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venerdì 17 giugno 2016

La storia del cinema (parte 2): dalla nascita del divismo a Chaplin e von Stroheim

Rodolfo Valentino

Eravamo rimasti ad Ince, Sennett e Griffith, i primi tre grandi del cinema e... agli anni dieci, con relativi sviluppi, innovazioni e nascita di generi cinematografici, tra i quali il western americano. Dunque ora il passo successivo: nei primi anni della Grande Guerra. In quegli anni Hollywood si consolidò del tutto a capitale mondiale del cinema, grazie a una base finanziaria solida, vasti canali di distribuizione, miriadi di artisti, tecnici, attori e produttori che contribuirono a rendere il cinema americano tipico e ben distinguibile e grazie a una prestigiosa organizzazione tecnica che faceva la differenza, insieme a tutti gli altri aspetti sopracitati. Negli anni dalla fine della prima guerra mondiale sino alla crisi del '29, si trovò nel cinema americano uno specchio della realtà nei suoi molteplici aspetti e due artisti, in particolare, fecero la differenza: Eric von Stroheim e Charlie Chaplin, i migliori allievi – rispettivamente – di Griffith e Sennett. I due iniziarono a creare quelle che poi sarebbero state e rimaste nel tempo le migliori opere del cinema americano degli anni '20. La struttura artistica e produttiva americana di stampo hollywoodiano si impose con il marchio di fabbrica di grandi case cinematografiche come la Fox, L'Universal, la Paramount e la First National, che fin da allora furono sinonimo di qualità. Nacquero in quel periodo, i primi divi del cinema. Il divismo era frutto del crescendo di una realtà che sempre più diventava per il pubblico un mondo a se, lontano dalle leggi comuni della società. Il pubblico non distingueva più, così, la realtà dalla finzione, la vita privata degli attori da ciò che era solo frutto del lavoro artistico. La vita e l'arte di apparteneva a questo mondo, si fondevano in un'unica dimensione dell'esistenza. Gli spettatori che affollavano le sale riversavano le proprie preoccupazioni, le proprie angosce e speranze, nel sogno che lo schermo poteva dare agli occhi e al cuore a poco prezzo e la stabilità, la libertà che avevano i registi, gli attori, i produttori, permetteva al grande cinema di distinguersi dalle produzioni fatte solo per "il consumo"; potevano essere così affrontati argomenti d'ogni sorta, c'era una grande varietà di generi e potevano essere affrontati argomenti anche profondi e attuali. Fin da allora poi, nacquero due tipologie di "divo" o "diva". Per intenderci, attori quali Douglas Fairbanks (eroico e cavalleresco) e la moglie Mary Pickford (chiamata anche "la fidanzatina d'america", "la piccola Mary" ed altri appellativi simili) rappresentavano "i buoni" e divennero modello di un certo tipo di americanismo, sia in patria che all'estero, che portò loro grande un grande successo, anche al di là delle loro reali capacità di attori. Furono la prima coppia celebre del cinema americano. Fairbanks era vitale, simpatico, acrobatico e pur se non fu un grande attore, aveva tutte le qualità per essere, appunto, un divo, un personaggio che incarnava il mito dell'autoesaltazione come strumento del successo. La moglie, dal canto suo, fu anche produttrice e fondatrice dello studio cinematografico United Artists e una dei trentasei fondatori dell' Accademy of Motion Pictures Arts and Sciences. Al divismo "buono", considerato "educativo" e che poteva essere "d'esempio agli spettatori", si contrapponeva il divismo "trasgressivo", quello scandaloso, provocatorio, di attori quali Theda Bara e Rodolfo Valentino. Theda Bara fu la prima "vamp" (termine che deriva tra l'altro da "vampire", non a caso). Venne portata al pubblico come la donna tentatrice, la donna fatale e perversa che si diverte a rendere gli uomini suoi schiavi per poi liberarsene una volta conquistata la loro adorazione. Il tutto palesemente progettato, fin dal nome d'arte, fin dal primo ruolo secondario con il quale venne lanciata dalla Fox: un melodramma, "La vampira" (1915), attraverso il quale nacque per l' appunto il suo pseudonimo di Theda Bara, anagramma di "Arab Death". Immagini conturbanti in abiti egizi, contornate da ragnatele e serpenti. Ecco come è nata la "cattiva ragazza" del cinema di quei tempi. E Rodolfo Valentino? Beh, anche chi non è un grande appassionato di cinema, almeno una volta nella vita avrà sentito dire qualcosa che lo riguarda. Ancora oggi è considerato il divo per eccellenza. Latino, passionale, non il "cattivo" in realtà, quanto piuttosto l'uomo fuori dai canoni del tempo, il primo vero sex symbol, il "Latin Lover", con qualità recitative e uno stile inconfondibile ammirato da tanti grandi del cinema, tra i quali anche Charlie Chaplin. Bello e provocatore, ballerino eccelso e grande attore, venne ben presto consegnato alla leggenda come "il divo insuperabile". Il marchio di fabbrica hollywoodiano, con la sua adattabilità di temi, la sua qualità palesata, la sua meccanizzazione a livello di "industria cinematografica", si considera essere stata rappresentata al meglio dal regista Cecil Blount De Mille che passò da opere drammatiche a film passionali che diedero il via alla "commerdia libertina" e posero le basi per i successivi "anni folli", per poi occuparsi di western ed altri temi leggeri e ricambiare, ancora, proponendo "I Dieci Comandamenti", un film biblico di grande spettacolarità, senza lasciare da parte però le sue produzioni drammatico-passionali. Il cinema di De Mille porta gli spettatori, in ogni caso e al di la' delle tematiche trattate, fuori dalla realtà; ipnotizza il pubblico, addirittura troppo preso dalle immagini che scorrono, per poter avere il tempo di riflettere sulle tematiche che gli vengono proposte.

Charles Spencer Chaplin
Charles Specer Chaplin. Anche lui si affermò negli anni dieci. Iniziò dal teatro - come anche altri del resto – e giunse al cinema muto nel 1914, lavorando per Sennett. Con il cinema poteva finalmente dar libero sfogo a tutto ciò che il teatro, per tempi e spazio, non poteva consentire. Il personaggio che lo rese celebre, Charlot, ebbe una sua evoluzione, fino al perfezionamento raggiunto dall'attore nel 1915, quando Chaplin smise di lavorare con la Keystone di Sennet e firmò un contratto con la Essanay che gli permetteva di scrivere e dirigere i propri film. In questo passaggio la comicità esteriore si fa più profonda e porta al personaggio quella velata amarezza che non vuole nascondere gli aspetti più negativi della società e della realtà. Nel 1916 Chaplin passa alla Mutual e con questa casa di produzione il personaggio di Charlot perde totalmente il carattere della "macchietta". La poesia di Chaplin non ha più limitazioni e diventa simbolo di contestazione verso il sistema borghese e capitalistico, non si tratta più di sola satira di costumi e umorismo, bensì di un personaggio che ha le sue radici nel giudizio della società e della politica, un personaggio ideologico che mette in risalto tutte le contraddizioni di quei sistemi che contesta. Chaplin non smette mai di far evolvere il suo personaggio e successivamete, pur mantenendo lo schema del film comico e pieno di gag, il sentimento prende il sopravvento, il nucleo del dramma non è solo la solidutine di Charlot e la critica, la satira, prendono forme umanamente più dolci, nonostante non manchi mai, in ogni caso, l'accenno alla critica stessa. Charlot si raffina nel tempo anche dal punto di vista stilistico e pur mantenendo come base la mimica del personaggio, lo spessore psicologico del personaggio si fa sempre più nitido, le tecniche espressive sempre più fini e si arricchiscono così anche le ambientazioni e la tempistica, che diviene sempre più ritmata e scorrevole. Con l'arrivo della crisi del 1929 Charlot riacquisisce le sue caratteristiche principali, con opere comico-politiche di stampo chiaramente satirico (v. "Tempi Moderni", 1936). Trovandosi nel mezzo della prima e della seconda guerra mondiale, Chaplin riesce con le sue opere a concludere il ciclo di tutto il lavoro precedentemente proposto con il personaggio di Charlot. Nell'alta tensione internazionale degli anni appena precedenti al '40, progetta una continuazione del personaggio che si rivelerà poi con l'uscita de "Il dittatore" (1940), la prima esperienza di Chaplin nel cinema sonoro. Nel 1947 esce "Monsieur Verdoux" e il personaggio di Charlot è sostituito appunto dal sig. Verdoux: cinico, egoista, avventuriero e cattivo, Verdoux è il simbolo della perdita dei valori morali dell'umanità, amarissimo ritratto di un mondo in cui l'interesse dei singoli o di un gruppo prevale su qualsiasi cosa, un mondo in cui il delitto è diventato solo un mezzo del potere, giustificabile, per gli assassini, come se nulla fosse. Nei periodi successivi escono film legati alle esperienze personali di Chaplin ("Luci della ribalta", 1952 - "Un re a New York", 1957 e "La contessa di Hong Kong", 1967). "La contessa di Hong Kong", tra l'altro, è l'unico film da lui creato e diretto in tempi recenti, in cui egli stesso non appare come attore, il suo unico film a colori e l'ultimo film della sua incredibile carriera di attore e produttore. E' un film in cui i protagonisti sono la nostra meravigliosa ed eterna Sophia Loren e il grande, memorabile, Marlon Brando. Da sottolineare inoltre, è che Chaplin è sempre stato anche il creatore delle musiche presenti nelle sue produzioni. Un artista a tutto tondo, che è stato e rimarrà sempre unico, conosciuto da tutti ma non abbastanza (nei tempi d'oggi) è diventato modello difficilmente superabile di arte pura, leggera e brillante, senza sconti e in continua fase di trasformazione, proprio come il mondo che lo circondava. In una posizione di unicità, rispetto allo sfondo delle produzioni hollywoodiane.

Per quanto riguarda invece la storia professionale di Eric von Stroheim, si parla di un uomo fortemente influenzato dal fascino che aveva, rispettivamente, per il mondo aristocratico e per quello militare. Figlio di un cappellaio viennese ebreo, egli si ritagliò inizlamente ruoli da "rampollo aristocratico", ebbe poi molti ruoli in cui interpretava ufficiali di vario grado dell'esercito americano e, durante la seconda guerra mondiale, diversi furono anche i ruoli in cui interpretava ufficiali nazisti. Il suo stile e il suo carattere rigido si adattavano bene a ruoli duri e divenne così, in quel periodo, la rappresentazione cinematografia del cattivo per eccellenza. Alcune scene da lui intepretate come soldato tedesco, tra l'altro, suscitarono grande scalpore e sdegno nell'opinione pubblica. Questo però era il suo ruolo. In un' America oramai in guerra, egli doveva portare al pubblico l'immagine del cattivo contro il quale il Paese stava combattendo. Stroheim fece molta fatica ad iniziare la carriera di attore, anche se poi, tra altri e bassi, fu interpete di molteplici pellicole. Quando poi si dedicò alla creazione e alla regia (una volta finita la guerra e con la fine delle richieste di attori che interpretassero quel tipo di ruoli), riscontrò sempre grossi problemi con i produttori, poiché era tanto pignolo, duro e maniacale si può dire, da metterci ore ed ore ed ore già solo per girare una scena di apertura. Questo lo screditò parecchio naturalmente, poiché i suoi lavori da regista risultavano troppo lunghi e costosi, ache se essendo a corto di offerte talvolta riuscì a risollevarsi con lavori più adatti al cinema hollywoodiano, per poi ripiombare nelle problematiche con i produttori una volta riottenuta carta bianca. Per intenderci, uno dei suoi lavori, arrivò a durare otto/dieci ore e fu integralmente proiettato una sola volta in forma privata, per poi essere tagliato dai produttori fino a una durata di due ore e rivenduto come film di serie B (cosa che ovviamente non fece piacere al suo creatore, ma appunto, questo suo modo di girare, fu in sostanza la sua rovina come regista). Dopo diversi tentativi di proporre questo suo anomalo ma allo stesso tempo geniale e titanico stile, si dedicò di nuovo solo alla recitazione e negli anni ebbe ruoli talvolta nella scrittura di sceneggiature o altri lavori come il tecnico, l' aiuto regista ecc... E' stato definito in sostanza un altro grande della storia del cinema, capace di creare capolavori riconosciuti quali "Rapacità", nel quale realismo e mertafore visive si fondevano in un'unica cosa, con la ricostruzione scenografica in studio, tra l'altro, di un'intera strada di San Francisco dell'ottocento, curata nei minimi dettagli. Usando, a differenza della gran parte dei registi americani del tempo, la profondità di campo, egli creò sfondi ricchi di dettagli, meno facili da accogliere per lo spettatore ma più ricchi di significati diversi tra loro, anche contrapposti a quelli portati dalle immagini in avanpiano. Nel 1955, Abel Gance – regista, attore, sceneggiatore, produttore e montatore cinematografico fancese – disse di lui: "Un genio, un uomo di immense capacità che è stato messo nell'impossibilità di nuocere, costretto per vivere a fare l'attore agli ordini di registi mediocri."