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giovedì 2 marzo 2017

Gianni Cazzola, la quercia swing

Gianni Cazzola, il batterista padre del swing italiano


Gianni Cazzola. Ecco. Dire Gianni Cazzola è come dire "jazz", è come dire "swing". Se non lo conoscete, ve lo presento io (giovani e non, siate furbi, accorrete). Quando io e mio marito lo abbiamo incontrato è stato incredibile. Sentivo in me un subbuglio emozionale ascoltandolo parlare e pensando a quanto ha fatto questo artista, quest'uomo, nella sua vita. È un uomo gentile, molto dolce e ha il fare saggio di chi ha visto il mondo e conosce la vita e, più di tutto, la musica. Settantanove anni di carica, grinta, voglia di suonare, suonare e suonare ancora; di gioire e far gioire attraverso la musa. Per rendere un po' l'idea di chi sia, per chi non lo conoscesse, questo batterista è citato nell'enciclopedia Treccani "Tra i musicisti di alto livello espressi dal jazz italiano" e lo presenta così: "Mr. Cazzola è più di un musicista: è un pezzo della storia del jazz. I suoi tamburi hanno sostenuto, suonato e corroborato i più grandi jazzisti che il globo abbia ospitato". Per citarne alcuni, beh, si parla di Billie Holiday, Art Farmer, Johnny Griffin, Clark Terry, Dexter Gordon, Gerry Mulligan, Tommy Lee Flanagan e molti altri padri del jazz internazionale; artisti italiani quali Gianni Basso, Renato Sellani, Giorgio Azzolini, Guido Manusardi e l'elenco è lungo, molto lungo. Si è cimentato anche nel pop, con Mina e l'Orchestra di Augusto Martelli. Non credo di dover scrivere molto altro, perché penso che già quel che ho scritto possa rendere l'idea della sua grandezza. Sentire e vedere suonare Gianni Cazzola, per un amante della musica, è come ammirare le radici di un'imponente quercia, per un amante della natura. Chiacchierare con lui, direi che è una forma di poesia. Alza la cornetta e si preoccupa subito di sapere come sto, ci facciamo due risate e iniziamo a parlare...

Gianni... come ti sei avvicinato alla musica? Ricordi una scena, un momento particolare di te bambino, ragazzino, in cui hai pensato per la prima volta che non avresti mai potuto farne a meno?

"Io mi sono avvicinato alla musica... e alla batteria chiaramente, vedendo mio fratello. Lui era un dilettante, un autodidatta e suonava nelle orchestrine da ballo in Emilia, negli anni '50. Siamo nati in campagna, vicino a Bologna - e stavamo in questa tipica casa in mezzo alla natura nella quale lui, in una stanza, teneva la batteria ed io vedendola ne rimasi subito fulminato, fin dalla prima volta. Così nacque la passione. Forse capii che quella era la mia storia e doveva andare così... Vidi questa stupenda batteria verde, era di una marca che ora non c'è più - Super Alberti si chiamava - ed era molto bella, grande; allora usavano le batterie grandi. Quando lui andava a lavorare io mi fiondavo nella stanza e suonavo. "Picchiavo" più che altro. Inizialmente così, un po' senza senso, poi ho capito - anzi, mi hanno fatto capire - che avrei potuto suonarla veramente. Ero piccolino all'inizio, avevo nove anni. Sono un autodidatta completo, non ho mai studiato con nessuno, dunque sono proprio un musicista della strada... ho imparato ascoltando gli altri."

Cosa ti ha portato ad amare in particolare jazz e swing?

"Eh sai, in casa in quel periodo avevamo un vecchio grammofono e mio fratello aveva i V-Disk, "I dischi della vittoria" della seconda guerra mondiale. In quei album c'erano tutti i grandi: Duke Ellington, Louis Amstrong, Gene Krupa, che al tempo era il mio idolo... e a me piaceva un sacco quella musica; mi piaceva il ritmo, mi piacevano le melodie, dunque il jazz mi è entrato nel sangue fin da allora e poi la passione è cresciuta nel tempo..."

Hai suonato con tanti grandi, ma essendo io particolarmente affezionata a Billie Holiday... ("Ehhh... una bella passione", aggiunge teneramente), ti chiedo... come la ricordi? Come vi siete incontrati?

"Beh, io suonavo in un club di Milano nel 1958, con un mitico quintetto, famosissimo, che si chiamava "Basso Valdambrini Quintet"* e con loro stavo iniziando la mia carriera; abbiamo suonato tantissimi anni insieme. Avevo iniziato l'anno prima con Franco Cerri, poi fui scritturato da loro e, quell'anno, suonammo in questo club che si chiamava "Taverna messicana". Era frequentato da tutti i musicisti perché era un club fantastico, in cui si suonava jazz. E una sera... la vidi entrare: vidi questa donna stupenda scendere le scale con la sua pelliccia meravigliosa e (ride)... si sedette vicino a noi. Era lì per ascoltare la musica, la sera prima era stata in un famoso teatro di Milano - "Lo smeraldo" - e lei era molto... triste; però là, quella sera, avevamo degli amici comuni e pensarono che avrebbe potuto farle piacere se l'avessero portata da noi e così... dopo un po' cantò con noi, tre pezzi. Era una donna dolcissima. Alla fine la ringraziai, lei mi carezzò la schiena e mi disse "Yeah baby...", con la sua voce roca... un'emozione molto bella..."

*Nato nel 1950 da Gianni Basso - sassofonista, direttore d'orchestra e compositore - e Oscar Valdambrini – trombettista tra i massimi esponenti del jazz italiano, il quintetto fu esteso talvolta fino a un ottetto, a seconda delle esigenze. I componenti dello straordinario progetto si esibirono in tutta Italia e all'estero, collaborando con molti dei grandi del jazz italiano. Da Dino Piana e Mario Pezzotta (trombonisti) a Glauco Masetti e Attilio Donadio (sax), Gianni Cazzola – appunto – alla batteria e Renato Sellani (al pianoforte) - ndr.  

Gianni, come spiegheresti la musica a una persona che ipoteticamente non sa cosa sia?

"Ah beh, questo è un bel casino! (ride) Non è per niente facile risponderti! La musica si percepisce, si sente, non si può spiegare. Come un swing, come fai a spiegarlo? è una cosa che hai o non hai, non la studi. Siccome ha il swing lo ha studiato... no, no..."

Lo so, ma te l' ho fatta a posta questa domanda, ero curiosa di sentire cosa avresti risposto tu! ah ah!

"Eh davvero, è un po' dura rispondere qui, ah ah..."

Ellade Bandini, visto che ne abbiamo parlato quando ci siamo visti... Come ti dissi lo adoro, è un musicista incredibile e una persona dolcissima...

"Beh, è un fratello per me, lo sai. Ci vediamo spesso, si, si..." 

Come vi siete avvicinati voi due? 

"All'inizio è lui che si è avvicinato a me. Lui ha otto/nove anni in meno di me e mi seguiva, mi veniva ad ascoltare in giro. Dov'ero io, lui arrivava. Mi ha sempre seguito perché ha sempre amato il mio modo di suonare. E io pure ho amato il suo, molto. Lui è veramente un grande... nel senso che oltre a suonare bene il jazz, è il batterista più completo che io conosca, anche nella musica più commerciale per dirti. Ha suonato con tutti i più grandi come ben sai".

Altra domanda abbastanza classica, ma vista la tua grande esperienza non è fattibile che manchi. Cosa dovrebbe tenere sempre presente un musicista emergente, secondo te?

"Ascoltare. Ascoltare con umiltà i vecchi musicisti, ascoltare la tradizione. Oggi ci sono troppi musicisti che... magari suonano anche bene, ma suonano "la moda". Non conoscono nemmeno, magari, certi batteristi, trombettisti, sassofonisti... perché oggi è cambiata la storia, non è più come prima. Prima era un ascoltarci continuo, adesso se la tirano pure."

E a volte sono pure delle schiappe e pensano di essere chissà chi... ne ho beccati a bizzeffe così – (commento io, ridendo per... non piangere?)

"Esatto!!! ah ah ah! è proprio così!"

E invece guarda caso, di solito i più grandi hanno anche un'umiltà pazzesca. Come dico sempre, se un artista perde l'umiltà...

"Ah si, manca tutto, perde tutto."

Ecco, una domanda che mi è venuta adesso. Visto che inizialmente ti veniva un po' da ridere perché in tutti questi anni, più o meno, ti hanno fatto sempre le stesse domande. C'è una domanda che magari avresti voluto ti venisse posta, ma non te l'hanno fatta? e se si dammi la risposta! ah ah!

"Ehh non mi viene (ride, in maniera dolcissima). Piuttosto, parliamo di questa cosa, a cui tengo molto. Ho creato, anzi non io perché è un'idea del grande Sandro Gibellini, un gruppo sulle musiche di Fats Waller che si chiama "Fatsology": è una delle cose più belle che io abbia fatto negli ultimi trentacinque anni di carriera. La formazione comprende appunto Sandro Gibellini alla chitarra, Alfredo Ferrari al clarinetto, Marco Bianchi al vibrafono, Roberto Piccolo al contrabbasso, io alla batteria e Alan Farrington alla voce. Questo è davvero un bellissimo progetto; saremo anche all'Umbria Jazz, tra le altre cose."

Com'è la tua anima Gianni?

"Tre volte jazz e cinque volte swing..."

Concludo con la mia domanda "canone". Dimmi, di che colore sei....

"Eh... il colore, beh, rosso blu! sono del Bologna! (ride di gusto) Però il mio colore preferito è il verde, fin da piccolo ho sempre amato questo colore. Forse perché sono nato in campagna e ho sempre visto un sacco di verde, che ne so, ah ah!"

Gianni, il primo sulla destra, con Billie Holiday e il Basso Valdambrini Quintet
 
O forse, ho pensato poi io, anche perché la prima batteria con la quale ha iniziato era... verde?

Grazie Gianni... e come dici sempre tu: "Un grande abbraccio swing"...

Gianni Cazzola, Nico Menci, Paolo Benedettini, "Aloner Together", "Smell Swingin' " 2016


"Gianni Cazzola's 4et", live in Jazz Club Torino, 2015


Gianni Cazzola in "Basso Valdambrini Quintet", "Mitigati", 1960

sabato 3 gennaio 2015

Billie Holiday: "Desiderando... sulla Luna"


Billie Holiday, 1915/1959. Stavo pensando alla tragicità della sua vita. Stavo pensando a quanto tutte le sue terribili tragedie si sentissero, nella sua voce. Nel 2009 Adriano Mazzoletti (giornalista, scrittore, conduttore radiofonico, produttore discografico considerato uno dei padri della diffusione della musica jazz in Italia - che comunque in Italia era giunto già nel primo decennio del novecento ed ha continuato ad essere presente, negli anni '20 e '30) scrisse che "...si imponeva per la sua voce intensamente drammatica, per la capacità di "volare" sul tempo e per l'emozione che sapeva trasmettere anche su testi a volte banali...". Stasera stavo ascoltando "I Wished on the Moon" un pezzo composto da Ralph Raiger (pianista e compositore nato a New York nel 1901 e morto prematuramente in un incidente aereo nel 1942) con un testo scritto da Dorothy Parker (scrittrice di racconti brevi, poeta, critica, autrice satirica - nata nel New Jersey nel 1893 pubbicò il suo primo racconto breve su "Vanity Fair" nel 1914. Morì a New York, nel 1967). Il pezzo fu inciso per la prima volta da Ruth Etting, una cantante/attrice attiva soprattutto negli anni '20 e '30 e fu proprio questo pezzo uno dei brani fondamentali all'inizio della sua carriera poiché arrivò così al grande pubblico. Reinterpretò "I Wished on the Moon" con l'accompagnamento del pianista Teddy Wilson nello stesso anno in cui lo stesso era stato inciso per la prima volta. Prima di quel momento Billie aveva inciso due dischi dopo essere stata notata dal produttore che l'ha lanciata, Jhon Hammond, ma entrambi erano passati inosservati. Hammond però continuò a credere in lei e le procurò un contratto con Wilson appunto, per l'incisione di alcuni pezzi con etichetta Brunswick. Torniamo però un attimo alle vicende della sua vita, giusto per rendere l'idea a chi non la conosce così a fondo o per nulla. Il suo vero nome era Eleanora Fagan. Eleanora nacque dall'incontro amoroso tra il sedicenne Clarence Holiday (suonatore di banjo) e la tredicenne Sadie Fagan (ballerina di fila). Suo padre non si occupò quasi mai di lei e fin dall'infanzia si trovò lontana dalla madre che l'aveva affidata alla cugina (a Baltimora) mentre lei lavorava a New York come domestica. A dieci anni fu stuprata e in seguito tentarono di violentarla altre volte. Ancora piccola raggiunse la madre a New York e cominciò a prostituirsi in un bordello clandestino di Harlem e arrotondava pulendo gli ingressi delle case nel quartiere, compeso l'ingresso del bordello. Alla proprietaria del bordello però non faceva pagare e in cambio lei gli lasciava ascoltare i dischi di Louis Amstrong e Bessie Smith sul fonografo del salotto. Quando le autorità scoprirono il bordello, Eleanora fu arrestata e condannata a quattro mesi di carcere. Uscita dalla prigione, per evitare di tornare alla prostituzione, iniziò a cercare lavoro come ballerina nei locali notturni. Non sapeva ballare, ma fu immediatamente assunta da un locale quando la sentirono cantare. Fu così che iniziò, all'età di 15 anni. Dopo non molto le colleghe del locale iniziarono a chiamarla "Lady" dunque "Signora" perché rifiutava le mance solitamente infilate dai clienti tra le cosce delle donne che si esibivano. A diciotto anni, Hammond la notò ed iniziò la vera e propria carriera musicale. Le sue pene però non finirono qui e anche se musicalmente la sua carriera prese il volo, ebbe ancora da affontare due matrimoni brevi e turbolenti e il colpo avuto con la morte della madre. In quel momento iniziarono i problemi con la droga e l'alcool e nel 1959, a soli 44 anni, morì per le complicazioni dovute alla cerrosi epatica. La Holiday (il suo nome d'arte nasce dal nome d'arte del padre musicista noto come "Holiday" e dalla stima nutrita per l'attrice Billie Dove) incise altre versioni di "I Wished on the Moon", tra le quali la seconda versione del 1957, introdotta nell'album "Songs for Distingué Lovers". Ascoltando la prima versione del '35 e la seconda del '57 anche un orecchio poco intenditore percepisce immediatamente quanto siano diverse. E' diversa la musica ma ciò che colpisce di più è l'interpretazione che Lady Holiday ha dato al testo... Ascoltando la versione del '35 si sente un dolore disperato, l'affanno, il respiro che c'è e che manca... Nella versione del '57 invece - questo è ciò che sento io nell'ascoltarle ovviamente - sembra quasi che la Holiday prenda in giro il suo dolore, è talmente esausta che nella sua voce si sente un dolore a cui lei sembra sputare in faccia, quasi come se oramai non avesse più speranze di essere veramente felice. Chissà, forse è questo che l'ha portata alla morte... a un certo punto era talmente esausta che si è rassegnata a soffrire sempre, il dolore già terribile è diventato anche autodistruzione e lì, Eleanora, è morta definitivamente... anni prima della sua morte fisica. E dopo queste riflessioni, mentre penso a tutto quel dolore, a tutto... quel ... dolore... vi propongo l'ascolto delle due versioni del pezzo e una mia traduzione (non letterale, sarebbe troppo scontato) del testo di "I Wished on the Moon", testo che - per come lo interpreto io - le si appiccica addosso come se fosse stato scritto per lei.


"I Wished on the Moon" - "Desideravo sulla Luna"

Esprimevo desideri alla luna, per qualcosa che non ho mai conosciuto...

Desideravo sulla luna... per più di quanto io abbia mai conosciuto...

Una rosa più dolce, un cielo più morbido,
un aprile in cui i giorni smettono di danzare via...

Esprimevo desideri alle stelle,
che mi gettassero giù un fascio di luce o due.
Le pregai, chiedendo loro... un sogno o due.

Ho cercato ogni bellezza, tutto si è avverato...
Esprimevo desideri alla luna, per voi.

Esprimevo desideri alla luna, per qualcosa che non ho mai conosciuto...

Desideravo sulla luna... per più di quanto io abbia mai conosciuto...

Una rosa più dolce, un cielo più morbido,
un aprile in cui i giorni smettono di danzare via...

Esprimevo desideri alle stelle,
che mi gettassero giù un fascio di luce o due.
Le pregai, chiedendo loro... un sogno o due.

Ho cercato ogni bellezza, tutto si è avverato...
Esprimevo desideri alla luna. Per voi.