Massimo Lanatà |
Ah, però, fin da bambino dunque. C'è un rapace al quale ci si può affezionare di più, con il quale è più facile stringere un legame? E se si, ci si può affezionare a un animale di questo tipo come ci si affezionerebbe a un cane, a un gatto, a un animale domestico? "Certo, ci si può affezionare in egual modo, dipende tutto dal tempo che dedichi a un animale, non c'è un animale a cui puoi affezionarti più che a un altro, parlando di specie, secondo me."
Ne
hai uno tuo "personale", diciamo così? "Gli
animali sono tutti di mia proprietà ed ognuno ha una caratteristica
diversa che fa si che, di conseguenza, io possa affezionarmi ad ogni
soggetto per un comportamento che ha rispetto ad altri ai quali mi
affeziono in un altro modo. Può essere per il modo in cui l'animale
si approccia all'uomo, come può essere un aspetto totalemente
diverso. Ad esempio, l'aquila gratifica il sacrificio che fai
salendo a mille metri d'altezza, mentre il falco mi accetta in un
modo tale, così vicino, da potermi avvicinare al nido mentre sta
badando alla sua prole. Dunque... non c'è un modo di affezionarsi di
più o di meno, ma emozioni diverse, che non hanno più valore l'una
rispetto all'altra, perché sono profonde tutte e due."
Dunque
il falco si lega più facilmente all'uomo? "Non solo il
falco, diciamo che gli animali che più si legano sono quelli più
intelligenti e... i più intelligenti ad esempio sono gli avvoltoi. È ovvio che nell'immaginario collettivo l'avvoltoio è "quello
che mangia le carogne" ed è visto un po' come un topo, come un
rettile, per dire. Invece sono animali pulitissimi e particolarmente
intelligenti, che si legano all'uomo e possono trasmettere affetto in
quantità inimmaginabili."
Tra
l'altro la specie di avvoltoi che avete al parco non è "il
classico avvoltoio" che siamo abituati a vedere, quello un po'
più "brutto" per l'immaginario collettivo diciamo.
"Beh si... poi il brutto e il bello sono soggettivi, perché di
solito c'è l'abitudine, purtroppo, di collegare la bellezza o la
bruttezza di un animale a quello che rappresenta, non all'animale in
se. Se si pensa all'avvoltoio lo si percepisce in un certo modo, come
brutto, per quello di cui si nutre, non per quel che è realmente. Se
poi invece ti avvicini a un avvoltoio e lo guardi, senza pensare a
quel che mangia, in realtà ti accorgi che è un animale dalle
fattezze bellissime, indescrivibili."
Di
che specie sono gli avvoltoi che avete voi? "Noi abbiamo
avvoltoi grifoni, fulvo e rupellis, avvoltoi capovaccai pileati,
avvoltoi delle palme, avvoltoi Urubu' e avvoltoi Collorosso."
Presumo
che tu sia un amante della natura in generale, è così? "Si,
non credo ci sia una grande differenza tra un falconiere o chi lavora
con i delfini piuttosto che con i felini o gli orsi. Il problema è
solo uno: nel momento in cui ci si avvicina con titolarità
d'ignoranza si commettono degli errori, non si ha quel sapere
finalizzato a poter interagire con l'animale nel modo corretto; nel
caso in cui si conosca invece il linguaggio della specie dell'animale
con cui si sta trattando, si riesce ad interagire con lo stesso
perché si conosce la sua vera natura e dunque si raggiungono grandi
livelli. Livelli per i quali spesso si dice "ci siamo
affezionati di più". In realtà non è così, la realtà è che
siamo riusciti a dialogare di più con l'animale. Il dialogo non
necessariamente deve essere verbale, anzi il dialogo principale è
il dialogo non verbale, del corpo. Se l'animale interagisce con
l'uomo significa che ha trovato il modo per farlo; noi abbiamo un
feedback e l'animale risponde."
Coco e Mango - Avvoltoi delle Palme |
Il
linguaggio vocale, anche in lingue diverse, spiega Massimo a una mia
richiesta di chiarimento, non fa la differenza. Non sono le parole,
ma la voce del falconiere, a fare la differenza. Durante lo
spettacolo, in quarant'anni di questo mestiere, Massimo ha raccolto
ed assimilato frasi e linguaggi in diverse lingue, dunque capita che
durante lo spettacolo possa dire "Vieni qui" in italiano,
piuttosto che in inglese o in ungherese, ma non è la parola in
lingue differenti che dà il via all'animale, bensì l'insieme di
gesti e movimenti del corpo (ndr).
Dopo
tutti questi anni senti ancora quella fascinazione, quella sensazione
di forza, perfezione, che posso aver provato io nell'assistere allo
spettacolo? "Il fascino viene dalla conoscenza... durante lo
spettacolo è tutto diverso. Il pubblico nella maggior parte dei casi
non ha conoscenza rispetto a questi animali, dunque è più facile
che provi una grande emozione. Per uno spettatore non fa differenza
vedere un'aquila volare a mille metri d'altezza o vederla volare a
dieci centimetri dalla propria testa, sarà sempre comunque una
grande emozione perché se una persona non ha mai visto un'aquila ne
rimane comunque affascinato, anche se in realtà c'è un'enorme
differenza tra farla volare basso e farla volare a mille metri
d'altezza. Per far volare un'aquila a mille metri ci vuole una
conoscenza tecnica impressionante, per farla volare basso... diciamo
che è "una banalità" per un falconiere, ma per te che non
hai mai visto volare un'aquila sarà lo stesso. Così sarà se
faccio volare un gufo reale, non l'hai mai visto e ti affascinerà,
senza però sapere che far volare un'aquila è molto più rischioso,
ci vuole molta più preparazione e più tecnica. Ci sono dunque
diversi tipi di fascinazione: se io parlo ad esempio con un
ornitologo, prima che io dica qualcosa, lui saprà già di che cosa
sto parlando, perché è scienza. Durante uno spettacolo io mostro
quel che un animale può fare in quel contesto, ma è una cosa
diversa. La sensazione che una persona prova è legata a quel che sa
di quell'animale. Personalmente, ne sono sempre più affascinato"
Dipende
dalle persone in sostanza... io sono uscita da lì con la voglia,
avendone la possibilità, di provare a fare falconeria, poi c'è
qualcuno che magari resta affascinato, però la cosa si ferma lì.
"Si, è soggettivo, dipende dalle propensioni personali. Io
ad esempio, mentre parlo con te, ho un ragazzino di undici anni
attorno, che viene da Belluno, che è... diverso per così dire, ma è
diverso perché non gli interessano le cose che generalmente
interessano a un bambino di quest'età. Lui non ama i cellulari, non
ce l'ha nemmeno il cellulare e per farsi una foto chiama il padre;
non ama giocare con il computer o su Internet, non gli interessa e
non sa nemmeno come accenderlo un computer, però magari sa che il
canarino che ne so, ti dico una stupidaggine, beve acqua minerale
anziché naturale, per dirti. Questo perché vive gli animali, vive
la natura ed ha attenzione verso alcune sfumature esistenziali che
altri bambini non hanno. Secondo me è ovvio che se cresce in questo
modo cresce bene, mentre se cresce come la maggior parte dei bambini,
beh, cresce incompleto. Mi spiego: tolto da un computer, senza uno
schermo, che è un qualcosa che fossilizza, lui vive la realtà e
viene stimolato ad usare la testa. Prendi un qualsiasi essere umano,
toglilo dalla scrivania e prova a metterlo in campagna, ma per
campagnia intendo, che so, ad aiutarti a disintasare una fogna,
oppure a dirgli "dammi una mano che dobbiamo tagliare la siepe"
o un semplice "guardiamo dove si è fermata la monetina nella
lavatrice". C'è il modo di dire, "Il bisogno aguzza
l'ingegno", ma se tu prendi uno che è sempre stato attaccato a
un computer, aspetta e spera che aguzzi l'ingegno! C'è la lavatrice
intasata dalla monetina? Bene, chiamiamo l'idraulico! Nemmeno ci
pensa alla soluzione, ad ingegnarsi per risolvere un problema. Un
bimbo che vive la natura si abitua spontaneamente a porsi la domanda
e a cercare la risposta, la soluzione, cresce con la voglia di
risolvere il problema e non si ferma di fronte a una mancanza di
conoscenza. Un po' come in matematica: colui che impara a memoria la
formula è un cretino immatricolato, perché se dimentica la formula
non va da nessuna parte; colui che invece sa sviluppare la formula,
andrà sempre a crescere, perché se anche dimentica un pezzo di
formula saprà arrivarci in un altro modo o la saprà ricostruire
unsando la testa."
È un po' come quando io dico che non è detto che un laureato sia
intelligente... "Esatto. Un laureato può essere intelligente
come non esserlo. Essere colti è una cosa, essere intelligenti è
tutt'altra cosa. L'intelligenza è elaborazione: con i mezzi che ho,
trovo una via e risolvo il problema che mi si pone. C'è chi ha,
tornando all'esempio dell' idraulico, un martello, dieci cacciaviti e
chi più ne ha più ne metta e non riesce nemmeno a svitare una vite
per smontare il lavandino; c'è chi ha pochi strumenti, ma con quelli
arriva comunque a sviluppare la soluzione e continua crescere."
Ti
ho sentito parlare di diverse fasi, dall'ammansimento
all'addestramento... "Certo, facendo l'esempio di un
bambino... tu non puoi dirgli solo che due più due fa quattro, devi
cercare il dialogo con lui prima di poterglielo insegnare."
Si
appunto... e come funziona? Sono cuccioli? "Non
necessariamente, sono diverse fasi o meglio è la stessa fase, ma si
affronta in modi diversi. Se tu hai un bimbo che viene dall'Africa e
uno che viene dalla Calabria, non puoi parlare a tutti e due in
francese. Devi trovare il linguaggio per comunicare, ma prima ancora
di far questo devi fare in modo che quel bimbo sia disposto a sedersi
accanto a te e ad ascoltarti."
E
come si fa con un falco, un'aquila...? "Prima lo devi
calmare. Se una persona o un'animale, hanno paura di te, a
prescindere dal linguaggio che usi non ti ascolteranno mai. Devi fare
in modo che sia "disposto a sedersi al tuo fianco",
dopodiché sta a te. Il linguaggio che metterai in campo viene in un
secondo momento. Prima non deve aver paura, deve sapere che non
rappresenti un pericolo, poi sta a te fargli capire che si può
fidare. Non avere paura non comprende il fidarsi di qualcuno, mentre
il fidarsi implica in se che non hai paura. La prima fase è dunque
far si che l'animale non ti tema, poi che si fidi, poi che trovi in
te la fonte per qualcosa. Cibo? Gioco? Quante volte noi insegnamo
qualcosa a un cane attraverso il gioco o attraverso un premio? Quello
è il primo passo del linguaggio; il linguaggio del gioco per
raggiungere un obbiettivo. La mamma, attraverso un dialogo amichevole
fa si che il figlio comprenda una certa cosa, per fare un esempio. Se
il babbo è impaziente e gli dice: "O fai così o ti spezzo le
ossa" è ovvio che l'approccio cambia, non c'è un dialogo, c'è
timore. E visto che i rapaci sono animali selvatici, con una loro
specifica natura, è normale che sia necesario trovare un dialogo
preciso. Un colombo, una cornacchia, sono più propensi ad
avvicinarsi all'uomo perché sanno che dall'uomo possono avere cibo.
I falchi, nel medioevo, ai tempi di Federico II, quando venivano
catturati, non amavano particolarmente l'uomo. Il rapace sa che
l'uomo, in quanto predatore, non è una risorsa, bensì un pericolo.
Nel Medioevo, quando venivano catturati dalla natura per essere
addestrati, non come ora dunque, che sono animali nati già in un
contesto non selvatico, il falco, l'aquila, tentavano di scappare e
dunque il primo passo di quegli antichi falconieri era evitare che
l'animale vedesse l'uomo, il falconiere. Al tempo purtroppo lo
facevano attraverso la cigliatura, gli chiudevano gli occhi e
continuando a passarsi l'animale, da braccio a braccio, l'animale
trovava un suo equilibrio psicofisico, per cui si abituava alle voci.
Dopo questa fase, gli venivano aperti gli occhi e veniva messo in una
stanza senza troppa luce nella quale pian piano potesse cominciare a
vedere il volto del falconiere e ad abbituarsi e via via così. Ora
per fortuna non siamo più nel medioevo e per ammansire un falco si
usa lo strumento del cappuccio, che lo aiuta a stare tranquillo, a
sentirsi al sicuro. Rispetto poi a quei tempi è tutto diverso: devi
pensare che per fare questo tipo di cosa, per abituare l'animale alla
voce, al rumore, ad accettare tutto questo e ad accettare
involontariamente di stare sul braccio, c'erano cinque o sei
falconieri. Ora io, singolo falconiere, non potrei mai fare una cosa
simile giusto? Perché posso anche stare con il falco sedici ore, ma
poi dovrò pur dormire, mangiare e nel frattempo il falco si
destabilizzerebbe e quando poi dovessi ricominciare dovrei ripartire
da zero. Così mi sono inventato un modo per risolvere il problema.
Se io tolgo il falco dal pugno quando ha trovato un equilibrio, il
falco perde l'equilibrio e non si può addormentare tranquillo,
dunque io lo metto su un altalena e lui si sente tranquillo. In
secondo luogo c'è l'elemento della voce, del parlare, del suonare
uno strumento e dunque io accendo la tv e lì scorre tutto ciò che
serve. Musica, parole... e il falco mantiene l'equilibrio e non
perde il contatto con il rumore delle parole o della musica o quel
che è."
Che
differenza c'è tra falco e falcone? "Il falcone è quello
che un tempo poteva essere solo dei nobili, degli imperatori ed era
il "falco col dente". Il dente è sulla parte ricuva del
becco e tutti i falchi con questo dente, al tempo, venivano
considerati falchi nobili perché di fatto, la maggior parte dei
falchi detti "per la falconeria" avevano questo dente. Poi
all'interno dei così detti "falconi" ci sono le diverse
specie, può essere il Pellegrino, il Sacro, il Falco e così via. E
poi c'era lo Smeriglio, che era considerato il falco delle donne
perché era più piccolo, ma soprattutto perché era delicato e molto
ambito per le sue capacità venatorie. C'erano poi altri tipi di
falchi considerati nobili per la presenza di questo dente, ma che dal
punto di vista venatorio erano meno ambiti perché magari si
nutrivano di piccoli uccelli, lucertole e così via. In sostanza
dunque il termine non è legato alla grandezza, ma alla rilevanza che
questi falchi avevano nella falconeria antica. Ci sono poi rapaci
detti "ignobili", ma non nel senso in cui lo si intende
ora. Erano grandi cacciatori, come lo Sparviero ad esempio, citato
anche da Dante ne "La Divina Commedia", ma solo falconieri
esperti potevano possederne uno, poiché è un animale piccolo,
delicato e se non sei un esperto falconiere è facile farlo morire,
perciò non era adatto ai nobili."
Dicevi
che la maggior parte degli animali che avete al parco sono specie
protette? Mi spieghi un po' di questo? "Tutti
i rapaci sono specie protette, ma si distinguono in due categorie:
"specie protetta" e "specie particolarmente protetta".
"Specie protetta" significa che in natura non ce ne sono
tanti, ma non rischiano l'estinzione, però essendocene pochi
esemplari, per evitare che questo accada, gli Stati che hanno firmato
le convenzioni riguardanti questi argomenti, hanno stilato un elenco
di animali, introducendo quelli che devono essere protetti perché
numericamente pochi. Gli animali invece in via d'estinzione sono
chiamati "particolarmente protetti", perché in natura ce
ne sono pochissimi esemplari. La differenza sostanziale è che gli
animali protetti possono essere prelevati dalla natura, con
autorizzazione speciale. Ad esempio: parliamo di Avvoltoio Grifone
Rupellis. È un avvoltoio che vive in Africa e appartiene alle specie
protette, ma non rischia l'estinzione. Se un anno la riproduzione di
questi esemplari va particolarmente bene e ci sono mille esemplari,
per fare un esempio, in più rispetto a quel che il territorio stesso
può ospitare e rispetto anche alla quantità necessaria perché
questi animali non rischino l'estinzione, lo Stato, dopo aver fatto
studi e censimenti, può prelevarli dalla natura. Seguendo le
normative per il benessere animale, contrassegnandoli e rispettando
tutti i paramentri, li può catturare e commercializzare. Per gli
animali "particolarmente protetti" invece non si può
assolutamente fare e il prelievo dalla natura può essere fatto solo
ed esclusivamente per motivi scientifici. Fondamentalmente accade
questo: sono rimasti quattro esemplari in natura e rischiano
l'estinzione? Ok, si prelevano tutti e quattro, si fanno riprodurre
in cattività con le moderne tecniche ora a disposizione e si
eliminano i fattori che hanno portato l'animale all'estinzione.
Dopodiché, i piccoli che nasceranno verranno messi in natura per
ripopolare la propria specie e saranno così anche più forti. Questi
esemplari unici, i pochi rimasti, vengono affidati a strutture
riconosciute, in modo da essere sempre protetti."
Il
calcolo della velocità: "Il calcolo della velocità
generalmente viene preso in considerazione come avviene per i caccia
militari, dunque in picchiata. Nel caso dei rapaci però, la velocità
importante non è solo quella in picchiata, ma anche quella che
riguarda la destrezza del volo in linea retta. Per fare un esempio,
lo Sparviero è un animale che in volo ha l'abilità di fare
acrobazie pazzesche e solo vedere un filmato rallentato può far
comprendere quanto sia splendido e dargli giustizia. Per quanto
riguarda il Falcone Pellegrino, la velocità è stata misurata ma,
attenzione, con falchi addestrati. Un falco addestrato, nato in
cattività, per quanto sia veloce, non avrà nemmeno un quarto del
potenziale di velocità, forza e agilità che ha lo stesso animale in
natura. Questo perché l'animale nato e cresciuto con l'uomo è
condizionato ed anche un falco da medaglia d'oro o comunque da primo
premio, avrà una struttura muscolare, uno sviluppo, nettamente
inferiore a un animale selvatico. Persino il momento dell'anno in cui
nasce fa la differenza. Per questo non ha senso reale prendere per
buona la velocità misurata su falchi addestrati, che è già
elevatissima, ma non è la reale velocità rispetto a quella che
hanno in natura. Se un falco addestrato arriva in picchiata a 350
km/h, un falco in natura arriverà a velocità di gran lunga
superiori."
Com'è
nata l'idea del centro? "Beh, ai tempi facevo competizioni,
nazionali e internazionali e nel frattempo per mantenermi producevo
accessori per falconeria, cappucci, guanti, borse, questo tipo di
cose, ma se avessi continuato in quel modo avrei dovuto vivere sempre
in giro, fare l'ambulante da uno Stato all'altro inseguendo le
competizioni e certo non era un guadagno che poteva darmi stabilità.
Al tempo non era diffuso Internet, dunque la roba si vendeva, ma si
vendeva più che altro ai raduni e alle competizioni. Volevo dunque
trovare un'alternativa perché non potevo girare in lungo e in largo
per tutta la vita e durante le competizioni mi ero accorto che negli
altri Stati, Germania, Francia, Austria e così via, facevano gli
spettacoli di falconeria. Ho pensato a una location che potesse
permettermi di fare questo tipo di cose e all'inizio facevo
spettacoli itineranti e competizioni e vivevo di questo; nel
frattempo ho studiato quale potesse essere la zona migliore per avere
una "base fssa" dove poter tenere gli animali e mostrarli
al pubblico attraverso gli spettacoli, che oltre ad essere una bella
cosa mi avrebbe permesso di far diventare definitivamente la mia
passione un lavoro. Ho cercato quale fosse la zona a maggior
attrazione turistica e tra le zone individuate ho scelto la riviera
adriatica perché è una zona non solo dove c'è turismo, ma dove il
turismo è particolarmente concentrato. Una volta scelta la zona ho
cercato le zone con castelli, ma anche i castelli dovevano avere
delle particolarità tecniche, un posizionamento, una struttura, un
attraversamento di venti di un certo tipo. Doveva esserci l'ambiente
ideale per il volo, ma anche lo spazio, sia per gli animali che per
il pubblico, dunque parcheggi ecc. Scartandone uno dopo l'altro sono
arrivato a scegliere Gradara e lì mi sono concentrato su tutte le
possibilità che avevo per realizzare il progetto e per farlo
conoscere una volta fosse aperto. Ovviamente il tutto è stato
preceduto dalla fase di progettazione."
Che
è stata molto lunga dicevi... "Si, perché l'unica area in
cui poteva esserci lo spazio necessario era demanio dello Stato,
aveva un vincolo storico culturale, dunque ho cercato con tenacia
tutte le soluzioni possibili e alla fine ci sono riuscito. Certo, se
si dice che la dea fortuna è bendata... come si dice, la mia sfiga
ci vedeva davvero benissimo!" (Massimo ci ha messo quindici
anni ad aprire il centro... ndr).
E
la signora alla quale, durante lo spettacolo, hai dato merito di
essere stata importante per la realizzazione di questo sogno? "Quella
signora è parte di una storia particolare. Ero molto legato a suo
fratello. Quando io tornavo dalla Germania, ragazzo del sud con la
busta di plastica, trovavo appoggio da suo fratello, che mi ospitava
a Cattolica. Tra l'altro, con molta delicatezza, senza mai volerlo
far notare, questo signore – nonostante non fosse un falconiere, ma
solo un appassionato – faceva sempre finta di aver bisogno di
qualcosa. Accessori, cappucci, gli procuravo io i falchetti, ma non
aveva una reale necessità, lo faceva solo per aiutarmi... Quando poi
è mancato, prematuramente, per un tumore, sua sorella, la signora
che hai visto appunto, mi ha chiamato e mi ha donato tutte le cose
che suo fratello aveva comperato da me, tutti gli accessori fatti a
mano, i libri... e me li ha dati in una scatola... che ancora io
conservo, chiusa, perché è davvero difficile per me aprirla. Dunque
a questa famiglia devo molto."
La
parte più difficile è il dietro le quinte... "Si, il
mantenimento del posto, prendersi cura degli animali e preparare lo
spettacolo. Anche lo spettacolo se noti è molto dinamico, non si
perde tempo tra una cosa e l'altra ed avendo poco spazio è ancora
più difficile fare questo, perché ci deve essere sempre una persona
che preleva l'animale dal box, un'altra che lo riceve dalle mie mani
e così via..."
Dovete
continuare a passarvi i rapaci perché tutto funzioni. "Si,
perché potrebbero spevantarsi, attaccare, scappare; dobbiamo fare in
modo, in maniera molto precisa, che gli animali siano a proprio agio
e che lo spettacolo funzioni, senza incidenti per nessuno
naturalmente. Poi appunto il mantenimento del luogo, la pulizia, il
fatto che sono tutti animali in addestramento continuo, non sono
animali da zoo, dunque ogni giorno vanno controllati, pesati, per il
loro benessere e anche perché tutto vada come deve andare. La
pulizia è un aspetto fondamentale, anche perché come tutti gli
animali che mangiano carne, anche i rapaci fondamentalmente...
puzzano, dunque noi siamo sempre con la canna dell'acqua in mano, a
pulire e ripulire. C'è un lavoro davvero immane dietro a quel che si
vede nello spettacolo."
Il
peso ideale di cui parlavi anche durante lo spettacolo. Cosa si
intende per peso ideale? "Il
peso ideale o peso forma è chiamato Yarak. È il peso ideale sia per
il benessere dell'animale che per far si che l'animale sia nella
forma migliore per essere addestrato e interagire con il falconiere.
Non deve sentirsi appesantito e non deve essere sottopeso o gli
mancheranno le forze. È poi legato al singolo individuo. Anche
all'interno della stessa specie. Non esiste un peso ideale "per
specie", perché il peso è legato alla grandezza della testa,
dunque ogni giorno io devo controllare che ogni singolo individuo
abbia il peso giusto rispetto alle sue dimensioni specifiche. Oltre a
questo, io definisco lo Yarak, non nella concezione più ufficiale di
peso fisico, ma anche di equilibrio. Come succede a noi, anche a un
animale può capitare di non dormire bene, di svegliarsi più
nervoso, di non essere "dell'umore" e può capitare che il
peso sia quello giusto, il peso forma, ma che l'animale non sia
pronto a interagire con me."
E
da cosa lo capisci visto che il peso è quello giusto? "Me
ne accorgo nel momento in cui ho l'animale sul pugno, dal suo
sguardo, se guarda me o guarda altrove, dai movimenti che fa,
dall'approccio sul guanto, da una moltitudine di piccole cose
difficili da spiegare, che io vedo perché sono quarant'anni che
faccio questo lavoro e che mi fanno capire che l'animale non è in
forma, non perché il peso non sia quello giusto, ma semplicemente
perché, per qualche motivo che io non so, che non posso sapere, non
è la giornata giusta. Dunque appena me ne accorgo, appena percepisco
il suo disagio, praticamente subito, appena lo prendo sul pugno, lo
rimetto tranquillo dov'era e lo lascio stare e quel giorno non farò
nessun lavoro di preparazione con lui. Deve restare tranquillo."
Mi
spiegavi poi della percezione del pubblico, rispetto alla percezione
oggettiva e rispetto – appunto – a quello che è lo spettacolo. "Certo. La percezione del pubblico generalmente non è
oggettiva, nel senso che è naturale che se noi hai mai visto
un'aquila da vicino, non l'hai mai vista volare, la tua percezione
sarà già alta; il discorso però è che io durante lo spettacolo,
ora, non do al pubblico il massimo, perché sarebbe assurdo dare il
massimo e poi non avere nulla di nuovo da proporre l'anno successivo.
Di anno in anno io progetto cose nuove. Anche ora, sto progettando un
sacco di cose, scenografie, una storia, effetti di luci, magia..."
(segue la
spiegazione di quel che Massimo ha ideato, qualcosa di straordinario
che ovviamente non riporterò, dovete andare a vederlo! ndr).
Sei
falconiere, imprenditore (tra le altre cose, Massimo, dai banchi
ambulanti di vendita di accessori per falconeria fatti a mano, è
riuscito ad arrivare a mettere in piedi un'azienda di produzione di
questi accessori con cinquemila clienti, ndr) presentatore,
scenografo, regista... poi?
"Beh, bisogna essere così... sono uno e faccio io, anche perché
al di la' dello staff fisso, sono io quello che si occupa di queste
cose e non posso assumere la figura specifica del presentatore,
quella dello scenografo, ecc ecc ecc... dunque faccio io!"
Durante
lo spettacolo, quando hai fatto provare anche i bambini a ricevere
sul pugno la Poiana del Deserto, dicevi che da mamma riconosce il
bambino. È solo spettacolo o è una cosa reale? Al di là del fatto
che, come spiegavi – e infatti non attaccano neanche gli adulti –
per quell'esemplare c'è una storia di imprinting con te. "È vero, tutti gli animali riconoscono i cuccioli. Prova ne è che ci
sono stati casi di bambini caduti allo zoo negli habitat artificiali
dei gorilla e... il gorilla aveva la tendenda a proteggere il
bambino. Poi è certo anche un collegamento che fa parte dello
spettacolo, è una cosa dolce, è vera, ma è anche spetttacolo ed
io, da falconiere/ presentatore, poi mostro e do l'informazione che
riguarda invece l'imprinting, facendo vedere che – appunto – non
attacca neanche un adulto."
Spiega
l'imprinting. Avviene quando l'animale è cucciolo?
"Ci sono diversi tipi di imprinting. Nel caso dell'imprinting
territoriale non è detto che l'animale debba essere cucciolo. Può
esserlo e crescendo in un posto si lega a quel territorio che
riconosce come suo, ma può essere anche un animale che viene da un
altro posto, ma che si abitua a quel territorio come faremmo noi e
dunque poi, anche lui lo riconoscerà come suo. C'è poi l'imprinting
nei confronti del falconiere. Il legame. Se è cucciolo avviene
subito, se è più grande avverrà negli annni, convivendo con il
falconiere, ma questa cosa avviene veramente in anni ed anni. Ti
ricordi il Grifone grande? Lui ha trentotto anni, da venti ce l'ho io
e ce ne sono voluti diciotto perché lui mi considerasse un
potenziale punto di riferimento. C'è poi l'imprinting sessuale. Se
l'animale cresce con te, una volta che raggiunge la maturità
sessuale ti vedrà come un partner, un compagno vero e proprio e
dunque sarai fin da subito il suo punto di riferimento."
Ma
perché ti vede come compagno e non come padre o capo "branco",
passami il termine.
"È una cosa che l'umana concezione non può concepire. In
natura, tra falchi, padre e patner hanno spesso ruoli
interscambiabili. Se tu prendi una coppia di falchi e dopo un certo
numero di anni provi a togliere la madre e lasci la figlia, la figlia
prenderà il posto della madre; se poi rimetti la madre al suo posto,
lei tornerà ad essere la madre e la figlia tornerà ad essere la
figlia. Per la concezione umana è una cosa mostruosa naturalmente,
ma nel contesto della natura selvaggia è un meccanismo sistematico
che serve a rafforzare i caratteri."
Nel 2010, la falconeria, è
stata dichiarata patrimonio immateriale dell'umanità.
Dopo tutte queste informazioni,
posso solo dirvi che aver assistito a uno spettacolo ne "Il
Teatro dell'Aria" di Gradara, con Aquile, Falchi, Gufi Reali,
Poiane del Deserto e tutte le altre meravigliose specie presenti, è stata
un'esperienza che a me ha lasciato molto. Se ne avrete l'occasione, andateci. La
passione e la professionalità di chi lavora in questo luogo, sono
impagabili.
Non smettete mai di stupirvi.
Che si tratti di un cielo stellato, di un tramonto, di un albero, di
un animale. Smettete di dare per scontata la loro esistenza.
Stupitevi, sempre, come quando eravate bambini. Siate curiosi, tenete
aperti gli occhi, guardate e vedete. Siamo a conoscenza di quanto lottino gli animali, ogni giorno, per sopravvivere.
Per il normale decorso della specie, certo, ma spesso, sempre più
spesso perché è l'uomo a rompere gli equilibri incisi nel loro DNA.
La cosa preoccupante è che anche esserne a conoscenza non basta, è
necessario volerle sapere le cose, non solo esserne a conoscenza.
Persino l'umanità lotta per riuscire a vivere e la causa di questa
continua lotta è sempre l'uomo stesso, di qualsiasi cosa si parli. Sappiamo che è così. La Terra
combatte, sempre, per sopravvivere all'uomo. Cercate di pensarci ogni
tanto, non date per scontato nulla o, come per ogni cosa si faccia e
si pensi "dandola per scontata", sarete cechi.
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