Janis,
la donna apparentemente forte e decisa e quella dolce e tormentata. Janis,
quella disinibita e libera e quella perseguitata dalle insicurezze fuori dal
palco, quella che in realtà si sentiva terribilmente sola. Janis, che ha
lasciato tutti a bocca aperta, senza fiato, con la sua voce. Una donna che
nella musica e nel blues ha visto l'unica via d'uscita ai suoi tormenti, ma che
infine non li ha mai veramente superati. Janis che stava bene se cantava, se
ballava libera sul palco, ma giù dal palco poi era un'altra storia. Janis,
intensa come nessuna, arrabbiata e soave, che tutto diceva, in un sussulto celato
evidente. Janis, persa tra dipendenze che l'hanno portata alla morte. Janis che
ancora vive con la sua musica e che probabilmente tutto questo amore non se l’è
mai nemmeno immaginato.
Janis è nata in un posto che con lei proprio
non c'entrava nulla. Port Arthur, in Texas, era praticamente immersa nel
petrolio. Il razzismo e la violenza erano ovunque e persino la sua famiglia con
lei non c’entrava niente anche se in modo diverso rispetto alla città che la
circondava. Certo, da bambina era felice: era la maggiore di tre figli e
primeggiava fin da allora con il suo carattere irriverente. I genitori erano
cristiani conservatori e tentavano in qualche modo di addolcire e tenere a bada
la sua indole, ma non ci riuscirono mai. Già da piccola aveva la tendenza a
voler essere la migliore dei tre, a tenere l’attenzione su di se, forse perché
temeva di perdere l’affetto dei suoi genitori o forse, si, forse solo per
carattere. Poi, quella vivace bambina è cresciuta ed è successo qualcosa che
l’ha cambiata per sempre. Bullismo, feroce bullismo. Forse molti non lo sanno,
ma Janis, fin dall’inizio del liceo ne ha passate di tutti i colori a causa di
persone non degne di essere chiamate tali. Quel che le è capitato, se l’è
portato dietro per tutta la vita, fino alla fine.
Insensato, crudele, bullismo di piombo. Nei
primi anni di liceo la giovanissima Janis, ingenua, fanciullesca, tentava di
farsi accettare comportandosi in un modo che non le apparteneva. Tentava di
piacere agli altri. Questo forzato adattamento però la bruciava dentro, perché
lei era nata per sconvolgere, per essere libera, onesta fino al midollo. Trattenere
dentro di se la sua voglia di libertà, la sua vivacità incredibile, tutta la
sua strabordante energia, la stressò talmente tanto da iniziare a risentirne
anche fisicamente. Iniziò ad avere problemi di peso e il poco respiro le fece
esplodere come sfogo una terribile acne. E così… ovvio no? I tanti stronzi e le
tante stronze del caso, avevano ora qualcosa a cui appigliarsi perché loro,
come tutti i bulli, ignobili, non potevano accettare che una ragazzina in piena
fase di sviluppo avesse i brufoli e qualche chilo in più. Quei coglioni –
scusate i francesismi ma quando si parla di queste cose ci stanno eccome – la
attaccavano costantemente, continuamente, senza un briciolo di tregua. Per Janis
fu un periodo talmente nero, quello del liceo, da essere ricordato,
storicamente, come “la persecuzione di Janis”, pensate un po’. Lei era fuori da
ogni schema, aveva un’intelligenza superiore alla media e questo suo essere
migliore, unito agli sfoghi da stress, la resero la “preda perfetta” per queste
bestie senza senso. Janis venne distrutta, calpestata in tutti i modi possibili
e immaginabili, completamente disfatta, umiliata; avevano nei suoi confronti
l’ossessione – naturalmente immotivata – di cogliere ogni singola occasione per
tentare di annullarla. Pura cattiveria. Visto che al tempo non era ritenuta
“abbastanza bella”, i ragazzi che non la insultavano la scansavano e lei, a
forza di colpi, cominciò ad incazzarsi sul serio. Da lì in poi non ce ne sarà
più per nessuno. Si liberò e mostrò a tutti la sua vera personalità, ma lo fece
prendendo una strada che al tempo credeva fosse l’unico modo per venire fuori
da quell’inferno. Si avvicinò a dei teppisti che inizialmente non la accettarono
perché era una ragazza, ma lei si impose ed esplose come un uragano.
Dall’isolamento totale e assurdo al quale era stata sottoposta, divenne il perno
di questo gruppo di casinisti ed era proprio lei la più caotica. Non aveva
nessun freno, era volgare come nessuna ragazza a quei tempi avrebbe mai nemmeno
pensato di essere, aggressiva, estrema. Fece colpo su di loro proprio per
questo, perché non avevano mai visto una ragazza così. Era una cosa fuori dal
comune, soprattutto a quei tempi. Passavano le loro serate nella più totale
incoscienza, ubriacandosi fino allo stremo, facendo uso di droghe d’ogni tipo,
facendo sesso, a volte, senza mai intrattenere rapporti sentimentali, si divertivano
nei modi più distruttivi ed erano gli unici beatnik della città. Con questa
compagnia di pazzi, Janis imparò in parte a volare e in parte a cadere, ma
perlomeno al liceo smisero di torturarla perché era in qualche modo protetta.
Fu in quel periodo che iniziò ad ascoltare Bessie Smith, che per lei restò
praticamente un’ossessione per tutta la vita. A lei, in quel periodo, sembrò
che le cose andassero meglio, ma poi tornò nella solitudine quando i ragazzi
della sua compagnia, più grandi di un anno, si diplomarono e i mostri tornarono
a saltarle addosso. Iniziarono a sputarle addosso nei corridoi, la chiamavano
puttana lanciandole addosso monetine e “amante dei negri” poiché s’era
schierata con fermezza contro il Ku Klux Klan. Di tutto e di più. Una volta
terminato il liceo, Janis si iscrisse all’Università di Austin. Molti la
ritenevano irresistibile, sexy ed affascinante, ma c’era sempre qualcuno che la
prendeva di mira, fino ad eleggerla “uomo più brutto del campus”. Ci rimase
talmente male da abbandonare gli studi. Durante l’Università però iniziò a
cantare bluegrass, accompagnata da un paio di musicisti e molti iniziarono a
notare il suo talento in quello che veniva chiamato “The Ghetto” (il campus).
Sempre in quel periodo iniziò ad esibirsi al “Threadgill’s” di Austin, un
locale grazie al quale si creò un grande seguito. Chet Helms, un personaggio
noto all’Università, fece amicizia con lei e decisero di partire insieme per
San Francisco, città nella quale – in seguito – Chet diverrà un leggendario
organizzatore di eventi. Viaggiando insieme a Janis, Chet ne scoprì la grande
intelligenza, si illuminò di fronte a lui la sua mente brillante, nascosta
sotto strati di trascuratezza e tutto ciò lo fece innamorare. Si fermarono
anche dalla madre di lui durante il viaggio, ma vennero sbattuti fuori casa
dopo poco, alla prima raffica di bestemmie della Joplin. Dopo cinquanta ore,
finalmente arrivarono nella bella Frisco, passarono per North Beach e subito
dopo Chet la portò ad esibirsi al “Coffee & Confusion” nel quale – con
quattro brani cantati a cappella – ricevette un’ovazione esplosiva da parte del
pubblico, racimolando anche qualche soldo. Janis iniziò poi una relazione con
una ragazza afroamericana, continuando però a stare anche con Chet, con il
quale andò a vivere in un palazzo vittoriano a Haight – Ashbury. Solo due mesi
dopo però, nell’inverno del ’63, i due si lasciarono e lei iniziò a frequentare
sempre più donne. Nel frattempo, il movimento beatnik si affievolì e il folk,
che si trasformerà poi in blues e rock, prese piede come colonna sonora della
protesta hippy. Iniziò poi a frequentare un giro di persone tossicodipendenti e
i suoi abusi aumentarono sempre di più. Al tempo soffrì spesso la fame: si
manteneva solo con qualche lavoretto saltuario e con il sussidio di
disoccupazione, ma la sua situazione economica era davvero disastrosa. Non riusciva
a pagare le bollette e spesso, si trovava con gli ultimi beatnik per andare a
rubare generi alimentari, motivo per il quale fu anche arrestata nel ’63. Poi
successe qualcosa di buono. C’era un posto bizzarro, chiamato “Teatro Magico
per Soli Folli”, in cui si radunava al tempo tutta quella che poi divenne la
scena psichedelica, una cinquantina di persone in tutto, tra cui Janis. È da lì
che cominciarono a girare le voci sul suo innato talento e fu da quel luogo che
i discografici vennero a conoscenza della magia della sua voce, cominciando
così a “darle la caccia”. La cercarono ovunque e nel ’65, dopo un periodo
passato dai suoi genitori per riprendersi dai troppi eccessi, Travis Rivers,
con il quale ebbe una storia, le disse che un bel gruppo, i Big Brothers,
cercavano una cantante, così la coppia si mise in marcia attraversando il
deserto del New Mexico. Nel frattempo, Chet aprì un locale che divenne poi
leggendario, l’ “Avalon Ballroom” e fu
lì che Janis iniziò ad esibirsi con il suo primo vero gruppo, i Big Bother
& The Holding Company, nel 1966. Chet si occupò del booking, si assicurò
che la band percepisse sempre un caché decente, ma quando la band ingranò,
Janis lo licenziò e anche se continuarono a suonare all’Avalon, si trovarono
sempre più in difficoltà economiche, perché senza di lui non avevano mai la
certezza di prendere qualche soldo, anche se la loro fama continuò ad
aumentare, poiché ovunque andassero, il pubblico rimaneva abbagliato dalla voce
della giovane artista. Nel ’67 infine ebbero la loro grande occasione. Si
esibirono a un raduno di massa della controcultura chiamato “Be-In” e anche lì,
di fronte a una folla che sembrava non avere fine, Janis ipnotizzò ogni singolo
componente del pubblico. La scena del tempo divenne meravigliosa: le band erano
un corpo e un’anima unica, si aiutavano reciprocamente e così era anche per i
manager, che non si facevano la guerra, bensì collaboravano per fare in modo che
ogni band avesse delle possibilità. C’era amicizia, un senso comunque di vero
amore per la musica che dalla terra nasceva per arrivare in ogni dove. La band
continuò però a restare in ristrettezze economiche e questo li portò a tornare
in California, a Los Angeles. Continuarono a suonare il più possibile, fino a
che una sera, si ritrovarono ad aprire un concerto al grande Chuck Berry, che
rimase assolutamente impressionato dall’unicità di Janis Joplin. Da lì in poi
le cose si misero davvero bene. La band iniziò ad avere enorme successo,
partecipando al “Monterey Festival” che diede loro la reale celebrità. Per
dirne una, nello stesso festival, ebbe la sua consacrazione americana anche
Jimi Hendrix, al tempo conosciuto più che altro in Inghilterra. Nel 1968, a New
York, i Big Brother trovarono un nuovo manager, Albert Grossman e iniziarono a
lavorare al loro primo album “Cheap Thrills”, che in un breve lasso di tempo
raggiunse un successo fenomenale. Persino Aretha Franklin si innamorò della
voce di Janis, tanto da dichiarare che la Joplin era “la più potente cantante
emersa dal rock bianco.” Il lavoro incessante e gli eccessi però, si fecero
sentire e ad un certo punto Janis e The Big Brother, esausti, finirono per
prendere strade diverse e lei decise di continuare come solista. Nel ’69 iniziò
a suonare con una band di turnisti, la Kozmic Blues, ma il loro concerto a Memphis
fu un flop, poiché il pubblico era composto perlopiù da un’esigente platea
afroamericana che non rimase entusiasta della sua/loro performance. In quel
momento, Janis Joplin ricevette l’ennesima bastonata, stavolta da parte della
stampa. Furono in particolare due riviste ad attaccarla, vale a dire il Rolling
Stone e Playboy. La criticarono pesantemente e l’insicurezza di Janis tornò a
farsi sentire, nonostante tante altre testate avessero recensito l’evento
positivamente. Si lasciò influenzare troppo dai media, cercò di compiacerli,
proprio come faceva nei primi anni di liceo e questo ebbe un influsso negativo
su di lei e anche a livello professionale. Era oramai una rock star,
realizzata, senza più problemi economici, amata dal grande pubblico, ma c’era
sempre qualcosa che sembrava per lei non essere abbastanza. Dava tutto, corpo
ed anima, al palco, fino allo sfinimento. Non riuscì nemmeno ad avere una
relazione stabile, perché era sempre, costantemente, a lavoro per dare di più,
sempre di più, perché la sua fragilità la portò a pensare che doveva per forza
piacere a tutti, che non poteva esserci critica, perché se non piaceva a
qualcuno, per lei, c’era qualcosa di sbagliato in quel che faceva. Una cosa
assurda naturalmente. Iniziò sempre più a distaccarsi dalla realtà. Voleva
forse, con tutto quell’incessante lavoro, combattere anche quei brutti momenti
del suo passato nei quali era stata demolita per anni. Anche se tanti la
definivano l’artista che aveva dato nuova vita al blues, Janis non si sentì mai
completamente soddisfatta. Nello stesso anno poi, l’evento epocale: Woodstock.
Davanti a quattrocentomila persone, la sempre solare Janis era oramai distrutta
dal troppo lavoro e dalle dipendenze e certamente non diede il meglio di se. Di
ritorno a New York, partecipò all’Ed Sallivan Show e dopo la puntata, si
diresse con i suoi musicisti allo storico Max’s Kansas City, un night club
ristorante che all’epoca era punto di ritrovo per miriadi di artisti, tra i
quali Salvador Dalì e Andy Warhol, con i quali si intratterrà. Quella sera conobbe
anche la modella ed attrice Edie Sedwig, portata al successo proprio da Warhol
e la loro cameriera, per quanto possa sembrare strano a dirsi, fu la futura
Blondie, Debby Harry. La situazione sembrò risollevarsi un po’. Agli inizi
degli anni ’70 Janis licenziò “i freddi” Kozmic Blues e ricominciò ad esibirsi
con i Big Brother, che nonostante tutto la riaccolsero a braccia aperte. Vi fu
un tour europeo a dir poco trionfale, ma in realtà Janis non aveva intenzione
di rimettersi con la band, non ufficialmente. Proprio per questo i Big Brother
continuarono a ragionare come band indipendente dalla Joplin e fecero un
provino a un’altra cantante, scatenando un’ingiustificabile sfuriata di gelosia
da parte sua. Alla fine di tutte queste peripezie, riuscì a mettere insieme una
band eccezionale: la Full-Tilt Boogie Band. Fu con questi meravigliosi musicisti
che prese vita “Pearl”. Kris Kristofferson (attore, cantante e musicista
country), compose per loro l’immortale “Me and Bobby McGee”. Esordirono con la
nuova formazione a una festa degli Hell’s Angels (un’associazione
motociclistica diffusa tuttora in tutto il mondo, caratterizzata dall’amore per
la Harley Davidson e considerata organizzazione criminale negli Stati Uniti).
L’album venne prodotto da Paul Rothchild (lo stesso produttore del disco
omonimo dei Doors) e fu registrato ai mitici Sunset Sound Studio di Los
Angeles. Per il compleanno di Jack Jackson, il proprietario del Threadgrill, in
cui aveva iniziato la sua carriera ad Austin, Janis fece un concerto a sorpresa
e Jackson notò subito quanto “la sua piccola” fosse cambiata. Dichiarò che
nonostante avesse ancora una risata viscerale, non era più lo spirito inquieto
e sempre di ottimo umore che conosceva. Era diventata quasi cinica, isolata da
chi avrebbe potuto darle un aiuto, circondata solo da persone che le stavano
accanto per comodo, persa nella frenesia e distaccata dalla realtà. Era
terrorizzata, viveva per la musica e per il pubblico e temeva costantemente di
perdere tutto. Arrivò a pensare addirittura di non saper cantare, un’idea
completamente fuori di testa, senza senso. Il 12 agosto 1970, Janis Joplin
tenne il suo ultimissimo concerto, all’Harvard Stadium. Fu proprio dopo quel
concerto che si rintanò a Los Angeles per incidere la versione definitiva di
“Pearl”, ma il 4 ottobre del ’70, Janis morì di overdose, a soli ventisette
anni. “Pearl” uscì dopo la sua scomparsa, privo della parte vocale in uno dei
brani, “Buried Alive”. Si, proprio “Buried Alive”, sepolto vivo; una
coincidenza che non passò inosservata. Le sue ceneri vennero sparse nell’Oceano
Pacifico, la sua musica, restò nell’eternità.
Ora, dopo avervi umilmente raccontato parte
della storia di Janis, vorrei lanciare uno spunto di riflessione e il mio
messaggio lo invio a tutti quei ragazzi e ragazze che si trovano a combattere
l’isolamento, la calunnia, la cattiveria gratuita, la violenza fisica e
psicologica. Ragazzi, Janis era un talento eccezionale, aveva una mente eccelsa
e la sua musica è rimasta nella storia e nella storia resterà per sempre,
eppure anche lei è stata presa di mira e massacrata. Non ha mai avuto la forza
di reagire e nonostante la sua apparente forza e il suo essere ribelle, non ha
saputo ribellarsi a quello che poi, infine, l’ha uccisa. Prendete l’esempio di
questa donna e pensateci su. Se avesse reagito, se fosse riuscita a ribellarsi
nel modo giusto, se non avesse imboccato la strada sbagliata, se non avesse
voluto compiacere per forza gli altri sempre e comunque, se avesse incanalato
la sua rabbia solo nella meravigliosa musica che faceva, trasformandola ancora
di più in magia, senza devastarsi per incertezze assurde, per un buio dal quale
non è mai uscita… ora sarebbe ancora qui probabilmente. Non permettete mai, a
nessuno, di soffocare quello che siete. Non permettete al bullismo di rovinare
voi e la vostra vita. Reagite, combattete la stupidità con la vostra vivacità,
con la vitalità, con la forza delle persone che amate e che vi amano e con lo
slancio del vostro sguardo verso il futuro, perché non dovete permettere che il
futuro sia creato dai bulli. Il futuro lo devono creare le persone vere, quelle
che hanno un’anima sul serio e possono arrivare a cambiare, ognuno con la
propria goccia, quell’ancora – nonostante tutto - meraviglioso oceano chiamato
mondo.
"E ogni volta ripetevo a me stessa che non
potevo sopportare questa sofferenza Ma quando tu mi tieni fra le tue
braccia, lo canto ancora una volta."