito
protetto e pieno d’amore, compare il mostro. Ricordate quel segno con la mano
che è girato molto sui social e serve proprio per segnalare una situazione di
pericolo? Se non ve lo ricordate, andate a rivedervelo e soprattutto, non siate
indifferenti. Potrebbero usarlo una donna, un bambino o una bambina in
pericolo, un uomo in difficoltà. Quel segno, è un “Mayday”: “Hey hey! È il
mio turno per vincere, non stare a guardare, mentre lancio un altro Mayday!”.
Credo di poter star tranquilla
nel paragonare i brani di quest’album e l’attitudine dei Crancy ai migliori
Punkreas. In “Mayday” si sente più che in altri pezzi, questa bella scuola. “Un
nuovo giorno”, ancora una volta ci esorta a prendere il controllo delle
nostre vite. A volte “l’ospite nella nostra mente” è proprio la nostra
incapacità di aprire gli occhi. La vita è una ed anche se a volte rischiamo
seriamente di perderci, c’è sempre la possibilità di “stupirsi” ed evitare di
perdersi senza ritorno. Lo stupore, la meraviglia, fanno del bambino un essere
umano meraviglioso per natura e di un adulto che li sa mantenere un essere
umano saggio. Vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Sembra solo una frase
fatta ragazzi, ma è vero. Ogni giorno è prezioso, ogni momento. E attenzione! “Assaporare
ogni momento non significa esser spento!”, vale a dire: non è che devi
spegnere il cervello per vivere ogni momento come se fosse l’ultimo. Vivere non
è questo. Passare il tempo a “non respirare”, non è una buona idea: “È
un nuovo giorno, l'unico giorno che ho. Un nuovo giorno, è l'unico. Immerso in
un istante, lentamente si migliora. Lasciare andare ciò che è stato e respirare
ancora.” Tutto questo album affronta temi importanti, con un’attitudine
tale da renderlo un mega inno alla vita. Questo brano è uno di quelli da
imparare a memoria per cantarlo ai concerti a squarciagola. Così come “Vero”,
di cui è uscito anche un bel video il 13 Marzo. Non servono grandi effetti
speciali per fare un video genuino e significativo. E il video di “Vero”, così
come il pezzo, è veramente pregno di significati. Il brano è una spinta, una
carica, un “tu puoi”. Riprendendo un po’ il concetto di Rocky a cui ho fatto
riferimento in precedenza, mi viene da proporvi la classica, ma efficace
immagine della vita rappresentata da un ring: combattere, mettere all’angolo i “propri
fantasmi”, “raccogliere l’energia” ed iniziare a correre a
braccia e cuore aperti verso i propri obbiettivi, senza curarsi di coloro che
non capiscono e non capiranno mai: “I pregiudizi come cera si sciolgono e
appare quello che presto tu diverrai. Il tuo fantasma è sconfitto in un angolo.
Salta e spicca il volo”. Non importa cosa dice la gente, cosa pensa. Se
ci sono soggetti che si permettono di giudicarti o di parlar male di te, mandali
a fanculo e non starci nemmeno male perché come mi ha detto un caro amico un
giorno “se qualcuno parla male degli altri è perché non può parlar bene di
sé stesso”. Nel video, il grande esempio è quello della disabilità ed è
vero, da molte di queste situazioni dovremmo imparare, ma so per esperienza –
soffrendo di una malattia cronica dolorosa in forma molto severa – che non è
semplice far comprendere quanto sia fondamentale il messaggio di questa canzone
(e tutto quel che ne consegue) per sopravvivere a certe cose. A volte davvero,
le persone passano il tempo a rimuginare su problemi per i quali basterebbe
crederci, credere un po’ di più in sé stessi “per spiccare il volo”. Dunque,
se i problemi che avete sono risolvibili e siete in perenne paranoia, pensate a
quante persone ogni giorno combattono problemi non risolvibili e riescono
comunque a raggiungere piccoli e grandi obbiettivi, a fare piccole e grandi
conquiste. Mettetelo in un angolo, il fantasma di voi stessi. E se avete di
bisogno di una spinta, anche qui, ascoltate tutti i giorni fino allo stremo
“Vero” e vedrete che vi entrerà in testa.
E poi (e anche qui ci vorrebbe un
rullo di tamburi… Alby, dove sei quando servi!?!) c’è "Lacrime di
cemento". “Lacrime di cemento”, “Lacrime di cemento”, “Lacrime di
cemento”: lo sentite, il peso?
Scrivere e comporre un brano su
una tale tragedia e non finire, anche non volendo, nella banalità, nella gaffe,
nell’eccesso in un senso o nell’altro, è estremamente difficile e i Crancy
Crock, hanno fatto un lavoro eccezionale: non è melodrammatico, è tragico. Non
è banale, è reale. È genuino, è forte, crudo, è una carezza a chi è restato ed
è un pugno sulla mascella per chi se lo merita. Questo pezzo, per chi non lo
sapesse, riguarda il crollo del ponte Morandi. È stato scritto e composto in
onore delle sue vittime ed è un urlo, una richiesta di vera giustizia (certo non
quella che vediamo tuttora a riguardo). Il timbro deciso, le sfumature fatte di
una poetica dolce, il ritmo incalzante del punk rock. Punk-Rock, ci tengo a
sottolinearlo perché ahimè molte persone confondono il punk e il punk rock. Non
è la stessa cosa ragazzi/e. Il punk è punk, il punk rock è punk rock e in un brano
come questo, più che in altri, è bene sottolinearlo perché fa la differenza dal
punto di vista espressivo, emozionale. La fa o dovrebbe farla sempre, ma
essendo l’argomento particolarmente difficile e delicato, ho preferito mettere
i puntini sulle “i”.
E infine (non sono andata in
ordine di tracce, fa niente?) arriviamo a “Giorni storti”, omaggio dei
Crancy Crock ai fratelli Totale Apatia. A proposito, prima di parlare del
brano, sappiate che il 22 Aprile Crancy Crock e Totale Apatia torneranno
sullo stesso palco al Disaster di Crema (link evento e info qui) e davvero,
non si può perdere una serata così. Dicevo di “Giorni Storti” ed anche qui mi
torna la voglia di urlare a gran voce “Positive Punk!”. Perché? L’avete notata
la piccola modifica del testo a inizio brano? No? Ok, allora anziché dirvela
fate così: andate ad ascoltarvi l’originale dei Totale Apatia, pubblicato
nell’album “Generazione di Fenomeni” nel 2015 e poi andate ad ascoltarvi la
versione dei Crancy Crock. Io trovo che sia stato meraviglioso quel tocco.
Meraviglioso e all’insegna ancora una volta della positività. No, non ve lo
dico! Ve lo andate ad ascoltare! L’originale dei Totale Apatia è stupenda, ha
un approccio diverso perché è ovviamente stata scritta con intenti diversi,
dunque come fare a renderla propria? L’hanno fatto e davvero alla grande.
Velocizzata di un bel po’ rispetto all’originale, è – in questo caso – più punk
che punk rock. C’è poi un’altra chicca (questa ve la dico, l’altra no, no, no)
che riguarda sempre una modifica nel testo. Sorrido pensando a persone che
sull’associazione di pezzi di cui vi sto per parlare hanno creato persino delle
leggende metropolitane. “Facce tristi”, Crancy Crock, pubblicazione del 2006 riproposta in forma rinnovata e live in “Ci vuol partecipazione” (2021). Un
brano musicalmente e anche per il testo completamente diverso da “Giorni
storti”. Entrambi pezzi fantastici e molto amati nei repertori delle due band.
Si narra che un dì, i due autori di testi, stessero parlando della sorta di
assonanza di concetti che c’è tra i due titoli Facce tristi – Giorni storti e
in effetti questa chiacchierata c’è stata, una chiacchiera tra amici,
l’empatia, musicale e personale, in sostanza. Nella versione di “Giorni storti”
dei Crancy Crock, troviamo un bel “Facce tristi” cantato a squarciagola che è letteralmente
perfetto. Chi segue i Crancy se ne sarà accorto subito, però magari si è
chiesto il perché di questa “associazione”. Beh, ora lo sapete. Alla
registrazione del brano ha partecipato anche Russu, dei Totale Apatia. L’idea
iniziale era quella di fare uno scambio brani per cui entrambe le band
avrebbero rifatto un brano dell’altra e l’avrebbero inserito nel “primo album
in uscita” dopo che ne avevano parlato. Ahimè i Totale Apatia avevano progetti
che si sono dilungati e sono stati posticipati nel tempo per diversi intoppi
esterni, dunque la loro versione di… chissà quale sarà il pezzo? non è ancora
arrivata, ma intanto… potete godervi questa fantastica versione dei Crancy
Crock di “Giorni storti”. Mi auguro davvero di sentire al più presto un brano
dei Crancy Crock rifatto dai Totale Apatia, perché l’affetto, la stima, tra
queste due band, è davvero cosa rara.
Crancy e Totale vi aspettano il
22 aprile e qui sotto tutti i link per rimanere sempre aggiornati. Al prossimo
live!
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