È come essere in un'enorme stanza bianca, completamente bianca, tanto da accecare ed è come essere divisi da un vetro, senza avere nulla a disposizione per romperlo e "raggiungersi". Quel vetro è lì per un motivo, ma tu sai che basterebbe un centimetro e le tue mani si intreccerebbero a quelle della persona che ami. Padre, madre, fratello, sorella, amico, amica, l'innamorato o innamorata; tutto l'amore che c'è, in sostanza. E che vuoi fare? Batti i pugni, cerchi in qualche modo di spaccare lo stesso il vetro, a costo di farti male, a costo di tagliarti la pelle. Dall'altra parte, a volte, la persona che vorresti abbracciare o riabbracciare è lì che sbraita e lotta con te. A volte siete come una cosa sola, a volte avete metodi e dimensioni diverse. A volte, sei solo tu a battere i pugni, i palmi, il cuore. Il fatto è che in ogni caso, il tuo istinto di sopravvivenza ti dice di respirare, di riempirti i polmoni di vita più che puoi e quindi, per quanto il vetro sia resistente o per quanto a volte la persona di fronte a te non lotti, a volte per un motivo e a volte per quello opposto, tu accetterai la sfida, perché alla Vita non si rinuncia.
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domenica 28 agosto 2022
martedì 8 settembre 2020
Dimensioni
C'è un posto, tra la Terra e l'Oceano, in cui la dimensione della terra e dell'acqua si sfiorano, poi si abbracciano, per diventare infine un tutt'uno.
C'è un posto, tra quel luogo e il Cielo, in cui il bacio del Sole permette all'Aria, alla Terra, all'Acqua, di essere parte dell'Universo tutto e della sua energia.
C'è un posto, accanto a ognuno di noi, in cui l'Amore rende palpabile l'invisibile e così il legame con coloro che abbiamo sempre amato e magari, ora, non vediamo più con gli occhi, resta vivo e nitido, fino a che quegli occhi si incroceranno di nuovo, dando il via all'Eternità.
lunedì 6 luglio 2020
"Una melodia nel silenzio" di Francesca Pala - 1a classificata al Concorso L.A. Editing
Aleksandr Ermakov |
Non ho molto da dire riguardo a Francesca Pala, se non che la sua naturale semplicità e la sua innata capacità di emozionare hanno fatto la differenza. Credetemi, non è per nulla scontato avere queste caratteriste per natura. Di seguito "Una melodia nel silenzio".
Tommaso
si accarezzò la barba leggermente lunga. Era seduto davanti a un pianoforte. La
mano incerta, sui tasti bianchi e neri, sembrava chiedere a quel vecchio
strumento cosa dovesse fare. Gli occhi infossati sembravano tristi e vuoti, come
fantasmi di ciò che erano stati. Alcune dita della mano accarezzarono i tasti e,
dopo qualche minuto, una bellissima melodia scacciò il silenzio della
solitudine. Chiuse gli occhi e si lasciò trascinare nel mondo che quella musica
gli ricordava. Un’unica flebile luce accanto a una vecchia poltrona donava
un’atmosfera irreale a quella notte di pioggia. Aveva lasciato andare la donna
che più al mondo l’aveva amato. L’aveva cacciata via dalla sua miserabile vita senza
domani. Le sue mani si fermarono bruscamente e la stanza ripiombò nel silenzio.
Un lampo illuminò tutto per un eterno secondo e poi, il boato del tuono
riecheggiò tra gli alberi piegati dal vento. Tommaso si passò una mano sul viso
stanco, si chiese cosa avrebbe fatto. Incerto si alzò, guardò oltre la pioggia,
oltre gli alberi spogli e vide Laura nella sua mente: la vide danzare nel suo
salotto. Appoggiò una mano sul freddo vetro della finestra e rabbrividì mentre
quell'immagine di lei svaniva nella notte. Lei meritava un uomo che le stesse
accanto, che la ricordasse ogni giorno e quell'uomo non poteva essere lui. A
breve, pian piano, la sua memora se ne sarebbe andata e lui con lei. La
malattia gli avrebbe rubato i ricordi. La malattia non perdona. Gli era
capitato di lasciare il fuoco dei fornelli accesi. Quando se ne accorse si
accasciò al suolo e si mise a piangere. Mentre piangeva, tremava al pensiero di
ciò che sarebbe potuto succedere, ma dopo un po' - come in una specie di atroce
magia - si trovò a ridere vedendo davanti a sé un pagliaccio che non esisteva,
se non nella sua mente. Nell’ultimo barlume di lucidità assunse una donna che
fosse la sua memoria e lo proteggesse da sé stesso. Col tempo iniziò a mettersi a sedere sempre
sulla solita poltrona, per poi non spostarsi più da lì. Nei mesi successivi il
suo salotto diventò ora una strada, ora un vecchio capanno in cui aveva giocato
da piccolo. Le persone, così come i luoghi, svanivano e poi ricomparivano in
una danza confusa tra realtà e immaginazione. Un
giorno, per uno strano scherzo del destino, Laura seppe da un’amica che Tommaso
aveva il morbo di Alzheimer e che non riconosceva più nessuno. Capì che aveva voluto lasciarla libera,
quella maledetta sera. Decise così di andare da lui, mentre le sue guance si
coloravano di speranza e le mani sudate stringevano il volante. Bussò alla
porta e attese che qualcuno aprisse. Una grassottella signora di mezza età la
accolse, sorpresa da quell'inaspettata visita. Cosa avrebbe trovato? o meglio,
chi avrebbe trovato? Il pianoforte era perfettamente pulito e chiuso: un tempo era
stato sommerso di fogli, canzoni mai finite e vecchi spartiti. Guardò
Tommaso seduto sulla poltrona: aveva un maglione azzurro e un vecchio paio di
jeans. Sembrava sempre lui, con il suo solito buon profumo:
- Ciao Tommy…
- Ci conosciamo? – chiese lui con i suoi soliti
modi pacati.
Laura
smise di respirare. Come poteva aver cancellato tutto? Era questo il dolore dal
quale lui l’aveva protetta in quell'anno di silenzio?
- Sono Laura…
- Piacere di conoscerti Laura!
- Come stai? - chiese di nuovo la donna sedendosi.
- Guarda, ormai non sopporto più quel cane che
continua ad abbaiare per ore. Poi vorrei tanto tornare a casa mia.
- Come a casa tua? – chiese Laura stupita.
Lui la
guardò e Laura capii: “hai ragione Tommy, ti porto a casa io” pensò tra sé e
sé.
- Giusto. Andiamo? - lo rassicurò a voce alta.
- Ma tu sai dove abito? - la voce di quell'uomo sembrava speranzosa. I suoi occhi la raggiunsero dritta in fondo all'anima. Lui
era lì.
- Certo, abiti là – affermò indicando lo studio.
Lui si girò e sembrò sollevato nel vedere ciò che cercava.
- Esatto!
- sbottò raggiante.
- Si
alzò, Laura gli prese la mano e insieme si diressero verso lo studio:
- Vuoi ballare? - invitò Tommaso guardandola
negli occhi - Senti che bella musica…
Forse
era una follia. Sicuramente era una follia, ma l’unico modo che aveva per
ritrovarlo era vivere il suo mondo. Iniziarono a volteggiare nello studio sulle
note di una canzone silenziosa. Una melodia che non si sentiva con le orecchie,
ma solo con il cuore.
- Sai,
conoscevo un uomo così folle che pensava di potermi mandare via.- Davvero?
- Tommaso era incuriosito da ciò che quella donna aveva da dire.- Sì,
davvero. Non sapeva che io sono più pazza di lui - sussurrò lei quasi fosse un
segreto.
Lui
rise, dopo tanti mesi di silenzi. Finalmente sentiva di avere qualcuno che lo
capiva, che vedeva il suo mondo. Laura, in quel momento, decise che sarebbe
stata accanto a lui sempre, pronta per vivere nuove avventure insieme, tra le
pareti di casa.
venerdì 28 agosto 2015
Grembo
Caldo il tuo grembo,
alimento e rifugio
del mio stesso respiro.
Intima grazia per noi,
il grembo della terra.
Focolare nel gusto,
il grembo di una donna.
Nel grembo il dono.
Poggiati sul grembo,
piccoli granelli,
al sicuro nell'infinito.
E respirando il tuo grembo
il mio si riscalda,
felice giaciglio d'entrambi.
Avvolti nel nostro abbraccio,
profumo di biscotti,
aroma di pane fresco
e polvere di caffè.
sabato 7 febbraio 2015
La meravigliosa storia di ... "Riturnella"
"Riturnella".
Alcuni traducono questo termine calabrese accostandolo come sinonimo
a "rìnnina" e traducendole con "rondine" o
"rondinella". Facendo ricerche però, si scopre che colui
che ha riportato alla luce questo brano popopolare calabrese, negli
anni '70, vale a dire il prof. Antonello Ricci, ritiene che il
termine "Riturnella" sia intraducibile in quanto "inserto
nonsense". "Rìnnina" però, significa comunque
"rondine" e nel testo è il termine "rìnnina"
a farla da padrone. Ci sono molte traduzioni e versioni di questa
lirica, anche se si ritiene che la più fedele sia quella appresa dal
professor Ricci da Mariangela Pirito, una "ancient"
signora. Non è un caso che io riporti il termine in inglese, in
italiano sarebbe più sensato dire "vecchietta" o "vecchia
signora" perché dietro a questo termine, come in inglese o in
francese, c'è "la storia"; si dice "i nostri vecchi
del paese" quando si parla di storie, di ricordi... "se
vuoi saperlo, devi chiederlo ai vecchietti in paese!", "i
nostri vecchi, loro si che sanno". Invece è luogo comune
pensare che il termine "vecchio" sia un'offesa. In realtà
non lo è, non che io sappia. L'etimologia del termine "vecchio"
è una rivelazione in se. "Vecchio" o "Veglio"
significa non solo "che ha molti anni". Qualche ricerca su
internet rivela: "Dicesi degli esseri organizzati, che dal
nascere al morire corrono più stadi o gradi di vita". Dunque la
storia, l'esperienza, i ricordi, le cose che "solo se sei
vecchio puoi sapere" e "solo se te le tramanda un vecchio"
sopravvivono. Il termine "anziano" invece è certo
indicazione di una persona con maggiore esperienza, maggior dignità
e autorità rispetto ad altre, sempre pensando all'etimologia della
parola, ma la radice "ante" ovvero "avanti" unito
a "anus", in latino "vecchio", mi pare si
concentri più sull'avanzare del vecchio, più che sulla sua storia,
dell'avanzare del passo lento o del suo avanzare e basta. Tutto
opinabile, anche perché non sono etimologa, non ho studiato latino e
questa mia sensazione viene dall'insegnamento di qualcuno che me lo
fece notare. Resta il fatto che il termine "vecchio", al di
la' degli insegnamenti ricevuti, mi sembra avere più sapore e
colore. Perché allora non ho subito usato il termine "vecchia",
"vecchietta" ed ho introdotto il termine in inglese?
perché "ancient" in inglese non è solo indicativo di una
persona avanti negli anni, vecchia, anziana o quello che preferite;
il termine "ancient" si usa anche quando si parla di rarità
storiche, di cose preziose, di storie narrate, della storia di un
individuo così come della storia in se. Tutto questo discorso,
partito dalle mie dita senza alcun filtro, ha allungato di molto quel
che doveva essere inizialmente la mia idea di introduzione a
"Riturnella". Il fatto è che tutto ha un senso e se le mie
dita sono partite "senza filtro" c'è un motivo.
"Riturnella", torniamo a lei, anche se ancora di lei
stavamo parlando in realtà. Lei. L'ho chiamata "Lei". Mi
accorgo pochi secondi dopo averlo scritto, di aver scritto quello che
ho scritto (scusate il gioco di parole, ma notare i dettagli è
istintivo per me). "Riturnella" è un canto popolare
calabrese e risale al periodo del primo dopoguerra, dunque agli inizi
del '900, in cui milioni di italiani andavano in cerca di lavoro,
perlopiù in america, per avere qualche speranza in più, perché in
Italia tutto era stato distrutto, mentre in america c'era molta
richiesta di manodopera... "Riturnella" è la storia
dell'inimicizia tra "lavoro" ed "amore" diffusa
in quei tempi, poiché il lavoro portava lontano dagli affetti... dai
genitori, dai figli, dal proprio compagno o compagna di vita. E' una
storia d'amore, è la storia di una donna e del suo amore lontanto, è
la storia della sua premura, della "rìnnina", simbolo di
tristezza e speranza insieme. Il tutto, in parole e musica. Vi
propongo sotto il testo in dialetto per intero e una traduzione
(volutamente un po' scremata delle ripetizioni tipiche del dialetto e
non suddivisa nella forma originale, un po' parafrasata in sostanza,
ma solo per mettere ulteriormente l'accento sulla storia).
Ovviamente... ve ne consiglio vivamente l'ascolto. E' stato Eugenio
Bennato a renderla nota ai più, con il suo "Musicanova"
pubblicato nel 1978 ed è sua la versione che troverete nel video,
con un testo leggermente differente da quello considerato come
originale, per la diversa scelta di alcuni termini dialettali.
Volendo, se vi interessa approfondire la lirica in se, la
composizione del testo, potrete trovare informazioni interessanti
facendo altre ricerche. Questo mio articoletto però, vorrebbe
concentrarsi di più su tutto ciò che questo brano può significare,
su tutta la storia che c'è dietro e su cosa possa significare anche
per noi oggi.
Tu, rondine che vai
Per mari e mari
Oh rondinella
Tu, rondine che vai
per mari e mari...
Ferma, quando ti dico
due parole, o rondinella,
ferma, quando ti dico due parole.
Corri a gettare il sospiro a mare
e guarda se mi risponde.
Guarda se mi risponde il bene mio...
Non mi risponde, no,
è troppo lontano,
oh rondinella, non mi risponde...
è troppo lontano.
E' sotto una frescura
che sta dormendo, o rondinella,
poi si risveglia con
il pianto agli occhi...
Si asciuga gli occhi
e gli passa il pianto, o rondinella.
Si asciuga gli occhi... e gli passa il pianto.
Prendigli il fazzoletto,
vado a lavarlo, o rondinella,
poi lo stendo a una pianta di rosa
e poi lo mando a Na,
lo mando a Napoli a stirare, o rondinella.
Poi te lo piego alla napoletana,
te lo piego alla napoletana, o rondinella.
E poi te lo mando col vento a portare
o rondinella, te lo mando a portare col vento.
Vai vento e portaglielo...
Vai vento e portalo al mio bene.
Attenta che non ti cada,
attenta che non ti cada
sopra il mare o rondinella,
che perdi i sigilli di questo cuore,
o rondinella...
che perdi i sigilli... di questo cuore.
Il testo originale:
Tu rìnnina chi vai
Tu rìnnina chi vai
Lu maru maru
Oi riturnella
Tu rìnnina chi vai lu maru maru
Ferma quannu ti dicu
Ferma quannu ti dicu
Dui paroli
Oi riturnella
Ferma quannu ti dicu dui paroli
Corri a jettari lu
Corri a jettari lu
Suspiru a mari
Oi riturnella
Corri a jettari lu suspiru a mari
Pe’ vìdiri se mi rišpunna
Pe’ vìdiri se mi rišpunna
Lu mio beni
Oi riturnella
Pe’ vìdiri se mi rišpunna lu mio beni
Non mi rišpunna, annò
Non mi rišpunna, annò
È troppu luntanu,
Oi riturnella
Non mi rišpunna, annò, è troppu luntanu
È sutt’ a na frišcura
È sutt’a na frišcura
Chi sta durmennu
Oi riturnella
È sutt’a na frišcura chi sta durmennu
Poi si rivigghja cu
Poi si rivigghja cu
lu chjantu all’occhi
Oi riturnella
Poi si rivigghja cu lu chjantu all’occhi
Si stuja l’occhi e li
Si stuja l’occhi e li
Passa lu chjantu
Oi riturnella
Si stuja l’occhi e li passa lu chjantu
Piglia lu muccaturu
Piglia lu muccaturu
Lu vaju a llavu
Oi riturnella
Piglia lu muccaturu, lu vaju a llavu
Poi ti lu špannu a nu
Poi ti lu špannu a nu
Peru de rosa
Oi riturnella
Poi ti lu špannu a nu peru de rosa
Poi ti lu mannu a Na
Poi ti lu mannu a Na
puli a stirare
Oi riturnella
Poi ti lu mannu a Napuli a stirare
Poi ti lu cogliu a la
Poi ti lu cogliu a la
Napulitana
Oi riturnella
Poi ti lu cogliu a la napulitana
Poi ti lu mannu cu
Poi ti lu mannu cu
Ventu a purtari
Oi riturnella
Poi ti lu mannu cu ventu a purtari
Ventu và portacellu
Ventu và portacellu
A lu mio beni
Oi riturnella
Ventu và portacellu a lu mio beni
Mera pe’ nun ti cara
Mera pe’ nun ti cara
Pe’ supra mari
Oi riturnella
Mera che nun ti cara pe’ supra mari
Ca perda li sigilli
Ca perda li sigilli
De chistu cori
Oi riturnella
Ca perda li sigilli de chistu cori.
La versione di Eugenio Bennato (1978):
domenica 20 aprile 2014
Il Risveglio
Mi sono
svegliato sdraiato nel mezzo di un prato, ho aperto gli occhi e la
prima cosa che ho visto è stata la nuvola bianca sopra la mia testa.
Il cielo: era certamente di un azzurro mai visto prima e il rumore
soffice dell'aria leggera – che dei fili d'erba e dei fiori faceva
sue mani – mi sfiorava il volto. Percepivo la luce, il calore del
Sole, giungermi delicato sulla fronte e alzando gli occhi un po'
all'indietro lo vidi la', bello, splendente più che mai,
rinvigorito, più forte, puro.
Era tanto
bello starmene lì a godere dei profumi, dei suoni, dei colori e del
tatto lieto della serena natura, che poco dopo essermelo chiesto
avevo già lasciato da parte il mio spontaneo domandarmi cosa ci
facessi lì e perché. Non ricordavo nulla, ma al momento non
sembrava essere un gran problema. Più me ne stavo lì, rilassato e
senza preoccupazioni, più sentivo i miei sensi enfatizzati. Notai
che il mio respiro era fresco come l'ossigeno che respiravo, l'aria
era profumata di piante e stranamente i pollini non mi davano
fastidio come al solito. Gli uccellini cantavano come nelle migliori
giornate di primavera e mi sembrava di poterli capire; non decifravo
il loro linguaggio "alla lettera", ma sentivo nel loro
cinguettìo che erano felici. Continuai a guardare le nuvole passare
sopra di me per un po' e poi, d'un tratto tornò il dubbio e mi alzai
di scatto restando seduto; la terra era leggermente umida, di
quell'umido che si riconosce la mattina.
- Dove sono?
- mi chiesi ad alta voce.
Mi stupii.
La mia voce non era roca come al solito e notai di non avere più
l'insistente dolore alla gamba che da anni mi teneva mio malgrado
compagnia. Osservai le mie braccia, le gambe e così mi accorsi che
c'era qualcosa di straordinario in me.
- Com'è
possibile? - mi richiesi.
La mia
pelle, incredibilmente, non era la pelle raggrinzita dalla vecchiaia
che ero solito vedere. Mi alzai da terra, senza faticare e intorno a
me c'erano solo alberi e fiori. Sentii lo scrosciare di un torrente
in lontananza e decisi di seguire il suo canto. Mi feci strada verso
il suono dell'acqua e lo trovai, dietro a una fila di cespugli
verdeggianti. Avanzai piano, notavo ogni dettaglio, le rocce
nell'acqua, i pesci poco più in la', dove l'acqua era più profonda,
il muschio, una rana e al di la' della riva altre piante e altri
fiori. Cercai un punto in cui l'acqua fosse più ferma e con la
giusta dose di luce per formare un effetto specchiante. Piano piano
mi avvicinai: il mio volto... il mio volto era quello della gioventù!
E dov'erano finiti i miei ottant'anni? Affermare che mi sentivo
confuso è poco. Osservavo quel riflesso e mi tastavo il viso e
pensavo che certamente stavo sognando, un fantastico sogno pensavo.
Eppure sembrava tutto così reale, così nitido.
Mi guardai
ancora attorno: possibile che fossi l'unica persona nei dintorni? Nel
momento in cui stavo pensando a questo, sperando di non essere
davvero solo in mezzo a tutto quel verde senza saperne nemmeno il
motivo, sentii delle risate, delle voci: "Per fortuna..."
pensai. In tutto quel pacifico frastuono uno solo era stato il
pensiero costante: "Dov'è la mia Milena? Dov'è il mio amore?".
Seguii le voci e le risa e giunsi a una collinetta; vi salii in cima
e vidi un sacco di persone parlare, chiacchierare, bambini che
correvano e giocavano, uomini e donne che ridevano, amici e famiglie.
"Dov'è la mia Milena...?", la cercavo con lo sguardo in
mezzo alla gente, dall'alto della collina e finalmente, la vidi e
quanto era bella... Il suo viso era lo stesso dei nostri anni
migliori, i suoi capelli scuri, i suoi occhi grandi e scuri, avevano
ritrovato la salute; le spalle dritte, la carnagione dorata per
natura che tanto mi era piaciuta quando ci siamo conosciuti. Mi
sorrideva e mi guardava, mentre si faceva spazio tra le persone per
raggiungermi. Nel mentre,
vidi nella piccola folla anche il mio caro amico d'infanzia,
chiacchierava con altri e rideva, niente inalatore tra le mani e
l'aspetto sano di un tempo.
- James,
amore mio... - disse la mia dolce moglie guardandomi come solo lei
poteva fare - ... vieni con me.
Rimasi
ammutolito e lei mi prese per mano; non sembrava essere confusa
quanto me. Andammo a sederci poco più in la', con lo sguardo verso
il Sole. La guardavo, non riuscivo al momento a proferir parola, ero
incantato e lei pure mi guardava, ma nulla diceva. Dopo qualche
istante le chiesi: "Siamo in paradiso?"; lei sorrise, come
se la domanda le risultasse buffa e tenera, poi mi rispose:
- No, non
siamo in quel paradiso, non quello che stai pensando per lo meno.
Siamo sulla Terra, nello stesso posto dove abbiamo sempre vissuto.
- Ma com'è
possibile? - chiesi – Cosa sta succedendo? E perché siamo giovani?
Dov'è la città?
- Della
città a quanto pare non abbiamo più bisogno amore mio. Mi sono
svegliata poco prima di te e non so molto di più e nemmeno gli altri
sanno molto ma molti di noi, io compresa, hanno la certezza – anche
se non sappiamo perché – che le risposte arriveranno molto presto.
So solo che non c'è nulla di innaturale in tutto questo, nulla di
strano o fantasioso.
- Ma come
fai a dirlo amore? Io sono così confuso... Felice ma confuso.
- Te l'ho
detto, non so perché, so solo che è così.
Ci
abbracciammo, innamorati come sempre e sempre di più. Avevamo già
passato sessantanni della nostra vita insieme e saremmo rimasti uniti
per sempre.
Decidemmo di
stare lì, abbracciati a guardare quel maestoso paronama e anche se
non capivamo bene perché, sapevamo che a breve tutti i nostri dubbi
sarebbero stati chiariti. Anche io ora, accanto a lei, ero più
tranquillo. Fronte contro fronte le diedi un bacino sul naso, poi
senza pensieri ci sdraiammo sulla collina e ci addormentammo
nuovamente, mentre gli altri continuavano a parlare.
Mi sono
svegliato, di nuovo, ma stavolta ero a casa, sul divano e intravidi
Milena che sfornava i biscotti appena fatti e li posava in un piatto.
Era stato un sogno allora, come pensavo. "Che bel sogno però..."
pensai.
Milena si
avvicinò a me sorridente, mi portò una tazza di the e i biscotti.
- Grazie
amore mio...
- Figurati
tesoro...
- Sai... ho
fatto un sogno bellissimo... Eravamo tutti giovani e sani, forti e la
Terra sembrava essere rinata, incontaminata ed era tutto così
reale...
Mentre mi
ascoltava si sedette accanto a me e sorrideva, con quello stesso
sorriso che nel sogno sembrava essere intenerito e come se, ancora
una volta, avessi detto qualcosa di buffo. Eravamo telepatici da
sempre, quindi sapevo che quel sorriso significava molto.
- Non era
solo un sogno amore mio... - poi sorseggiò il the.
- Come? In
che senso non era solo un sogno tesoro...?
- Non so
perché... ma appena hai cominciato a raccontare mi sono convinta che
il tuo non è stato solo un bel sogno. Ha un significato. Un giorno
il mondo sarà migliore.
Sembrava
così sicura... Forse era solo la speranza di poter vivere insieme
ancora per millenni e magari per l'eternità, senza acciacchi, sempre
insieme, sani e forti... Qualcosa però mi diceva, nel cuore, che
quella sua sicurezza avesse un fondamento, anche se non sapevamo
perché. Io sentivo il suo cuore gioire e questo faceva gioire anche
il mio.
Si accoccolò
a me sul divano, bevemmo un po' di the e mangiammo i suoi favolosi
biscotti caldi che – quanto adoro questa cosa – avevano inebriato
la stanza di un profumo speciale.
Fronte sulla
fronte, le diedi un bacino sul naso.
Incrociare
il suo sguardo, ogni giorno della mia vita...
"Che
paradiso...", pensai.
giovedì 14 novembre 2013
Sempreverde
Tu che delle bacche di ginepro conosci l'acre sapore, ma t' accorgi anche che aghiforme ti guarda, sempreverde, aspettando i suoi fiori. Tu che desideri comunicare al mondo, che un po' lo ami e un po' lo temi. E
ancora tu, che con granelli di sabbia e pietruzze tra le mani, osservi i
colori e ti chiedi che uomini strani sono coloro che questa stessa
purezza non notano neppure. Tu che nel cielo nuvoloso noti il normale grigiore, ma già vedi il Sole pronto a zampillare, fuori ed oltre, le nubi lacrimose. Tu, che ami luce e calore e nei battiti del cuore di coloro che ami trovi tutto ciò che ti rende vivo.
martedì 1 gennaio 2013
Nel rumore
Alberi di latta bruciata, terre soffocate dal clamore del traffico, luci senza luce. Cercano il potere del fulmine, trovando solo la sua distruzione. Venti avvelenati, corse frenetiche al rumore, mani sporche di vite consumate nel nulla. Mercati e mercanti, colori fittizzi, nature morte... esseri: presi da se stessi, verso il buio totale della non coscienza, ricoperti da informazioni, privi di saggezza.
L'amore. Ci salva.
domenica 4 marzo 2012
Vive la notte
Dall'ombra di una paziente attesa,
accovacciata e pensosa,
al colore di una goccia d'acqua,
delicata dal Sole e depurata di se,
scalcia la notte di morbidi estri.
S'addormentano i camini nelle case,
si svegliano i sensi iperboli d'insonni felici
e il rumore del silenzio si fa suono dolce
in questo cielo grande dentro di noi,
senso della vita, insieme all'amore.
giovedì 4 agosto 2011
Bijou
Le si scioglie il glicine sui capelli, gira come luce nel suo cerchio di protezione: vulcano negli occhi e coriandoli di rose nel suo sguardo.
Scivola attorno al tronco a mani aperte, a palmo in su come in preghiera.
venerdì 13 maggio 2011
Negli occhi
Ecco: quando gli occhi ti chiedono consenso per vedere e sopportare i delitti dello sguardo. Occhi destinati a vedere la bellezza, strappati alla meraviglia per essere violentati da immagini di metallo. Ti chiedono consenso perché non vorrebbero e tu nemmeno. Volgi allora lo sguardo altrove sperando e in quello sguardo puntato verso il sogno, incidi tutto l'amore che hai.
sabato 9 aprile 2011
La magie
Le donne, gli uomini,
i film che fanno la storia,
la musica che vive sempre,
il non calcolabile, l'universale,
la poesia, la bellezza,
i bambini che scrivono i loro giochi
sulle foglie autunnali, scricchiolanti.
Il sapore di un bacio al caffè, amore mio.
La libertà di non voler possedere nulla
se non la libertà stessa
e la consapevolezza dell'alba.
Che importa del resto?
Posso amarti, ti amo e lo farò,
puoi amarmi, mi ami e lo farai.
puoi amarmi, mi ami e lo farai.
Il grigiore delle petroliere in mare,
l'astuzia delle pietre al potere,
il tanto parlare senza far nulla.
Amore, che si fa?
Immagina di dare un colpo di bacchetta,
l'astuzia delle pietre al potere,
il tanto parlare senza far nulla.
Amore, che si fa?
Immagina di dare un colpo di bacchetta,
in battere o in levare vedi tu,
e così d'un tratto tutto la' fuori è diverso
e le cose belle che ti ho detto,
e così d'un tratto tutto la' fuori è diverso
e le cose belle che ti ho detto,
quelle che ora vanno perse,
le vedono tutti, le amano tutti.
Dopo un colpo di bacchetta,
nessuna paura. La magie.
Immagina che bello,
se non ci fosse motivo di preoccupazione.
Immagina, se tutti sentissero
scricchiolare le foglie.
Immagina, se tutti sentissero
scricchiolare le foglie.
giovedì 24 febbraio 2011
Da un luogo strano
Places pleins de gens, un concerto rock
e il sorriso d'una conoscente.
Il fuoco dentro barili vuoti, il freddo fuori.
Guardando il fuoco, s'accende anche lo sguardo.
C'è tanta gente strana. Non c'è nessuno.
S' aggirano, intrisi di vani pensieri.
Un terrier sdraiato accanto al compagno,
si amalgama alla terra, diviene statua divina.
Un nostro amico, sincero ride.
Tu accanto a me. Mi tieni stretta, protetta.
Un uomo che impreca e non ispira fiducia.
Una panca di legno:
la notte di fronte ci stupisce il sapore.
Quell'uomo, mi ha trasmesso terrore.
Fatti strada, facciamoci strada:
"Ici, on a beaucoup de gens, ma non c'è nessuno."
Facciamoci strada, fatti strada tra la gente.
Non sarà difficile in fondo. Forti così,
ci siamo solo noi qui attorno.
"Proteggimi, lo so che lo farai."
"Proteggimi, io so che lo farò."
mercoledì 16 febbraio 2011
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