Fin
dagli anni Venti, accanto all'evoluzione così detta "tradizionale"
del cinema, si sono fatte strada le avanguardie cinematografiche. In
contrasto con il divismo e gli scenari che si stavano sviluppando,
fecero il loro ingresso nel mondo delle pellicole poeti e pittori.
Gli artisti infatti consideravano il linguaggio utilizzato nei film,
solo una copia riportata e tra l'altro alquanto automatizzata del
linguaggio già in uso nella letteratura e nel teatro. Consideravano
così il nuovo mezzo di comunicazione, terreno fertile per lo
sviluppo artistico, andando fuori dagli schemi considerati adatti al
cinema "di massa". Ogni opera aveva così un valore
aggiunto e soprattutto portò modelli estetici e ideologici.
L'analisi del linguaggio che gli artisti portavano avanti, permise al
cinema d'avanguardia e più in generale a tutto il cinema, di
giungere ad un linguaggio proprio, non più legato alla sopracitata
letteratura o al teatro. Nuovi elementi espressivi e formali,
l'applicazione di nuove vie di sviluppo lontane dalla normale
linguistica, portarono negli anni a un sempre più acceso e creativo
sviluppo dell'estetica e del linguaggio stesso. Dopo i primi
esperimenti da parte dei futuristi, il cinema d'avanguardia si
sviluppò parecchio nell'ambiente del dadaismo internazionale, negli
anni successivi alla prima guerra mondiale; il dadaismo diede vita a due
poetiche: la poetica dell'opera globale e la poetica del caso. Le due
poetiche, tra le altre cose, fungevano da punto di collegamento tra
autori ed opere molto diversi tra loro. I pittori e i poeti,
cercavano con l'avanguardia nuovi legami con le percezioni sensoriali
e relative all'esperienza della realtà, attraverso basi morali ed
estetiche certamente considerabili come moderne rispetto alla
tradizionale visione. Nascono negli anni successivi anche nuovi
legami tra cinema e musica e nuove ritmiche nell'immagine e nella
narrazione. Il dadaismo, in sostanza, diede il via allo sviluppo
delle avanguardie, che poi continuarono ad evolversi negli anni Venti
attraverso il surrealismo. Entrambi i movimenti, pur se in modi
ovviamente differenti, si ponevano al pubblico come posizione
alternativa, un punto di vista nuovo sul mondo, con nuove filosofie
dell'arte e della vita. Spesso nelle singole opere, nei singoli
autori, si riconoscono anche influenze di avanguardie diverse, quali
il futurismo, il cubismo o il razionalismo e l'insieme di questi
autori e delle loro diverse influenze va a formare un discorso
generale sull'arte e sul cinema – in quanto nuova arte – in
periodi di continuo fermento, evoluzione e trasformazione creativa.
Fernand Léger, ad esempio, portò un esempio eccezionale di cinema
cubista con il suo "Ballet Mécanique" (1924). Léger è
stato un pittore, ma anche un creatore di vetrate e arazzi, uno
scultore, decoratore, ceramista, scenografo, costumista e
illustratore. Questo film ispirò molti altri artisti, pur non avendo
una trama. Si concentra infatti su oggetti inanimati e animati,
ripetuti in diversi fotogrammi, con prospettive diverse, immagini a
specchio, dettagli, dalle forme geometriche a un sorriso, la
silhouette di un uomo, un cappello, una bottiglia, un volto che
cambia espressione, miriadi di immagini destreggiate in maniera
nuova, con tecniche differenti, il tutto presentato e accomiatato da
uno Charlot composto da ritagli geometrici. Anche Marcel Duchamp, con
"Anemic Cinema" (1926) si mosse in una direzione simile e
l'opera è l'insieme di una serie di ricerche portate avanti
dall'artista nel campo della cinetica delle forme; riprendendo
oggetti in movimento da diverse prospettive, cercava la
poliespressività degli stessi. Intorno al 1921 invece, Man Ray,
pittore, fotografo e grafico statunitense, aveva scoperto il
rayograph, vale a dire la fotografia senza macchina fotografica. Gli
oggetti venivano posti su materiale sensibile, generalmente carta
fotografica e posti sotto la luce di una semplicissima lampadina. Il
risultato era appunto una rayografia (termine che naturalmente prende
forma dal nome del suo scopritore). Il primo film di Man Ray,
"Ritorno alla ragione" (1923), fu realizzato in una sola
notte con diversi materiali cinematografici; durava pochi minuti ed
era costruito al di fuori di ogni struttura formale o razionale;
un'opera dadaista, che volutamente in contrasto con il suo titolo,
determinava un significato culturale d'impatto, infrangendo le
convenzioni della cultura e dell'arte. Un' altra opera molto
importante per quegli anni fu "Entr'acte" (1924),
realizzato da René Clair (attore, sceneggiatore e regista) in
collaborazione con il pittore e scrittore Francis Picabia (anche lui
francese), che divenne il simbolo del cinema dadaista nonostante le
tecniche cinematografiche utilizzate per la realizzazione dello
scenario facessero parte di un'avanguardia rifiutata dal dadaismo, ma
essenziale nel cinema sperimentale di quegli anni. "Entr'acte"
significa "intermezzo", poiché inizialmente doveva essere
solo l'intermezzo cinematografico di un balletto, anche se poi, oltre
ad essere esteticamente centrato per quel "ruolo", divenne
molto di più. Il film rendeva i caratteri del
non-sense dadaista: le situazioni, il gioco, la provocazione, la
presa in giro antiborghese. La poetica del film dunque, lo rese, al
di la' delle tecniche utilizzate, il più significativo esempio di
cinema antitradizionale e dadaista; provocatorio e illogico, dedito
al caso e al superamento della cultura e dell'arte borghesi.
rayografia, Man Ray |