Visualizzazione post con etichetta punk rock. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta punk rock. Mostra tutti i post

venerdì 14 aprile 2023

“Mayday”: il Positive Punk dei Crancy Crock

 

copertina album Mayday Crancy Crock

Siamo ad aprile, è vero, ma io ancora mi sento felice se penso al 20 di Gennaio, una serata in cui i Crancy Crock hanno festeggiato i loro venticinque anni al Joe Koala di Osio Sopra (BG). Avevo già ascoltato il loro album, prima di sentire le belle novità anche dal vivo e, nel frattempo, direi che me lo sono mangiato, anzi, “smangiato” (fra un po’ il cd va in sciopero per “abuso d’uso”). Quella sera i ragazzi hanno riportato sul palco la loro storia: la gente era letteralmente impazzita (“la gente giusta”, come ha commentato Dario); salti, pogo, persone che volavano riuscendo a sfidare la forza di gravità, mani alzate, sudore e mancanza d’ossigeno (le pareti protestavano, era il pubblico a comprimerle, non viceversa). Alla fine, coi Crancy, è sempre una grande festa. Poi bisogna dirlo, Crancy Crock e Totale Apatia sono veramente e sinceramente una grande famiglia, di quelle belle davvero ed ogni volta che si trovano insieme, che sia per seguirsi a vicenda o per suonare, “si fa il botto”; non solo con l’energia e la musica, bensì con il bene vero che ci si vuole, le risate, le prese in giro, il dire, a fine serata: “No, ma non lo so cosa è successo stasera”, perché va sempre talmente bene l’accoppiata che succedono cose stupende. E quella sera la sezione ritmica dei Totale Apatia (Cresta e Ringhio) è salita sul palco per la versione Crancy di “Giorni Storti” (poi ci arriviamo). A me i Crancy sono sempre piaciuti, ma devo dire che ho apprezzato in modo particolare gli ultimi due lavori. Il penultimo “Ci vuol partecipazione”, album live registrato durante il Bergamo Strange Music Fest e, rullo di tamburi, quella meraviglia di “Mayday” (clicca per ascoltare). E qui arriviamo al succo.

“Positive punk”: ho deciso di coniare questo termine per i Crancy e per il loro “Mayday” perché l’album è pieno di carica positiva. Dirlo così è persino riduttivo, bisogna ascoltarlo ed è uno di quegli album che più li ascolti e più li ami. Se siete in un periodo scarico, negativo o triste, ascoltate “Mayday” ogni giorno come se fosse una prescrizione medica, perché – seriamente - sarà la vostra medicina. La prima traccia è “Basta piangere” che affronta a muso duro e dolce al tempo stesso le situazioni di stallo. “Basta piangere, basta lamentele. Ti sei trovato in trappola nella tua stessa rete”. A volte pensiamo di essere troppo stanchi, mentalmente oltre che fisicamente, per affrontare le sfide che la vita propone. In realtà, se ci fossilizziamo su questo, è come chiuderci in trappola da soli. Dunque “Niente tristezza, che è solo fine a sé stessa e dona a chi ti parla la superiorità”; si, perché poi, se non reagiamo come Rocky Balboa ai colpi incassati, se non ci rialziamo, diventa tutto un loop e poi arrivano pure i sapientoni a farti la morale (c’è sempre il sapientone/finto guru che vuole dirti come stare meglio quando hai un periodo buio. Peccato che di solito non sa nemmeno di cosa parla, perché nemmeno ti chiede come stai). Pone poi l’attenzione su quelle persone che diventano un po’ vittime di sé stesse, ma non si fanno mai le domande giuste. A volte le persone si sentono bersagli della vita, senza rendersi conto che – certo, molte volte accadono cose spiacevoli indipendentemente da noi – ma a volte, è proprio l’atteggiamento mentale che si mantiene a portare tristezza, rabbia e frustrazione. Bisogna prendere in mano la propria vita, lavorare su sé stessi, è questo il suggerimento del pezzo: cambiare, crescere, per fare del bene a sé stessi, alla propria esistenza e a coloro che abbiamo intorno e vicino. Arriva dunque l’esempio del “narratore”: “Non credi più alle favole, non credi più ai tuoi sogni, ma è un cambio di mentalità. Seppur colpito spesso, non hai mai smesso di credere in te stesso.” Per quante botte arrivino, tu rialzati sempre e credi in te. È una cosa che si può imparare o reimparare, non è necessariamente innata, anzi. Infatti anche Dario, nel testo, lo fa presente: “Io sono cambiato, tu puoi fare altrettanto. La strada stavolta la detta il tuo istinto. Alimenta quel fuoco che ti brucia dentro. Col muso nel sangue, sempre più infelice, la rabbia nel sangue dà forza alla voce. Adesso alza la testa, ne sei nato capace.” La rabbia nel sangue dà forza alla voce”: una delle frasi più belle dell’intero album. Contiene tanta, tanta, tanta roba. Musicalmente allegra, di un punk rock della più bella scuola, unisce alla base punk rock l’apertura di contaminazioni ben piazzate. “La guerra delle lancette” è un bel “quadro futurista”, uno sguardo alle lancette che scorrono, a tutti noi che sfiliamo e ci defiliamo come particelle impazzite; i giorni si susseguono uno dopo l’altro, togliendoci l’opportunità di vivere davvero gli istanti. All’inizio del brano, si sente subito nelle chitarre, quel tempo che scorre “uguale”, ma si sente anche il “suono di contrasto” che questa cosa non la accetta mica tanto e quindi via, la batteria inizia con il suo di tempo e Pongo conduce col basso di Gio alle varie dimensioni sonore delle chitarre di Dario e Toma, dal punk all’hardcore con tratti di colore che riescono a raccontare con la musica, come se fossero colonna sonora di sé stesse, le emozioni e le idee che il messaggio va a scaturire. Una narrazione in toto, testo e musica, in una miscela perfetta. Il tempo vola via e noi lo stiamo quasi a guardare. Quel che fa “La guerra delle lancette” è esortare il pubblico a non darla vinta a tutta questa frenesia. Dobbiamo lavorare, dobbiamo fare un sacco di cose, è vero, ma se lo desideriamo veramente, basta aprire un po’ gli occhi per rendersi conto di quanta meraviglia si può ottenere dalla vita, a partire dalle piccole cose, fino a quelle più importanti. È tutta una questione di coraggio in fondo, perché non è semplice fare i conti con sé stessi. Ci vuole, per forza, il coraggio: quello per ritrovarsi nel caos, quello che serve ad assaporare le cose genuine, vere ed anche la forza di volontà per ritagliarsi sempre un pezzetto di tempo per fare quello in cui crediamo: “Per non sprecare il tuo talento, cambia passo e vai più lento, ce l'hai il coraggio? Trovalo! Senti il sapore di ogni istante, osserva tutto attentamente, il tempo - un giorno - nacque libero! Il giorno nacque libero!”. E con quest’ultimo verso del ritornello, direi che non c’è altro da aggiungere.

Quello di quest’album è un punk rock gustoso, che fa riflettere senza pesantezza, che dona sempre all’ascoltatore uno spunto per darsi la carica e dirsi “Ma sai che questi ragazzi hanno proprio ragione?”. I Crancy del resto sono allegria pura, dei padri di famiglia che hanno saputo mantenere negli anni il gusto del gioco e la genuinità; al giorno d’oggi non è affatto scontato essere così. Sono sempre ragazzi, anche se uomini e sono sempre uomini, pur se ragazzi. E cosa significa essere un uomo secondo voi? Con “Mayday”, il brano di punta che dà il titolo all’album e primo singolo, i Crancy Crock ci dicono chiaramente cosa non è, un uomo. Di sicuro, un uomo non è tale per “la voce grossa” o perché fa “un’offerta da bravo cristiano, ma senza il coraggio di guardarsi in faccia”. C’è questa grave malattia nell’uomo, la violenza, che sembra dare a questi soggetti un senso di onnipotenza come dicono i Crancy stessi, ma alla fine si sa: “A volte sembra invincibile, ma tutti sanno che il mostro, alla luce del giorno, ha paura di me!”.  Ed è esattamente così: c’è un’enorme codardia nella violenza. “Mayday” richiama fortemente il tema della violenza sulle donne. Certo, il brano è contro ogni forma di violenza, ma credo che l’intento fosse mettere l’accento su quanto siano schifosi, codardi, insulsi, tutti quegli uomini che fanno del male, psicologicamente e fisicamente, alle loro compagne, fidanzate, mogli, figlie, sorelle. In quel che dovrebbe essere un circuito protetto e pieno d’amore, compare il mostro. Ricordate quel segno con la mano che è girato molto sui social e serve proprio per segnalare una situazione di pericolo? Se non ve lo ricordate, andate a rivedervelo e soprattutto, non siate indifferenti. Potrebbero usarlo una donna, un bambino o una bambina in pericolo, un uomo in difficoltà. Quel segno, è un “Mayday”: “Hey hey! È il mio turno per vincere, non stare a guardare, mentre lancio un altro Mayday!”.

Credo di poter star tranquilla nel paragonare i brani di quest’album e l’attitudine dei Crancy ai migliori Punkreas. In “Mayday” si sente più che in altri pezzi, questa bella scuola. “Un nuovo giorno”, ancora una volta ci esorta a prendere il controllo delle nostre vite. A volte “l’ospite nella nostra mente” è proprio la nostra incapacità di aprire gli occhi. La vita è una ed anche se a volte rischiamo seriamente di perderci, c’è sempre la possibilità di “stupirsi” ed evitare di perdersi senza ritorno. Lo stupore, la meraviglia, fanno del bambino un essere umano meraviglioso per natura e di un adulto che li sa mantenere un essere umano saggio. Vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Sembra solo una frase fatta ragazzi, ma è vero. Ogni giorno è prezioso, ogni momento. E attenzione! “Assaporare ogni momento non significa esser spento!”, vale a dire: non è che devi spegnere il cervello per vivere ogni momento come se fosse l’ultimo. Vivere non è questo. Passare il tempo a “non respirare”, non è una buona idea: “È un nuovo giorno, l'unico giorno che ho. Un nuovo giorno, è l'unico. Immerso in un istante, lentamente si migliora. Lasciare andare ciò che è stato e respirare ancora.” Tutto questo album affronta temi importanti, con un’attitudine tale da renderlo un mega inno alla vita. Questo brano è uno di quelli da imparare a memoria per cantarlo ai concerti a squarciagola. Così come “Vero”, di cui è uscito anche un bel video il 13 Marzo. Non servono grandi effetti speciali per fare un video genuino e significativo. E il video di “Vero”, così come il pezzo, è veramente pregno di significati. Il brano è una spinta, una carica, un “tu puoi”. Riprendendo un po’ il concetto di Rocky a cui ho fatto riferimento in precedenza, mi viene da proporvi la classica, ma efficace immagine della vita rappresentata da un ring: combattere, mettere all’angolo i “propri fantasmi”, raccogliere l’energia” ed iniziare a correre a braccia e cuore aperti verso i propri obbiettivi, senza curarsi di coloro che non capiscono e non capiranno mai: “I pregiudizi come cera si sciolgono e appare quello che presto tu diverrai. Il tuo fantasma è sconfitto in un angolo. Salta e spicca il volo”. Non importa cosa dice la gente, cosa pensa. Se ci sono soggetti che si permettono di giudicarti o di parlar male di te, mandali a fanculo e non starci nemmeno male perché come mi ha detto un caro amico un giorno “se qualcuno parla male degli altri è perché non può parlar bene di sé stesso”. Nel video, il grande esempio è quello della disabilità ed è vero, da molte di queste situazioni dovremmo imparare, ma so per esperienza – soffrendo di una malattia cronica dolorosa in forma molto severa – che non è semplice far comprendere quanto sia fondamentale il messaggio di questa canzone (e tutto quel che ne consegue) per sopravvivere a certe cose. A volte davvero, le persone passano il tempo a rimuginare su problemi per i quali basterebbe crederci, credere un po’ di più in sé stessi “per spiccare il volo”. Dunque, se i problemi che avete sono risolvibili e siete in perenne paranoia, pensate a quante persone ogni giorno combattono problemi non risolvibili e riescono comunque a raggiungere piccoli e grandi obbiettivi, a fare piccole e grandi conquiste. Mettetelo in un angolo, il fantasma di voi stessi. E se avete di bisogno di una spinta, anche qui, ascoltate tutti i giorni fino allo stremo “Vero” e vedrete che vi entrerà in testa.

E poi (e anche qui ci vorrebbe un rullo di tamburi… Alby, dove sei quando servi!?!) c’è "Lacrime di cemento". “Lacrime di cemento”, “Lacrime di cemento”, “Lacrime di cemento”: lo sentite, il peso?

Scrivere e comporre un brano su una tale tragedia e non finire, anche non volendo, nella banalità, nella gaffe, nell’eccesso in un senso o nell’altro, è estremamente difficile e i Crancy Crock, hanno fatto un lavoro eccezionale: non è melodrammatico, è tragico. Non è banale, è reale. È genuino, è forte, crudo, è una carezza a chi è restato ed è un pugno sulla mascella per chi se lo merita. Questo pezzo, per chi non lo sapesse, riguarda il crollo del ponte Morandi. È stato scritto e composto in onore delle sue vittime ed è un urlo, una richiesta di vera giustizia (certo non quella che vediamo tuttora a riguardo). Il timbro deciso, le sfumature fatte di una poetica dolce, il ritmo incalzante del punk rock. Punk-Rock, ci tengo a sottolinearlo perché ahimè molte persone confondono il punk e il punk rock. Non è la stessa cosa ragazzi/e. Il punk è punk, il punk rock è punk rock e in un brano come questo, più che in altri, è bene sottolinearlo perché fa la differenza dal punto di vista espressivo, emozionale. La fa o dovrebbe farla sempre, ma essendo l’argomento particolarmente difficile e delicato, ho preferito mettere i puntini sulle “i”.

E infine (non sono andata in ordine di tracce, fa niente?) arriviamo a “Giorni storti”, omaggio dei Crancy Crock ai fratelli Totale Apatia. A proposito, prima di parlare del brano, sappiate che il 22 Aprile Crancy Crock e Totale Apatia torneranno sullo stesso palco al Disaster di Crema (link evento e info qui) e davvero, non si può perdere una serata così. Dicevo di “Giorni Storti” ed anche qui mi torna la voglia di urlare a gran voce “Positive Punk!”. Perché? L’avete notata la piccola modifica del testo a inizio brano? No? Ok, allora anziché dirvela fate così: andate ad ascoltarvi l’originale dei Totale Apatia, pubblicato nell’album “Generazione di Fenomeni” nel 2015 e poi andate ad ascoltarvi la versione dei Crancy Crock. Io trovo che sia stato meraviglioso quel tocco. Meraviglioso e all’insegna ancora una volta della positività. No, non ve lo dico! Ve lo andate ad ascoltare! L’originale dei Totale Apatia è stupenda, ha un approccio diverso perché è ovviamente stata scritta con intenti diversi, dunque come fare a renderla propria? L’hanno fatto e davvero alla grande. Velocizzata di un bel po’ rispetto all’originale, è – in questo caso – più punk che punk rock. C’è poi un’altra chicca (questa ve la dico, l’altra no, no, no) che riguarda sempre una modifica nel testo. Sorrido pensando a persone che sull’associazione di pezzi di cui vi sto per parlare hanno creato persino delle leggende metropolitane. “Facce tristi”, Crancy Crock, pubblicazione del 2006 riproposta in forma rinnovata e live in “Ci vuol partecipazione” (2021). Un brano musicalmente e anche per il testo completamente diverso da “Giorni storti”. Entrambi pezzi fantastici e molto amati nei repertori delle due band. Si narra che un dì, i due autori di testi, stessero parlando della sorta di assonanza di concetti che c’è tra i due titoli Facce tristi – Giorni storti e in effetti questa chiacchierata c’è stata, una chiacchiera tra amici, l’empatia, musicale e personale, in sostanza. Nella versione di “Giorni storti” dei Crancy Crock, troviamo un bel “Facce tristi” cantato a squarciagola che è letteralmente perfetto. Chi segue i Crancy se ne sarà accorto subito, però magari si è chiesto il perché di questa “associazione”. Beh, ora lo sapete. Alla registrazione del brano ha partecipato anche Russu, dei Totale Apatia. L’idea iniziale era quella di fare uno scambio brani per cui entrambe le band avrebbero rifatto un brano dell’altra e l’avrebbero inserito nel “primo album in uscita” dopo che ne avevano parlato. Ahimè i Totale Apatia avevano progetti che si sono dilungati e sono stati posticipati nel tempo per diversi intoppi esterni, dunque la loro versione di… chissà quale sarà il pezzo? non è ancora arrivata, ma intanto… potete godervi questa fantastica versione dei Crancy Crock di “Giorni storti”. Mi auguro davvero di sentire al più presto un brano dei Crancy Crock rifatto dai Totale Apatia, perché l’affetto, la stima, tra queste due band, è davvero cosa rara.

Crancy e Totale vi aspettano il 22 aprile e qui sotto tutti i link per rimanere sempre aggiornati. Al prossimo live!

Facebook - Crancy Crock

Instagram: @crancycrock

Website: www.crancycrock.it




lunedì 26 giugno 2017

Flacopunx e i "Coleotteri" di Flaco


Fabrizio Castelli, per tutti Flaco. Per vent'anni ha contribuito a scrivere la storia del punk rock italiano con i Punkreas, con la sua inconfondibile chitarra, con la sua vena da cantautore (scrivendo alcuni dei pezzi più amati della band) ed anche come punto di riferimento, perché lo è sempre stato per tutti. Ora volta pagina e lo fa con il suo stile inconfondibile. Il nuovo progetto di Flaco, i Flacopunx, ha esordito con il primo album "Coleotteri" alla fine del 2016. Ad accompagnarlo in questa nuova avventura, naturalmente, ottimi musicisti (Checco Faini alla voce, Mattia Foglia al basso e ai cori, Matteo Campana alla chitarra, Dario Magri alla batteria e ovviamente il nostro Flaco, alla chitarra e cori. Ah, scusate, c'è un "sesto uomo", Carlo Tattoo, di cui parleremo poi...). Flaco è ancora lì, con la sua inseparabile chitarra, con i suoi fantastici testi, con la sua voglia di fare e con la grinta di chi ci crede fino al midollo. È un album in cui l'identità tutta di Flaco si vede, si sente, in una fusione nitida tra passato e presente, con uno sguardo alto verso il futuro e l'orizzonte. Flaco è un autore che ama le ispirazioni e le contaminazioni, che dice - con grande umiltà - di ritenersi fortunato quando riesce a distillare "una goccia di profumo" da quel che gli capita, dal caos attorno, dai libri che legge, dai film che vede, dalla vita, sua e del mondo. Quando lo guardi suonare vedi la stessa passione che aveva dieci anni fa, quindicianni fa... sapete, non è di quelli che dopo un bel po' di anni che suonano perdono il gusto perché "si abituano". No, Flaco non si abitua, si diverte, fa divertire ed è pieno di passione. Propone tematiche non da poco, il più delle volte, ma lo fa con ironia, vivacità, senza appesantire nulla. Gli è sempre piaciuta l'idea di portare testi da cantautore nel punk rock e ci è sempre riuscito. Se dovessi scegliere un brano che mi ha colpito più di tutti gli altri, in questo nuovo lavoro, è "Dodici ore". Il testo di "Dodici ore" è qualcosa che va al di là del punk, al di là del rock, al di là di tutto, perché è un brano che qualsiasi genitore può sentire suo ed è un brano che anche io che non sono genitore posso sentire mio. E mi commuove, perché i bambini, i ragazzi, sono il futuro e lo sappiamo. Anche chi non è genitore e semplicemente si guarda attorno, un po' di preoccupazioni le ha di certo e spera, pensa, vorrebbe trasmettere il meglio che ha a chi è più giovane, piccolo, bambino. Le tematiche più varie attraversano l'album in quella che Flaco stesso definisce una metamorfosi, personale e musicale, dunque a questo punto, direi di parlarne con lui...

Flaco, il coleottero è proprio un simbolo di trasformazione no? e se si pensa al testo della canzone che poi da il titolo all'album ("Coleotteri", appunto), è una sorta di presa di coscenza, di superamento di una fase di cambiamento, emozioni miste e probabilmente una messa a fuoco sul futuro...?

"Bhe, più del coleottero, che per me rappresenta il ricordo e il memento della mia animalità, è lo scarabeo egiziano a simboleggiare la rinascita e per questo l'ho scelto come simbolo. Caso ha voluto che mi trovassi ad affrontare un cambiamento personale importante (la fine del rapporto coi Punkreas) nello stesso periodo in cui meditavo sulla necesità di uscire dalla bolla ideologica tipica della guerra fredda. Ho cercato per quanto possibile di far coincidere le mie trascurabili vicende biografiche con più importanti cambiamenti geopolitici e storici."

I testi e la musica sono tutti tuoi, ma il sesto uomo, Carlo "Tattoo" Ferrè, mi dicevi che è stato fondamentale...

"Il mio vecchio amico Carlo ha anche fornito spunti importanti dal punto di vista musicale, suggerendo arrangiamenti e soluzioni a cui non avevo pensato. Tuttavia, per quanto mi riguarda, il suo massimo merito sta nell'avermi convinto che potevo scrivere qualcosa di nuovo e di valido e nell'aver sostenuto il mio sforzo in un momento in cui ero piuttosto sfiduciato. Non penso che ce l'avrei fatta senza il suo appoggio e la sua fiducia nelle mie qualità."

"Gorky". È ispirata al romanzo di Martin Cruz Smith?

"No, in realtà è più ispirata a un noto saggio di Hobsbawm intitolato "Il secolo breve", in cui lo storico britannico tratteggia i caratteri della società europea dal 1914 al 1991, mettendo bene in rilievo il potere evocativo della rivoluzione russa su tutta la produzione intellettuale e politica del '900. Solo che l'.U.R.S.S. non c'è più e prima o poi ce ne renderemo conto anche in Italia (mai disperare). Casualmente in quel periodo ho rivisto un mediocre film, penso tratto dal libro e intitolato "Gorky" ed ho pensato che il parco più famoso di Mosca fosse perfetto per il titolo."

Andando in ordine beh, che dire... "Codice rosso". Le tematiche sono tante. Cosa pensavi o cosa hai pensato mentre scrivevi il testo di questo pezzo?

"Ho pensato che non potevo sopportare che una cultura le cui ultime produzioni intellettuali degne di questo nome e libere dal controllo religioso risalgono al XII-XIII secolo d.C., venisse a infettarci con le sue fantasie teologiche. È stata dura "liberarsi della Chiesa": sono seviti Cartesio, Kant, gli Illuministi e poi Nietzsche, Marx, Freud. Tutto questo percorso di secolarizzazione e relativizzazione del sentimento religioso l'Islam non l'ha affrontato. Usano la tecnologia occidentale, le armi, i computer e le droghe occidentali, ma li innestano utilitaristicamente su una cultura ingenuamente religiosa con tratti di violenza per me inaccettabii. Non parlo solo dei cosiddetti martiri che ammazzano bimbe di otto anni ai concerti pop. Parlo anche di un sistema patriarcale che tiene le donne sotto il giogo maschile, impedendone l'emancipazione. Capisco che uno nato e cresciuto nell'insegnamento islamico non possa pensare altrimenti, ma è compito suo evolversi e io non gli devo nessuna particolare comprensione né tolleranza."

Come immagini il futuro? In tutti i sensi, per questo progetto e anche in generale...

"Quanto al progetto ovviamente aspiro al massimo di successo. Dirlo ora che non mi si fila nessuno fa un po' ridere, ma ho la convinzione di essere semplicemente in anticipo sui tempi e basterà avere la pazienza di aspettare per capire chi ha ragione. In generale, invece, penso che le differenze culturali e le rigidità che separano popoli e nazioni siano destinate all'estinzione, ma per questo temo che ci vorranno secoli. La tendenza è inarrestabile, ma le resistenze sono molto forti."

"La canzone di Adamo"? Mi chiedevo... a chi si rivolge (se si rivolge a qualcuno)?

"Adamo non è altri che Adam Smith, noto economista sostenitore del liberismo e dell'automatica capacità delle leggi di mercato di operare per il meglio (la cosiddetta "mano invisibile"). Si rivolge a tutti quelli che negli ultimi decenni hanno sostenuto i miracoli del libero mercato e spinto per privatizzazioni e deregulation. La verità è che il nostro sitema di produzione, se non controllato e direzionato verso un'equa distribuzione, tende naturalmente ad arricchire i ricchi e impoverire i poveri. Fino al punto in cui i disagi dei poveri sono così forti da mettere a rischio il patto sociale. Ci stiamo avvicinando."

E poi c'è "Bubblegum". È una denuncia e questo è abbastanza evidente e forse c'è anche del timore per il futuro. Il messaggio è quello di non farsi prendere da tutto ciò che ci può in qualche modo togliere umanità e renderci solo... gomma da masticare?

"La tecnologia digitale e la biogenetica portano con sé minacce di una grave disumanizzazione. Non vedo soluzioni private efficaci. È un movimento storico e collettivo, perciò non basta "astenersi". Temo che tra qualche anno si passerà dalla miocentesi alla selezione preventiva del patrimonio genetico ai fini della riproduzione, che a quel punto non sarà nemmeno più una ripoduzione sessuale. Ci penserannno i medici a far incontrare ovuli e spermatozoi selezionati. Tecnicamente ci siamo già molto vicini. Penso che contro questa tecnicizzazione del bios, della vita, risorgeranno fanatismi religiosi e superstizioni violente. Al momento non trovo un posto confortevole né da una parte né dall'altra. Sono nato umano e credo che da umano morirò. Ci tengo."

Adesso la mia preferita. "Docici ore". Racconta tu, è tanto bella che preferisco sia solo tu a parlarne.

"Bhe, questa è proprio una canzone scritta per i figli. Innanzitutto i miei, ma poi per i figli in generale. Molti artisti a un certo punto della loro vita sentono il bisogno di lasciare un messaggio in bottiglia alle future generazioni. Questo è il messaggio che sento di poter lasciare io. In sintesi: non aspettarti che il passato e nemmeno il presente abbiano una particolare stabilità, soprattutto oggi. E non dimenticare che se il presente è sempre e comunque il frutto del passato (e per questo bisognerebbe studiare la storia prima e più di qualsiasi altra disciplina, scienza compresa), tuttavia il futuro è sempre aperto, "unwritten" come diceva Joe Strummer. Almeno finché resteremo "imprevedibili esemplari umani". Non ho - purtroppo o per fortuna - molte altre verità da consegnare ai miei figli."

Dici che 'siamo quasi fuori dalla "Zona d'influenza" ', quella che avrebbe portato all'americanizzazione generale e globale... come la intendi? Perché secondo te saremmo quasi fuori da questa zona d'influenza?

"Perché il secolo americano è finito. Oggi altri attori importanti si affacciano e prendono posto nelle dinamiche culturali, economiche, politiche. Cambiano i rapporti di forza e l'America, da Impero, sta lentamente - ma io penso inesorabilmente - trasformandosi in uno dei tanti centri di potere. L'elezione di Trump, ben lungi dall'essere un incidente di percorso, mi sembra il sigillo che gli americani stessi hanno messo sulla loro oscura consapevolezza di aver terminato la loro parabola imperiale iniziata con l'intervento durante la prima guerra mondiale. Ci vorrà ancora molto, sia chiaro. Dopotutto hanno qualcosa come quattordici portaerei e controllano tutti gli oceani, ma questa è la tendenza."

Fermiamoci un attimo. Se tu dovessi pensare a qual è la canzone che hai scritto alla quale sei più legato in assoluto... riesci a individuarne una sola?

"Sono particolarmente legato a "Cuore nero". Forse perché sia musicalmente che a livello di testo è un po' anomala. Sicuramente perché nel video la protagonista è mia figlia Melissa, all'età di otto anni, vestita di bianco e coi capelli al vento: quanto di più vicino alla pura innocenza e alla bellezza in sé, la bellezza in quanto tale. Scrivere, registrare e dare un'immagine a quella canzone è tata un'emozione unica e particolare."

In "Scura", oltre che parlare delle guerre, dei massacri, di tutta quella povera gente che scappa e non sa più da che parte andare... sembra tu abbia perso un po' la speranza che le cose possano migliorare in futuro. È un'impressione o è così...?

"No, non direi. Ho un rapporto problematico con quella canzone. Mi piace musicalmente – c'è anche lo zampino di Carlo – ma il testo è stato scritto sull'onda dell'emozione. L'emozione è importante, ma in politica serve a poco e anzi, rischia di essere dannosa. Sull'immigrazione va fatto un discorso non ideologico e non emotivo. Accogliere e respingere in blocco mi sembrano ambedue reazioni emotive poco sensate. Se dovessimo prendere decisioni in base alla pura emotività, le tragedie del mare ci porterebbero ad aprire tutte le frontiere senza distinguo, ma gli orribili attentati di cui si sono macchiati gli integralisti ci spingerebbero in un direzione opposta altrettanto irrealistica e insensata. Direi che l'emozione va bene per una canzone, ma è bene che resti confinata lì."

Quali sono i tuoi ascolti adesso e cos'è cambiato rispetto a vent'anni fa?

"Non molto a dire la verità. A parte il fatto che leggo sempre molto più di quanto ascolto, non mi sembra che negli ultimi dieci anni sia uscito qualcosa di indimenticabile. L'ultimo gruppo cui concederei lo statuto di "irrinunciabile" sono i RATM e il loro disco migliore è del 1992. In compenso sono costretto, sempre grazie ai miei figli, a spararmi pesanti dosi di rap italiano contemporaneo e a sentirmi questi ragazzini che si dipingono come pericolosi criminali perché hanno tre grammi di fumo in tasca. Sopporto e ogni tanto storco il naso, anche per dargli la soddisfazione di una disapprovazione. È importante che i figli si sentano sostenuti e compresi, ma è altrettanto importante che ogni tanto io dichiari la mia totale estraneità al loro mondo, musicale e non. Se no che ci sto a fare?"

"1861". È un anno in cui sono successe un sacco di cose storicamente parlando. Nel pezzo sembri fare riferimento più allo "spegnimento", come lo definisci tu, di tutte quelle comodità e dell' "agio", se così possiamo chiamarlo, derivato dal boom economico, dall'arrivo anche qui del consumismo di massa e così via. Tutto ciò a causa delle/ della crisi, nazionale e internazionale e forse da un decadimento che sembri, almeno dal testo, ritenere naturale perché... "la storia si ripete"? Sembri poi riportare il discorso proprio a quell'anno, il 1861, in cui c'erano i primi segni dell'unione d'Italia, in cui è stata coniata la Lira... e in America al tempo stesso si formavano pian piano gli Stati Uniti e arrivava Lincoln come 16° presidente americano. Che mi dici riguardo a tutto questo?

"Bhe, hai già detto molto tu. L'Italia è nata in condizioni molto particolari, ultima tra le principali nazioni europee e tramite la fusione di un Nord e un Sud molto diversi e piuttosto ostili l'uno all'altro. Dopo la prima e soprattutto dopo la seconda guerra mondiale abbiamo goduto di una rendita di posizione (strategica) particolare. Da noi la guerra fredda è stata piuttosto "calda", se consideri il terrorismo e le stragi di stato. Tuttavia eravamo importanti per le grandi potenze che facevano arrivare i loro aiuti. Oggi non è più così. O (ri)scopriamo il senso di una politica e un interesse nazionali o finiremo frantumati."

"Testata nucleare". Non c'è molto altro da dire, nel senso che già il titolo è una denuncia verso i potenti che minacciandosi gli uni con gli altri per le loro smanie, se ne fregano altamente delle persone.

"Sai, a volte l'impressione è che ai grandi progressi in campi come la tecnologia militare non siano corrisposti da adeguati aggiustamenti antropologici. Siamo sempre delle vecchie scimmie litigiose, ma invece dei bastoni oggi abbiamo le atomiche. La cosa è un po' inquietante."

Stai già scrivendo altri pezzi?

"Comincio in questi giorni a lavorare su delle tracce accumulate negli ultimi mesi. Vorrei uscire con un paio di pezzi nuovi entro fine anno. Vedremo."

Cosa augureresti alle nuove generazioni di musicisti e cosa alle nuove generazioni in generale?

"Ai musicisti non saprei. Tendo a considerarli una razza in via di estinzione dal momento che il digitale ha reso la musica tanto disponibile quanto insignificante, se non come sottofondo sonoro. Restano giusto gli adolescenti a ritenerla una parte importante della loro esistenza. Per tutti gli altri, l'augurio è di studiare e conoscere abbastanza il passato per non ripeterne gli errori nel futuro. Non è vero che la storia non serve a nulla e che tutto si ripete uguale a se stesso. Diciamo che gli insegnamenti della storia sono un po' più complessi di quelli della matematica e non possono avvalersi della sperimentazione per fare le verifiche necessarie. Quelle arrivano dalla storia stessa, con calma e non si possono produrre in laboratorio."


This is Flaco!

Flacopunx
Link:



"Testata nucleare" e "Dodici Ore" - Flacopunx:

 

venerdì 27 marzo 2015

Rossodannata: "Oggi, domenica"


"Oggi, domenica" è il primo EP dei Rossodannata, un progetto di Russu (Totale Apatia) e Dade (CDU). Un paio di mesi fa feci una chiacchierata con i ragazzi, curiosa di sapere di più di quel che sarebbe stato ed essendo già a conoscenza della storia musicale del duo. La prima reazione che ho avuto, nel sentire e vedere il video del singolo "La Nave" è stata quella di commuovermi, non "solo" perché il testo è molto significativo e il video anche, non "solo" perché le melodie e il cantato rispecchiano il testo, ma perché ho visto un punk rocker meticcio, come ha sempre dimostrato di essere Alessandro Rossoni, autore della maggior parte dei testi dei "Rossodannata", mettersi completamente a nudo nei confronti di chi avrebbe ascoltato. E' sempre stato un autore sincero, onesto, incazzato, serio, felice, ironico, ma qui, ho trovato il Russu che tanti non conoscono o non immaginavano, la familiarità, l'intimità, il coraggio di mettersi in gioco. "Acoustic Punk". Il punk può essere acustico? che cos'è il punk per voi? è "solo" un genere musicale? per molti, per coloro che non ne percepiscono il nucleo, la parte più profonda... punk e punk rock, significano "fare casino", "protesta", "andare contro tutto e tutti", addirittura "anarchia". Forse lo è stato, anzi sicuramente lo è stato, ma la musica ha il meraviglioso potere di essere in continua evoluzione, di farsi scoprire, di poter significare sempre qualcosa di diverso. Bene, è difficile da spiegare, ma la concezione punk, come Russu e Dade stessi hanno affermato in una recente intervista, è anche "uno stile di vita" e io aggiungo che è "non mollare", "rialzarsi quando si cade", "riflettere su ciò che ci circonda", "riflettere su se stessi", è "l'alternativa, perchè così non mi piace", "è divertimento" ma anche "serietà"; il tutto nella più totale, disarmante, onestà. Senza ipocrisie, senza far finta di star bene, senza per forza dover arrivare a qualcosa di cosmico; la semplicità. Non il semplicismo, attenzione. Questo, per me, è punk rock. E questo Ep, porta due punk rocker a qualcosa di certamente alternativo, perché i loro ascolti cantautorali si mescolano a quell'irrefrenabile spirito che è parte di loro e che non li mollerà mai, perché punk rocker lo saranno anche a settant'anni. "Sobrio". E' il primo pezzo dell'EP, testo breve, conciso, quasi ermetico, semplice e difficile da interpretare (il che lo rende molto punk). Iniziano le prime note di chitarra, solitarie, come fossero in attesa di qualcosa e quel qualcosa è un'inizio che fonde la melodia punk di una chitarra elettrica al suono surreale di flauti che tanto ricordano certi cantautori, con le loro melodie, "non punk" (ma anche qui dipende dai punti di vista). "Flebile, la mia volontà di avere in tempo quello che mi spetta". Potrebbe sembrare la frase di qualcuno che ha un po' mollato la presa, che è stanco di aspettare qualcosa che gli sembra non arrivare mai, ma la realtà, per come la vedo io, è che nel momento in cui questo pensiero è diventato musica, si è automaticamente trasformato in voglia di vivere e di non mollare. Un po' come... "Sono stufo, stanco, annoiato, disgustato.... pronto, a lanciare la sfida" (Totale Apatia). "Sobrio" è una presa di coscenza, è una riflessione, è la sobrietà che l'autore ha nel valutare ciò che è attorno a noi e dentro di noi, esseri umani, ogni giorno. "Forse un giorno arriverà una novità [...]. I tuoi occhi blu riflettono cose che forse sai solo tu, come non è stato mai." E questo "come non è stato mai", ripetuto più e più volte, che un po' mi ricorda i finali di alcune canzoni dei Nirvana, è una dichiarazione di sobrietà. "La nave", il secondo pezzo, il primo singolo. E' una canzone allegra e triste al tempo stesso, è riflessiva, ma si prende in giro. Si guarda allo specchio, fa la faccia un po' storta, poi si capisce e sorride, ironica, sincera, intima. La chitarra di Davide Baronio (Dade) crea un'atmosfera che va contro se stessa, nel senso più positivo dell'affermazione. E' come un ossimoro, io la sento così ed è perfetta in questo pezzo. La voce di Russu è quasi sofferente, è una voce punk che riflette più a fondo e questo già dice molto. Tutti abbiamo delle paure, tutti abbiamo momenti di sconforto, il pezzo lo afferma con tutta onestà, con parole nude e crude, ma... "Sorridi, è la vita... e non farti del male" (!). Si arriva poi al terzo pezzo, "Down the Street", la versione acustica di un pezzo dei Totale Apatia che sarà presente nel nuovo album, in uscita proprio quest'anno (i Totale Apatia hanno anticipato al pubblico alcuni dei nuovi pezzi, compesa "Down the Street" in versione originale, nel live di Sabato 21 Marzo a Brescia). Nella versione alla "Rossodannata" il brano ha sfumature folk, popolari, ma allo stesso tempo mantiene lo sfondo punk, nonostante il suono di una popolarissima fisarmonica. "Il soffio del vento", il quarto pezzo, nostalgico, commuovente, sofferente. Al primo ascolto, durante il live d'esordio, mi ha fatto piangere come una disperata. E' senza dubbio il pezzo che amo di più. "E il ricordo sale in me/ non ricordo neanche se/ sono solo sogni e fantasie/ le tue mani sulle mie." Dolce e soffice, si trasforma poi in un tango, passione, rabbia e solitudine, la voglia di svegliarsi con un ricordo nostalgico che torna ad essere realtà e poi di nuovo malinconia, perché il soffio del vento, in questo pezzo porta via qualcosa di grande, così... come fosse stato niente. "Ventricoli del cuore", scritta, cantata e intepretata da Davide, è in parte narrata, incentrata sul peso dell preoccupazioni, sulle tensioni, sulle speranze, sulle lotte quotidiane, il tempo che passa e il valore che ogni passo ha, sulla nostra strada. Passi che non sono da bruciare e poi... "Miete vittime il rancore", il rancore dentro, mai; meglio liberarsene alla svelta, per non perdere la strada. Infine, la traccia nascosta: "Angelina" (anche qui l'autore è Dade), fantasticamente rustica, ricorda lo stile "Cochi e Renato" sia per il cantato che per il testo simpatico e ironico. Un bel finale, sia l'EP che per il live, un saluto al pubblico, perché anche quando si riflette e spesso si soffre, la vita va sempre presa per quello che è, un dono meraviglioso; ed è meglio sapersi prendere un po' in giro, non perdere il sorriso, perché un nostro sincero sorriso, è l'arma più potente che abbiamo verso tutto ciò che non va.