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venerdì 18 ottobre 2024

Frank Zappa: il funambolo danzante attorno a un fuoco (2024 review)


Frank Zappa era americano, ma non solo. Portava con sé le origini siciliane del padre, un po' di sangue francese e un altro po' di italiano, da parte di madre. Sangue misto, meticcio, favolosamente meticcio. Vi chiederete cosa c'entri il sangue misto con la musica. Beh, forse molto, forse poco, ma nel dubbio è una buona informazione. Può esserlo anche pensando alla sua personalità, al suo modo di essere così geniale, creativo e severo, contradditorio e coerente con le sue stesse contraddizioni, appassionato e passionale. Dire che Zappa fosse un meticcio musicale è riduttivo. Zappa era, è e sarà sempre molto più di questo; per la musica e non solo. Ispirato, nel senso più alto del termine. È difficile scrivere di lui, era Tanto con una T enorme ed io "...non ho alcuna convinzione per come è intesa dalla gente del mio secolo. [...] Solo i briganti sono convinti - di che? - di dover riuscire. Così riescono. [...]. Tuttavia ho qualche convinzione, in senso più elevato, e che non può essere capita dalla gente del mio tempo" (Charles, quanto lo adoro). In effetti, ci sarebbero una miriade di cose da dire. So che molti di coloro che leggeranno sapranno benissimo di chi si parla, ma so anche che, purtroppo, tantissime persone non ne avranno la minima idea. È successo e continua a succedere per molti grandi del passato, di un tempo definito lontano, ma che a dire il vero non lo è così tanto (a volte sì, ok, ma l'arte non può essere storicizzata. "Non per come lo intendono gli uomini del nostro tempo"). Qualcuno potrebbe averlo sentito nominare molte volte senza pensare a chi fosse e a cosa facesse, potrebbero aver visto il suo volto - una faccia che ti rimane nel cervello a vita quando la vedi - senza sapere nulla di lui. La cosa triste è proprio questa: in Italia c'è una non cultura così diffusa da far star male chi la musica la ama, la vive, sa come funzionano le cose e perché. C'è un enorme buco, lasciato lì a ingoiare strascichi di curiosità e sete perduta, ammalata, deturpata. Pur essendo un dato di fatto che è così, che tanta gente se ne frega e non si pone il problema, come non se lo pone per la mancanza di rispetto assoluta per l'arte tutta, è più forte di me; è una cosa che non riesco ad accettare e continuerò a sognare che le cose cambino e che anche piccole gocce in un oceano di persone, a loro modo, possano riuscire a rivoluzionare tutto. Sto divagando? In verità, no. Frank ha lottato parecchio per la musica e non "solo" per quella. È stato musica d'ogni sorta, purché buona. Un po' come nella ben nota frase di Einstein. Frank era parole, testi diretti, crudi fino allo stremo. Era arte nell'arte, dentro al mondo e fuori dal mondo; solo che, per chi non lo conosce, questa frase può sembrare insensata. Chitarrista, compositore, interprete, produttore discografico, direttore d'orchestra e arrangiatore.  Un genio della musica, passato dal cantautorato rock al rock blues fino al rock più contaminato, tanto che per alcuni "puritani" del genere era persino troppo; ha suonato e composto musica rock, jazz, fusion, classica e classica sperimentale. È passato, in compagnia della sua musica in mezzo al cabaret, per giungere alla satira, poiché i suoi testi sono sempre stati onesti, viscerali, crudi dicevo, come una bistecca rosso vivo. Era volontariamente esagerato, tanto diretto da non essere immediatamente colto da gran parte del pubblico del suo tempo (...) e, come spesso accade, compreso perlopiù in seguito. Non era facile Frank, ma quale genio potrebbe esserlo? Frank Zappa è stato un perenne funambolo; un funambolo spericolato e consapevole che si spostava avanti e indietro e saltellava di qui e di là s'una bella corda posizionata il più possibile ad alta quota. Immaginatelo: lui che cammina, beato, sulla corda meravigliosa del teatro dell'assurdo e del jazz, iper protagonista e iper creativo. Era come se danzasse attorno a un fuoco camminando sulla sua folle corda. Volontariamente e incantevolmente folle. Professionalmente impeccabile, preparatissimo, contaminato nelle ispirazioni da miriadi di sfumature e riferimenti diversi. Geniale. Un aneddoto che mi ha colpito nella sua storia, l'ho trovato in un articolo che parlava di un concerto tenutosi nel 1982, nel quale fece installare un, allora ancora poco diffuso, megaschermo. Sullo stesso fu proiettata una partita di calcio e la sua spiegazione al pubblico, prima di iniziare una delle sue epiche performance fu semplicissima: "Chi non capisce un tubo della musica che faccio, può tranquillamente guardarsi le partite... così non ha buttato i soldi del biglietto". "Does Humor Belong in Music?". Oh, si che può. Zappa ne era un maestro e questo è il titolo di un suo live album e di un tour, con grandiosi musicisti al seguito naturalmente, del quale vi propongo sotto un video. In particolare, qui si tratta dello storico "Live At The Pier" e del brano "Keep it greasey". Dopo un minuto e trenta secondi dall'inizio, sul finire di "Bobby Brown" e collegando simpaticamente i due pezzi, Frank Zappa annuncia: " Watch me now because the name of this song is "Keep it greasey" ". Si tratta di un brano che fa parte di un concept album suddiviso in tre atti, pubblicato nel '79 e che narra le avventure e le disavventure del protagonista Joe. Nel caso di "Keep it greasey", Joe è prigione da un po' e Zappa ne narra le disavventure. Come parlare di una realtà terribile, trasmettere un messaggio forte e riderci sopra? Presto detto: "Keep it greasey".


mercoledì 11 dicembre 2019

Il Trio Bobo: Faso, Meyer, Menconi



Il Trio Bobo è un’esplosione di energia, espressività, passione e livello musicale altissimo. Non a caso è composto da tre dei musicisti più bravi d’Italia, vale a dire Christian Meyer (batteria), Faso (basso) e Alessio Menconi (chitarra). Come già molti di voi sapranno si tratta della sezione ritmica di Elio e Le Storie Tese unita ad uno dei chitarristi più bravi del jazz italiano (e chitarrista di Paolo Conte). Vederli dal vivo è una goduria. Li vedi sorridenti, allegri, liberi e mi ricordano un po’ degli atleti che fanno numeri di grande difficoltà con il viso rilassato e gioioso, facendo comprendere che quel che fanno, pur se difficile, è per loro di una naturalezza infinita. È ovvio che quando si parla di musicisti di questo calibro si rimane a bocca aperta. Io in particolare ero allibita da Christian, avevo la mascella autonoma, viveva di vita propria. Naturalmente anche per Faso e Alessio, ma amando particolarmente lo strumento, vedere un batterista come Christian Meyer suonare a pochi metri e stare ad osservare, con una certa conoscenza dello strumento, quello che fa… non può che suscitare questo effetto. Faso e Alessio comunque, sono – come dire – "bestioline da palcoscenico" e chi li ha potuti ascoltare e vedere anche in altre occasioni lo sa, non c’è molto da spiegare. Questo Trio sta suscitando sempre più successo tra il pubblico e non è solo per la musica straordinaria, coinvolgente e originale che creano – anche se è fondamentale – ma anche, credo io, per la capacità che i tre hanno di coinvolgere ed interagire con le persone che hanno di fronte. È un continuo scambio, di musica, emozioni ed allegria e alla fine del concerto non si può fare a meno di acquistare almeno uno dei loro album. Per questa chiacchierata con loro, per la prima volta da quando esiste Il cammino, ho voluto coinvolgere anche i lettori e chi era interessato a fare domande ha mandato un messaggio privato sulla pagina Facebook, scoprendo in anteprima di chi si trattasse. Tra queste domande, le selezionate sono state inserite nell’intervista che potete leggere qui sotto.

Allora “gggiòvani”, raccontate a chi ancora non lo sapesse come è nato e cosa combina il Trio Bobo... aneddoti particolari da raccontare a riguardo?

Alessio: Il trio nasce 17 anni fa, quando ci siamo riuniti quasi per caso per fare due concerti nei quai abbiamo suonato cover jazz/rock. Da lì ci siamo trovati bene in tutti i sensi ed abbiamo deciso di proseguire scrivendo musica nostra.

Chris: Io pensavo che avremmo dovuto avere un nome tipo “Power Trio” e Faso ci ha convinti che Trio Bobo fosse il nome giusto. Aveva ragione Faso e ho dovuto rivedere tutte le mie convinzioni di titolista farlocco.   

Avete pubblicato tre album, accolti con grande energia da tutti, con live pieni di entusiasmo da parte del pubblico più svariato... e ora? state già lavorando a un nuovo album?

Faso: Abbiamo pubblicato “Trio Bobo” nel 2005, “Pepper Games” nel 2016 e “Sensurround” nel 2019. Il primo album però è poco noto perché ha avuto diffusione molto limitata.

Alessio: Magari al quarto ci lavoreremo il prossimo anno!

Chris: Fare un cd richiede molto tempo e oggi siamo schiacciati da un mondo veloce, perciò le due cose coincidono poco, ma noi teniamo duro!

Faso: Nel trio confluiscono i gusti musicali e le passioni di tutti e tre i componenti, che coprono uno specchio abbastanza ampio di generi musicali: rock, blues, jazz, progressive, dance ’70, pop, afro, musica brasiliana, soul. Va da sé che le nostre composizioni contengono tante spezie diverse e posso quindi incuriosire ed essere apprezzate da un pubblico eterogeneo.

Christian, come sai - visto l'amico/idolo in comune (Gianni Cazzola, re dello swing italiano, n.d.r.) - ho una predilezione per i batteristi anche se è ovvio che in quanto appassionata fino all'osso di musica amo ogni grande musicista, però cavolo, vederti suonare è praticamente un viaggio e sembra che il viaggio lo stia facendo anche tu. Mettendo la frase tra virgolette, "sei più tu a "tenere il controllo" - se così si può dire - su quello che fai o è più la musica che trascina te"? Un po' come dire... chi è che "comanda" di più?

Chris: Quando un batterista suona con dei bravi musicisti vi è una sorta di traino musicale che ti facilita il compito di sostenere il gruppo. Io tendenzialmente, sul palco entro in una fase molto selvaggia e libera. Naturalmente non spengo il cervello e cerco anche di non esagerare con imposizioni ritmiche, bensì di rispettare gli spazi degli altri musicisti. Sicuramente il batterista ha la potenzialità di rendere un gruppo più o meno interessante. Come? grazie alle dinamiche, alle pause o ai colori che decide di utilizzare. Il batterista può o non può suggerire scenari ritmici immediati e stimolanti.

Ora, per la prima volta nella storia del blog, vi riporto alcune domande da parte del pubblico. La prima domanda è di Arianna Capirossi che chiede: qual è la parte che preferite del vostro lavoro? la composizione, l'esibizione live, l'incisione…?

Alessio: Io preferisco suonare dal vivo.

Faso: Anche io preferisco suonare dal vivo, però non nascondo che lavorare sull’arrangiamento di un brano in studio non mi dispiace affatto.

Chris: Concordo con i miei amici musicisti. Dal vivo hai adrenalina e contatto con il pubblico, in studio puoi ragionare e divertirti in un altro modo.

La seconda è di Alain Morandi (un grande musicista tra l'altro, n.d.r.): qual è la scintilla che ha innescato la miccia per dar vita a questo trio? e a chi vi siete ispirati?

Alessio: Abbiamo diverse influenze, alcune in comune e altre no ed è forse per questo che nasce un sound particolare ed originale.

Faso: Concordo con Alessio e aggiungo solo una cosa: come ispirazione sull’approccio dal vivo di sicuro ci ispiriamo - con grande umiltà - ai Weather Report, che dicevano di essere “sempre in solo, mai in solo”, vale a dire “improvvisare si, ma in modo misurato”.

Chris: Concordo e aggiungo che suonare in trio ti permette di prendere direzioni musicali diverse mentre sei live sul palco. Il trio è un divertimento.

La terza e ultima domanda dei lettori è di Sergio Gritti, cantautore: quando si è musicisti affermati si ha la possibilità e la capacità di suonare un po' tutti i generi musicali, ma mi sembra che spesso capiti che alcuni musicisti suonino generi non proprio consoni ai loro gusti musicali, a volte per questioni di mercato, di richiesta. Che ne pensate?

Alessio: A volte non tutti hanno la possibilità di suonare la propria musica o semplicemente non hanno abbastanza “motivazione”, quindi molti musicisti si ritrovano a suonare musica che non amano semplicemente per lavoro.

Faso: Se di lavoro fai il musicista devi tenere conto che non sempre suonerai la musica che preferisci. Anche perché se fai troppo il difficile diventa complicato mantenersi! Mi reputo molto fortunato ad aver suonato per 30 anni con gli Elio e le Storie Tese e da oltre 15 anni con il Trio Bobo, non capita a tutti in Italia.  

Chris: Infatti noi siamo fortunati perché suoniamo la nostra musica. Ecco perché ci vedete sorridenti sul palco!!!

Chiudo io, con una mia domanda di rito. Di che colore è il Trio Bobo?

Alessio: Giallo.
Faso: Giallo limone. 
Chris: Giallo canarino.

Grazie ragazzi e voi che leggete, andate a sentirli da vivo!!!

Link:

giovedì 2 marzo 2017

Gianni Cazzola, la quercia swing

Gianni Cazzola, il batterista padre del swing italiano


Gianni Cazzola. Ecco. Dire Gianni Cazzola è come dire "jazz", è come dire "swing". Se non lo conoscete, ve lo presento io (giovani e non, siate furbi, accorrete). Quando io e mio marito lo abbiamo incontrato è stato incredibile. Sentivo in me un subbuglio emozionale ascoltandolo parlare e pensando a quanto ha fatto questo artista, quest'uomo, nella sua vita. È un uomo gentile, molto dolce e ha il fare saggio di chi ha visto il mondo e conosce la vita e, più di tutto, la musica. Settantanove anni di carica, grinta, voglia di suonare, suonare e suonare ancora; di gioire e far gioire attraverso la musa. Per rendere un po' l'idea di chi sia, per chi non lo conoscesse, questo batterista è citato nell'enciclopedia Treccani "Tra i musicisti di alto livello espressi dal jazz italiano" e lo presenta così: "Mr. Cazzola è più di un musicista: è un pezzo della storia del jazz. I suoi tamburi hanno sostenuto, suonato e corroborato i più grandi jazzisti che il globo abbia ospitato". Per citarne alcuni, beh, si parla di Billie Holiday, Art Farmer, Johnny Griffin, Clark Terry, Dexter Gordon, Gerry Mulligan, Tommy Lee Flanagan e molti altri padri del jazz internazionale; artisti italiani quali Gianni Basso, Renato Sellani, Giorgio Azzolini, Guido Manusardi e l'elenco è lungo, molto lungo. Si è cimentato anche nel pop, con Mina e l'Orchestra di Augusto Martelli. Non credo di dover scrivere molto altro, perché penso che già quel che ho scritto possa rendere l'idea della sua grandezza. Sentire e vedere suonare Gianni Cazzola, per un amante della musica, è come ammirare le radici di un'imponente quercia, per un amante della natura. Chiacchierare con lui, direi che è una forma di poesia. Alza la cornetta e si preoccupa subito di sapere come sto, ci facciamo due risate e iniziamo a parlare...

Gianni... come ti sei avvicinato alla musica? Ricordi una scena, un momento particolare di te bambino, ragazzino, in cui hai pensato per la prima volta che non avresti mai potuto farne a meno?

"Io mi sono avvicinato alla musica... e alla batteria chiaramente, vedendo mio fratello. Lui era un dilettante, un autodidatta e suonava nelle orchestrine da ballo in Emilia, negli anni '50. Siamo nati in campagna, vicino a Bologna - e stavamo in questa tipica casa in mezzo alla natura nella quale lui, in una stanza, teneva la batteria ed io vedendola ne rimasi subito fulminato, fin dalla prima volta. Così nacque la passione. Forse capii che quella era la mia storia e doveva andare così... Vidi questa stupenda batteria verde, era di una marca che ora non c'è più - Super Alberti si chiamava - ed era molto bella, grande; allora usavano le batterie grandi. Quando lui andava a lavorare io mi fiondavo nella stanza e suonavo. "Picchiavo" più che altro. Inizialmente così, un po' senza senso, poi ho capito - anzi, mi hanno fatto capire - che avrei potuto suonarla veramente. Ero piccolino all'inizio, avevo nove anni. Sono un autodidatta completo, non ho mai studiato con nessuno, dunque sono proprio un musicista della strada... ho imparato ascoltando gli altri."

Cosa ti ha portato ad amare in particolare jazz e swing?

"Eh sai, in casa in quel periodo avevamo un vecchio grammofono e mio fratello aveva i V-Disk, "I dischi della vittoria" della seconda guerra mondiale. In quei album c'erano tutti i grandi: Duke Ellington, Louis Amstrong, Gene Krupa, che al tempo era il mio idolo... e a me piaceva un sacco quella musica; mi piaceva il ritmo, mi piacevano le melodie, dunque il jazz mi è entrato nel sangue fin da allora e poi la passione è cresciuta nel tempo..."

Hai suonato con tanti grandi, ma essendo io particolarmente affezionata a Billie Holiday... ("Ehhh... una bella passione", aggiunge teneramente), ti chiedo... come la ricordi? Come vi siete incontrati?

"Beh, io suonavo in un club di Milano nel 1958, con un mitico quintetto, famosissimo, che si chiamava "Basso Valdambrini Quintet"* e con loro stavo iniziando la mia carriera; abbiamo suonato tantissimi anni insieme. Avevo iniziato l'anno prima con Franco Cerri, poi fui scritturato da loro e, quell'anno, suonammo in questo club che si chiamava "Taverna messicana". Era frequentato da tutti i musicisti perché era un club fantastico, in cui si suonava jazz. E una sera... la vidi entrare: vidi questa donna stupenda scendere le scale con la sua pelliccia meravigliosa e (ride)... si sedette vicino a noi. Era lì per ascoltare la musica, la sera prima era stata in un famoso teatro di Milano - "Lo smeraldo" - e lei era molto... triste; però là, quella sera, avevamo degli amici comuni e pensarono che avrebbe potuto farle piacere se l'avessero portata da noi e così... dopo un po' cantò con noi, tre pezzi. Era una donna dolcissima. Alla fine la ringraziai, lei mi carezzò la schiena e mi disse "Yeah baby...", con la sua voce roca... un'emozione molto bella..."

*Nato nel 1950 da Gianni Basso - sassofonista, direttore d'orchestra e compositore - e Oscar Valdambrini – trombettista tra i massimi esponenti del jazz italiano, il quintetto fu esteso talvolta fino a un ottetto, a seconda delle esigenze. I componenti dello straordinario progetto si esibirono in tutta Italia e all'estero, collaborando con molti dei grandi del jazz italiano. Da Dino Piana e Mario Pezzotta (trombonisti) a Glauco Masetti e Attilio Donadio (sax), Gianni Cazzola – appunto – alla batteria e Renato Sellani (al pianoforte) - ndr.  

Gianni, come spiegheresti la musica a una persona che ipoteticamente non sa cosa sia?

"Ah beh, questo è un bel casino! (ride) Non è per niente facile risponderti! La musica si percepisce, si sente, non si può spiegare. Come un swing, come fai a spiegarlo? è una cosa che hai o non hai, non la studi. Siccome ha il swing lo ha studiato... no, no..."

Lo so, ma te l' ho fatta a posta questa domanda, ero curiosa di sentire cosa avresti risposto tu! ah ah!

"Eh davvero, è un po' dura rispondere qui, ah ah..."

Ellade Bandini, visto che ne abbiamo parlato quando ci siamo visti... Come ti dissi lo adoro, è un musicista incredibile e una persona dolcissima...

"Beh, è un fratello per me, lo sai. Ci vediamo spesso, si, si..." 

Come vi siete avvicinati voi due? 

"All'inizio è lui che si è avvicinato a me. Lui ha otto/nove anni in meno di me e mi seguiva, mi veniva ad ascoltare in giro. Dov'ero io, lui arrivava. Mi ha sempre seguito perché ha sempre amato il mio modo di suonare. E io pure ho amato il suo, molto. Lui è veramente un grande... nel senso che oltre a suonare bene il jazz, è il batterista più completo che io conosca, anche nella musica più commerciale per dirti. Ha suonato con tutti i più grandi come ben sai".

Altra domanda abbastanza classica, ma vista la tua grande esperienza non è fattibile che manchi. Cosa dovrebbe tenere sempre presente un musicista emergente, secondo te?

"Ascoltare. Ascoltare con umiltà i vecchi musicisti, ascoltare la tradizione. Oggi ci sono troppi musicisti che... magari suonano anche bene, ma suonano "la moda". Non conoscono nemmeno, magari, certi batteristi, trombettisti, sassofonisti... perché oggi è cambiata la storia, non è più come prima. Prima era un ascoltarci continuo, adesso se la tirano pure."

E a volte sono pure delle schiappe e pensano di essere chissà chi... ne ho beccati a bizzeffe così – (commento io, ridendo per... non piangere?)

"Esatto!!! ah ah ah! è proprio così!"

E invece guarda caso, di solito i più grandi hanno anche un'umiltà pazzesca. Come dico sempre, se un artista perde l'umiltà...

"Ah si, manca tutto, perde tutto."

Ecco, una domanda che mi è venuta adesso. Visto che inizialmente ti veniva un po' da ridere perché in tutti questi anni, più o meno, ti hanno fatto sempre le stesse domande. C'è una domanda che magari avresti voluto ti venisse posta, ma non te l'hanno fatta? e se si dammi la risposta! ah ah!

"Ehh non mi viene (ride, in maniera dolcissima). Piuttosto, parliamo di questa cosa, a cui tengo molto. Ho creato, anzi non io perché è un'idea del grande Sandro Gibellini, un gruppo sulle musiche di Fats Waller che si chiama "Fatsology": è una delle cose più belle che io abbia fatto negli ultimi trentacinque anni di carriera. La formazione comprende appunto Sandro Gibellini alla chitarra, Alfredo Ferrari al clarinetto, Marco Bianchi al vibrafono, Roberto Piccolo al contrabbasso, io alla batteria e Alan Farrington alla voce. Questo è davvero un bellissimo progetto; saremo anche all'Umbria Jazz, tra le altre cose."

Com'è la tua anima Gianni?

"Tre volte jazz e cinque volte swing..."

Concludo con la mia domanda "canone". Dimmi, di che colore sei....

"Eh... il colore, beh, rosso blu! sono del Bologna! (ride di gusto) Però il mio colore preferito è il verde, fin da piccolo ho sempre amato questo colore. Forse perché sono nato in campagna e ho sempre visto un sacco di verde, che ne so, ah ah!"

Gianni, il primo sulla destra, con Billie Holiday e il Basso Valdambrini Quintet
 
O forse, ho pensato poi io, anche perché la prima batteria con la quale ha iniziato era... verde?

Grazie Gianni... e come dici sempre tu: "Un grande abbraccio swing"...

Gianni Cazzola, Nico Menci, Paolo Benedettini, "Aloner Together", "Smell Swingin' " 2016


"Gianni Cazzola's 4et", live in Jazz Club Torino, 2015


Gianni Cazzola in "Basso Valdambrini Quintet", "Mitigati", 1960

domenica 11 gennaio 2015

George Gershwin: la genialità innata


George Gershwin nasce a Brooklyn nel settembre del 1898. Fin dal quando era piccolo, a soli dieci anni, comincia a mostrare interesse per la musica, inziando a suonare il pianoforte senza aver mai studiato musica, seguendo solo ciò che l'istinto lo portava a fare. Così è nato il suo genio musicale, da quel momento, in cui ha deciso di provare a premere quei tasti bianchi e neri che così tanto lo affascinavano. Forse era rimasto affascinato dal tentativo della sorella Francis di avere una carriera musicale. Frances aveva cominciato a guadagnare qualche soldo con il canto e il ballo, ma lasciò dopo non molto, perché al tempo ancora non era ben accetto che una donna, sposata, si dedicasse ad attività creative e ricreative. Fatto sta che il piccolo Gershwin, da quel momento, inizia a diventare... il grande Gershwin. La musica di Gershwin è conosciuta a milioni e milioni di persone in tutto il mondo. Molte persone ascoltano un pezzo, ne restano incantati e magari non sanno che è suo e... magari non sanno che quel tal pezzo, reinterpretato come è spesso accaduto da miriadi di eccellenti artisti, è proprio suo, viene dal suo genio, perché di genio si tratta. Gershwin affermò che gli piaceva pensare alla musica come a una scienza emozionale; Gershwin compose, nella sua testa, la grande e famosissima “Rapsody in Blue” (1924), mentre ascoltava i ritmi e i rumori metallici del treno che lo stava portando a Boston. Quando la consegnò ai suoi collaboratori e colleghi, per lui ancora incompiuta, tutti si misero a lavoro e Ferde Grofé, compositore e orchestratore, si occupò subito dell'orchestrazione del brano. Lui... lui che voleva ultimarla, perfezionarla, immaginate il momento, tutti a lavoro perché l'opera fosse orchestrata al meglio e lui ancora lì, a ritoccare, a rivedere, a perfezionare. Il direttore d'orchestra, Paul Whiteman, a cui Gershwin aveva consegnato l'opera al suo arrivo però aveva dato il via alle prove e rimase allibito quando comprese che Gershwin avrebbe voluto migliorarla ulteriormente. Si domandava come avrebbe potuto, migliorare qualcosa di già così grandioso. L'opera dunque rimase come era stata consegnata al direttore ed è tuttora quella che la sua mente aveva composto, dall'inizio alla fine, durante un viaggio in treno per Boston. Riuscite a immaginare quel momento? Io ci provo, con tutte le forze, cerco di immaginare cosa gli passasse per la testa, sul treno, sceso dal treno, mentre si affannava per ritoccare il brano ed ultimarlo per come lo voleva lui. Quel momento, in cui i rumori metallici gli hanno dato l'ispirazione per creare un capolavoro di tale portata. Meraviglioso. Semplicemente meraviglioso. Andiamo avanti però... Gershwin che spazia dalla musica colta al jazz, fino al blues e al musical e Gershwin che diventa l'iniziatore, del musical americano. Gershwin che non nasce George, bensì Jacob e nasce da due emigrati ebrei: il padre, Moishe, cambiò il suo nome in Morris Gershwin qualche tempo dopo essere emigrato da San Pietroburgo e quattro anni più tardi conobbe Rose Bruskin, ebrea russa, che sposò e con la quale diede vita a quattro figli, tra i quali Jacop, appunto. Il nome, Jacob, lo cambiò quando divenne un musicista professionista (chissà perché? Era già un bel nome Jacob, forse a lui non "suonava" bene). Ha scritto la maggior parte delle sue opere vocali e teatrali in collaborazione con il fratello maggiore e paroliere Ira Gershwin. Gershwin... che nel 1928, nel periodo europeo, compone “Un americano a Parigi”, Gershwin che nel 1935 compone il musical “Porgy and Bess”... ed è qui, in realtà, che volevo arrivare. “Porgy and Bess” ebbe un grande successo, ma fu inizlamente percepita dalla comunità nera del tempo come un'opera offensiva, addirittura razzista. La descrizione della vita degli afro-americani che nell'opera appariva, non piacque per niente alle Black Panters in lotta per i diritti dei loro fratelli, ma fu tutta una grossa incomprensione sostanzialmente. Gershwin si era ispirato nella composizione dei brani per il musical a pezzi spiritual quali “All My Trials”, che negli anni '50 e '60 divenne uno degli inni dei movimenti di protesta; e si ispirò anche alla sua esperienza artistico-musicale così complessa, una fusione di tradizione operistica dell'Est europa, musica afro-americana, musica ebrea russa. “Summer time” - una ninna nanna che Clara, uno dei personaggi della celebre opera teatrale, canta al suo bambino - fu ispirata per esempio da diversi brani e sonorità: il sopra citato “All My Trials,” “Sometime I Feel Like a Motherless Child” (un brano che risale ai tempi della schiavitù, tempi in cui era pratica comune vendere i figli degli schiavi) e.... ninne nanne appunto: si parla in particolare di una ninna nanna russa e di un'altra ninna nanna, quest'ultima di origine ucraina. "Porgy and Bess" fu tratto dal racconto “Porgy” di Edwin DuBose Heyward, paroliere anch'esso dei testi insieme ad Ira. "Summertime" è certamente uno dei brani più famosi dell'intera opera e la cosa fenomenale non è solo che è stata interpretata da grandi talenti dela musica quali Ella Fitzgerald, Louis Armstrong, Billie Holiday, Chet Baker e Mahalia Jackson... Fu proprio Billie Holiday a portarla in classifica per la prima volta con la sua versione del 1936, ma ciò che risulta essere grandioso... è che la potenza di questo brano ha portato al concetto per il quale, al di la' dell'intento o del significato iniziale, un brano musicale possa assumere significati altrettanto grandiosi anche in epoche successive, molto più recenti e in riferimento a fatti storici completamente diversi. Parlo qui di Janis Joplin... che la urlava, con rabbia, al mondo intero, mentre la guerra del Vietnam esasperava i popoli coinvolti. La gridava al mondo, appena dopo l'assassinio di Martin Luther King e Kennedy, quando americani bianchi e neri, insieme, si scontravano la polizia in segno di protesta, mentre gli agenti del tempo intossicavano i manifestanti con il gas Mace sotto le telecamere di tutto il globo, mentre c'erano arresti per l'assalto alla Convenzione Democratica di Chicago, mentre i leader della protesta – in particolare - furono arrestati con le accuse pesantissime di incitazione alla violenza e cospirazione e assolti, quattro anni dopo, con la motivazione che erano stati violati i diritti di difesa. Summertime è stata tradotta in molte lingue ed anche in italiano dai Dalton – anche se a parer mio in questa versione perde purtroppo tutta la sua potenza e il significato del testo è parer mio violato e svuotato (con tutto il rispetto per i Dalton... di questi utlimi, se vi interessa sapere chi sono – vi segnalo un brano interessante. "Idea d'infinito", quello si che è un bel pezzo). Gershwin compose più di settecento brani, fino a che nel 1937 comiciò ad avvertire i sintomi di un tumore al cervello che lo portò alla morte lo stesso anno, dopo essersi accasciato al suolo sul set di The Glodwin Follies, un film del 1938 di cui stava curando le musiche. Morì al Cedars of Lebanon Hospital a seguito di un intervento di unrgenza. Pochi mesi dopo, il suo idolo, Joseph Maurice Ravel (compositore del celebre "Boléro, per intenderci), morì anchesso, durante un intervento simile al cervello. "Summertime". Vi propongo qui la versione originale di Jacob (mi piace poterli chiamare con il loro nome), la versione di Ella Fitzgerald e infine, la versione di Janis Joplin. Buon ascolto... e buona lettura della traduzione - scritta poco fa - che spero renda giustizia all'intensità del testo originale.


Summertime (Estate)

Estate...
e la vita è semplice,
i pesci saltano
e il cotone è alto.

Tuo padre è ricco,
Tua madre ti guarda con amore,
quindi silenzio, piccolino,
non piangere.

Uno di questi giorni
Ti sveglierai cantando,
poi spiegherai le ali
e ti guadagnerai il cielo.‎

Fino a quella mattina però,
nulla potrà farti del male,
con la tua mamma... e il tuo papà.




sabato 3 gennaio 2015

Billie Holiday: "Desiderando... sulla Luna"


Billie Holiday, 1915/1959. Stavo pensando alla tragicità della sua vita. Stavo pensando a quanto tutte le sue terribili tragedie si sentissero, nella sua voce. Nel 2009 Adriano Mazzoletti (giornalista, scrittore, conduttore radiofonico, produttore discografico considerato uno dei padri della diffusione della musica jazz in Italia - che comunque in Italia era giunto già nel primo decennio del novecento ed ha continuato ad essere presente, negli anni '20 e '30) scrisse che "...si imponeva per la sua voce intensamente drammatica, per la capacità di "volare" sul tempo e per l'emozione che sapeva trasmettere anche su testi a volte banali...". Stasera stavo ascoltando "I Wished on the Moon" un pezzo composto da Ralph Raiger (pianista e compositore nato a New York nel 1901 e morto prematuramente in un incidente aereo nel 1942) con un testo scritto da Dorothy Parker (scrittrice di racconti brevi, poeta, critica, autrice satirica - nata nel New Jersey nel 1893 pubbicò il suo primo racconto breve su "Vanity Fair" nel 1914. Morì a New York, nel 1967). Il pezzo fu inciso per la prima volta da Ruth Etting, una cantante/attrice attiva soprattutto negli anni '20 e '30 e fu proprio questo pezzo uno dei brani fondamentali all'inizio della sua carriera poiché arrivò così al grande pubblico. Reinterpretò "I Wished on the Moon" con l'accompagnamento del pianista Teddy Wilson nello stesso anno in cui lo stesso era stato inciso per la prima volta. Prima di quel momento Billie aveva inciso due dischi dopo essere stata notata dal produttore che l'ha lanciata, Jhon Hammond, ma entrambi erano passati inosservati. Hammond però continuò a credere in lei e le procurò un contratto con Wilson appunto, per l'incisione di alcuni pezzi con etichetta Brunswick. Torniamo però un attimo alle vicende della sua vita, giusto per rendere l'idea a chi non la conosce così a fondo o per nulla. Il suo vero nome era Eleanora Fagan. Eleanora nacque dall'incontro amoroso tra il sedicenne Clarence Holiday (suonatore di banjo) e la tredicenne Sadie Fagan (ballerina di fila). Suo padre non si occupò quasi mai di lei e fin dall'infanzia si trovò lontana dalla madre che l'aveva affidata alla cugina (a Baltimora) mentre lei lavorava a New York come domestica. A dieci anni fu stuprata e in seguito tentarono di violentarla altre volte. Ancora piccola raggiunse la madre a New York e cominciò a prostituirsi in un bordello clandestino di Harlem e arrotondava pulendo gli ingressi delle case nel quartiere, compeso l'ingresso del bordello. Alla proprietaria del bordello però non faceva pagare e in cambio lei gli lasciava ascoltare i dischi di Louis Amstrong e Bessie Smith sul fonografo del salotto. Quando le autorità scoprirono il bordello, Eleanora fu arrestata e condannata a quattro mesi di carcere. Uscita dalla prigione, per evitare di tornare alla prostituzione, iniziò a cercare lavoro come ballerina nei locali notturni. Non sapeva ballare, ma fu immediatamente assunta da un locale quando la sentirono cantare. Fu così che iniziò, all'età di 15 anni. Dopo non molto le colleghe del locale iniziarono a chiamarla "Lady" dunque "Signora" perché rifiutava le mance solitamente infilate dai clienti tra le cosce delle donne che si esibivano. A diciotto anni, Hammond la notò ed iniziò la vera e propria carriera musicale. Le sue pene però non finirono qui e anche se musicalmente la sua carriera prese il volo, ebbe ancora da affontare due matrimoni brevi e turbolenti e il colpo avuto con la morte della madre. In quel momento iniziarono i problemi con la droga e l'alcool e nel 1959, a soli 44 anni, morì per le complicazioni dovute alla cerrosi epatica. La Holiday (il suo nome d'arte nasce dal nome d'arte del padre musicista noto come "Holiday" e dalla stima nutrita per l'attrice Billie Dove) incise altre versioni di "I Wished on the Moon", tra le quali la seconda versione del 1957, introdotta nell'album "Songs for Distingué Lovers". Ascoltando la prima versione del '35 e la seconda del '57 anche un orecchio poco intenditore percepisce immediatamente quanto siano diverse. E' diversa la musica ma ciò che colpisce di più è l'interpretazione che Lady Holiday ha dato al testo... Ascoltando la versione del '35 si sente un dolore disperato, l'affanno, il respiro che c'è e che manca... Nella versione del '57 invece - questo è ciò che sento io nell'ascoltarle ovviamente - sembra quasi che la Holiday prenda in giro il suo dolore, è talmente esausta che nella sua voce si sente un dolore a cui lei sembra sputare in faccia, quasi come se oramai non avesse più speranze di essere veramente felice. Chissà, forse è questo che l'ha portata alla morte... a un certo punto era talmente esausta che si è rassegnata a soffrire sempre, il dolore già terribile è diventato anche autodistruzione e lì, Eleanora, è morta definitivamente... anni prima della sua morte fisica. E dopo queste riflessioni, mentre penso a tutto quel dolore, a tutto... quel ... dolore... vi propongo l'ascolto delle due versioni del pezzo e una mia traduzione (non letterale, sarebbe troppo scontato) del testo di "I Wished on the Moon", testo che - per come lo interpreto io - le si appiccica addosso come se fosse stato scritto per lei.


"I Wished on the Moon" - "Desideravo sulla Luna"

Esprimevo desideri alla luna, per qualcosa che non ho mai conosciuto...

Desideravo sulla luna... per più di quanto io abbia mai conosciuto...

Una rosa più dolce, un cielo più morbido,
un aprile in cui i giorni smettono di danzare via...

Esprimevo desideri alle stelle,
che mi gettassero giù un fascio di luce o due.
Le pregai, chiedendo loro... un sogno o due.

Ho cercato ogni bellezza, tutto si è avverato...
Esprimevo desideri alla luna, per voi.

Esprimevo desideri alla luna, per qualcosa che non ho mai conosciuto...

Desideravo sulla luna... per più di quanto io abbia mai conosciuto...

Una rosa più dolce, un cielo più morbido,
un aprile in cui i giorni smettono di danzare via...

Esprimevo desideri alle stelle,
che mi gettassero giù un fascio di luce o due.
Le pregai, chiedendo loro... un sogno o due.

Ho cercato ogni bellezza, tutto si è avverato...
Esprimevo desideri alla luna. Per voi.

 

 

mercoledì 2 luglio 2014

Laura Campisi: quando una voce jazz prende il volo a New York





Laura Campisi. Molti di voi ancora non la conosceranno e d'altronde lo scopo di queste mie presentazioni è proprio quello di mettere in risalto artisti italiani eccezionali ma conosciuti solo in parte e che meritano, meritano molto di più. Laura è una cantautrice italiana eccezionale, nata nella bella Sicilia nel 1984 e immersa nella musica, nel vero senso della parola, fin dalla tenera età. I suoi genitori portavano in giro per la Sicilia brani della tradizione regionale antica, facendo al tempo stesso un lavoro di raccolta e selezione delle composizioni tipiche di ogni paese in cui si trovavano ad esibirsi. E' inevitabile dunque che l'avvicinamento di Laura alla musica sia stato naturale e immediato. “Sono cresciuta con grandi cantate, chitarre e controcanti improvvisati, tra la musica tradizionale e quella dei vari cantautori italiani” dice e aggiunge: “Fu mio padre che, notando questa mia passione, mi chiese un giorno “Ti piacerebbe studiare canto?”. Io risposi di sì senza nemmeno pensarci, come se fosse stata la cosa più naturale da farsi.” Nel 2011 Laura si trasferisce a New York, con la più assoluta spontaneità, dopo aver portato avanti vari progetti in Italia e dopo aver terminato la sua formazione: una laurea in Discipline della Musica, anni di Masterclass e corsi di perfezionamento – tra i quali il “Nuoro Jazz” e il “Roma Jazz's Cool” (con i nomi più illustri del Jazz) - e dopo aver partecipato e vinto diversi concorsi - da solista e da band leader dei “Lalla Into The Garden”; tra gli altri spiccano la vittoria al “Lucca Jazz Donna 2009” e al “Bianca d' Aponte 2010”- il primo è un concorso Jazz al femminile e il secondo un festival che si tiene ad Aversa dove, lo stesso anno, Laura riceve anche il Premio per la Migliore Interpretazione. Vive attualmente a Brooklyn a cui è arrivata dopo essersi resa conto di aver bisogno di nuovi stimoli, nuovi spazi e possibilità concrete per la sua crescita e la sua creatività. Resta naturalmente legata la suo paese, alla musica italiana e ovviamente ai suoi cari: “In Italia cerco di tornare due volte all’anno, per vedere la famiglia e gli amici, ma anche per tenere vive le relazioni artistiche con i colleghi e la scena musicale italiana.” Basta ascoltare la sua voce, il suo stile, la sua interpretazione, per aver voglia di approfondire la sua storia, per aver voglia di scoprire la sua musica.
Allora Laura... è difficile decidere da dove partire con te, hai una miriade di progetti alle spalle e in corso... Direi di parlare principalmente del progetto che stai realizzando ora (a fine articolo potrete leggere altre info e un sunto degli altri progetti, ndr). Si tratta della lavorazione del tuo primo album ufficiale a quanto ho letto sul sito, anche se in realtà non è il primo album che incidi. Raccontaci un po' di cosa si tratta, come si intitolerà, le collaborazioni e, già che ci siamo, dicci per quando è prevista l'uscita dell'album.
La storia di questo album è un racconto ancora in fase di scrittura. Non so ancora quando uscirà e se verrà pubblicato da un’etichetta o se sarà invece un’auto produzione dalla A alla Z. Al momento comunque, io ne sono stata la produttrice esecutiva ed artistica, con l’aiuto fondamentale di un generoso deus ex machina dietro le quinte e naturalmente degli stupendi musicisti che hanno collaborato. È infatti una soddisfazione nonché un privilegio aver raccolto una squadra davvero d’eccezione per un progetto direi poco usuale: un doppio trio (due bassi e due batterie) ad accompagnare una voce. Il gruppo è composto da Gregory Hutchinson (celebre musicista americano) alla batteria, Ameen Saleem al contrabbasso (mio carissimo amico, americano di Washington DC e membro fisso del Roy Hargrove Quintet e Big Band), Gianluca Renzi (ciociaro trapiantato a New York) al basso elettrico e al contrabbasso e il mio concittadino espatriato a Londra Flavio Li Vigni, alla batteria. Non mancano anche due stupendi special guests: Giovanni Falzone alla tromba e Vincent Herring al sax. Il repertorio è una miscela di pezzi riletti e reinterpretati dalla tradizione jazzistica, rock e più in generale “moderna” con mie composizioni in lingua inglese. La band si è andata formando pian piano, dapprima nella mia mente per poi diventare reale, come un bel puzzle. La disponibilità e la professionalità di ognuno dei ragazzi che hanno preso a cuore il progetto ognuno a proprio modo, ha reso quest’esperienza unica. Ho imparato tantissimo da ognuno di loro, e sto imparando molto anche da me stessa; dagli errori commessi imparo a rialzarmi ogni volta e ad inventarmi e reinventarmi sotto luci e ruoli diversi.
Premettendo che la tua voce è jazz, è vibrazione pura e lo è anche quando non stai cantando una canzone dalle evidenti sonorità jazz dal mio punto di vista, sul tuo sito si trovano pezzi in cui l'anima jazz si percepisce fin dalle prime note, proprio perché come accennavo le caratteristiche del jazz sono ben percepibili, ma si possono ascoltare anche pezzi più legati alla musica cantautorale italiana, pur se affrescata da un tocco alternativo e ho potuto ascoltare anche un delizioso pezzo in dialetto siciliano... Tu come come ti vedi? come ti senti? Più vicina al jazz in ogni caso o... come dire... una miscela di stili?
Diciamo che non sento la necessità di definirmi e credo sarebbe anche un compito abbastanza arduo... Sono nata col Jazz ma sono sempre stata attratta da tutta la buona musica e in ogni fase della mia esperienza artistica fino ad oggi posso ritrovare le influenze non solo di quello che ho studiato e cantato, ma anche di quello che ho ascoltato, ballato, fischiettato. Per ciò sì, mi sento più una miscela di stili. Questo vale sia per ciò che canto che per ciò che scrivo. Anzi, è proprio nella scrittura che i vari stili e generi hanno totale libertà di confluire creando contaminazioni.
E come ti sei innamorata del jazz? in che contesto lo hai scoperto?
Al Jazz sono arrivata quasi per caso: la scuola di canto che ho frequentato a Palermo per vari anni era una scuola di musica Jazz ed è così che mi sono avvicinata a quel genere; prima solo durante le lezioni, poi sempre di più nei miei ascolti di piacere e nella vita quotidiana. Anche se quando ho cominciato a studiarlo, a tredici anni, non lo ascoltavo ancora, nel cantarlo ho sentito da subito una profonda affinità, un senso di appartenenza, come uno specchio nel quale riconoscermi.
I testi dei tuoi pezzi li hai sempre scritti tu e sono poetici, accurati, colmi di emozione. Ciò che si percepisce è la volontà di trovare la parola giusta per ogni secondo per poi interpretarla per come quella singola parola va interpretata e vestita. Questa è la mia impressione insomma. La stesura dei tuoi testi è sempre stata un atto spontaneo, istintivo, fin da quando hai iniziato a cantare e magari ancora non avevi un gruppo o c'è stato un momento in particolare che, come dire, "ti ha dato il La"?
In realtà ho cominciato a scrivere molti anni dopo aver cominciato a cantare. La scrittura è arrivata per caso, senza bussare, è sempre stato un atto istintivo e, come tale, spesso repentino ma anche poco costante. Ci sono stati naturalmente periodi in cui ho scritto di più e periodi in cui non ho scritto, momenti in cui era difficile mettere insieme le idee e altri in cui la scrittura ha invece rappresentato un vero e proprio strumento di chiarezza e guarigione ed è così tutt'ora.
E scrivi "solo" testi di canzoni o ti dedichi anche alla scrittura in generale?
Delle mie canzoni scrivo tutto, sia la musica (melodia e armonia) che i testi, ma mi è anche capitato di scrivere testi per pezzi già esistenti o di tradurre e, per meglio dire, creare liriche italiane su canzoni pre-esistenti in inglese. Ho scritto versioni in italiano per due brani di Tom Waits (“San Diego Serenade” e “Long way home”) e per lo standard jazz “Never will I marry” e creato testi su pezzi strumentali come “Nardis” (Miles Davis e Bill Evans), “Naima” (John Coltrane), Torre Ligny (Salvatore Bonafede), “Mirella” (della pianista romana, da molti anni a New York, Patrizia Scascitelli – brano che, con il mio testo originale, è parte della colonna sonora del documentario sul Jazz del regista Gianluca Bozzo “Walnut Street Station, di recente presentato in Italia). Mi piacerebbe molto provare l’esperienza della scrittura a quattro mani, collaborare con altri cantautori e musicisti, magari anche ritrovarmi a dover scrivere la musica su un testo pre-esistente.
Oltre alla musica qual è la disciplina artistica che più ti attrae?
Amo leggere e mi attrae l’ipotesi di scrivere, sono affascinata dal mondo del giornalismo, soprattutto della critica. Ho la sensazione che prima o poi mi ritroverò a scrivere dei racconti o un romanzo. D’altra parte anche le canzoni sono racconti a modo loro e sarebbe stupendo potermi ritagliare del tempo per cimentarmi in qualcosa di tanto nuovo per me.
La mia amata e spesso utilizzata richiesta finale. Dimmi tu ora, quello che ti passa per la testa per concludere...
Naturalmente un ringraziamento a te per questa opportunità di raccontare qualcosa di me e per costruire un ponte in più con la scena italiana, dalla quale manco – se non per brevi tratti – da quasi tre anni ormai (quattro se si considera la prima volta che mi sono innamorata di New York). Spero di trovare sempre più opportunità per portare la mia musica dove sono nata e dove mi sono fatta le ossa, come spero che l’Italia presto si risollevi da un momento tragico non soltanto per la musica e l’arte, ma per tutti. Quello che sento di dire in conclusione è che è bello avere due cuori, uno qui e uno là.
Laura Campisi... Ora qualcosa in più di lei lo sapete, ma credetemi non basta... Potrete leggere di seguito, come promesso, il sunto dei suoi principali progetti, ma soprattutto... entrate nel suo sito e andate a ascoltare la sua musica, le sue composizioni, la sua voce incredibile.

Grazie a te Laura, ti auguro il meglio del meglio e che il mondo della musica ti scopra davvero come meriti, all'estero come in Italia.

Link:

 
Performance e collaborazioni:
Laura ha suonato con varie formazioni musicali in tutta Europa e America e continua a produrre una vasta gamma di musica: dal jazz al folk e al rhythm&blues sino alla tradizionale musica siciliana e mediterranea. Scrive canzoni in inglese, italiano, siciliano e canta in italiano, inglese, spagnolo, portoghese, francesce, siciliano e napoletano. Da segnalare tra le performance internazionali e nazionali il tour italiano a Gennaio 2014, con il "Back Home Trio" (special guest l'internazionale sassofonista Gianni Gebbia), ma anche quello del Gennaio 2013, con il "Laura Campisi Roma Quartet" e ancora, un'apparizione nel documentario del registra Nello Correale nel film documentario "La voce di Rosa" ottenuta grazie al suo ruolo attivo nella diffusione della musica e della cultura siciliana nel mondo. E poi New York, con il tour avviato nell'inverno 2010, il primo posto al al "Bianca d'Aponte Award" e al "Lucca Jazz Award" e una performance, assolutamente da sottolineare, all'Ambasciata italiana a Lisbona per la Festa della Repubblica. Nel 2008 un tour a Parigi e una serata anche al "Langau Jazz Festival" nel 2004, in Svizzera. Nel 2014 Laura appare anche nel film documentario dedicato alla scena jazz amercana e italiana intitolato "Walnut Street Station", del regista italiano Gianluca Bozzo. Si esibisce regolarmente con il bassista Ameen Saleem ed ha suonato con numerosi musicisti affermati a livello internazionale: Jon Davis, Tommy Campbell, Saul Rubin, Paul Jeffrey, Salvatore Bonafede, Gianluca Renzi, Fabio Morgera, Christos Rafalides and Gianpaolo Casati, per nominarne alcuni. Laura si sta anche cimentando in una collaborazione con la comunità culturale pakistana a New York, suonando con musicisti del luogo e mescolando così le sonorità tipiche della cultura pakistana con il jazz e la musica italiana, sperimentando tra l'altro le tradizionali composizioni in sanskrito e la musica Panjabi. Di recentissimo avvio anche un gruppo al femminile ("The Shook Ones") di genere completamente diverso, un'esperienza punk rock. Si è esibita in molti prestigiosi locali e luoghi di New York, tra i quali "The Kitano", il "Bar Next Door", il "Zeb's", la "New York University", il "Westchester Italian Cultural Center" e l' "Italian American Museum" nonché al "Lincoln Center’s Avery Fisher Hall", con un bel pubblico di tremila persone, in compagnia della SGI Youth Ensemble.

Progetti:

"Vedrai Vedrai" Luigi Tenco & More:
Un progetto che parte dalla selezione dei pezzi più intimi del grande Luigi Tenco e passa per gli altri grandi cantautori italiani, da Fabrizio DeAndrè a Sergio Endrigo sino a Ivano Fossati. Miscelando con i suoi musicisti il cantautorato italiano con le sonorità jazz, Laura traduce pezzi italiani in inglese, senza rinunciare però a qualche assaggio in siciliano e napoletano. Un viaggio musicale arricchito da pezzi firmati proprio da lei.

"Overseas Quartet":
Quattro musicisti, tutti nati a Palermo e un dialogo musicale. Questo è il "quartetto d'oltreoceano", un progetto nato nell'inverno di quest'anno dalla riunion di Laura Campisi con il bassista Gabrio Bevilacqua e che sarà presentato al pubblico, con molta probabilità, proprio quest'estate. Ed è così che Laura ha incontrato anche Marcello Pellittieri, anche lui stabilitosi a New York, batterista e insegnante al Berklee College of Music. I tre, con l'arrivo del pianista Mauro Schiavone, diventano appunto un quartetto e propongono un repertorio sofisticato, che spazia dagli standard jazz ai classici italiani e americani, fino a composizioni proprie, portando al pubblico la propria, a dir poco unica, voce.

"Face & Bass":
Un duo, voce e contrabbasso, un incontro musicale che Laura ha sempre amato e che l'accompagna sin dai suoi inizi in Sicilia. Con il suo caro amico e bassista affermato Ameen Saleem, propone un divertente, scintillante, repertorio. Unendo sensualità e ironia, intimità e scalanatura, questo duo mostra contagiosa allegria e la bellezza di un dialogo musicale basato sull'ascolto reciproco e la vera interazione.

"Lalla Into The Garden": E' il primo progetto cantautorale di Laura Campisi. Iniziato nel 2009 nella sua terra d'origine come sestetto (voce, due chitarre, violoncello, fisarmonica e percussioni), si trasformò negli anni continuando a mutare nella tipologia di strumenti e nelle sonorità sperimentate. Il nocciolo però è sempre stato lo stesso: i pezzi in italiano di Laura Campisi, alcuni dei quali l'hanno portata a vincere diversi premi nazionali e internazionali.