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lunedì 6 luglio 2020

"Una melodia nel silenzio" di Francesca Pala - 1a classificata al Concorso L.A. Editing

Aleksandr Ermakov


Non ho molto da dire riguardo a Francesca Pala, se non che la sua naturale semplicità e la sua innata capacità di emozionare hanno fatto la differenza. Credetemi, non è per nulla scontato avere queste caratteriste per natura. Di seguito "Una melodia nel silenzio".

Tommaso si accarezzò la barba leggermente lunga. Era seduto davanti a un pianoforte. La mano incerta, sui tasti bianchi e neri, sembrava chiedere a quel vecchio strumento cosa dovesse fare. Gli occhi infossati sembravano tristi e vuoti, come fantasmi di ciò che erano stati. Alcune dita della mano accarezzarono i tasti e, dopo qualche minuto, una bellissima melodia scacciò il silenzio della solitudine. Chiuse gli occhi e si lasciò trascinare nel mondo che quella musica gli ricordava. Un’unica flebile luce accanto a una vecchia poltrona donava un’atmosfera irreale a quella notte di pioggia. Aveva lasciato andare la donna che più al mondo l’aveva amato. L’aveva cacciata via dalla sua miserabile vita senza domani. Le sue mani si fermarono bruscamente e la stanza ripiombò nel silenzio. Un lampo illuminò tutto per un eterno secondo e poi, il boato del tuono riecheggiò tra gli alberi piegati dal vento. Tommaso si passò una mano sul viso stanco, si chiese cosa avrebbe fatto. Incerto si alzò, guardò oltre la pioggia, oltre gli alberi spogli e vide Laura nella sua mente: la vide danzare nel suo salotto. Appoggiò una mano sul freddo vetro della finestra e rabbrividì mentre quell'immagine di lei svaniva nella notte. Lei meritava un uomo che le stesse accanto, che la ricordasse ogni giorno e quell'uomo non poteva essere lui. A breve, pian piano, la sua memora se ne sarebbe andata e lui con lei. La malattia gli avrebbe rubato i ricordi. La malattia non perdona. Gli era capitato di lasciare il fuoco dei fornelli accesi. Quando se ne accorse si accasciò al suolo e si mise a piangere. Mentre piangeva, tremava al pensiero di ciò che sarebbe potuto succedere, ma dopo un po' - come in una specie di atroce magia - si trovò a ridere vedendo davanti a sé un pagliaccio che non esisteva, se non nella sua mente. Nell’ultimo barlume di lucidità assunse una donna che fosse la sua memoria e lo proteggesse da sé stesso.  Col tempo iniziò a mettersi a sedere sempre sulla solita poltrona, per poi non spostarsi più da lì. Nei mesi successivi il suo salotto diventò ora una strada, ora un vecchio capanno in cui aveva giocato da piccolo. Le persone, così come i luoghi, svanivano e poi ricomparivano in una danza confusa tra realtà e immaginazione. Un giorno, per uno strano scherzo del destino, Laura seppe da un’amica che Tommaso aveva il morbo di Alzheimer e che non riconosceva più nessuno.  Capì che aveva voluto lasciarla libera, quella maledetta sera. Decise così di andare da lui, mentre le sue guance si coloravano di speranza e le mani sudate stringevano il volante. Bussò alla porta e attese che qualcuno aprisse. Una grassottella signora di mezza età la accolse, sorpresa da quell'inaspettata visita. Cosa avrebbe trovato? o meglio, chi avrebbe trovato? Il pianoforte era perfettamente pulito e chiuso: un tempo era stato sommerso di fogli, canzoni mai finite e vecchi spartiti. Guardò Tommaso seduto sulla poltrona: aveva un maglione azzurro e un vecchio paio di jeans. Sembrava sempre lui, con il suo solito buon profumo:

Ciao Tommy…
- Ci conosciamo? – chiese lui con i suoi soliti modi pacati.
Laura smise di respirare. Come poteva aver cancellato tutto? Era questo il dolore dal quale lui l’aveva protetta in quell'anno di silenzio?
- Sono Laura…
- Piacere di conoscerti Laura!
La sua calda voce accarezzò l’animo di lei. Forse Tommaso non era più lì dentro o forse era ingabbiato da quella malattia, legato, imbavagliato e nascosto in qualche posto lontano.
- Come stai? - chiese di nuovo la donna sedendosi.
Guarda, ormai non sopporto più quel cane che continua ad abbaiare per ore. Poi vorrei tanto tornare a casa mia.
Come a casa tua? – chiese Laura stupita.
Lui la guardò e Laura capii: “hai ragione Tommy, ti porto a casa io” pensò tra sé e sé.

Giusto. Andiamo? - lo rassicurò a voce alta.
Ma tu sai dove abito? - la voce di quell'uomo sembrava speranzosa. I suoi occhi la raggiunsero dritta in fondo all'anima. Lui era lì.
Certo, abiti là – affermò indicando lo studio. Lui si girò e sembrò sollevato nel vedere ciò che cercava. 
Esatto!  - sbottò raggiante.
- Si alzò, Laura gli prese la mano e insieme si diressero verso lo studio:
- Vuoi ballare? - invitò Tommaso guardandola negli occhi - Senti che bella musica…

Forse era una follia. Sicuramente era una follia, ma l’unico modo che aveva per ritrovarlo era vivere il suo mondo. Iniziarono a volteggiare nello studio sulle note di una canzone silenziosa. Una melodia che non si sentiva con le orecchie, ma solo con il cuore.

- Sai, conoscevo un uomo così folle che pensava di potermi mandare via.- Davvero? - Tommaso era incuriosito da ciò che quella donna aveva da dire.- Sì, davvero. Non sapeva che io sono più pazza di lui - sussurrò lei quasi fosse un segreto.
Lui rise, dopo tanti mesi di silenzi. Finalmente sentiva di avere qualcuno che lo capiva, che vedeva il suo mondo. Laura, in quel momento, decise che sarebbe stata accanto a lui sempre, pronta per vivere nuove avventure insieme, tra le pareti di casa.

lunedì 22 giugno 2020

"Alex" di Oscar Mariotti - 2° classificato al Concorso L.A. Editing

"Donna misteriosa" di Emil Berg

Oscar Mariotti, con “Alex”, è il secondo classificato del concorso di L.A. Editing. Lo stile di Oscar è definito, ma allo stesso tempo si percepisce - per un occhio esperto – la voglia di sperimentare. Ha iniziato a scrivere di recente, circa un paio d’anni fa e questo – visti i risultati – fa comprendere quanto a volte anche scoprire “tardi” una passione, non significhi aver “perso tempo”. Non sempre chi scrive e ha le abilità per farlo, come in questo caso, lo sa e lo fa fin dalla più giovane età. Ciò non toglie che questo percorso possa diventare di fondamentale importanza nella propria vita, che la scrittura possa divenire una necessità creativa di cui poi non puoi fare a meno, perché in fondo è sempre stata lì ad aspettarti. Ho avuto modo di leggere altre cose di Oscar Mariotti ultimamente e sono felice di dire che “è nato uno scrittore”. Non anticiperò nulla su questo racconto, vi lascerò godere di ogni scena. Si, ogni scena: perché Oscar racconta i passi delle sue storie come scene di un film.


Alex

Nel salotto buio, seduto sul vecchio divano, fissava lo schermo del computer. Fece scorrere immagine dopo immagine, posizione dopo posizione, la vita del signor Brunetti.

Lapo Brunetti, capo filiale di Cavriglia, era un mezzo uomo e mezzo marito di mezz'età. Dalle foto che stava guardando Alex, era evidente che non gli riuscisse bene nemmeno di tradire. La moglie era la brutta copia di una ragazza di campagna, sciatta nel vestire e con qualche chilo di troppo, con grandi occhi nocciola, onesti e speranzosi. La ragazza che era con lui nelle foto, rubate dalle finestre di un appartamento, era alta, bionda e magra. Molto, forse troppo, giovane e giocava con lui come il gatto con il topo. Rappresentava l’antitesi della moglie e non gli offriva certo amore, comprensione o una banale e tediosa quotidianità.

Alex guardò il soffitto, aspettandosi un po' di rumore. Arrivò il silenzio e scosse la testa: niente, totale immobilità, una quiete persistente. Prese uno Xanax dalla tasca, lo buttò giù con un sorso di rum e attese che facesse effetto. Lo schermo gli proponeva corpi nudi e tradimenti, lucide forme che si muovevano all'interno di appartamenti sporchi, grigi e senz’anima. Sorrise e pensò che quei luoghi, quelle camere da letto dalle lenzuola dozzinali, altro non rappresentassero se non l'essenza dei "gentiluomini" che le frequentavano.

Tornando a casa si era fermato alla Bottega e il ragazzo alla cassa aveva alzato la testa mostrando un sorrisone, per poi infilare le mani sotto il bancone e appoggiare una grossa busta gialla sul ripiano.

- Roba forte, Alex.
- Niente spoiler, Robi. Quanto ti devo? 
- Venticinque. Quel tipo se l'è proprio goduta.
- Già - gli dette i soldi e uscì per strada.

Tito, il gatto, si strusciò alla gamba e lo riporto alla realtà. Lo guardò severamente:

- Cosa vuoi? – gli chiese stranito.

Il gatto saltò sul divano e si mise accanto a lui. Guardava incuriosito le foto scorrere sullo schermo e con grazia e dignità si volse verso Alex:

- Non vi capirò mai, umano.

Alex rimase impietrito e cominciò a pensare di aver avuto un’allucinazione. Di sicuro lo Xanax stava facendo il proprio dovere e si rilassò. Sorrise e accarezzò Tito che cominciò a fare le fusa:

- Perché vi legate a una femmina per tutta la vita? – ora Tito lo fissava seriamente.
- Cosa diavolo succede? – gli domandò stupefatto Alex.
- Puoi anche rispondere… – commentò l’amico gatto.

Alex si alzò intontito e barcollò verso la cucina. Si versò un bicchier d'acqua e si appoggiò al tavolo.

- Mentre sei lì, potresti darmi da mangiare - aggiunse Tito con pigrizia.
- I gatti non parlano, Tito.
- Gli uomini non pensano, Alex - saltò sul tavolo e si sedette, poi continuò - perché vi dovete scegliere una compagna per la vita e poi vi dovete nascondere quando andate in cerca di altre femmine?
- È complicato – provò ad argomentare l’uomo.
- No, non lo è.
- Tito, ti ho visto più di una volta andare in cerca di gatte.
- Sono loro che mi vogliono, Alex.
- E sappiamo bene quanto sei orgoglioso di questo.
- Bisogna sempre conservare la propria indipendenza. Se lasci che ti piantino addosso le unghie, sei perduto.

Alex sentì la camera vorticargli intorno e si aggrappò al tavolo. Riuscì a trascinarsi fino al divano e chiuse gli occhi:

- Il cibo, Alex. - sentì il morbido pelo di Tito contro la propria guancia - Alex, che razza di nome è Tito? Ti voglio bene ma...

Il giorno dopo si svegliò depresso e dolorante. Si guardò in giro e non riuscì a scorgere Tito. Lo schermo era ancora acceso e lo fissava, in attesa di una sua decisione.

Si preparò il caffè e decise di parlare chiaramente con il signor Brunetti. In fin dei conti era stato assunto per scoprire una possibile tresca di sua moglie. La signora Brunetti era una donna trasparente, nessun vizio e soprattutto nessun amante. Suo marito invece era di tutt’altra pasta e gli stava antipatico. Avrebbe parlato con lui e dopo aver riscosso lo avrebbe mandato al diavolo. 

Prese il caffè e trovò Tito che dormiva nel suo letto: preferì non disturbarlo. Decise di farsi una doccia lunga e bollente e prima di uscire riempì la ciotola dell’amato gatto, per poi prendere il computer. Poche scale e si ritrovò in strada. Prese il cellulare e compose il numero:

- Carlo, hai da fare?
- Buongiorno a te Alex.
- Buongiorno. Hai da fare ora?
- Sono in studio, perché? - la sua voce risultava, come sempre, calma e profonda. Alex la odiava da sempre quella voce, fin da quando erano alle superiori.
- Mi è successa una cosa strana, ieri sera.
- Ho dieci minuti.
- Grazie.
- Dai, dimmi.
- Ho parlato con il gatto.
- Niente di strano. Anche io parlo con il mio gatto, - si schiarì la voce - il problema nasce se ti ha risposto.

Alex lo immaginò che sorrideva compiaciuto, seduto alla sua grande scrivania di legno scuro:

- Appunto, Carlo.
- Mi vuoi dire che Tito ti ha parlato?
- Esattamente.
- Cosa hai preso ieri sera?
- Niente di che. Giusto uno Xanax e un paio di bicchieri di rum. Il solito, Carlo.
- Solo? A me sembra abbastanza. Come ti senti?
- Disidratato e affamato di cervelli. Uno zombi, né più né meno.
- Me lo immagino. Ne riparliamo poi, è arrivata la paziente.
- Ciao, strizzacervelli.
- Vedi di non dare confidenza agli animali che non conosci, Alex. – e dopo quest’ultima affermazione beffeggiante, Carlo riattaccò. 

Ritrovandosi davanti al suo ufficio, Alex rifletteva sulla notte appena passata: una notte strana di certo, con allucinazioni e conversazioni inaspettate. Eppure non aveva bevuto abbastanza da intontirsi. Ora che ci pensava, mentre si dirigeva verso Bianca, non aveva ancora bevuto ed erano le nove del mattino. 

- Qual buon vento?

Bianca era una ventenne, senza grandi aspirazioni. Capelli rossi, occhi azzurri e lentiggini, magra e molto tatuata. Una modella che, parole sue, non aveva voluto posare nuda per cui si era dovuta trovare un altro lavoro. La sua più grande qualità era il fidanzato, carabiniere di stanza a Montevarchi e fonte inesauribile d’informazioni. Si avvicinò a lei, sfilò dal cappotto una busta e gliela porse. 

- Stipendio.
- Una busta paga con bonifico, no?
- Per chi mi hai preso, sono all’antica – sottolineò Alex.
- Come no! - Bianca contava i soldi senza alzare la testa. - C’è il signor Brunetti in ufficio.
- Mattiniero. Ha detto niente?
- Non mi piace. Mi ha spogliato con gli occhi.
- Mette i brividi, vero?

Bianca annuì e gli indicò la porta dell’ufficio, così Alex entrò togliendosi il cappotto. Si diresse alla scrivania con in mano due grandi buste gialle:

- Buongiorno Signor Brunetti, scusi l’attesa - posò gli involucri e si mise a sedere.
- È in ritardo signor…
- Alex, solo Alex.
- Bene Alex. Che cosa ha scoperto?
- È complicato signor Brunetti.
- In realtà è semplice Alex. Mia moglie mi tradisce, sono sicuro.
- In realtà ho le prove di un tradimento.
- Delle foto? - Alex toccò le buste e annuì serio.
- Conosce la parola Hybris, signor Brunetti?
- Arroganza, superbia. Giusto?
- In parte è corretto.
- Cosa c’entra con me?
- Nella legislazione della Grecia antica aveva un ulteriore significato.
- Me lo dica, così andiamo avanti - prese il libretto degli assegni e lo compilò lasciando in bianco l’importo.
- Bene, arriviamo al punto. - fece scivolare le buste verso il cliente - Hybris era un oltraggio compiuto verso una persona per sottoporla al disprezzo generale, farle perdere il suo onore e danneggiarne la reputazione.

Il cliente si fece cupo e aprì le buste. La prima risultò vuota, mentre il contenuto della seconda lo trasformò in una statua di sale: scorreva le prove fotografiche del suo stesso tradimento.

- Bene, signor Brunetti. 
- Come si permette!
- Sono cinquecento per aver dimostrato che sua moglie non l’ha tradita e altri mille per aver scoperto il suo tradimento.
- Questa è estorsione! Io la denuncio!
- Lei mi ha firmato il mandato. Ho fatto il mio lavoro – rimase ammutolito, così Alex proseguì - con fattura o senza?
- Lei, lei è… un farabutto!
- Forse. Assegno o contanti?
- Assegno. Voglio avere la certezza che nessuno venga a sapere del fatto - finì di compilarlo e glielo gettò sulla scrivania.
- Certamente, signor Brunetti. Spero che l’assegno sia coperto.
- Assolutamente. Addio, signor …
- Alex, solo Alex. Arrivederci signor Brunetti.

Il cliente si alzò e barcollò verso la porta, con le buste strette al petto. Infilò l’uscita senza voltarsi né chiudere.

- Che stronzo - commentò serafica Bianca.

Silenzio. In ufficio ora era solo e ripensava alla giornata appena passata, conclusa, morta. Aveva risolto il caso e scontentato il cliente e, non era sicuro di doverne andare fiero, aveva riscosso un bel po' di soldi. Sentì all’improvviso due colpi alla porta ravvicinati:

- Avanti - irritato, guardò l'orologio, la porta si aprì e lei entrò: fu incredibile, Alex rimase senza fiato. 

La donna sfilò verso di lui, sembrava fluttuare. Aveva un vestito leggero che la fasciava interamente, le sue forme morbide premevano sulle cuciture e il seno prorompente lo ipnotizzò. Tanta abbondanza lo aveva scosso, lui non amava particolarmente il seno, preferiva un bel didietro al resto, ma quella donna era perfetta su tutto.

- Prego – la esortò Alex mostrandole la sedia.

Si accomodò e probabilmente fu in quel preciso momento che s’innamorò di lei. Le sue labbra piene e carnose lo imbambolavano e i grossi occhiali neri vintage che le nascondevano il volto le davano un tocco di mistero. Un volto innocente e piacevole, accompagnato da due bellissime gambe incrociate che mostravano tutta la carne possibile, liscia e desiderabile.

- Mi dica, signora.
- Signorina.
- Scusi. Continui.
- Morelli, Tiziana Morelli.
- Bene, mi dica.
- Lei è un investigatore privato, giusto?
- Sì. Senta signorina Morelli…
- Tiziana.
- Tiziana, di cosa ha bisogno?
- Ho la necessità che lei mi trovi un oggetto che mi è stato rubato.
- Mi chiami pure Alex. Quale oggetto?
- Una pen drive Alex.

Le porse un foglio e una penna:

- Scriva il suo nome, telefono e indirizzo. Dove e quando le è stata sottratta la pen drive?
- A casa mia. Non so di preciso quando, forse due giorni fa.
- Sospetti?

Alex continuava a osservarla e lei arrossì. Le sorrise e notò un livido fresco vicino all'occhio.

- Qualcuno, le scrivo i possibili nomi.
- Deve fare qualcosa con le porte.
- Cosa?
- Sì, le porte. Se la porta dovesse continuare a battere contro il suo viso, mi chiami.
- È un regalino d'addio del mio ex ragazzo.
- Simpatico.
- Non proprio. Quanto mi verrà a costare Alex?
- La richiamo Tiziana. Faccio qualche ricerca e le dirò.

La cliente si alzò e ondeggiò a dieci centimetri da terra, verso l'uscita:

- A presto, Alex.
- A presto, Tiziana.

Scomparve dalla stanza e lo lasciò svuotato di ogni forza. Che donna che era. Si gettò sulla sedia e osservò i nomi che aveva scritto cominciando a pensare.

La notte sarebbe stata lunga, tra un appostamento e l’altro, a spiare le vite di perfetti sconosciuti. No, quella sera sarebbe andato dritto a casa da Tito e dal suo rum, nel tentativo di lasciarsi alle spalle tutto tranne lei. Non voleva rischiare di distorcere la sua immagine perfetta. L’avrebbe rivista di certo e quasi non aveva la pazienza di aspettare.

mercoledì 17 giugno 2020

"Vita di un respiro" - Gentili Emanuele - 3° classificato al Concorso L.A. Editing



Con grande gioia vi presento il racconto del terzo classificato al concorso letterario di L.A. Editing: “Vita di un respiro” di Emanuele Gentili. Emanuele è un poeta e nel suo racconto questo emerge, non c’è che dire. Il suo stile, la stesura del testo, la scelta del “come” trattare gli argomenti (più di uno e tutti certamente di peso), sono immagine perfetta del poeta che si ritrova a scrivere un racconto, nel senso più positivo che ci sia. Anele è protagonista, insieme ai genitori e in particolare al padre, di una storia attuale quanto storica (poiché sappiamo che la storia si ripete). Anele, nata in una zona del mondo in cui i sacrifici e il pericolo vengono ben presto a bussare alla porta, è respiro del padre. Un padre che tanto la ama da non esser più riuscito, per le preoccupazioni e il  timore di perderla, a emettere respiri pieni, tanto è preso dalla paura. Anele è però anche simbolo del suo respiro fisico: un respiro che gli viene a mancare per un ceppo di polmonite assai duro da superare, per il quale ci sono già state molte vittime. Mike si trova faccia a faccia con la morte e Lucia – la cara moglie – già teme il peggio e si domanda in qualche modo come potrebbe spiegarlo alla sua piccola. Anele però è forte: sia Anele come bambina e figlia che Anele come simbolo e realtà del respiro, portatore di vita. C’è tanto in questo racconto. Ci sono emozioni forti, realtà, riflessioni. La vita è respiro, il respiro è vita. I figli stessi sono respiro e i genitori lo sono per loro. Cosa accade a Mike, Anele e alla mamma Lucia? Leggete e gustatevi ogni frase. Complimenti a Emanuele per questo splendido racconto.

Vita di un respiro:

Anele è un respiro. È appena nata e non sa ancora di esserlo. Si scalda sotto il caldo africano, nella regione dello Zimbabwe, nei pressi di una diga alta 130 mt, a Kariba. Una diga che non è più sicura, ormai: comincia a dare dei segni di cedimento. Piccole crepe e improvvise fuoriuscite d’acqua potrebbero mostrarsi da un secondo con l’altro.

Anele è forte, la madre non ha dubbi. Queste cose si sanno, sono impostate di default dentro di noi. Non ci si inganna né si mente a noi stessi, riguardo a queste sensazioni. La sua preoccupazione, dopo il primo vagito, sembra svanire; compensata dalla consapevolezza che la piccola resisterà, fino al compimento del proprio dovere. Quello che però Kali non sa e non può immaginare è che la sua cucciola di respiro è destinata a grandi cose.

Tempo di un saluto, un bacio sulla fronte e la piccola è libera di spiegare le proprie ali: al di sotto di quella diga. Non vi è tempo per i romanticismi e per i saluti. Questo ogni madre lo sa. Una volta nato, il respiro appartiene al vento e, con lui, deve andare incontro al proprio destino. Anele, questo non può ancora saperlo.
È solo curiosa: come può esserlo chiunque veda il suolo della sua amata madre terra, dall’alto della propria vita: per questo in Africa si pensa che ogni respiro abbia due madri. È confortante, nascere respiro. Così piccolo, già con un dovere da compiere, ma con la sicurezza di avere un senso, uno scopo.

-      - Mamma, papà ha gli occhi ancora chiusi. Quanto sta dormendo?

La piccola Anele ripete la stessa domanda ogni cinque minuti, alla madre Lucia. La risposta che riceve non cambia, estratta come fosse una confessione sotto tortura:

     Lascialo riposare, è stanco.

Si gira Lucia, come se questa risposta la dovesse dare al vento o forse per non far vedere alla figlia le lacrime che da quindici giorni albergano su quegli zigomi scavati dalla paura.

Il padre fatica a respirare, tossisce. La febbre non si abbassa, se non di qualche grado. La sera sembra aver assorbito tutto il sole africano. Tosse da fumatore senza mai averne aspirata alcuna. Tosse che sembra voler sputare sul mondo il dolore che lo sta attanagliando da dentro.

I respiri non arrivano, se non forzati. Si scambiano come fossero a una partita di pallavolo. Prima la tosse, poi il respiro e così via, fino a… Un fisico robusto, bloccato da una banale influenza.

La madre ha spento da ieri la televisione. Notizie strane arrivano da paesi distanti pochi km da loro. Una nuova malattia, simile alla polmonite, sta contagiando molte persone e i morti aumentano. Lei non ha dubbi: si tratta dello stesso ceppo di influenza. Queste cose si sanno, sono impostate di default dentro di noi. Non ci si inganna né si mente a noi stessi, riguardo a queste sensazioni. 

Di guardare Anele negli occhi però non se ne parla:

- Ora andiamo a dormire, piccola. Vedrai che domani starà meglio.

Da madre non avrebbe mai pensato che sarebbe stata in grado di mentire come una professionista a sua figlia.

Il padre Mike, italo americano, si finge equilibrato. Simula respiri calmi. Asseconda la pancia con la mente - grazie alle poche lezioni di Yoga - prendendola per mano, come se dovessero attraversare una strada pericolosa.

Da cinque anni, età della figlia, teme il domani: è stato spavaldo sino ai quaranta, poi un nuovo orizzonte si è presentato davanti ai suoi occhi innamorati. Quel meraviglioso profumo d’abbracciare che ora pare essergli negato, chiuso come è nelle proprie paure. Già da allora gli manca il respiro pieno, completo. Lei nascendo se n’è preso un po’.

- Come mi sento, come mi sento, come mi sento? - continua a ripetersi, prima di coricarsi.

I brividi non lo hanno mai abbandonato: prima erano d’amore, di gioia. Erano brividi d’emozione pura, semplice e contagiosa. I brividi da bollicine, spumeggianti e color dell’oro. Luminosi, solari, africani.

Ora trema: è decisamente diverso. I tremori hanno incrementato la loro intensità, fino a divenire scosse, come fossero terremoti, veri e propri sussulti.

Oramai il suo corpo freme per la gran paura. Continua a mostrarsi distaccato, persino a sé stesso. Si osserva dall’alto della montagna e non si riconosce più. Sente freddo. La sua anima è oramai in cima, si guarda attorno. È sola là sulla vetta, almeno per il momento. Si vede così, mentre sente quella gran paura di perdere l’equilibrio, di soffiare fuori l’emozione per non farla morire di freddo. Ha paura persino di piangere: magari poi si ghiacciano, queste lacrime dimenticate. Si sbuccia l’anima, cadendo esausto per l’ennesima volta. Sangue nuovo viene dalla sua ferita e gli pare come se fosse stato lasciato custodito in fondo a un pensiero. Se non lo vedesse così lucente, rosso vivo, lo avrebbe dato per “morto”.

Anele vola veloce. Il vento da dietro le tiene i capelli con amore, vola verso il proprio destino. Scorge in lontananza la sua bella casetta e nota subito la finestra aperta, perché di solito a marzo è tutto chiuso. Lei non conosce le dinamiche però, non si pone domande. La casa prende aria, ricicla vita. Un cuore aperto non può permettersi porte chiuse. La speranza passa dalle crepe di un muro portante ed è proprio una crepa che segna la via ad Anele. È la strada più angusta, stretta e scomoda a fare da ponte tra la morte e la vita.

- Mamma, papà ha riaperto gli occhi!

Anele vede la sua vita in una pancia, quella che papà ritrova dopo anni svuotata completamente grazie a un respiro, finalmente pieno di vita.


Autore: Emanuele Gentili
Editing testo: L.A. Editing&Digital Marketing