Con
grande gioia vi presento il racconto del terzo classificato al concorso
letterario di L.A. Editing: “Vita di un respiro” di Emanuele Gentili.
Emanuele è un poeta e nel suo racconto questo emerge, non c’è che dire. Il suo stile,
la stesura del testo, la scelta del “come” trattare gli argomenti (più di uno e
tutti certamente di peso), sono immagine perfetta del poeta che si ritrova a
scrivere un racconto, nel senso più positivo che ci sia. Anele è protagonista,
insieme ai genitori e in particolare al padre, di una storia attuale quanto
storica (poiché sappiamo che la storia si ripete). Anele, nata in una zona del
mondo in cui i sacrifici e il pericolo vengono ben presto a bussare alla porta,
è respiro del padre. Un padre che tanto la ama da non esser più riuscito, per le preoccupazioni e il timore di perderla, a emettere respiri pieni, tanto è preso
dalla paura. Anele è però anche simbolo del suo respiro fisico: un respiro che
gli viene a mancare per un ceppo di polmonite assai duro da superare, per il
quale ci sono già state molte vittime. Mike si trova faccia a faccia con la
morte e Lucia – la cara moglie – già teme il peggio e si domanda in qualche
modo come potrebbe spiegarlo alla sua piccola. Anele però è forte: sia Anele
come bambina e figlia che Anele come simbolo e realtà del respiro, portatore di
vita. C’è tanto in questo racconto. Ci sono emozioni forti, realtà,
riflessioni. La vita è respiro, il respiro è vita. I figli stessi sono respiro
e i genitori lo sono per loro. Cosa accade a Mike, Anele e alla mamma Lucia?
Leggete e gustatevi ogni frase. Complimenti a Emanuele per questo splendido
racconto.
Vita di un respiro:
Anele
è un respiro. È appena nata e non sa ancora di esserlo. Si scalda sotto il
caldo africano, nella regione dello Zimbabwe, nei pressi di una diga alta 130
mt, a Kariba. Una diga che non è più sicura, ormai: comincia a dare dei segni
di cedimento. Piccole crepe e improvvise fuoriuscite d’acqua potrebbero
mostrarsi da un secondo con l’altro.
Anele
è forte, la madre non ha dubbi. Queste cose si sanno, sono impostate di default
dentro di noi. Non ci si inganna né si mente a noi stessi, riguardo a queste
sensazioni. La sua preoccupazione, dopo il primo vagito, sembra svanire;
compensata dalla consapevolezza che la piccola resisterà, fino al compimento
del proprio dovere. Quello che però Kali non sa e non può immaginare è che la
sua cucciola di respiro è destinata a grandi cose.
Tempo
di un saluto, un bacio sulla fronte e la piccola è libera di spiegare le proprie
ali: al di sotto di quella diga. Non vi è tempo per i romanticismi e per i
saluti. Questo ogni madre lo sa. Una volta nato, il respiro appartiene al vento
e, con lui, deve andare incontro al proprio destino. Anele, questo non può
ancora saperlo.
È
solo curiosa: come può esserlo chiunque veda il suolo della sua amata madre
terra, dall’alto della propria vita: per questo in Africa si pensa che ogni
respiro abbia due madri. È confortante, nascere respiro. Così piccolo, già con
un dovere da compiere, ma con la sicurezza di avere un senso, uno scopo.
- - Mamma,
papà ha gli occhi ancora chiusi. Quanto sta dormendo?
La
piccola Anele ripete la stessa domanda ogni cinque minuti, alla madre Lucia. La
risposta che riceve non cambia, estratta come fosse una confessione sotto
tortura:
- Lascialo riposare, è stanco.
Si
gira Lucia, come se questa risposta la dovesse dare al vento o forse per non
far vedere alla figlia le lacrime che da quindici giorni albergano su quegli
zigomi scavati dalla paura.
Il
padre fatica a respirare, tossisce. La febbre non si abbassa, se non di qualche
grado. La sera sembra aver assorbito tutto il sole africano. Tosse da fumatore
senza mai averne aspirata alcuna. Tosse che sembra voler sputare sul mondo il
dolore che lo sta attanagliando da dentro.
I
respiri non arrivano, se non forzati. Si scambiano come fossero a una partita
di pallavolo. Prima la tosse, poi il respiro e così via, fino a… Un fisico
robusto, bloccato da una banale influenza.
La
madre ha spento da ieri la televisione. Notizie strane arrivano da paesi
distanti pochi km da loro. Una nuova malattia, simile alla polmonite, sta
contagiando molte persone e i morti aumentano. Lei non ha dubbi: si tratta
dello stesso ceppo di influenza. Queste cose si sanno, sono impostate di
default dentro di noi. Non ci si inganna né si mente a noi stessi, riguardo a
queste sensazioni.
Di
guardare Anele negli occhi però non se ne parla:
- Ora
andiamo a dormire, piccola. Vedrai che domani starà meglio.
Da
madre non avrebbe mai pensato che sarebbe stata in grado di mentire come una
professionista a sua figlia.
Il
padre Mike, italo americano, si finge equilibrato. Simula respiri calmi.
Asseconda la pancia con la mente - grazie alle poche lezioni di Yoga -
prendendola per mano, come se dovessero attraversare una strada pericolosa.
Da
cinque anni, età della figlia, teme il domani: è stato spavaldo sino ai
quaranta, poi un nuovo orizzonte si è presentato davanti ai suoi occhi
innamorati. Quel meraviglioso profumo d’abbracciare che ora pare essergli
negato, chiuso come è nelle proprie paure. Già
da allora gli manca il respiro pieno, completo. Lei nascendo se n’è preso un
po’.
- Come
mi sento, come mi sento, come mi sento? - continua a ripetersi, prima di
coricarsi.
I brividi non lo hanno mai abbandonato:
prima erano d’amore, di gioia. Erano brividi d’emozione pura, semplice e
contagiosa. I brividi da bollicine, spumeggianti e color dell’oro. Luminosi, solari, africani.
Ora trema: è
decisamente diverso. I tremori hanno incrementato la loro intensità, fino a
divenire scosse, come fossero terremoti, veri e propri sussulti.
Oramai il suo corpo freme per la gran
paura. Continua a mostrarsi distaccato, persino a sé stesso. Si osserva
dall’alto della montagna e non si riconosce più. Sente
freddo. La sua anima è oramai in cima, si guarda attorno. È sola là sulla
vetta, almeno per il momento.
Si vede
così, mentre sente quella gran paura di perdere l’equilibrio, di soffiare fuori
l’emozione per non farla morire di freddo. Ha paura persino di piangere: magari
poi si ghiacciano, queste lacrime dimenticate. Si
sbuccia l’anima, cadendo esausto per l’ennesima volta. Sangue nuovo viene dalla
sua ferita e gli pare come se fosse stato lasciato custodito in fondo a un
pensiero. Se non lo vedesse così lucente, rosso vivo, lo avrebbe dato per
“morto”.
Anele vola veloce. Il
vento da dietro le tiene i capelli con amore, vola verso il proprio destino.
Scorge in lontananza la sua bella casetta e nota subito la finestra aperta,
perché di solito a marzo è tutto chiuso. Lei non conosce le dinamiche però, non
si pone domande. La
casa prende aria, ricicla vita. Un cuore aperto non può permettersi porte
chiuse. La speranza passa dalle crepe di un muro portante ed è proprio una
crepa che segna la via ad Anele. È
la strada più angusta, stretta e scomoda a fare da ponte tra la morte e la
vita.
- Mamma,
papà ha riaperto gli occhi!
Anele
vede la sua vita in una pancia, quella che papà ritrova dopo anni svuotata
completamente grazie a un respiro, finalmente pieno di vita.
Autore: Emanuele Gentili
Editing testo: L.A. Editing&Digital Marketing
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