L'autunno se ne è partito come ogni anno, di un anno più vecchio, ma mai oscurato. Nella nebbia ci porta sempre un richiamo: "State svegli, guardate avanti, guardate bene". Nelle foglie porta un dono, tremendamente caldo: ed è musica, ed è un dipinto e sono gli anni degli alberi, la loro esperienza.
Quel giorno guardava in alto attraverso le fronde, guardava il cielo e ci diceva calmo: "Che bello il cielo, che bello", sempre così grato. Sa sempre quando è tempo di andare. Per noi è un gioco e una fortuna.
Spera ogni anno che il mio arrivo possa far fiorire anche le anime più tristi, che in sua presenza non riescono a cogliere i messaggi delle foglie, forse solo per timidezza.
Io ed Estate restiamo incantate, quando inizia a raccontare le sue leggende, le sue realtà, le sue sfumature. Per noi in fondo è facile essere amate, per lui un po' meno e noi sappiamo che la sua saggezza fa crescere anche noi.
Le luci d'Autunno e d' Inverno, i raggi a confronto. La bellezza, quando ci incontriamo a scambiare due parole all'avvicinarsi del rispettivo momento, nei secoli, nei millenni. Con gentile galanteria ci ha sempre lasciato il passo e noi a lui e al freddo indispensabile Inverno.
Con affetto mi ha raccomandato di far capire agli uomini che il letargo non è naturale per loro e che oramai è troppo diffuso. E' ora di svegliarsi.
Mi diceva che avrei dovuto aiutarli a capire: che i profumi dei gigli e delle querce, se vuoi, li puoi sentire sempre.
Mi diceva, nelle sere d'attesa, che con i suoi volti umidi ha sempre avuto molto da dire, ma le persone spesso preferiscono dormire, tenere gli occhi chiusi, essere ceche.