Ernico Mantovani. Venerdì 26 Settembre ho assistito, non per la prima volta, ad uno dei suoi magnifici, emozionanti e sempre unici concerti (a "La Taverna delle Fate Ignoranti" di Quinzano d'Oglio (Bs), un luogo delizioso). Enrico Mantovani è un "OneManBand", perché definirlo "solo" un chitarrista di talento è poco; non a caso "OneManBand" è il suo biglietto da visita e quando lo senti suonare, quando lo vedi suonare e le emozioni si trasformano in musica, percepisci che le melodie, le armonie, il ritmo, diventano colori, temperatura, immagine, suono percepibile al tatto ed allora comprendi perché Enrico Mantovani non è "solo" un chitarrista di talento e a quel punto non è più necessario spiegare perché il suo biglietto da visita è "OneManBand"; però ve lo spiego, perché molti di voi magari non l'avranno ancora mai sentito nonostante giri in lungo e in largo l'Italia (come invece alcuni già adoreranno il suo sound). Al di la' di questo, mi capita spesso di partire dalle emozioni quando parlo di un talento, perché la differenza tra un "bravo musicista" e un "musicista di talento" sta nell'anima, nella grinta, in quel che arriva alle persone. È così per tutte le discipline artistiche, naturalmente a parer mio. Enrico Mantovani è un artista bresciano, polistrumentista, ma la chitarra è nel suo nome. Vive a Orzinuovi ed ha collaborato con grandi artisti quali il cantautore Massimo Bubola, Giorgio Cordini i più noti (al grande pubblico si intende) Massimo Ranieri, Francesco Renga, Eugenio Finardi... ed ha suonato anche con Alex Britti (spero vi sia capitato di sentire una volta almeno il Britti blues), Gianna Nannini, Fausto Leali e molti altri. Le ho scritte, le collaborazioni, perché è giusto, per far capire a chi non dovesse conoscerlo che di cose ne ha fatte e pure tante (e non solo queste, poi ci arriviamo), ma il mio intento non è parlare dei nomi con cui Enrico Mantovani ha collaborato; il mio intento è parlare di Enrico Mantovani, un musicista come pochi, della musica che si vede, dunque, delle infinite sfumature dell'arte.
Enrico
Mantovani chi è? E poi... è abbastanza classico chiederlo, ma è
sempre interessante per capire di più: come hai iniziato a
suonare, quando, cosa ti ha spinto a imbracciare la chitarra?
"Direi
che la mia fortuna è stata di iniziare molto giovane, con mio padre
quando avevo sedici, quindici anni e già suonavo il blues e i pezzi
degli Stones insieme al mio amico Riccardo Maffoni... ho iniziato con
mio padre, dicevo, scriveva canzoni e racconti brevi ed era il mio
consigliere su libri e dischi che mi hanno poi accompagnato fino ad
oggi; mi sono subito reso conto, sin da adolescente, che non era solo
una questione di “musica“, ma anche di parole, di pensieri e di
poesia. La chitarra ok, saper suonare ok... mi veniva facile e
spontaneo... ma sentivo che la magia vera erano le storie che le
canzoni mi raccontavano... Così, assieme a mio padre, iniziai a
suonare la chitarra nei suoi spettacoli sulla seconda guerra
mondiale, sui partigiani, sulle storie dei partigiani nella nostra
pianura e l'ultimo spettacolo si intitolava proprio "Novecento"
e... sia i libri che le sue canzoni parlavano sempre di queste
vicende e di storie che abbiamo dietro l'angolo, che risalgono a
cinquanta, sessant'anni fa, non è un tempo poi così lontano. Del
resto un piede nel novecento ce l’ho avuto anche io: da piccolo si
passavano giornate intere in cascina, a giocare sui fienili, a
contatto con gli animali, ci tuffavamo nei fossi e di sera, dopo
cena, spesso mio padre imbracciava la chitarra e cantava canzoni di
Nanni Svampa e di altri cantastorie. Più che la musica in se, sono
le canzoni che mi hanno affascinato sin da piccolo."
Hai
tanti progetti in corso: i meravigliosi Matmata, i concerti
"OneManBand", la collaborazione costante con il grande
Bubola ed altre collaborazioni. Raccontami un po' cosa stai
combinando.
"Beh…
con Massimo Bubola ho avuto la fortuna di partecipare ad un percorso
sulla Prima Guerra mondiale, sulla Grande Guerra, che mi ha dato modo
di rivedere la storia dell' Italia e degli italiani negli ultimi
duecento anni; un lavoro a ritroso nel tempo, con brani e melodie
popolari di fine ottocento e anche più antiche che hanno resistito
fino ai giorni nostri. Massimo ha fatto il primo disco sulla guerra
nel 2004, "Quel lungo treno", il secondo nel 2013, "Il
testamento del capitano" e l' anno prossimo dovrebbe uscire il
terzo; una trilogia con brani degli alpini e canti popolari
riarrangiati in chiave folk e rock; tratti da una letteratura
popolare e contadina, questi brani vanno a comporre parte della
musica detta "poplare", che è quel tracciato dal quale
nessun musicista dovrebbe mai discostarsi troppo secondo me.
Purtroppo in Italia non abbiamo questa cultura che ad esempio è
molto radicata in Irlanda, dove i nonni suonano con i nipoti e tutti
conoscono un repertorio di duecento, trecento canzoni folk... e lo
stesso vale anche per gli americani e sicuramente per molti atri
popoli.
Un incontro
raro e fortunato è stato poi quello con i Matmata; mentre con
Bubola, con Massimo Ranieri, con Giorgio Cordini e altri ero maturato
come musicista o come turnista, imparando a fare questo mestiere, con
i Matmata c’è stato un’incontro tra musicisti maturi e già più
consapevoli, grazie ai quali ho scoperto il valore della "Band",
trovarsi tutti i giorni, suonare insieme più volte alla settimana
per il piacere di suonare e per la volontà di creare un groove
comune, un sound, un feeling, lavorando sui pezzi che Gianmario
continua a creare ancora oggi con grande abilità. Infine nei Matmata
ho trovato una famiglia; non è un lavoro da "turnista", è
un lavoro con la tua band, coi tuoi amici, coi quali si condividono
tantissimi momenti di vita, al di la' della musica…. è stato
davvero magico incontrarli."
Per
me che ho assistito più volte a tuoi live, con i Matmata e come
OneManBand, sapendo quante emozioni, diversificate, trasmetti, mi
viene istintivo chiederti: in quei momenti, sul palco, cosa provi,
cosa pensi, cosa senti tu, cosa ti passa per la testa?
"Quando
suoni.... non pensi a niente, suoni e basta; la musica ce l'hai nel
cervello e nel cuore, è li che ti gira attorno, come fanno gli
avvoltoi, come una giostra con tante lucine e tu sai già quali vanno
accese e quali spente, senza pensarci.... suonare mi fa stare mezzo
metro sopra terra, è una droga, la droga più bella e sana che
esista e il concerto, il live, è il vero motivo per cui ho imparato
a suonare e per cui, grazie al Cielo, continuo a suonare."
Hai
fondato nel 2013 l'Accademia di Musica Hendrix (cliccate, cliccate ragazzi). Com'è nato
questo progetto e come lo senti? Qual è il contesto?
"L'Accademia...
mmmm…... Non credo moltissimo nelle scuole di musica, credo che
all'uomo siano più utili i corsi di cucito o di giardinaggio. Le
scuole di musica quando io avevo quindici anni non esistevano, o
quasi; c'era qualche insegnante che dava lezioni private e se volevi
suonare dovevi essere davvero portato, perché dovevi imparare
ascoltando i dischi in vinile o la radio, quindi dovevi avere
orecchio ed essere molto svelto nel capire le note da riportare sullo
strumento. Oggi invece, forse anche a causa dei "talent",
molta più gente vuole fare musica, ma siccome da sola non ci riesce,
nemmeno con i video di youtube, si rifugia nelle accademie di musica.
L’accademia comunque l’ho aperta per portare un po' di fermento
sul territorio dove sono nato e dove ho sempre vissuto, sperando di
imbattermi in qualche talentuoso futuro musicista."
Ora
ti faccio una delle mie domande strane. Altre volte ho fatto questa
domanda perché è per me parte dell' "andare oltre" e
potrebbe sembrare una domanda semplice, ma non lo è affatto. Di
che colore è secondo te la tua musica? E la tua
anima? Combaciano?
"Mi
piace suonare con le luci blu... e poi il blu è indubbiamente
blues..."
Hai
un pezzo che su tutti, per te, è il migliore?
"Beh,
un brano è troppo poco, ne amo troppi, ma tra i miei artisti
preferiti spiccano Bob Dylan e i Rolling Stones. Il resto è tutto
sotto."
La
tua parola preferita... (Enrico qui è favolosamente indeciso, ma poi
la prima parola che gli viene in mente è...)
"Grembo."
Ecco
qui, Enrico Mantovani. Penso non ci sia altro da aggiungere se non
che, come ho detto anche a lui, una delle cose che lo rende più
speciale è che non si rende conto davvero di quanto è raro.
Grazie infinite Enrico.
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