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venerdì 3 febbraio 2023

Yokoano: "Il mio cielo nero" e "La musique" que "creuse le ciel"

Il 27 Gennaio è finalmente uscito l'atteso nuovo singolo degli Yokoano, "Il mio cielo nero".  Il 27 Gennaio. Ed io, che sarò presa pure per matta magari, ho visto un certo peso persino nella data di uscita (personale interpretazione, chiaramente).

Le sonorità di questo brano mi fanno venire i brividi. Ammetto di aver pianto più di una volta ascoltandolo. Come ho scritto anche a Dani (Dani, "Danno", Daniele Marceca, ammettendo che non conosciate lui, la sua carriera venticinquennale e la meraviglia degli Yokoano, visto il variegato pubblico di questo blog... andate, cercate, ascoltate.), "ho immaginato le persone, i visi sporchi di polvere, la fame e la Fame, lo sguardo al cielo, la consapevolezza, la speranza, la rabbia, le domande, il senso di abbandono" proseguendo col dirgli che la trovo "Dolce-onesta-cruda-toccabile al tatto" e che "i 7 cuori", posti come commento sulla pagina Instagram, degli Yokoano non erano casuali. E non lo erano (pian piano, ci arrivo...). Non ne abbiamo parlato però, nei termini in cui ne sto per scrivere ora. Quel che è arrivato a me, quello che ho pensato, visto, sentito, eccolo qui.

Dario, Fry, Mattia. Nel dare vita agli Yokoano, Dani, non poteva trovare compagni di viaggio migliori. Un mix perfetto di provenienze, esperienze, poetiche diverse e che al tempo stesso hanno così tanto in comune. Il pezzo è evocativo, molto. Come ogni brano di grande valore, può essere recepito in tanti modi diversi, a seconda di chi ascolta, di chi sente. Così è con tutta l'arte. Così è per un dipinto, una fotografia, una poesia, un libro intero. In questo brano vedo mille storie, tanto che potrei mettermi a scrivere un libro di racconti che le racchiuda tutte; sarebbero profondamente diverse e profondamente simili. Quante volte vi siete domandati: "Perché succede questo (a me, al mondo...)? Perché l'umanità è capace di così tanto odio? Cosa c'è, oltre questo cielo? E se c'è qualcosa, qualcuno, ci ha forse abbandonato?". Queste domande se le può porre chiunque abbia provato una qualche forma di dolore o chiunque, in ogni caso, non riesca ad essere indifferente rispetto a tutta la merda che ci circonda. In questo brano, io, però non vedo la storia di un singolo individuo o meglio, ce la vedo, ma in quanto Essere Umano. Può perfettamente vestire le esperienze di vita di molte persone, ma le lacrime che vedo qui dentro, sono tanto tragiche e crude da rendermi inerme di fronte alla bellezza del messaggio che mi arriva e terrorizzata per il sangue che contiene, come l'involucro di tutte le vite che sono e sono state spezzate, annullate, calpestate, da esseri che certo non si possono definire umani.

Il 27 Gennaio, pensavo, era proprio il giorno della memoria. Lo è ogni anno, da tanti anni. Ogni volta le immagini, gli "speciali in tv", le testimonianze, "i discorsi", ricordano quanto è successo. Beh, in questo brano vedo la potenza, grandiosa, di un "mi metto in quei panni" e "cosa avrei pensato/ sentito, cosa mi sarei chiesto?". Anche se è solo nella mia testa, non fa niente, il fatto è che mi ha portato a pensare a questo. E questo, va poi al di là della Shoah stessa, perché ahimè l'umanità non ne ha mai abbastanza. Prima e dopo nella storia, in passato ed oggi, nel presente.

"Dicono che sia importante restare liberi, ma il padre (o Padre?) delle mie memorie" (quante memorie, storia, speranze e fede, aveva il popolo ebraico?), mi ha dato buca all'improvviso"; provate a pensarci: non è la cosa più umana del mondo questo senso di abbandono? anche per chi, come il popolo ebraico, aveva ed ha una solida e storica memoria del divino? "E dicono che sia importante restare liberi dentro, ma libero è il dubbio del passato che è padre di chi ti ha abbandonato". È il grido di dolore di ogni uomo, donna, bambino, bambina, anziano ed anziana, morto o sopravvissuto, nel dirsi che solo se si è stati abbandonati, è possibile accadano certe cose. "Ed io, io non so niente di questo cielo, non so niente di questo cielo nero, non so niente di questo cielo. Ed io, io non so niente di questo cielo, non so niente di questo cielo nero, non so niente di questo cielo...". Cosa sappiamo? Cosa sentiamo? Cosa vediamo intorno a noi? Anche l'abitudine è orrore. Ho immaginato il viso di un ragazzino o di una ragazzina, i capelli quasi rasi, il volto sporcato dalla sofferenza e dalla fame, con degli occhi così belli, di un azzurro ghiacciato, ma così tristi e pregni di lacrime, seccate, perché di lacrime non né aveva più; l'ho immaginato/a col viso verso il cielo, non molto distante dal filo spinato, con la speranza di un bambino e la consapevolezza di uomo: "Sopravviverò? Morirò qui? Qualcuno ci aiuterà?". "E dicono sia la madre del coraggio, quell'infinita corsa al colle della paura": sarò pazza, ma io qui vedo il coraggio e la dignità, anche quando la dignità qualcuno te la distrugge, di andare incontro alla morte. E dio, quanto vedo quelle fosse e quei corpi. Così come vedo in tutto ciò la storia che in un modo o nell'altro continua a ripetersi (guardate, cosa abbiamo attorno... quanto c'è di diverso...?). "Ma il padre delle mie memorie,  mi ha dato buca all'improvviso. E dicono che sia importante restare liberi dentro" e si, dico, ma "provaci tu", sembra dire implicitamente  qualunque sia la reale ispirazione del brano. E di nuovo quel dubbio, che spacca l'anima: "ma libero è il dubbio del passato, che è padre di chi ti ha abbandonato. Ed io, io non so niente di questo cielo, non so niente di questo cielo nero, non so niente di questo cielo. Ed io, io non so niente di questo cielo, non so niente di questo cielo nero, non so niente di questo cielo". Non so niente, di questo cielo, ripete. Non so, niente, di questo cielo. Solo so che è nero e che "Non vedo niente oltre a questo cielo". E di nuovo, il dolore più profondo, la perdita della speranza, anche della più piccola, infinitesimale, che quel ragazzino potesse avere o che quella giovane madre, può aver perso nel deserto o in mare (e tornano "Le Onde" in questo senso) e… quel ragazzo di vent'anni che non sa perché, ma sta combattendo una guerra che non ha mai voluto, perché le guerre non le combattono mai coloro che scelgono di farle. E quel padre che si trova improvvisamente senza famiglia, in chissà quale luogo del mondo in cui mitragliatrici, terroristi, mercenari, arrivano e fanno fuori chiunque, lasciando brandelli di persone, esseri umani, al loro passaggio. Sono così tanti, gli orrori del mondo. E Dani poi lo grida, lo sfogo di quel ragazzino dagli occhi di ghiaccio, di quel ragazzo, di quella madre, di quel padre. Lo urla al cielo, con quella voce unica e meravigliosa che ha. "Dicono che sia importante" è anche il sottofondo della prima parte nel ritornello finale e poi, ancora un grido di dolore e di rabbia, uno sfogo, un "Perché?". "Non vedo niente oltre questo cielo". La culla musicale di queste parole, quasi protegge, la memoria di quel ragazzino, come a chiedere di non fare solo "speciali e discorsi", bensì di mettere la parola fine una volta per tutte, all'orrore che è "l'abitudine del mondo". Faccio un bel respiro, ci vuole. Penso che la primavera arriverà e in primavera anche gli Yokoano fioriranno di nuovo. Ah, ecco: ora l'avete capito il perché dei sette cuori, no? Fate un bel respiro, ci vuole dopo un articolo così. Grazie ragazzi, di nuovo. Qualunque sia il motivo per cui avete dato vita a questo pezzo. Aspetto fremente il secondo singolo perché come scrisse il mio amato Baudelaire, "la musique creuse le ciel". La musica spacca il cielo. E così sia.