Ci sono tante cose brutte attorno a noi e non sappiamo nemmeno come parlarne per la paura di risultare banali o perché "è meglio non parlarne", perché "tanto non ci possiamo fare nulla"... la cosa da prendere in considerazione però è che noi dobbiamo fare qualcosa di concreto. Ho letto un articolo di Simone Feder oggi: Feder è responsabile della sezione adulti della Casa del Giovane di Pavia. Un uomo che crede che nessuno, giovane o meno giovane che sia, debba essere definito "irrecuperabile" ed è così che dovrebbero pensarla tutte le persone che si trovano a contatto con una persona che sta male ed ha problemi... Non è facile, per niente, ma è necessario. Ciò che intendo è che se si vuole realmente salvare una persona non bisogna mollare e nemmeno fare scelte sul "più salvabile e il meno salvabile". In primis parlo degli "addetti ai lavori" ma anche di tutti gli altri ovviamente. Le famiglie, dopo parecchia sofferenza, spesso non sanno più come affrontare la cosa; il problema è grande, grave. Fermiamoci però un secondo all'articolo di cui vi parlavo. In questo scritto Simone Feder cercava di far riflettere sul percorso da fare per poter realmente aiutare le persone che soffrono per disagio e dipendenze. Sottolineava la differenza tra "fare un percorso verso un ragazzo" e "con un ragazzo"."La Casa Del Giovane (www.cdg.it) è una comunità che nasce grazie all’intuizione e al carisma di un sacerdote pavese, don Enzo Boschetti, che negli anni della contestazione diede avvio in modo informale all’accoglienza di persone emarginate. Guidata, dalla scomparsa del fondatore nel 1993, da don Franco Tassone, l’Opera conserva lo spirito originario e accoglie minori e adulti in difficoltà (tossicodipendenti, alcolisti, senza fissa dimora, immigrati, carcerati in regime di semilibertà, ecc.) "Ogni singolo caso è differente da un altro, ogni persona è unica, reagisce in modo diverso e vive in modo diverso il vuoto che porta a questo tipo di problema."
Spesso, è vero, il disagio iniziale proviene dalla famiglia e ci sono svariati tipi di problematiche quali la violenza tra le mura domestiche, la mancanza totale di dialogo e la mancanza di trasmissione di .. non solo valori.. ma del significato della vita e della gioia che la vita può dare. Ai nostri figli abbiamo il dovere di insegnare ad amare ed amarsi prima di ogni altra cosa e questo spesso non avviene. Ci sono poi casi in cui la famiglia ha avuto problemi involontari che hanno colpito particolarmente la crescita di uno dei figli (se per esempio in una famiglia ci sono più figli) e magari il disagio ha preso in modo diverso lui dagli altri altri fratelli. In questo caso ovviamente non si puo' fare della famiglia un capro espiatorio perché certe cose accadono e non è certo cosa cercata anche se poi le conseguenze si sentono. Ci sono poi casi che io definirei parte "dei nuovi mali" ovvero la ricerca di diversivi, di tragressioni dovute alla mancanza, in ogni caso, di quel qualcosa che è necessario per far sentire un ragazzo Vivo. Allora .. perché si sente di giovani che iniziano a fare abuso di sostanze "per noia, perché lo fanno tutti, per non sentirsi da meno, perché se no non si divertono, perché stanno male, perché hanno freddo, perché hanno caldo"? Perché? continuiamo a chiedercelo ma si è realmente fatto qualcosa per evitare questo tipo di problemi e per capire? Non abbastanza. No. Non abbastanza. Non serve a niente dire "non fate uso di droghe perché fa male"; lo sappiamo, lo sanno tutti che le droghe fanno male. Come le sigarette no? lo scrive anche lo Stato sulle sigarette che "il fumo uccide" ma io in questo momento sto fumando. Ci sono parecchie comunità, ognuna ha metodi diversi per affrontare il problema. Ognuna ha pregi e difetti. Il problema più grande credo sia, per molteplici luoghi di recupero (non tutti ovviamente), che non c'è una reale consapevolezza di come una persona con un certo tipo di problema puo' "pensare" e anche "soffrire" e non c'è un vero sostegno psicologico alle persone che si trovano a vedere una persona che amano che si stacca a morsi la vita. Ho visto insomma fare d'un filo d'erba un fascio, mettere sotto accusa familiari che fino a quel momento si erano ammazzati, avevano dato il sangue per cercare di aiutare il loro figlio, fratello, padre... Non si mette in dubbio che le famiglie possano sbagliare, ma c'è anche da dire che le famiglie sono spesso abbandonate o "aiutate in modo formale" e non reale. Non parlo certo delle famiglie con problemi di violenza per es, magari sul figlio che poi va a finire per drogarsi e magari non ha nemmeno nessuno su cui fare conto perché i genitori ce li ha ma è come se non li avesse; certo, c'è anche questo. E ci sono anche famiglie che sanno che il figlio ha un problema, ma fanno finta di niente fino a che gli è possibile perché è evidentemente più comodo. E le famiglie che per anni e anni combattono per la vita del loro figlio? Non ci sono nemmeno leggi che possano tutelare le persone in difficoltà per dipendenze e tanto meno ci sono leggi che possano aiutare i famigliari. Con gli anni, con l'affrontare percorsi di vario genere, con vari "metodi" (e su questo argomento la parola "metodo" la detesto, personalmente) il giovane in difficoltà soffre come un cane perché spesso si rende conto di non farcela e il rischio più grande è che decida di mollare, di non farsi più aiutare trovando così la morte, lenta o immediata che sia. I casi, i casi.. non mi piace nemmeno la parola casi.. cosa sono le persone? casi? Questo però è il linguaggio più diffuso no? ci sarà un perché io mi dico. Non sono qui a dire cosa dovrebbero fare le persone che passano la vita tentando di aiutare gli altri perché non è questo il mio punto e non è di mia competenza né volontà dare consigli a nessuno. Non sono qui a discutere i metodi di una o dell'altra comunità. Spesso funzionano. Spesso no. Non sta a me giudicare il loro lavoro che comunque se non ci fosse..bhe, saremmo proprio senza speranza e sono sicura, al cento per cento, che le persone che si adoperano nell'aiuto delle persone in difficoltà per questo tipo di problema hanno tutte le buone intenzioni del mondo. Sono qui a dire però che come tutti gli esseri umani anche loro sbagliano, che è inutile negare ad un "utente" (altro termine usato spesso dagli operatori, educatori ecc ecc) di mangiare dolci se non ha il diabete. E' solo un esempio, minimo, ma reale credetemi. Da quel poco che ho letto di Simone Feder credo sia una persona che si impegna al massimo, che fa del suo meglio, nel lavoro che fa e che fanno i suoi collaboratori e se qualcuno di quelli che leggeranno questo articolo ha problemi di questo tipo, vi consiglio di informatevi. Non solo su Feder, valutate bene tutte le possibilità a disposizione nella vostra zona (mi rivolgo anche ai familiari naturalmente) e state attenti, non sempre la prima comunità è quella giusta. Le persone che governano dovrebbero però fare uno sforzo in più: la società in cui viviamo sarebbe completamente da rimodellare e lo sappiamo tutti e tutti sappiamo che non ci è possibile farlo da soli. Lo sforzo di cui parlo dunque non è quello di cambiare tutto e risolvere tutto perché non è possibile e perché non interessa probabilmente fino in fondo, anche perché ci sono mille altri problemi da affrontare (ma la Salute, è al primo posto, di qualsiasi problema si parli). Quello che intendo però è che dovrebbero fare per lo meno il minimo, il minimo indispensabile per mettere in condizione le persone di essere aiutate e di aiutare. Concludo, perché sono troppe le cose da dire e da prendere in considerazione e protrei riultare persino noiosa a chi legge, ma ci tengo ad incollare qui un pezzetto di quell'articolo di cui vi ho scritto: "Avverto a volte informazioni pericolose che cercano di spiegare la tossicodipendenza, o il disagio in generale, in termini prettamente logico-scientifici, causa-effetto, creando troppo spesso false speranze o dando messaggi distorti e incompleti a chi (senza avere reali competenze in materia) cerca risposte alle proprie sofferenze. Indubbiamente la stragrande maggioranza di chi utilizza sostanze non ricorre ad esse perché portatore di una patologia, ma come possiamo dire che un soggetto che ricorre all’utilizzo di droghe è una persona sana? Che cosa cerca un giovane, o non giovane, nella trasgressione? Qual è il suo concetto di normalità? E quindi che cos’è la normalità?" e ancora: "La sfida educativa oggi deve essere aiutare il giovane a capire l’importanza del prendersi cura di sé, indurlo a sposare quel processo terapeutico in modo che diventi realmente promozionale e vincente. Per questo negli ultimi anni, grazie anche alle nuove politiche sulla possibilità di scegliere e di conseguenza del libero accesso nelle strutture di cura, stiamo provando ad accogliere giovanissimi al loro primo inserimento in comunità: aggredire il disagio in fretta in modo da lasciare poco tempo perché si radichi nella vita delle persone lasciando segni più in profondità. Abbiamo scelto di correre il rischio, i giovani ti scomodano, ti mettono in crisi, ti lanciano sfide, ti chiedono molto… ma non è forse questo che chiediamo noi a loro? Mettersi in crisi, rischiare, accogliere la sfida, cambiare… e come possiamo chiedere a loro di farlo se noi per primi non siamo disposti a metterci in gioco in questo modo? Proviamo a stare un po’ con i giovani, accompagnamoli nelle fatiche e nelle sofferenze, andando oltre tutto ciò che la nostra coscienza e il nostro sguardo vede, e proviamo a chiederci perché un giovane nell’incontro con l’altro non cambia. Quanti sono stati gli interventi verso di lui ma non con lui... Insegnare all’altro significa anche condividere ed essere coerenti. Quando un giovane vede le tue fatiche, le tue preoccupazioni, il tuo amare la vita e le bellezze del creato, come può rimanere lo stesso? [...] Stiamo da anni cercando di rivedere i nostri interventi educativi all’interno delle comunità. Si pensa a programmi personalizzati, a corsi di studio, alla loro professione lavorativa, al loro rapporto con i familiari. Si fanno gruppi tematici, percorsi psicologici, ma anche giornate sportive, gruppi musicali, progetti audiovisivi… siamo alla ricerca di risposte che mettono in crisi i nostri script mentali di risposta terapeutica, sconvolgono la nostra linearità di pensiero. Ci serviamo della statistica per capire come stanno e come rispondere in modo appropriato al loro bisogno, ma poi non possiamo esimerci dal guardarli in faccia e prendere per mano ogni singolo giovane… ebbene stiamo faticando, ma, vi chiedo, lasciateci lavorare con loro, i frutti li raccoglieremo nel tempo". Credo che questi tratti del discorso di Feder dicano già molto. Concludo dunque con la speranza, con la voglia di vedere le cose cambiare, con la voglia di vedere i giovani vivere e prendersi cura di se e personalmente, confido in Dio.