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martedì 1 dicembre 2015

Enrico Mantovani: la musica che si vede


Ernico Mantovani. Venerdì 26 Settembre ho assistito, non per la prima volta, ad uno dei suoi magnifici, emozionanti e sempre unici concerti (a "La Taverna delle Fate Ignoranti" di Quinzano d'Oglio (Bs), un luogo delizioso). Enrico Mantovani è un "OneManBand", perché definirlo "solo" un chitarrista di talento è poco; non a caso "OneManBand" è il suo biglietto da visita e quando lo senti suonare, quando lo vedi suonare e le emozioni si trasformano in musica, percepisci che le melodie, le armonie, il ritmo, diventano colori, temperatura, immagine, suono percepibile al tatto ed allora comprendi perché Enrico Mantovani non è "solo" un chitarrista di talento e a quel punto non è più necessario spiegare perché il suo biglietto da visita è "OneManBand"; però ve lo spiego, perché molti di voi magari non l'avranno ancora mai sentito nonostante giri in lungo e in largo l'Italia (come invece alcuni già adoreranno il suo sound). Al di la' di questo, mi capita spesso di partire dalle emozioni quando parlo di un talento, perché la differenza tra un "bravo musicista" e un "musicista di talento" sta nell'anima, nella grinta, in quel che arriva alle persone. È così per tutte le discipline artistiche, naturalmente a parer mio. Enrico Mantovani è un artista bresciano, polistrumentista, ma la chitarra è nel suo nome. Vive a Orzinuovi ed ha collaborato con grandi artisti quali il cantautore Massimo Bubola, Giorgio Cordini i più noti (al grande pubblico si intende) Massimo Ranieri, Francesco Renga, Eugenio Finardi... ed ha suonato anche con Alex Britti (spero vi sia capitato di sentire una volta almeno il Britti blues), Gianna Nannini, Fausto Leali e molti altri. Le ho scritte, le collaborazioni, perché è giusto, per far capire a chi non dovesse conoscerlo che di cose ne ha fatte e pure tante (e non solo queste, poi ci arriviamo), ma il mio intento non è parlare dei nomi con cui Enrico Mantovani ha collaborato; il mio intento è parlare di Enrico Mantovani, un musicista come pochi, della musica che si vede, dunque, delle infinite sfumature dell'arte.

Enrico Mantovani chi è? E poi... è abbastanza classico chiederlo, ma è sempre interessante per capire di più: come hai iniziato a suonare, quando, cosa ti ha spinto a imbracciare la chitarra?

"Direi che la mia fortuna è stata di iniziare molto giovane, con mio padre quando avevo sedici, quindici anni e già suonavo il blues e i pezzi degli Stones insieme al mio amico Riccardo Maffoni... ho iniziato con mio padre, dicevo, scriveva canzoni e racconti brevi ed era il mio consigliere su libri e dischi che mi hanno poi accompagnato fino ad oggi; mi sono subito reso conto, sin da adolescente, che non era solo una questione di “musica“, ma anche di parole, di pensieri e di poesia. La chitarra ok, saper suonare ok... mi veniva facile e spontaneo... ma sentivo che la magia vera erano le storie che le canzoni mi raccontavano... Così, assieme a mio padre, iniziai a suonare la chitarra nei suoi spettacoli sulla seconda guerra mondiale, sui partigiani, sulle storie dei partigiani nella nostra pianura e l'ultimo spettacolo si intitolava proprio "Novecento" e... sia i libri che le sue canzoni parlavano sempre di queste vicende e di storie che abbiamo dietro l'angolo, che risalgono a cinquanta, sessant'anni fa, non è un tempo poi così lontano. Del resto un piede nel novecento ce l’ho avuto anche io: da piccolo si passavano giornate intere in cascina, a giocare sui fienili, a contatto con gli animali, ci tuffavamo nei fossi e di sera, dopo cena, spesso mio padre imbracciava la chitarra e cantava canzoni di Nanni Svampa e di altri cantastorie. Più che la musica in se, sono le canzoni che mi hanno affascinato sin da piccolo."

Hai tanti progetti in corso: i meravigliosi Matmata, i concerti "OneManBand", la collaborazione costante con il grande Bubola ed altre collaborazioni. Raccontami un po' cosa stai combinando.

"Beh… con Massimo Bubola ho avuto la fortuna di partecipare ad un percorso sulla Prima Guerra mondiale, sulla Grande Guerra, che mi ha dato modo di rivedere la storia dell' Italia e degli italiani negli ultimi duecento anni; un lavoro a ritroso nel tempo, con brani e melodie popolari di fine ottocento e anche più antiche che hanno resistito fino ai giorni nostri. Massimo ha fatto il primo disco sulla guerra nel 2004, "Quel lungo treno", il secondo nel 2013, "Il testamento del capitano" e l' anno prossimo dovrebbe uscire il terzo; una trilogia con brani degli alpini e canti popolari riarrangiati in chiave folk e rock; tratti da una letteratura popolare e contadina, questi brani vanno a comporre parte della musica detta "poplare", che è quel tracciato dal quale nessun musicista dovrebbe mai discostarsi troppo secondo me. Purtroppo in Italia non abbiamo questa cultura che ad esempio è molto radicata in Irlanda, dove i nonni suonano con i nipoti e tutti conoscono un repertorio di duecento, trecento canzoni folk... e lo stesso vale anche per gli americani e sicuramente per molti atri popoli.

Un incontro raro e fortunato è stato poi quello con i Matmata; mentre con Bubola, con Massimo Ranieri, con Giorgio Cordini e altri ero maturato come musicista o come turnista, imparando a fare questo mestiere, con i Matmata c’è stato un’incontro tra musicisti maturi e già più consapevoli, grazie ai quali ho scoperto il valore della "Band", trovarsi tutti i giorni, suonare insieme più volte alla settimana per il piacere di suonare e per la volontà di creare un groove comune, un sound, un feeling, lavorando sui pezzi che Gianmario continua a creare ancora oggi con grande abilità. Infine nei Matmata ho trovato una famiglia; non è un lavoro da "turnista", è un lavoro con la tua band, coi tuoi amici, coi quali si condividono tantissimi momenti di vita, al di la' della musica…. è stato davvero magico incontrarli."

Per me che ho assistito più volte a tuoi live, con i Matmata e come OneManBand, sapendo quante emozioni, diversificate, trasmetti, mi viene istintivo chiederti: in quei momenti, sul palco, cosa provi, cosa pensi, cosa senti tu, cosa ti passa per la testa?

"Quando suoni.... non pensi a niente, suoni e basta; la musica ce l'hai nel cervello e nel cuore, è li che ti gira attorno, come fanno gli avvoltoi, come una giostra con tante lucine e tu sai già quali vanno accese e quali spente, senza pensarci.... suonare mi fa stare mezzo metro sopra terra, è una droga, la droga più bella e sana che esista e il concerto, il live, è il vero motivo per cui ho imparato a suonare e per cui, grazie al Cielo, continuo a suonare."

Hai fondato nel 2013 l'Accademia di Musica Hendrix (cliccate, cliccate ragazzi). Com'è nato questo progetto e come lo senti? Qual è il contesto?

"L'Accademia... mmmm…... Non credo moltissimo nelle scuole di musica, credo che all'uomo siano più utili i corsi di cucito o di giardinaggio. Le scuole di musica quando io avevo quindici anni non esistevano, o quasi; c'era qualche insegnante che dava lezioni private e se volevi suonare dovevi essere davvero portato, perché dovevi imparare ascoltando i dischi in vinile o la radio, quindi dovevi avere orecchio ed essere molto svelto nel capire le note da riportare sullo strumento. Oggi invece, forse anche a causa dei "talent", molta più gente vuole fare musica, ma siccome da sola non ci riesce, nemmeno con i video di youtube, si rifugia nelle accademie di musica. L’accademia comunque l’ho aperta per portare un po' di fermento sul territorio dove sono nato e dove ho sempre vissuto, sperando di imbattermi in qualche talentuoso futuro musicista."

Ora ti faccio una delle mie domande strane. Altre volte ho fatto questa domanda perché è per me parte dell' "andare oltre" e potrebbe sembrare una domanda semplice, ma non lo è affatto. Di che colore è secondo te la tua musica? E la tua anima? Combaciano?

"Mi piace suonare con le luci blu... e poi il blu è indubbiamente blues..."

Hai un pezzo che su tutti, per te, è il migliore?

"Beh, un brano è troppo poco, ne amo troppi, ma tra i miei artisti preferiti spiccano Bob Dylan e i Rolling Stones. Il resto è tutto sotto."

La tua parola preferita... (Enrico qui è favolosamente indeciso, ma poi la prima parola che gli viene in mente è...)

"Grembo."

Ecco qui, Enrico Mantovani. Penso non ci sia altro da aggiungere se non che, come ho detto anche a lui, una delle cose che lo rende più speciale è che non si rende conto davvero di quanto è raro.

Grazie infinite Enrico.

Link:

sabato 7 febbraio 2015

La meravigliosa storia di ... "Riturnella"



"Riturnella". Alcuni traducono questo termine calabrese accostandolo come sinonimo a "rìnnina" e traducendole con "rondine" o "rondinella". Facendo ricerche però, si scopre che colui che ha riportato alla luce questo brano popopolare calabrese, negli anni '70, vale a dire il prof. Antonello Ricci, ritiene che il termine "Riturnella" sia intraducibile in quanto "inserto nonsense". "Rìnnina" però, significa comunque "rondine"  e nel testo è il termine "rìnnina" a farla da padrone. Ci sono molte traduzioni e versioni di questa lirica, anche se si ritiene che la più fedele sia quella appresa dal professor Ricci da Mariangela Pirito, una "ancient" signora. Non è un caso che io riporti il termine in inglese, in italiano sarebbe più sensato dire "vecchietta" o "vecchia signora" perché dietro a questo termine, come in inglese o in francese, c'è "la storia"; si dice "i nostri vecchi del paese" quando si parla di storie, di ricordi... "se vuoi saperlo, devi chiederlo ai vecchietti in paese!", "i nostri vecchi, loro si che sanno". Invece è luogo comune pensare che il termine "vecchio" sia un'offesa. In realtà non lo è, non che io sappia. L'etimologia del termine "vecchio" è una rivelazione in se. "Vecchio" o "Veglio" significa non solo "che ha molti anni". Qualche ricerca su internet rivela: "Dicesi degli esseri organizzati, che dal nascere al morire corrono più stadi o gradi di vita". Dunque la storia, l'esperienza, i ricordi, le cose che "solo se sei vecchio puoi sapere" e "solo se te le tramanda un vecchio" sopravvivono. Il termine "anziano" invece è certo indicazione di una persona con maggiore esperienza, maggior dignità e autorità rispetto ad altre, sempre pensando all'etimologia della parola, ma la radice "ante" ovvero "avanti" unito a "anus", in latino "vecchio", mi pare si concentri più sull'avanzare del vecchio, più che sulla sua storia, dell'avanzare del passo lento o del suo avanzare e basta. Tutto opinabile, anche perché non sono etimologa, non ho studiato latino e questa mia sensazione viene dall'insegnamento di qualcuno che me lo fece notare. Resta il fatto che il termine "vecchio", al di la' degli insegnamenti ricevuti, mi sembra avere più sapore e colore. Perché allora non ho subito usato il termine "vecchia", "vecchietta" ed ho introdotto il termine in inglese?  perché "ancient" in inglese non è solo indicativo di una persona avanti negli anni, vecchia, anziana o quello che preferite; il termine "ancient" si usa anche quando si parla di rarità storiche, di cose preziose, di storie narrate, della storia di un individuo così come della storia in se. Tutto questo discorso, partito dalle mie dita senza alcun filtro, ha allungato di molto quel che doveva essere inizialmente la mia idea di introduzione a "Riturnella". Il fatto è che tutto ha un senso e se le mie dita sono partite "senza filtro" c'è un motivo. "Riturnella", torniamo a lei, anche se ancora di lei stavamo parlando in realtà. Lei. L'ho chiamata "Lei". Mi accorgo pochi secondi dopo averlo scritto, di aver scritto quello che ho scritto (scusate il gioco di parole, ma notare i dettagli è istintivo per me). "Riturnella" è un canto popolare calabrese e risale al periodo del primo dopoguerra, dunque agli inizi del '900, in cui milioni di italiani andavano in cerca di lavoro, perlopiù in america, per avere qualche speranza in più, perché in Italia tutto era stato distrutto, mentre in america c'era molta richiesta di manodopera... "Riturnella" è la storia dell'inimicizia tra "lavoro" ed "amore" diffusa in quei tempi, poiché il lavoro portava lontano dagli affetti... dai genitori, dai figli, dal proprio compagno o compagna di vita. E' una storia d'amore, è la storia di una donna e del suo amore lontanto, è la storia della sua premura, della "rìnnina", simbolo di tristezza e speranza insieme. Il tutto, in parole e musica. Vi propongo sotto il testo in dialetto per intero e una traduzione (volutamente un po' scremata delle ripetizioni tipiche del dialetto e non suddivisa nella forma originale, un po' parafrasata in sostanza, ma solo per mettere ulteriormente l'accento sulla storia). Ovviamente... ve ne consiglio vivamente l'ascolto. E' stato Eugenio Bennato a renderla nota ai più, con il suo "Musicanova" pubblicato nel 1978 ed è sua la versione che troverete nel video, con un testo leggermente differente da quello considerato come originale, per la diversa scelta di alcuni termini dialettali. Volendo, se vi interessa approfondire la lirica in se, la composizione del testo, potrete trovare informazioni interessanti facendo altre ricerche. Questo mio articoletto però, vorrebbe concentrarsi di più su tutto ciò che questo brano può significare, su tutta la storia che c'è dietro e su cosa possa significare anche per noi oggi.

La traduzione:

Tu, rondine che vai
Per mari e mari
Oh rondinella
Tu, rondine che vai
per mari e mari...
Ferma, quando ti dico
due parole, o rondinella,
ferma, quando ti dico due parole.
Corri a gettare il sospiro a mare
e guarda se mi risponde.
Guarda se mi risponde il bene mio...
Non mi risponde, no,
è troppo lontano,
oh rondinella, non mi risponde...
è troppo lontano.
E' sotto una frescura
che sta dormendo, o rondinella,
poi si risveglia con
il pianto agli occhi...
Si asciuga gli occhi
e gli passa il pianto, o rondinella.
Si asciuga gli occhi... e gli passa il pianto.
Prendigli il fazzoletto,
vado a lavarlo, o rondinella,
poi lo stendo a una pianta di rosa
e poi lo mando a Na,
lo mando a Napoli a stirare, o rondinella.
Poi te lo piego alla napoletana,
te lo piego alla napoletana, o rondinella.
E poi te lo mando col vento a portare
o rondinella, te lo mando a portare col vento.
Vai vento e portaglielo...
Vai vento e portalo al mio bene.
Attenta che non ti cada,
attenta che non ti cada
sopra il mare o rondinella,
che perdi i sigilli di questo cuore,
o rondinella...
che perdi i sigilli... di questo cuore.


Il testo originale:

Tu rìnnina chi vai
Tu rìnnina chi vai
Lu maru maru
Oi riturnella
Tu rìnnina chi vai lu maru maru

Ferma quannu ti dicu
Ferma quannu ti dicu
Dui paroli
Oi riturnella
Ferma quannu ti dicu dui paroli

Corri a jettari lu
Corri a jettari lu
Suspiru a mari
Oi riturnella
Corri a jettari lu suspiru a mari

Pe’ vìdiri se mi rišpunna
Pe’ vìdiri se mi rišpunna
Lu mio beni
Oi riturnella
Pe’ vìdiri se mi rišpunna lu mio beni

Non mi rišpunna, annò
Non mi rišpunna, annò
È troppu luntanu,
Oi riturnella
Non mi rišpunna, annò, è troppu luntanu

È sutt’ a na frišcura
È sutt’a na frišcura
Chi sta durmennu
Oi riturnella
È sutt’a na frišcura chi sta durmennu

Poi si rivigghja cu
Poi si rivigghja cu
lu chjantu all’occhi
Oi riturnella
Poi si rivigghja cu lu chjantu all’occhi

Si stuja l’occhi e li
Si stuja l’occhi e li
Passa lu chjantu
Oi riturnella
Si stuja l’occhi e li passa lu chjantu

Piglia lu muccaturu
Piglia lu muccaturu
Lu vaju a llavu
Oi riturnella
Piglia lu muccaturu, lu vaju a llavu

Poi ti lu špannu a nu
Poi ti lu špannu a nu
Peru de rosa
Oi riturnella
Poi ti lu špannu a nu peru de rosa

Poi ti lu mannu a Na
Poi ti lu mannu a Na
puli a stirare
Oi riturnella
Poi ti lu mannu a Napuli a stirare

Poi ti lu cogliu a la
Poi ti lu cogliu a la
Napulitana
Oi riturnella
Poi ti lu cogliu a la napulitana

Poi ti lu mannu cu
Poi ti lu mannu cu
Ventu a purtari
Oi riturnella
Poi ti lu mannu cu ventu a purtari

Ventu và portacellu
Ventu và portacellu
A lu mio beni
Oi riturnella
Ventu và portacellu a lu mio beni

Mera pe’ nun ti cara
Mera pe’ nun ti cara
Pe’ supra mari
Oi riturnella
Mera che nun ti cara pe’ supra mari

Ca perda li sigilli
Ca perda li sigilli
De chistu cori
Oi riturnella
Ca perda li sigilli de chistu cori.


 La versione di Eugenio Bennato (1978):