sabato 24 settembre 2016

Massimo Lanatà: falchi, aquile... i sogni in volo

Massimo Lanatà
Certamente vi sarà capitato di vedere in un documentario un'aquila, un falco, volare in mezzo alle montagne, tra le valli, sorvolando spazi immensi; e magari, come molti, avete pensato a quanto questi animali siano meravigliosi e a quanto sia grande il senso di libertà e forza che trasmette vederli volare, anche solo per un attimo, anche solo attraverso uno schermo, se non si ha la fortuna di poter frequentare certi luoghi della terra che sono... casa loro. Forse poi vi sarà capitato di vedere un rapace da vicino, in qualche fiera medievale e di rimanere incantati a contemplare la loro bellezza mentre sono sul pugno del loro falconiere, per poi, generalmente, passare oltre. Molti di voi avranno già visto quel luogo meraviglioso e fiabesco che è Gradara e, spero, molti di voi, avranno già provato le emozioni che Massimo Lanatà e il suo magnifico staff permettono di far provare al pubblico, entrando nel suo parco, vedendo questi animali meravigliosi da vicino e poi, con "Il Teatro dell'Aria", in volo. Se però non vi è ancora capitato, vi invito a farlo. Parlare con una persona come Massimo, dieci volte al primo posto in competizioni nazionali e internazionali di falconeria, un uomo che ha fatto della sua passione un lavoro, che ha dedicato e dedica tutta la sua vita a questi magnifici animali, è stata una bellissima esperienza perché è inevitabile, si impara molto, anche se quel che ci siamo detti non è nemmeno un millesimo di quella che è la sua conoscenza sull'argomento. Massimo Lanatà ha raggiunto i massimi livelli in ogni ramo possibile, riguardo ai rapaci, non solo per le competizioni sopracitate ed è un grande "modestone", non lo scrive sul suo sito, perché sarebbe come "voler stare su un piedistallo". Questo però non è il suo sito ed io preferisco dirlo che è un grande, perché la maggior parte delle persone non si rende conto che davvero, ci sono esseri umani che fanno cose grandiose nel nostro paese. Massimo si prende cura di esemplari unici, "protetti" e "particolarmente protetti" e dà l'opportunità a tante persone che nulla sanno di questi animali, di rimanere incantati, anche con quel che lui definirebbe "poco", ma che è già tanto, per chi non ha mai avuto prima l'opportunità di vedere e gustare la bellezza di questi volatili. C'è molto da leggere qui sotto, lo so, ma ne vale la pena. La potenza di un'aquila, di un gufo reale, di un falco... insomma, non vale la pena di approfondire? Questa è la chiacchierata che ho fatto con Massimo; leggete, gustate, aprite gli occhi. Forse anche a voi verrà voglia di continuare il suo sogno. Lui che sta lavorando non solo per portare avanti questa meraviglia diventata realtà, ma anche per far si che questa realtà continui, anche quando lui non potrà farlo più.


Come ti sei avvicinato alla falconeria? "Avevo undici anni e trovai un falchetto a cui avevano sparato. Lo volevo curare e all'epoca ovviamente non c'era Google! quindi l'unico strumento da cui potessi estrapolare qualche informazione era il vocabolario Zanichelli. Lì ho cercato e letto delle parole "falco", "falcone", "falconeria" e da quella definizione iniziò la passione per i falchi."

Ah, però, fin da bambino dunque. C'è un rapace al quale ci si può affezionare di più, con il quale è più facile stringere un legame? E se si, ci si può affezionare a un animale di questo tipo come ci si affezionerebbe a un cane, a un gatto, a un animale domestico? "Certo, ci si può affezionare in egual modo, dipende tutto dal tempo che dedichi a un animale, non c'è un animale a cui puoi affezionarti più che a un altro, parlando di specie, secondo me."
Charlie, Nibbio Reale
Ne hai uno tuo "personale", diciamo così? "Gli animali sono tutti di mia proprietà ed ognuno ha una caratteristica diversa che fa si che, di conseguenza, io possa affezionarmi ad ogni soggetto per un comportamento che ha rispetto ad altri ai quali mi affeziono in un altro modo. Può essere per il modo in cui l'animale si approccia all'uomo, come può essere un aspetto totalemente diverso. Ad esempio, l'aquila gratifica il sacrificio che fai salendo a mille metri d'altezza, mentre il falco mi accetta in un modo tale, così vicino, da potermi avvicinare al nido mentre sta badando alla sua prole. Dunque... non c'è un modo di affezionarsi di più o di meno, ma emozioni diverse, che non hanno più valore l'una rispetto all'altra, perché sono profonde tutte e due."

Dunque il falco si lega più facilmente all'uomo? "Non solo il falco, diciamo che gli animali che più si legano sono quelli più intelligenti e... i più intelligenti ad esempio sono gli avvoltoi. È ovvio che nell'immaginario collettivo l'avvoltoio è "quello che mangia le carogne" ed è visto un po' come un topo, come un rettile, per dire. Invece sono animali pulitissimi e particolarmente intelligenti, che si legano all'uomo e possono trasmettere affetto in quantità inimmaginabili."

Tra l'altro la specie di avvoltoi che avete al parco non è "il classico avvoltoio" che siamo abituati a vedere, quello un po' più "brutto" per l'immaginario collettivo diciamo. "Beh si... poi il brutto e il bello sono soggettivi, perché di solito c'è l'abitudine, purtroppo, di collegare la bellezza o la bruttezza di un animale a quello che rappresenta, non all'animale in se. Se si pensa all'avvoltoio lo si percepisce in un certo modo, come brutto, per quello di cui si nutre, non per quel che è realmente. Se poi invece ti avvicini a un avvoltoio e lo guardi, senza pensare a quel che mangia, in realtà ti accorgi che è un animale dalle fattezze bellissime, indescrivibili."

Di che specie sono gli avvoltoi che avete voi? "Noi abbiamo avvoltoi grifoni, fulvo e rupellis, avvoltoi capovaccai pileati, avvoltoi delle palme, avvoltoi Urubu' e avvoltoi Collorosso."
Coco e Mango - Avvoltoi delle Palme
Presumo che tu sia un amante della natura in generale, è così? "Si, non credo ci sia una grande differenza tra un falconiere o chi lavora con i delfini piuttosto che con i felini o gli orsi. Il problema è solo uno: nel momento in cui ci si avvicina con titolarità d'ignoranza si commettono degli errori, non si ha quel sapere finalizzato a poter interagire con l'animale nel modo corretto; nel caso in cui si conosca invece il linguaggio della specie dell'animale con cui si sta trattando, si riesce ad interagire con lo stesso perché si conosce la sua vera natura e dunque si raggiungono grandi livelli. Livelli per i quali spesso si dice "ci siamo affezionati di più". In realtà non è così, la realtà è che siamo riusciti a dialogare di più con l'animale. Il dialogo non necessariamente deve essere verbale, anzi il dialogo principale è il dialogo non verbale, del corpo. Se l'animale interagisce con l'uomo significa che ha trovato il modo per farlo; noi abbiamo un feedback e l'animale risponde."


Il linguaggio vocale, anche in lingue diverse, spiega Massimo a una mia richiesta di chiarimento, non fa la differenza. Non sono le parole, ma la voce del falconiere, a fare la differenza. Durante lo spettacolo, in quarant'anni di questo mestiere, Massimo ha raccolto ed assimilato frasi e linguaggi in diverse lingue, dunque capita che durante lo spettacolo possa dire "Vieni qui" in italiano, piuttosto che in inglese o in ungherese, ma non è la parola in lingue differenti che dà il via all'animale, bensì l'insieme di gesti e movimenti del corpo (ndr).

Dopo tutti questi anni senti ancora quella fascinazione, quella sensazione di forza, perfezione, che posso aver provato io nell'assistere allo spettacolo? "Il fascino viene dalla conoscenza... durante lo spettacolo è tutto diverso. Il pubblico nella maggior parte dei casi non ha conoscenza rispetto a questi animali, dunque è più facile che provi una grande emozione. Per uno spettatore non fa differenza vedere un'aquila volare a mille metri d'altezza o vederla volare a dieci centimetri dalla propria testa, sarà sempre comunque una grande emozione perché se una persona non ha mai visto un'aquila ne rimane comunque affascinato, anche se in realtà c'è un'enorme differenza tra farla volare basso e farla volare a mille metri d'altezza. Per far volare un'aquila a mille metri ci vuole una conoscenza tecnica impressionante, per farla volare basso... diciamo che è "una banalità" per un falconiere, ma per te che non hai mai visto volare un'aquila sarà lo stesso. Così sarà se faccio volare un gufo reale, non l'hai mai visto e ti affascinerà, senza però sapere che far volare un'aquila è molto più rischioso, ci vuole molta più preparazione e più tecnica. Ci sono dunque diversi tipi di fascinazione: se io parlo ad esempio con un ornitologo, prima che io dica qualcosa, lui saprà già di che cosa sto parlando, perché è scienza. Durante uno spettacolo io mostro quel che un animale può fare in quel contesto, ma è una cosa diversa. La sensazione che una persona prova è legata a quel che sa di quell'animale. Personalmente, ne sono sempre più affascinato"

Dipende dalle persone in sostanza... io sono uscita da lì con la voglia, avendone la possibilità, di provare a fare falconeria, poi c'è qualcuno che magari resta affascinato, però la cosa si ferma lì. "Si, è soggettivo, dipende dalle propensioni personali. Io ad esempio, mentre parlo con te, ho un ragazzino di undici anni attorno, che viene da Belluno, che è... diverso per così dire, ma è diverso perché non gli interessano le cose che generalmente interessano a un bambino di quest'età. Lui non ama i cellulari, non ce l'ha nemmeno il cellulare e per farsi una foto chiama il padre; non ama giocare con il computer o su Internet, non gli interessa e non sa nemmeno come accenderlo un computer, però magari sa che il canarino che ne so, ti dico una stupidaggine, beve acqua minerale anziché naturale, per dirti. Questo perché vive gli animali, vive la natura ed ha attenzione verso alcune sfumature esistenziali che altri bambini non hanno. Secondo me è ovvio che se cresce in questo modo cresce bene, mentre se cresce come la maggior parte dei bambini, beh, cresce incompleto. Mi spiego: tolto da un computer, senza uno schermo, che è un qualcosa che fossilizza, lui vive la realtà e viene stimolato ad usare la testa. Prendi un qualsiasi essere umano, toglilo dalla scrivania e prova a metterlo in campagna, ma per campagnia intendo, che so, ad aiutarti a disintasare una fogna, oppure a dirgli "dammi una mano che dobbiamo tagliare la siepe" o un semplice "guardiamo dove si è fermata la monetina nella lavatrice". C'è il modo di dire, "Il bisogno aguzza l'ingegno", ma se tu prendi uno che è sempre stato attaccato a un computer, aspetta e spera che aguzzi l'ingegno! C'è la lavatrice intasata dalla monetina? Bene, chiamiamo l'idraulico! Nemmeno ci pensa alla soluzione, ad ingegnarsi per risolvere un problema. Un bimbo che vive la natura si abitua spontaneamente a porsi la domanda e a cercare la risposta, la soluzione, cresce con la voglia di risolvere il problema e non si ferma di fronte a una mancanza di conoscenza. Un po' come in matematica: colui che impara a memoria la formula è un cretino immatricolato, perché se dimentica la formula non va da nessuna parte; colui che invece sa sviluppare la formula, andrà sempre a crescere, perché se anche dimentica un pezzo di formula saprà arrivarci in un altro modo o la saprà ricostruire unsando la testa."

È un po' come quando io dico che non è detto che un laureato sia intelligente... "Esatto. Un laureato può essere intelligente come non esserlo. Essere colti è una cosa, essere intelligenti è tutt'altra cosa. L'intelligenza è elaborazione: con i mezzi che ho, trovo una via e risolvo il problema che mi si pone. C'è chi ha, tornando all'esempio dell' idraulico, un martello, dieci cacciaviti e chi più ne ha più ne metta e non riesce nemmeno a svitare una vite per smontare il lavandino; c'è chi ha pochi strumenti, ma con quelli arriva comunque a sviluppare la soluzione e continua crescere."

Ti ho sentito parlare di diverse fasi, dall'ammansimento all'addestramento... "Certo, facendo l'esempio di un bambino... tu non puoi dirgli solo che due più due fa quattro, devi cercare il dialogo con lui prima di poterglielo insegnare."

Si appunto... e come funziona? Sono cuccioli? "Non necessariamente, sono diverse fasi o meglio è la stessa fase, ma si affronta in modi diversi. Se tu hai un bimbo che viene dall'Africa e uno che viene dalla Calabria, non puoi parlare a tutti e due in francese. Devi trovare il linguaggio per comunicare, ma prima ancora di far questo devi fare in modo che quel bimbo sia disposto a sedersi accanto a te e ad ascoltarti."

E come si fa con un falco, un'aquila...? "Prima lo devi calmare. Se una persona o un'animale, hanno paura di te, a prescindere dal linguaggio che usi non ti ascolteranno mai. Devi fare in modo che sia "disposto a sedersi al tuo fianco", dopodiché sta a te. Il linguaggio che metterai in campo viene in un secondo momento. Prima non deve aver paura, deve sapere che non rappresenti un pericolo, poi sta a te fargli capire che si può fidare. Non avere paura non comprende il fidarsi di qualcuno, mentre il fidarsi implica in se che non hai paura. La prima fase è dunque far si che l'animale non ti tema, poi che si fidi, poi che trovi in te la fonte per qualcosa. Cibo? Gioco? Quante volte noi insegnamo qualcosa a un cane attraverso il gioco o attraverso un premio? Quello è il primo passo del linguaggio; il linguaggio del gioco per raggiungere un obbiettivo. La mamma, attraverso un dialogo amichevole fa si che il figlio comprenda una certa cosa, per fare un esempio. Se il babbo è impaziente e gli dice: "O fai così o ti spezzo le ossa" è ovvio che l'approccio cambia, non c'è un dialogo, c'è timore. E visto che i rapaci sono animali selvatici, con una loro specifica natura, è normale che sia necesario trovare un dialogo preciso. Un colombo, una cornacchia, sono più propensi ad avvicinarsi all'uomo perché sanno che dall'uomo possono avere cibo. I falchi, nel medioevo, ai tempi di Federico II, quando venivano catturati, non amavano particolarmente l'uomo. Il rapace sa che l'uomo, in quanto predatore, non è una risorsa, bensì un pericolo. Nel Medioevo, quando venivano catturati dalla natura per essere addestrati, non come ora dunque, che sono animali nati già in un contesto non selvatico, il falco, l'aquila, tentavano di scappare e dunque il primo passo di quegli antichi falconieri era evitare che l'animale vedesse l'uomo, il falconiere. Al tempo purtroppo lo facevano attraverso la cigliatura, gli chiudevano gli occhi e continuando a passarsi l'animale, da braccio a braccio, l'animale trovava un suo equilibrio psicofisico, per cui si abituava alle voci. Dopo questa fase, gli venivano aperti gli occhi e veniva messo in una stanza senza troppa luce nella quale pian piano potesse cominciare a vedere il volto del falconiere e ad abbituarsi e via via così. Ora per fortuna non siamo più nel medioevo e per ammansire un falco si usa lo strumento del cappuccio, che lo aiuta a stare tranquillo, a sentirsi al sicuro. Rispetto poi a quei tempi è tutto diverso: devi pensare che per fare questo tipo di cosa, per abituare l'animale alla voce, al rumore, ad accettare tutto questo e ad accettare involontariamente di stare sul braccio, c'erano cinque o sei falconieri. Ora io, singolo falconiere, non potrei mai fare una cosa simile giusto? Perché posso anche stare con il falco sedici ore, ma poi dovrò pur dormire, mangiare e nel frattempo il falco si destabilizzerebbe e quando poi dovessi ricominciare dovrei ripartire da zero. Così mi sono inventato un modo per risolvere il problema. Se io tolgo il falco dal pugno quando ha trovato un equilibrio, il falco perde l'equilibrio e non si può addormentare tranquillo, dunque io lo metto su un altalena e lui si sente tranquillo. In secondo luogo c'è l'elemento della voce, del parlare, del suonare uno strumento e dunque io accendo la tv e lì scorre tutto ciò che serve. Musica, parole... e il falco mantiene l'equilibrio e non perde il contatto con il rumore delle parole o della musica o quel che è."

Che differenza c'è tra falco e falcone? "Il falcone è quello che un tempo poteva essere solo dei nobili, degli imperatori ed era il "falco col dente". Il dente è sulla parte ricuva del becco e tutti i falchi con questo dente, al tempo, venivano considerati falchi nobili perché di fatto, la maggior parte dei falchi detti "per la falconeria" avevano questo dente. Poi all'interno dei così detti "falconi" ci sono le diverse specie, può essere il Pellegrino, il Sacro, il Falco e così via. E poi c'era lo Smeriglio, che era considerato il falco delle donne perché era più piccolo, ma soprattutto perché era delicato e molto ambito per le sue capacità venatorie. C'erano poi altri tipi di falchi considerati nobili per la presenza di questo dente, ma che dal punto di vista venatorio erano meno ambiti perché magari si nutrivano di piccoli uccelli, lucertole e così via. In sostanza dunque il termine non è legato alla grandezza, ma alla rilevanza che questi falchi avevano nella falconeria antica. Ci sono poi rapaci detti "ignobili", ma non nel senso in cui lo si intende ora. Erano grandi cacciatori, come lo Sparviero ad esempio, citato anche da Dante ne "La Divina Commedia", ma solo falconieri esperti potevano possederne uno, poiché è un animale piccolo, delicato e se non sei un esperto falconiere è facile farlo morire, perciò non era adatto ai nobili."

Dicevi che la maggior parte degli animali che avete al parco sono specie protette? Mi spieghi un po' di questo? "Tutti i rapaci sono specie protette, ma si distinguono in due categorie: "specie protetta" e "specie particolarmente protetta". "Specie protetta" significa che in natura non ce ne sono tanti, ma non rischiano l'estinzione, però essendocene pochi esemplari, per evitare che questo accada, gli Stati che hanno firmato le convenzioni riguardanti questi argomenti, hanno stilato un elenco di animali, introducendo quelli che devono essere protetti perché numericamente pochi. Gli animali invece in via d'estinzione sono chiamati "particolarmente protetti", perché in natura ce ne sono pochissimi esemplari. La differenza sostanziale è che gli animali protetti possono essere prelevati dalla natura, con autorizzazione speciale. Ad esempio: parliamo di Avvoltoio Grifone Rupellis. È un avvoltoio che vive in Africa e appartiene alle specie protette, ma non rischia l'estinzione. Se un anno la riproduzione di questi esemplari va particolarmente bene e ci sono mille esemplari, per fare un esempio, in più rispetto a quel che il territorio stesso può ospitare e rispetto anche alla quantità necessaria perché questi animali non rischino l'estinzione, lo Stato, dopo aver fatto studi e censimenti, può prelevarli dalla natura. Seguendo le normative per il benessere animale, contrassegnandoli e rispettando tutti i paramentri, li può catturare e commercializzare. Per gli animali "particolarmente protetti" invece non si può assolutamente fare e il prelievo dalla natura può essere fatto solo ed esclusivamente per motivi scientifici. Fondamentalmente accade questo: sono rimasti quattro esemplari in natura e rischiano l'estinzione? Ok, si prelevano tutti e quattro, si fanno riprodurre in cattività con le moderne tecniche ora a disposizione e si eliminano i fattori che hanno portato l'animale all'estinzione. Dopodiché, i piccoli che nasceranno verranno messi in natura per ripopolare la propria specie e saranno così anche più forti. Questi esemplari unici, i pochi rimasti, vengono affidati a strutture riconosciute, in modo da essere sempre protetti."

Kubo, Aquila Pescatrice Americana - specie particolarmente protetta

Il calcolo della velocità: "Il calcolo della velocità generalmente viene preso in considerazione come avviene per i caccia militari, dunque in picchiata. Nel caso dei rapaci però, la velocità importante non è solo quella in picchiata, ma anche quella che riguarda la destrezza del volo in linea retta. Per fare un esempio, lo Sparviero è un animale che in volo ha l'abilità di fare acrobazie pazzesche e solo vedere un filmato rallentato può far comprendere quanto sia splendido e dargli giustizia. Per quanto riguarda il Falcone Pellegrino, la velocità è stata misurata ma, attenzione, con falchi addestrati. Un falco addestrato, nato in cattività, per quanto sia veloce, non avrà nemmeno un quarto del potenziale di velocità, forza e agilità che ha lo stesso animale in natura. Questo perché l'animale nato e cresciuto con l'uomo è condizionato ed anche un falco da medaglia d'oro o comunque da primo premio, avrà una struttura muscolare, uno sviluppo, nettamente inferiore a un animale selvatico. Persino il momento dell'anno in cui nasce fa la differenza. Per questo non ha senso reale prendere per buona la velocità misurata su falchi addestrati, che è già elevatissima, ma non è la reale velocità rispetto a quella che hanno in natura. Se un falco addestrato arriva in picchiata a 350 km/h, un falco in natura arriverà a velocità di gran lunga superiori."

Dorella, compagna di Massimo e preziosa collaboratrice, con Katia, splendido Gufo Reale Siberiano
Com'è nata l'idea del centro? "Beh, ai tempi facevo competizioni, nazionali e internazionali e nel frattempo per mantenermi producevo accessori per falconeria, cappucci, guanti, borse, questo tipo di cose, ma se avessi continuato in quel modo avrei dovuto vivere sempre in giro, fare l'ambulante da uno Stato all'altro inseguendo le competizioni e certo non era un guadagno che poteva darmi stabilità. Al tempo non era diffuso Internet, dunque la roba si vendeva, ma si vendeva più che altro ai raduni e alle competizioni. Volevo dunque trovare un'alternativa perché non potevo girare in lungo e in largo per tutta la vita e durante le competizioni mi ero accorto che negli altri Stati, Germania, Francia, Austria e così via, facevano gli spettacoli di falconeria. Ho pensato a una location che potesse permettermi di fare questo tipo di cose e all'inizio facevo spettacoli itineranti e competizioni e vivevo di questo; nel frattempo ho studiato quale potesse essere la zona migliore per avere una "base fssa" dove poter tenere gli animali e mostrarli al pubblico attraverso gli spettacoli, che oltre ad essere una bella cosa mi avrebbe permesso di far diventare definitivamente la mia passione un lavoro. Ho cercato quale fosse la zona a maggior attrazione turistica e tra le zone individuate ho scelto la riviera adriatica perché è una zona non solo dove c'è turismo, ma dove il turismo è particolarmente concentrato. Una volta scelta la zona ho cercato le zone con castelli, ma anche i castelli dovevano avere delle particolarità tecniche, un posizionamento, una struttura, un attraversamento di venti di un certo tipo. Doveva esserci l'ambiente ideale per il volo, ma anche lo spazio, sia per gli animali che per il pubblico, dunque parcheggi ecc. Scartandone uno dopo l'altro sono arrivato a scegliere Gradara e lì mi sono concentrato su tutte le possibilità che avevo per realizzare il progetto e per farlo conoscere una volta fosse aperto. Ovviamente il tutto è stato preceduto dalla fase di progettazione."

Che è stata molto lunga dicevi... "Si, perché l'unica area in cui poteva esserci lo spazio necessario era demanio dello Stato, aveva un vincolo storico culturale, dunque ho cercato con tenacia tutte le soluzioni possibili e alla fine ci sono riuscito. Certo, se si dice che la dea fortuna è bendata... come si dice, la mia sfiga ci vedeva davvero benissimo!" (Massimo ci ha messo quindici anni ad aprire il centro... ndr).

E la signora alla quale, durante lo spettacolo, hai dato merito di essere stata importante per la realizzazione di questo sogno? "Quella signora è parte di una storia particolare. Ero molto legato a suo fratello. Quando io tornavo dalla Germania, ragazzo del sud con la busta di plastica, trovavo appoggio da suo fratello, che mi ospitava a Cattolica. Tra l'altro, con molta delicatezza, senza mai volerlo far notare, questo signore – nonostante non fosse un falconiere, ma solo un appassionato – faceva sempre finta di aver bisogno di qualcosa. Accessori, cappucci, gli procuravo io i falchetti, ma non aveva una reale necessità, lo faceva solo per aiutarmi... Quando poi è mancato, prematuramente, per un tumore, sua sorella, la signora che hai visto appunto, mi ha chiamato e mi ha donato tutte le cose che suo fratello aveva comperato da me, tutti gli accessori fatti a mano, i libri... e me li ha dati in una scatola... che ancora io conservo, chiusa, perché è davvero difficile per me aprirla. Dunque a questa famiglia devo molto."

La parte più difficile è il dietro le quinte... "Si, il mantenimento del posto, prendersi cura degli animali e preparare lo spettacolo. Anche lo spettacolo se noti è molto dinamico, non si perde tempo tra una cosa e l'altra ed avendo poco spazio è ancora più difficile fare questo, perché ci deve essere sempre una persona che preleva l'animale dal box, un'altra che lo riceve dalle mie mani e così via..."

Dovete continuare a passarvi i rapaci perché tutto funzioni. "Si, perché potrebbero spevantarsi, attaccare, scappare; dobbiamo fare in modo, in maniera molto precisa, che gli animali siano a proprio agio e che lo spettacolo funzioni, senza incidenti per nessuno naturalmente. Poi appunto il mantenimento del luogo, la pulizia, il fatto che sono tutti animali in addestramento continuo, non sono animali da zoo, dunque ogni giorno vanno controllati, pesati, per il loro benessere e anche perché tutto vada come deve andare. La pulizia è un aspetto fondamentale, anche perché come tutti gli animali che mangiano carne, anche i rapaci fondamentalmente... puzzano, dunque noi siamo sempre con la canna dell'acqua in mano, a pulire e ripulire. C'è un lavoro davvero immane dietro a quel che si vede nello spettacolo."

Il peso ideale di cui parlavi anche durante lo spettacolo. Cosa si intende per peso ideale? "Il peso ideale o peso forma è chiamato Yarak. È il peso ideale sia per il benessere dell'animale che per far si che l'animale sia nella forma migliore per essere addestrato e interagire con il falconiere. Non deve sentirsi appesantito e non deve essere sottopeso o gli mancheranno le forze. È poi legato al singolo individuo. Anche all'interno della stessa specie. Non esiste un peso ideale "per specie", perché il peso è legato alla grandezza della testa, dunque ogni giorno io devo controllare che ogni singolo individuo abbia il peso giusto rispetto alle sue dimensioni specifiche. Oltre a questo, io definisco lo Yarak, non nella concezione più ufficiale di peso fisico, ma anche di equilibrio. Come succede a noi, anche a un animale può capitare di non dormire bene, di svegliarsi più nervoso, di non essere "dell'umore" e può capitare che il peso sia quello giusto, il peso forma, ma che l'animale non sia pronto a interagire con me."

E da cosa lo capisci visto che il peso è quello giusto? "Me ne accorgo nel momento in cui ho l'animale sul pugno, dal suo sguardo, se guarda me o guarda altrove, dai movimenti che fa, dall'approccio sul guanto, da una moltitudine di piccole cose difficili da spiegare, che io vedo perché sono quarant'anni che faccio questo lavoro e che mi fanno capire che l'animale non è in forma, non perché il peso non sia quello giusto, ma semplicemente perché, per qualche motivo che io non so, che non posso sapere, non è la giornata giusta. Dunque appena me ne accorgo, appena percepisco il suo disagio, praticamente subito, appena lo prendo sul pugno, lo rimetto tranquillo dov'era e lo lascio stare e quel giorno non farò nessun lavoro di preparazione con lui. Deve restare tranquillo."

Mi spiegavi poi della percezione del pubblico, rispetto alla percezione oggettiva e rispetto – appunto – a quello che è lo spettacolo. "Certo. La percezione del pubblico generalmente non è oggettiva, nel senso che è naturale che se noi hai mai visto un'aquila da vicino, non l'hai mai vista volare, la tua percezione sarà già alta; il discorso però è che io durante lo spettacolo, ora, non do al pubblico il massimo, perché sarebbe assurdo dare il massimo e poi non avere nulla di nuovo da proporre l'anno successivo. Di anno in anno io progetto cose nuove. Anche ora, sto progettando un sacco di cose, scenografie, una storia, effetti di luci, magia..." (segue la spiegazione di quel che Massimo ha ideato, qualcosa di straordinario che ovviamente non riporterò, dovete andare a vederlo! ndr).

Sei falconiere, imprenditore (tra le altre cose, Massimo, dai banchi ambulanti di vendita di accessori per falconeria fatti a mano, è riuscito ad arrivare a mettere in piedi un'azienda di produzione di questi accessori con cinquemila clienti, ndr) presentatore, scenografo, regista... poi? "Beh, bisogna essere così... sono uno e faccio io, anche perché al di la' dello staff fisso, sono io quello che si occupa di queste cose e non posso assumere la figura specifica del presentatore, quella dello scenografo, ecc ecc ecc... dunque faccio io!"

Durante lo spettacolo, quando hai fatto provare anche i bambini a ricevere sul pugno la Poiana del Deserto, dicevi che da mamma riconosce il bambino. È solo spettacolo o è una cosa reale? Al di là del fatto che, come spiegavi – e infatti non attaccano neanche gli adulti – per quell'esemplare c'è una storia di imprinting con te. "È vero, tutti gli animali riconoscono i cuccioli. Prova ne è che ci sono stati casi di bambini caduti allo zoo negli habitat artificiali dei gorilla e... il gorilla aveva la tendenda a proteggere il bambino. Poi è certo anche un collegamento che fa parte dello spettacolo, è una cosa dolce, è vera, ma è anche spetttacolo ed io, da falconiere/ presentatore, poi mostro e do l'informazione che riguarda invece l'imprinting, facendo vedere che – appunto – non attacca neanche un adulto."

Spiega l'imprinting. Avviene quando l'animale è cucciolo? "Ci sono diversi tipi di imprinting. Nel caso dell'imprinting territoriale non è detto che l'animale debba essere cucciolo. Può esserlo e crescendo in un posto si lega a quel territorio che riconosce come suo, ma può essere anche un animale che viene da un altro posto, ma che si abitua a quel territorio come faremmo noi e dunque poi, anche lui lo riconoscerà come suo. C'è poi l'imprinting nei confronti del falconiere. Il legame. Se è cucciolo avviene subito, se è più grande avverrà negli annni, convivendo con il falconiere, ma questa cosa avviene veramente in anni ed anni. Ti ricordi il Grifone grande? Lui ha trentotto anni, da venti ce l'ho io e ce ne sono voluti diciotto perché lui mi considerasse un potenziale punto di riferimento. C'è poi l'imprinting sessuale. Se l'animale cresce con te, una volta che raggiunge la maturità sessuale ti vedrà come un partner, un compagno vero e proprio e dunque sarai fin da subito il suo punto di riferimento."

Ma perché ti vede come compagno e non come padre o capo "branco", passami il termine. "È una cosa che l'umana concezione non può concepire. In natura, tra falchi, padre e patner hanno spesso ruoli interscambiabili. Se tu prendi una coppia di falchi e dopo un certo numero di anni provi a togliere la madre e lasci la figlia, la figlia prenderà il posto della madre; se poi rimetti la madre al suo posto, lei tornerà ad essere la madre e la figlia tornerà ad essere la figlia. Per la concezione umana è una cosa mostruosa naturalmente, ma nel contesto della natura selvaggia è un meccanismo sistematico che serve a rafforzare i caratteri."

Nel 2010, la falconeria, è stata dichiarata patrimonio immateriale dell'umanità.

Dopo tutte queste informazioni, posso solo dirvi che aver assistito a uno spettacolo ne "Il Teatro dell'Aria" di Gradara, con Aquile, Falchi, Gufi Reali, Poiane del Deserto e tutte le altre meravigliose specie presenti, è stata un'esperienza che a me ha lasciato molto. Se ne avrete l'occasione, andateci. La passione e la professionalità di chi lavora in questo luogo, sono impagabili.

Non smettete mai di stupirvi. Che si tratti di un cielo stellato, di un tramonto, di un albero, di un animale. Smettete di dare per scontata la loro esistenza. Stupitevi, sempre, come quando eravate bambini. Siate curiosi, tenete aperti gli occhi, guardate e vedete. Siamo a conoscenza di quanto lottino gli animali, ogni giorno, per sopravvivere. Per il normale decorso della specie, certo, ma spesso, sempre più spesso perché è l'uomo a rompere gli equilibri incisi nel loro DNA. La cosa preoccupante è che anche esserne a conoscenza non basta, è necessario volerle sapere le cose, non solo esserne a conoscenza. Persino l'umanità lotta per riuscire a vivere e la causa di questa continua lotta è sempre l'uomo stesso, di qualsiasi cosa si parli. Sappiamo che è così. La Terra combatte, sempre, per sopravvivere all'uomo. Cercate di pensarci ogni tanto, non date per scontato nulla o, come per ogni cosa si faccia e si pensi "dandola per scontata", sarete cechi.

Link:
Il Teatro dell'Aria - website
Il Teatro dell'Aria - fb

giovedì 11 agosto 2016

eVentiVerticali e "Wanted": tutti con gli occhi verso il cielo

"Wanted" è solo uno dei tanti progetti, dei tanti spettacoli ideati da Luca e Andrea Piallini con eVenti Verticali. Se assisterete a questo spettacolo sappiate che vi ritroverete a godere di una storia tridimensionale, acrobatica e teatrale, in verticale. In verticale proprio come il nome della compagnia teatrale suggerisce, poiché è così che i due fratelli e tutti coloro che lavorano a questa serie di spettacoli hanno scelto di intrattenere il proprio pubblico, raccontando tra recitazione e acrobatica delle storie sospese nell'aria, sconvolgendo quello che è il senso di gravità "normale". Voi sarete lì, con il naso in su, persi nella storia, nella tridimensionalità e nella naturalezza con cui questi due artisti stanno in orizzontale, usando come palcoscenico edifici, torri e chi più ne ha più ne metta. "Wanted", come può far ben intuire il titolo, è una continua corsa, una fuga, comica ma anche poetica, giocosa ma anche seria – non seriosa attezione – per la bellezza che da' vedere la dimensione del gioco e poi il senso di libertà del volo, tra montagne e oceani. Un video game, un corto, un viaggio in volo e poi la storia, quella che fino alla fine tiene lì, incantati, in quella dimensione di stupore e meraviglia tipica del bambino.

"eVenti Verticali nasce ad Ossi (SS) nel 2006 da un'intuizione dei forlivesi Luca e Andrea Piallini che, dopo aver seguito percorsi differenti, l'uno teatrale, l'altro circense, si ritrovano in Sardegna assunti dalla medesima compagnia. Alla fine del 2006, dopo alcune esperienze di danse escalade (Antoine le Menestrel, Wanda Moretti,...), giunge l' ”intuizione verticale”: fondare una compagnia che lavori solo ed esclusivamente sulla ricerca di un nuovo linguaggio teatrale per spazi verticali, che riunisca diverse discipline spesso legate alle nuove tecnologie che proiettino i loro saperi su questo nuovo luogo teatrale che è lo spazio verticale. Le pareti allora diventano pavimenti, palchi per danzatori, attori, performer della musica, del video e della scenografia. Palchi su cui camminare come fossero pavimenti, spazi nuovi da rileggere e rifunzionalizzare per poi restituirli al pubblico come nuovo luogo del teatro. eVenti Verticali studia l' “inganno prospettico”, quella caratteristica capacità di catturare e confondere l'attenzione dello spettatore il quale, guardando l'attore in sospensione, dimentica la corda stravolgendo la sua percezione di orizzontale/verticale." (www.eventiverticali.com)

ph Karol Stanczak
Non c'è miglior modo per descrivere questo progetto. Gli spettacoli ideati e portati in scena dalla compagnia eVenti Verticali sono numerosi; la loro storia è nata pian piano, cresciuta sempre più, fino ad essere riconosciuta in tutta Italia e all'estero. Quando personalmente ho assistito, con mio marito e alcuni amici, allo spettacolo "Wanted" - presso la Torre Civica di Verolavecchia (Bs) – questi due signori erano appena tornati dalla Corea, tanto per dirne una.

Oltre al link sopraindicato (ill sito ufficiale, sempre aggiornato), vi propongo un video che può farvi meglio comprendere quanto siano straordiari questi artisti. Lo spettacolo in questo video è appunto "Wanted", portato in scena negli ultimi anni dalla compagnia.

Oltre agli spettacoli precedenti, c'è sempre in elaborazione e in evoluzione qualcosa di nuovo, dunque vi invito sinceramente a seguire il sito e a documentarvi. Se sentirete il nome "eVenti Verticali", nella vostra zona o in una zona per voi raggiungibile, non perdete l'occasione di andare a vederli. Nemmeno vi accorgerete del tempo che passa e solo alla fine, dopo qualche minuto dal termine dello spettacolo, tornerete a uno stato di gravità... "normale"?

 Wanted" by eVenti Verticali from eVenti Verticali on Vimeo

Dopo questo bellissimo video un ultimo invito: chi di voi dovesse aver già assistito a un loro spettacolo, può scrivere qualcosa riguardo alle proprie sensazioni, un commento, una frase, cliccando qui e sostenendo così questi fantastici artisti, la loro dedizione, passione e originalità.

Per la pagina facebook:
eVentiVerticali - fb

domenica 24 luglio 2016

La storia del cinema (parte 3): il cinema comico con Keaton, Laurel e Hardy, Lloyd e Langdon

Buster Keaton
Parte tre. Il genere comico. Fino a un certo punto, per una decina d'anni, il riferimento per questo genere in America è stato Mark Sennet, che ha fatto scuola a molti attori e registi. Verso la fine degli anni dieci però, hanno cominciato ad affermarsi comici caratterizzati da una maggiore indipendenza creativa, che sostanzialmente hanno messo le basi per un nuovo cinema comico, fiorente con l'arrivo degli anni venti. Se con la scuola di Sennet la comicità si basava più sull'aspetto esteriore, con la nascita di questa nuova comicità si è giunti all'approfondimento dei personaggi, che avevano ora una dimensione umana e psicologica. Da quel momento in poi quindi, i comici iniziarono a rappresentare le varie sfumature degli esseri umani, dall'ironia agli atteggiamenti e alle situazioni grottesche, dalla satira al puro semplice divertimento. Questa evoluzione, già presente in Chaplin, si fa sempre più strada con Buster Keaton, un attore particolare, caratterizzato da un'espressione stralunata e un po' triste, famoso per la sua "mimica" e per il suo talento acrobatico nelle gag. Egli fu anche regista e sceneggiatore ed è stato un personaggio fondamentale nel cinema comico americano. 

Stan Laurel e Oliver Hardy
Accanto a lui, l'eterna coppia costituita da Stan Laurel e Oliver Hardy, con i quali la staticità delle situazioni consente poi lo sviluppo di una comicità che si basa proprio sull'attesa delle azioni e delle contro-azioni dei protagonisti. Questa coppia ha lasciato un segno indellebile nella storia del cinema, erano unici ed unica era anche la loro grande ed eterna amicizia. Hanno girato insieme ben centosei film e negli anni d'oro avevano una media di sette/otto film all'anno. Oliver dichiarò: "Il mondo è pieno di persone come Stanlio e Ollio. Basta guardarsi attorno: c'è sempre uno stupido al quale non accade mai niente e un furbo che in realtà è il più stupido di tutti. Solo che non lo sa." I personaggi da loro interpretati erano ben definiti e sempre esilaranti. Nella semplicità assoluta, nella "normalità" per così dire, felice o meno che fosse, riuscivano sempre a lasciare la loro impronta. E' veramente difficile descrivere Stanlio e Ollio e la loro storia a qualcuno che non li conosce o non ha mai visto uno dei loro film, perciò invito i più giovani, magari quelli che di fronte a un film vecchio cambiano canale a priori, a non farlo, a soffermarsi quando capita che vengano trasmessi in tv e se ne hanno voglia ad approfondire. Hanno fatto talmente tanto che è impossibile riassumerlo in poche righe. La loro storia nel cinema, durata dal 1921 al 1951, cominciò a declinare soprattutto per questioni personali, familiari e di salute, ma la loro amicizia e il loro spirito comico rimasero intatti fino alla fine. Quando Hardy si spense, nel 1957, a seguito di un infarto e due ictus che lo portarono al coma, Laurel ne rimase seriamente sconvolto e anche a livello artistico, per rispetto all'amico, decise di non partecipare a nessun altro film. Era stato accanto a lui in ogni istante, fino all'ultimo. Nel 1961 venne consegnato a Laurel il Premio Oscar alla carriera, momento che purtroppo Hardy non poté vivere, così come non poté vedere la nascita di un nuovo interesse nei confronti dei loro film da parte delle nuove generazioni. Quando, nel 1963, il regista Stanley Kramer propose a Laurel un cameo in un suo film, lui rifiutò, . Nel 1965, Laurel venne a mancare e sul punto di spirare ancora riuscì a mantenere il suo spirito ironico e comico, tanto che da rivolgere all'infermiera che lo assisteva la sua ultima gag: "Mi piacerebbe essere in montagna a sciare" e l'infermiera gli chiese: "Le piace sciare, sig. Laurel?". "No, lo detesto, ma è sempre meglio che stare qui.". Lo stesso Keaton riconobbe il loro la coppia più divertente di sempre. 

Buster Keaton
E tornando a parlare proprio di Buster Keaton, pseudonimo di Joseph Francis Keaton, egli ebbe una carriera – iniziata nel 1917 – di appena un decennio, ma già dopo tre anni dal suo esordio fu considerato uno dei maggiori comici americani. La sua carriera fu dunque breve, ma folgorante. I film di Keaton erano ricchi di gag divertenti, molto apprezzate dal pubblico, tanto che i suoi film, anche a livello di incassi erano sempre in posizioni molto alte. Anche quando Keaton non lavorò più a pieno regime, una sua apparizione, un piccolo cameo, davano ai film un tocco speciale. Nonostante il successo con il pubblico fosse ampio, in realtà Keaton non fu capito seriamente da molti, ma solo da una ristretta cerchia di ammiratori. Veniva chiamato "l'uomo che non ride mai" e la sua comicità sembrava essere apparentemente distante dalla realtà quotidiana degli spettatori. In realtà, la sua mimica, facciale e corporea, il suo approccio alla comicità, erano volontariamente uno specchio deformato proprio della realtà circostante. Il suo "non ridere" venne percepito perlopiù come una costante del personaggio, ma in realtà, osservando bene i suoi lavori, chi più era attento poteva percepire nelle sue espressioni, nei suoi grandi occhi, tanta vita e molteplici sentimenti, la realtà deformata dalla fantasia, ma pur sempre realtà. Altri due comici noti negli anni venti furono Harold Lloyd e Harry Langdon, entrambi attori, registi e produttori cinematografici, molto diversi tra loro ed entrambi stelle del cinema muto di quegli anni. Lloyd approdò, a differenza di Langdon, anche al cinema sonoro, ma l'affacciarsi di una nuova generazione di comici e commedianti, di nuove espressioni, portò entrambi a ritirarsi dalla scena. Nel 1952, Lloyd fu premiato con un Oscar alla carriera per essere stato "un maestro della commedia e un buon cittadino". La comicità di Sennet e delle slapstick si era dunque modificata durante gli anni venti, si erano creati personaggi con caratteristiche precise e il cinema comico era maturato, diventando poi un pilastro del sistema cinematografico. In contemporanea allo sviluppo e alla crescita del cinema comico/ commedia, vi fu una grande produzione di film animati, essenziali sia nel cinema muto che nel sonoro. Questa però, è un'altra storia... alla prossima!

venerdì 15 luglio 2016

Rinaldo Donati: "La meraviglia si grida e si tace"


El coche - Rinaldo Donati
"Some say that we're reckless./ They say we're much too young./ Tell us to stop before we've begun./ We've got to hold out till graduation./ Try to hang on Maxine." Questi versi sono tratti da "Maxine", un prezzo di Donald Fagen, dall'album "The Nightfly" (1982). "Alcuni ci dicono che siamo spericolati, dicono che siamo troppo giovani. Ci dicono di fermarci ancor prima d'avere iniziato. (Che) Dobbiamo aspettare fino alla laurea. Provo ad aggrapparmi a Maxine." Questo tratto di "Maxine" è la prima cosa che salta all'occhio sul sito www.maxine.it di Rinaldo Donati, fotografo e musicista, che tra poco, qui sotto, potrete conoscere un po' di più. L'album di Fagen era un concept album autobiografico, in cui sostanzialmente lui ripercorreva la sua giovinezza e Maxine, il suo primo amore, è raccontata nel pezzo per come allora vedevano il mondo, con nostalgia e probabilmente con gratitudine perché quelli erano gli anni della scoperta, dello stupore, della meraviglia per il mondo e della curiosità nei confronti della vita e del mondo stesso. Per Donati il nome "Maxine" è diventato simbolo della propria visione della vita. Nel parlarne, Donati esprime un'intepretazione del pezzo e di come lo ha vissuto. "E' come il piccolo principe [...]. I bambini sono la luce del futuro, per essere così prossimi al massimo livello di creatività per il quale un legnetto diventa una vera astronave, quindi Maxine è la mia isola, non di separazione ma di salvezza." Le migliori parole per farvi capire chi è Rinaldo Donati, sono proprio le sue perché "entrare nelle sfumature e nei chiaroscuri è il senso della sua vita" e la cosa va oltre la fotografia, oltre la musica, poiché oltre è la sua visione, uno stile di vita, appunto. "Sono un uomo in viaggio che esprime un ideale di bellezza attraverso la musica e le arti visive" dice Donati e si descrive come "un compositore e un fotografo". "L'uno vive nell'altro. [...] Sono attratto dagli spazi ampi, dalle forme seducenti e dai volti che, come gli oggetti che ci guardano, vivono sul confine misterioso fra realtà e immaginazione. Così quello che vedo e sento diventano una cosa sola, musica e immagine. L'una contiene sempre l'altra. Amo la musica dal linguaggio complesso e un certo tipo di musica pop, ma mi entusiasmo per lo stridore di una locomotiva di inizio secolo." Il progetto fotografico e quello musicale si uniscono nel live. Simple, il suo progetto musicale/d'arte visiva e i musicisti che con Donati prendono parte al progetto, suonano con lui improvvisando – perlopiù – una colonna sonora per le immagini che vengono proiettate in ordine casuale sugli schermi. L'invito al pubblico è quello di provare a farsi trascinare, nella musica e nelle immagini, perché in ogni sequenza, in ogni fotografia, in ogni accostamento, c'è una storia da poter immaginare. Personalmente ho avuto la fortuna di poter visitare la mostra fotografica in contemporanea alla performance musicale e d'arte visiva del progetto Simple, dunque in quel caso la mostra è stata visitabile durante, prima o dopo il live stesso. La mostra fotografica appunto, si chiama "Grace Roule Hot" ed è allestita in una piccola roulotte, simbolo del viaggio. La liaison linguistica fa intendere la volontà di guardarsi attorno, di guardare il mondo e osservare, le grandi cose e i piccoli dettagli, la Grazia della Bellezza. Il calore della vita e della vitalità fanno da contorno a questa visione alla quale il visitatore può approcciarsi attraverso microfotografie e lenti speciali per osservarle. Non posso aggiungere altro, se non proporvi la nostra chiacchierata e presentarvi di conseguenza la visione artistica di Rinaldo Donati. Dunque, buona lettura...

Mi pare di aver compreso - visione che adoro - che sono più le immagini a catturare te, piuttosto che tu a catturare le immagini... giusto?

Cachinho - Rinaldo Donati
"Le foto più belle sono quelle nel ricordo degli occhi, così come la musica più alta non è quella incisa nei dischi ma è quella che volteggia nell’aria. Così le immagini si colgono nell’incontro casuale, all’incrocio di una via, uno sguardo, sono loro che decidono di concedersi mentre le cerchiamo per fermarle. Adoro scattare foto con il grand’angolo dove tutto è convesso, spaziale come in un grande abbraccio al mondo, ma per una questione metrica significa addossarsi molto al soggetto invadendo il suo spazio privato e può diventare complicato, quasi aggressivo, come un furto. Con un teleobiettivo, da lontano, è molto più semplice ma non c’è prospettiva quindi non l’ho mai usato. A volte mi diverto a scattare foto molto ravvicinate fra la gente, per strada e succede che, per come le persone stesse si muovono, si compongono il movimento, la luce e gli spazi. Le foto progettate, luci, riflessi e posture non mi interessano... così come quelle che ritraggono la realtà esattamente com’è : per quella ho già i miei occhi … cerco la meraviglia."


Nativa - Rinaldo Donati
Cos'è per te la Bellezza? E cos'è Poesia?

"Entrambe sono gratitudine, come senso di appartenenza al mondo, una forma di dovere."

Ti capita mai di sentire, dentro di te, le fotografie che scatti o la musica che crei, come se vivessero di vita propria? hai mai questa sensazione nel rivedere le immagini o nel sentire la musica che tu e i tuoi musicisti state improvvisando? O per tentare di esprimermi al meglio: essendo il tuo un progetto che comprende diverse arti, musica, fotografia che diventa ed implica nella performance l'arte visiva... come senti tutte queste cose? ti perdi tu stesso in quel viaggio ogni volta? 
 
Il granchio
"La musica e le immagini vivono sempre di vita propria ancor di più quando non sono preordinate o non esiste il controllo .. sono un po’ come la vita che decide per ognuno di noi e tutto è sempre perfetto anche quando stride. Non è così semplice perdersi perché per riuscirci bisognerebbe aver raggiunto una meta molto alta, di simbiosi fra suono e non pensiero… percorriamo una strada. Per il pubblico può essere più semplice rispetto a noi che siamo nell’azione del suono; il pubblico può abbandonarsi ai simboli e appunto al gioco creativo dei suoni."

Mentre suoni, sei realmente consapevole di quel che sarà? non a livello pratico di quel che stai facendo ovviamente, ma a livello sensoriale, di percezione tua e del pubblico e... le immagini, alle quali tu stesso ogni volta ti approcci in modo diverso in qualche modo, a seconda della casualità in cui sono proiettate (e i tuoi musicisti con te)... immagino tu le senta e le viva in modo diverso rispetto a quando le hai scattate... è così? 
 
Tremzinho - Rinaldo Donati
"C’è un software appositamente progettato che invia le immagini in sequenze casuali ai proiettori, quindi ogni volta si “scrivono” storie diverse che noi stessi attraversiamo con la musica, cercando un equilibrio nel quale la musica possa diventare colonna sonora e le immagini colonna visiva della musica."

Quando vedi un paesaggio, un dettaglio, un volto, una scena di vita... avrai certamente delle sensazioni, emozioni che ti spingono a scegliere di scattare proprio in quel momento e in quel luogo. Pensi mai, una volta fatte o visualizzate le immagini, cosa potrebbero evocare - a livello sensoriale e/o emotivo - per le persone?

Bonde boy - Rinaldo Donati
"Si, mi capita di pensare cosa potrebbero evocare quando le rivedo io stesso e scopro cosa evocano in me. Ho vissuto per tanto tempo lontano dal mondo reale, immerso nella musica, in un modo solitario ed immaginario, quindi la fotografia è arrivata quando potevo comprendere il senso di vivere nel presente, nel “qui e ora”. Scattavo le foto poi le riguardavo di notte per scoprire di far parte di quell’universo di persone, di essere per quelle strade. Non sarebbe mai avvenuto con foto “realistiche” ma con questi scatti alterati ho trovato nelle immagini la traduzione visiva di ciò che nel mio immaginario vedevo con la musica quindi, oggi, i due aspetti si fondono. Non ho preoccupazioni intellettuali, mi basta fotografare la vita semplice, le forme, gli oggetti, frammenti di vite non vissute, riverberi da viaggi immaginati e credo che altre persone potranno sentirsi attratte da questa traduzione se troveranno aspetti che li riguardano, così come capita nel condividere la musica."

Come spieghi durante le performance Simple e anche sul tuo sito, le immagini non sono modificate nei colori o nelle forme facendo uso di software, bensì sono utilizzati filtri e "white setting". Ci spieghi meglio questo aspetto? ad esempio, usi filtri "manuali" sulla macchina o filtri digitali? e riguardo al bilanciamento del bianco, lo fai attraverso strumenti digitali appunto o - per così dire - da artigiano?

Sombras - Rinaldo Donati
"Posso spiegarlo … ma non proprio svelarlo! Così come un pianoforte è accordato nel sistema temperato, la macchina fotografica chiede parametri di bianco per restituire i colori di tutta la gamma cromatica. I miei scatti nascono nella combinazione di filtri e riferimenti “white/bianco” completamente fasulli. Questi riferimenti sono passe-partout - chiavi diverse del bianco - né avrò costruiti una cinquantina ma ad oggi me né funzionano una mezza dozzina e portano la macchina ad avere buchi cromatici. Questo fa si che, per strada, prima di uno scatto, in combinazione con la luce e il “senso” del luogo io indirizzi la macchina verso “tonalità relative”. Bronzo, gamma degli arancioni, verde bianco, argenti, pirite .. in combinazione con lenti fortemente convesse ne esce un mondo parallelo che mi affascina. Quelli sono i negativi, nessun edit dopo lo scatto."

Nella sezione dedicata proprio ad alcune delle tue immagini, appare evidente la scritta "The truth is out there", dunque "La verità è là fuori". Anche questa frase, come spesso accade nelle espressioni artistiche, è interpretabile in diversi modi, un po' come il viaggio che tu proponi con i Simple. Cosa però, vorresti trasmettere tu con questa frase?

Indian Love Call - Rinaldo Donati
"Credo che il senso ultimo stia sempre nascosto dietro le cose. Il viaggio da soli in luoghi sconosciuti è l’occasione perfetta per osservarci ed osservare dunque il cambiamento. La nostra crescita, la nostra libertà... sono in mezzo alla gente, fuori per le strade."




Come è nato il nome "Simple" per il progetto musicale e visivo che proponi con i tuoi musicisti?

Lou - Rinaldo Donati

"Simple è un occasione per giocare, un “luogo”, anche per il pubblico per entrare nel proprio spazio creativo. Nella creatività c’è il senso dell’uomo e non sta nella chitarra o nella scatola di colori in sè, bensì è un attitudine da coltivare fermando il turbine dei pensieri, così come un bambino trasforma un legnetto in un astronave." La musica da sola sembra non bastare più, oggi siamo accellerati, la mente si distrae e diventa impossibile dedicare un’ora di silenzio solo per ascoltarla. Le immagini... ci riempiamo gli occhi negli schermi. Le due, insieme, possono avvolgerci e trascinarci, sta a noi lasciarci andare. Riguardo al momento di scelta del nome, beh... era notte e rientravo da un viaggio solitario in Messico con una macchina fotografica. Avevo rimesso “Chavez Ravine” di Ry Cooder e “Mulholland Falls” di Dave Grusin, che erano state la “colonna sonora” di quei giorni e rivedevo le foto che il computer inviava sullo schermo. La sequenza casuale delle immagini e del suono, mi fece rendere conto che nasceva una storia, così ho provato con altre musiche e foto di altre latitudini, altre vite, altri colori. Senza volere, mi sono accorto di come nel senso si costruissero nuove narrazioni. Un esempio? Un bimbo con lo sguardo severo, una donna che ride sguaiata, un pescespada in una pescheria, una bici caduta … ognuno ha la sua storia anche se gli scatti vengono da diverse parti del mondo. Simple è un termine che per me significa... "voglio fermare il flusso di pensiero? è semplice (simple), dovrò entrare nel mio spazio creativo, in questo caso la narrazione, il viaggio."

Spiega a chi non ha ancora avuto la fortuna di assistere alla tua meravigliosa mostra fotografica, in cosa contiste, in sostanza, la visione di queste microimmagini e il perché, anche, di questa scelta, di questa visione. 

"Grace Roule Hot, è una "mobile microphoto exhibition" (esposizione mobile di microfotografie, ndr). Pensavo a quanti uomini hanno messo la loro vita in una valigia andandosene dall’altra parte del mondo. Se volessi scoprire chi sono, nella mia metterei delle piccole foto e la musica che amo. La roulotte è una casa e molti si avvicinano ad essa con pudore, come fosse la camera da letto dei genitori. E' un mezzo "per andare", quindi, metaforicamente, il viaggio, la vita, sono in corso. La musica, che amo, è un filo nell’aria. Le lenti di ingrandimento sono la chiave dell’esposizione perché inducono gli ospiti al gioco, quindi ciò che colgono è nella loro creatività, nella leggerezza e nel non giudizio. Ho visto occhi meno colorati di fronte a foto giganti guardate da dieci metri. Avrai notato che su Grace c’è un libretto per le firme di chi passa di li: è fatto con carta da lucido, da disegno tecnico. Una firma, un commento, le frasi, traspaiono e si intravedono anche nelle pagine seguenti facendolo diventare un mondo trasparente di energia grafica e di “segni”. Osservo come ci alterniamo nella ricerca del nostro territorio o ci mischiamo come acqua scrivendo fra le firme degli altri."

Luz - Polo
Quanto è importante per te la dimensione del gioco? quanto è importante la meraviglia?

"Il gioco è la forma più alta di creatività, di concentrazione assoluta, di presenza nel qui e ora. E’ la freccia che scocca, la curva perfetta, il boomerang che ritorna è l’acqua di Marzo. La meraviglia? è l’anima del gioco, "la meraviglia si grida e si tace" (cit. Claudio Sanfilippo "La Meraviglia")."
 
Mi chiedo anche quanto, in un artista come te, siano importanti o meno, le altre discipline artistiche. Cinema, pittura, scultura... anche perché la mia sensazione è che questo progetto, consapevolmente o meno, comprenda un po' anche di queste arti. Tu che lo proponi come la vedi?

"Il Cinema è una meravigliosa forma di raccontare storie, ma di fronte ad un film lo spettatore rimane passivo, reagisce a ciò che riceve ma senza creare un percorso attivo e personale (dipende poi dall'immaginazione che una persona ha... aggiungo io - ndr). Pittura e scultura .. sinceramente non saprei."

Orologio - Rinaldo Donati
Navio na baia - Rinaldo Donati




Cosa ami di più della vita e cosa di più del mondo?

"L’immaginazione."


Danny Car - Rinaldo Donati




Se tu dovessi dare un colore e una nota a te stesso e alla tua arte, quali sceglieresti?

"Viola e Rosso Cardinale: sacro e profano. Una nota...? Re bemolle maggiore 7, che è parente del Fa minore." 

Beh, non posso far altro che ringraziare Rinaldo Donati per questa interessante chiacchierata ed invitarvi a visitare i link sotto riportati e naturalmente, se ne avete occasione, vi consiglio vivamente di andare alla sua mostra fotografica e/o ad assistere alla performance del progetto Simple.




giovedì 23 giugno 2016

Non siate indifferenti


Non siate indifferenti, perché l'indifferenza ha portato a questo e a tutto il resto. Non date tutto per scontato, non pensate che sia inutile perché l'inutilità è l'accettazione di qualcosa che non deve essere accettato. Se chi ha vissuto sulla propria pelle momenti storici difficili, con grandi lotte che ci hanno portato alla libertà, per quanto possa essere considerata relativa, fosse rimasto indifferente, in un angolo, impaurito e senza prese di posizione, noi non saremmo qui a discutere, a parlare, a scrivere, ad ascoltare musica o a protestare. Se tutti fossero indifferenti molte battaglie portate avanti per la nostra Terra nel silenzio mediatico non sarebbero state vinte. Tutti sappiamo, pochi si mettono in gioco, anche quando si tratta di cose piccole, ma così grandi, come usare un minuto del nostro tempo per fare qualcosa di buono. Continuare a restare nell'indifferenza, significa portare ai noi, ai nostri figli, ai nostri nipoti, un futuro per il quale non c'è possibilità di ritorno. Inutile protestare, pur se giustamente, sui temi d'attualità, se intorno a noi la nostra casa, la nostra Terra, si sgretola a causa nostra. E' tutto inutile, se non proteggiamo quel che abbiamo. Se abbiamo un compito certo, nella vita, è quello di custodire questo grande capolavoro che è la nostra casa, al massimo delle nostre possibilità. Non vi chiedo di diventare persone impegnate in questa lotta quotidianamente, come molte persone fanno... non è da tutti e non è nelle possibilità di tutti, ma... un minuto, un minuto del vostro tempo, credo proprio non vi costi nulla e se rimanete indifferenti, farete parte anche voi dei grandi Indifferenti del mondo, quei poteri che così tanto ci opprimono, in un modo o nell'altro, quegli esseri che sparsi per il mondo bramano solo potere e ricchezza e il cui motto è "non importa come". Dunque, non date loro una mano, fate questo piccolo grande gesto e pensateci, non dimenticatevelo, ci sono tanti piccoli gesti che si possono fare... tanti piccoli gesti che insieme diventano grandi, enormi e che possono renderci fieri e certamente migliori.

"Insegnate ai vostri figli tutto ciò che noi abbiamo insegnato ai nostri: che la Terra è la madre di tutti. Tutto ciò che capita alla Terra capita anche ai suoi figli. Sputare a Terra è sputare su sé stessi. La Terra non appartiene all’uomo, è l’uomo che appartiene alla Terra. Tutto è collegato, come il sangue che unisce una famiglia. Ciò che capita alla Terra, capita anche ai figli della Terra" (David Servan-Schreiber)




martedì 21 giugno 2016

Odissea 2016: Festa della Valle dell'Oglio, 16a edizione


Segnalo questa manifestazione per tutti coloro che possano essere interessati e che abbiano la possibilità di raggiungere le varie località coinvolte. Dal sito di Piccolo Parallelo, ecco le informazioni riguardanti questa splendida serie di spettacoli sparsi nel territorio delle province di Brescia, Cremona, Bergamo e Mantova.

"LA VITA TI SFIDA — SFIDA LA VITA

Sfida è la parola chiave di questa sedicesima Odissea. La sfida è qualcosa che vuole dimostrare, autonomamente ed "eroicamente", ciò che si ritiene ai limiti del possibile o, addirittura, al di là del possibile. Confida in qualcosa, magari di nascosto, ma che è dentro di noi, a nostra disposizione, che chiede coraggio e dedizione per essere portato alla luce. Il che poi, sul piano pratico, vuol dire compiere azioni, imprese, gesti. Questa "ODISSEA 16" racconterà di sfide. Sfide per sopravvivere o forse perché insite nella propria natura, sfide per la voglia/necessità di inventarsi un proprio mondo.

Sfide alle convenzioni/convinzioni sociali e artistiche ricordando tre grandi personaggi che a distanza di 400 anni l'uno dall'altro hanno saputo opporsi alle convenzioni del loro tempo: Frida Khalo di Annalisa Asha Esposito, Caravaggio di Piccolo Parallelo e la monaca Hildegarde Von Binghen con il concerto Lux Vivens. Sfide portate ai limiti estremi ricordando una incredibile vicenda della montagna raccontata da A.T.I.R con (S)Legati. La conferenza/spettacolo L'azzardo del giocoliere di Federico Benuzzi smaschererà i meccanismi del gioco d'azzardo. Sfida tutta artistica quelle delle Jellyfish, presenti in forma "stabile" e itinerante che con Teatro su ordinazione offriranno un loro menù artistico in più lingue. Sfide lanciate al futuro: gli adulti/bambini non potranno perdere Mattia Coti Zelati e la sua Merenda robotica per imparare a programmare un robot o Maurizio Patella con Loro. Storia vera del più famoso rapimento alieno in Italia. Racconteremo di altre piccole sfide quotidiane non meno importanti di quelle grandi, eclatanti. Come quella lanciata alla legge di gravità che gli eVenti Verticali sfideranno con Wonted il primo spettacolo del festival ancora una volta in verticale

Piccolo Parallelo sarà presente con tre serate: lo spettacolo Caravaggio ... i furori che celebrerà il ventesimo anno di repliche offrendo ai primi cento spettatori alcune gocce del profumo "Caravaggio" creato da Laura Tonatto (fra le più rinomate profumiere del mondo) in occasione della presentazione dello spettacolo al Museo Hermitage di San Pietroburgo; un reading di L'aria veloce del nord ultima recente scrittura di Enzo Cecchi, che sarà anche la guida/celebrante del Respiro del Fiume — Variazioni di matrimoni sulle acque. La vaganza notturna dentro e lungo l'Oglio che unirà i partecipanti in un ideale sposalizio con l'acqua e aprirà il festival sabato 18 giugno.

Complessivamente 17 appuntamenti in 14 Comuni che coprono le 4 Province bagnate dall'Oglio. Questa 16a edizione di Odissea gode del patrocinio della Regione Lombardia e delle Province di Brescia, Bergamo, Cremona e Mantova. E' realizzata grazie al contributo di 10 Comuni: Borgo San Giacomo, Chiari, Orzinuovi, Palazzolo, Pumenengo, Roccafranca, Rudiano, Torre Pallavicina, Verolavecchia, e grazie al Parco Oglio Sud i Comuni di Ostiano, Commessaggio e San Martino dall'Argine. Altri ancora, Soncino e San Paolo, ospiteranno appuntamenti grazie al Parco Oglio Nord e ad alcuni sponsor privati. Vi aspettiamo dunque, ancora una volta per questa nuova sfida.

Marco Zappalaglio — Enzo Cecchi"


venerdì 17 giugno 2016

La storia del cinema (parte 2): dalla nascita del divismo a Chaplin e von Stroheim

Rodolfo Valentino

Eravamo rimasti ad Ince, Sennett e Griffith, i primi tre grandi del cinema e... agli anni dieci, con relativi sviluppi, innovazioni e nascita di generi cinematografici, tra i quali il western americano. Dunque ora il passo successivo: nei primi anni della Grande Guerra. In quegli anni Hollywood si consolidò del tutto a capitale mondiale del cinema, grazie a una base finanziaria solida, vasti canali di distribuizione, miriadi di artisti, tecnici, attori e produttori che contribuirono a rendere il cinema americano tipico e ben distinguibile e grazie a una prestigiosa organizzazione tecnica che faceva la differenza, insieme a tutti gli altri aspetti sopracitati. Negli anni dalla fine della prima guerra mondiale sino alla crisi del '29, si trovò nel cinema americano uno specchio della realtà nei suoi molteplici aspetti e due artisti, in particolare, fecero la differenza: Eric von Stroheim e Charlie Chaplin, i migliori allievi – rispettivamente – di Griffith e Sennett. I due iniziarono a creare quelle che poi sarebbero state e rimaste nel tempo le migliori opere del cinema americano degli anni '20. La struttura artistica e produttiva americana di stampo hollywoodiano si impose con il marchio di fabbrica di grandi case cinematografiche come la Fox, L'Universal, la Paramount e la First National, che fin da allora furono sinonimo di qualità. Nacquero in quel periodo, i primi divi del cinema. Il divismo era frutto del crescendo di una realtà che sempre più diventava per il pubblico un mondo a se, lontano dalle leggi comuni della società. Il pubblico non distingueva più, così, la realtà dalla finzione, la vita privata degli attori da ciò che era solo frutto del lavoro artistico. La vita e l'arte di apparteneva a questo mondo, si fondevano in un'unica dimensione dell'esistenza. Gli spettatori che affollavano le sale riversavano le proprie preoccupazioni, le proprie angosce e speranze, nel sogno che lo schermo poteva dare agli occhi e al cuore a poco prezzo e la stabilità, la libertà che avevano i registi, gli attori, i produttori, permetteva al grande cinema di distinguersi dalle produzioni fatte solo per "il consumo"; potevano essere così affrontati argomenti d'ogni sorta, c'era una grande varietà di generi e potevano essere affrontati argomenti anche profondi e attuali. Fin da allora poi, nacquero due tipologie di "divo" o "diva". Per intenderci, attori quali Douglas Fairbanks (eroico e cavalleresco) e la moglie Mary Pickford (chiamata anche "la fidanzatina d'america", "la piccola Mary" ed altri appellativi simili) rappresentavano "i buoni" e divennero modello di un certo tipo di americanismo, sia in patria che all'estero, che portò loro grande un grande successo, anche al di là delle loro reali capacità di attori. Furono la prima coppia celebre del cinema americano. Fairbanks era vitale, simpatico, acrobatico e pur se non fu un grande attore, aveva tutte le qualità per essere, appunto, un divo, un personaggio che incarnava il mito dell'autoesaltazione come strumento del successo. La moglie, dal canto suo, fu anche produttrice e fondatrice dello studio cinematografico United Artists e una dei trentasei fondatori dell' Accademy of Motion Pictures Arts and Sciences. Al divismo "buono", considerato "educativo" e che poteva essere "d'esempio agli spettatori", si contrapponeva il divismo "trasgressivo", quello scandaloso, provocatorio, di attori quali Theda Bara e Rodolfo Valentino. Theda Bara fu la prima "vamp" (termine che deriva tra l'altro da "vampire", non a caso). Venne portata al pubblico come la donna tentatrice, la donna fatale e perversa che si diverte a rendere gli uomini suoi schiavi per poi liberarsene una volta conquistata la loro adorazione. Il tutto palesemente progettato, fin dal nome d'arte, fin dal primo ruolo secondario con il quale venne lanciata dalla Fox: un melodramma, "La vampira" (1915), attraverso il quale nacque per l' appunto il suo pseudonimo di Theda Bara, anagramma di "Arab Death". Immagini conturbanti in abiti egizi, contornate da ragnatele e serpenti. Ecco come è nata la "cattiva ragazza" del cinema di quei tempi. E Rodolfo Valentino? Beh, anche chi non è un grande appassionato di cinema, almeno una volta nella vita avrà sentito dire qualcosa che lo riguarda. Ancora oggi è considerato il divo per eccellenza. Latino, passionale, non il "cattivo" in realtà, quanto piuttosto l'uomo fuori dai canoni del tempo, il primo vero sex symbol, il "Latin Lover", con qualità recitative e uno stile inconfondibile ammirato da tanti grandi del cinema, tra i quali anche Charlie Chaplin. Bello e provocatore, ballerino eccelso e grande attore, venne ben presto consegnato alla leggenda come "il divo insuperabile". Il marchio di fabbrica hollywoodiano, con la sua adattabilità di temi, la sua qualità palesata, la sua meccanizzazione a livello di "industria cinematografica", si considera essere stata rappresentata al meglio dal regista Cecil Blount De Mille che passò da opere drammatiche a film passionali che diedero il via alla "commerdia libertina" e posero le basi per i successivi "anni folli", per poi occuparsi di western ed altri temi leggeri e ricambiare, ancora, proponendo "I Dieci Comandamenti", un film biblico di grande spettacolarità, senza lasciare da parte però le sue produzioni drammatico-passionali. Il cinema di De Mille porta gli spettatori, in ogni caso e al di la' delle tematiche trattate, fuori dalla realtà; ipnotizza il pubblico, addirittura troppo preso dalle immagini che scorrono, per poter avere il tempo di riflettere sulle tematiche che gli vengono proposte.

Charles Spencer Chaplin
Charles Specer Chaplin. Anche lui si affermò negli anni dieci. Iniziò dal teatro - come anche altri del resto – e giunse al cinema muto nel 1914, lavorando per Sennett. Con il cinema poteva finalmente dar libero sfogo a tutto ciò che il teatro, per tempi e spazio, non poteva consentire. Il personaggio che lo rese celebre, Charlot, ebbe una sua evoluzione, fino al perfezionamento raggiunto dall'attore nel 1915, quando Chaplin smise di lavorare con la Keystone di Sennet e firmò un contratto con la Essanay che gli permetteva di scrivere e dirigere i propri film. In questo passaggio la comicità esteriore si fa più profonda e porta al personaggio quella velata amarezza che non vuole nascondere gli aspetti più negativi della società e della realtà. Nel 1916 Chaplin passa alla Mutual e con questa casa di produzione il personaggio di Charlot perde totalmente il carattere della "macchietta". La poesia di Chaplin non ha più limitazioni e diventa simbolo di contestazione verso il sistema borghese e capitalistico, non si tratta più di sola satira di costumi e umorismo, bensì di un personaggio che ha le sue radici nel giudizio della società e della politica, un personaggio ideologico che mette in risalto tutte le contraddizioni di quei sistemi che contesta. Chaplin non smette mai di far evolvere il suo personaggio e successivamete, pur mantenendo lo schema del film comico e pieno di gag, il sentimento prende il sopravvento, il nucleo del dramma non è solo la solidutine di Charlot e la critica, la satira, prendono forme umanamente più dolci, nonostante non manchi mai, in ogni caso, l'accenno alla critica stessa. Charlot si raffina nel tempo anche dal punto di vista stilistico e pur mantenendo come base la mimica del personaggio, lo spessore psicologico del personaggio si fa sempre più nitido, le tecniche espressive sempre più fini e si arricchiscono così anche le ambientazioni e la tempistica, che diviene sempre più ritmata e scorrevole. Con l'arrivo della crisi del 1929 Charlot riacquisisce le sue caratteristiche principali, con opere comico-politiche di stampo chiaramente satirico (v. "Tempi Moderni", 1936). Trovandosi nel mezzo della prima e della seconda guerra mondiale, Chaplin riesce con le sue opere a concludere il ciclo di tutto il lavoro precedentemente proposto con il personaggio di Charlot. Nell'alta tensione internazionale degli anni appena precedenti al '40, progetta una continuazione del personaggio che si rivelerà poi con l'uscita de "Il dittatore" (1940), la prima esperienza di Chaplin nel cinema sonoro. Nel 1947 esce "Monsieur Verdoux" e il personaggio di Charlot è sostituito appunto dal sig. Verdoux: cinico, egoista, avventuriero e cattivo, Verdoux è il simbolo della perdita dei valori morali dell'umanità, amarissimo ritratto di un mondo in cui l'interesse dei singoli o di un gruppo prevale su qualsiasi cosa, un mondo in cui il delitto è diventato solo un mezzo del potere, giustificabile, per gli assassini, come se nulla fosse. Nei periodi successivi escono film legati alle esperienze personali di Chaplin ("Luci della ribalta", 1952 - "Un re a New York", 1957 e "La contessa di Hong Kong", 1967). "La contessa di Hong Kong", tra l'altro, è l'unico film da lui creato e diretto in tempi recenti, in cui egli stesso non appare come attore, il suo unico film a colori e l'ultimo film della sua incredibile carriera di attore e produttore. E' un film in cui i protagonisti sono la nostra meravigliosa ed eterna Sophia Loren e il grande, memorabile, Marlon Brando. Da sottolineare inoltre, è che Chaplin è sempre stato anche il creatore delle musiche presenti nelle sue produzioni. Un artista a tutto tondo, che è stato e rimarrà sempre unico, conosciuto da tutti ma non abbastanza (nei tempi d'oggi) è diventato modello difficilmente superabile di arte pura, leggera e brillante, senza sconti e in continua fase di trasformazione, proprio come il mondo che lo circondava. In una posizione di unicità, rispetto allo sfondo delle produzioni hollywoodiane.

Per quanto riguarda invece la storia professionale di Eric von Stroheim, si parla di un uomo fortemente influenzato dal fascino che aveva, rispettivamente, per il mondo aristocratico e per quello militare. Figlio di un cappellaio viennese ebreo, egli si ritagliò inizlamente ruoli da "rampollo aristocratico", ebbe poi molti ruoli in cui interpretava ufficiali di vario grado dell'esercito americano e, durante la seconda guerra mondiale, diversi furono anche i ruoli in cui interpretava ufficiali nazisti. Il suo stile e il suo carattere rigido si adattavano bene a ruoli duri e divenne così, in quel periodo, la rappresentazione cinematografia del cattivo per eccellenza. Alcune scene da lui intepretate come soldato tedesco, tra l'altro, suscitarono grande scalpore e sdegno nell'opinione pubblica. Questo però era il suo ruolo. In un' America oramai in guerra, egli doveva portare al pubblico l'immagine del cattivo contro il quale il Paese stava combattendo. Stroheim fece molta fatica ad iniziare la carriera di attore, anche se poi, tra altri e bassi, fu interpete di molteplici pellicole. Quando poi si dedicò alla creazione e alla regia (una volta finita la guerra e con la fine delle richieste di attori che interpretassero quel tipo di ruoli), riscontrò sempre grossi problemi con i produttori, poiché era tanto pignolo, duro e maniacale si può dire, da metterci ore ed ore ed ore già solo per girare una scena di apertura. Questo lo screditò parecchio naturalmente, poiché i suoi lavori da regista risultavano troppo lunghi e costosi, ache se essendo a corto di offerte talvolta riuscì a risollevarsi con lavori più adatti al cinema hollywoodiano, per poi ripiombare nelle problematiche con i produttori una volta riottenuta carta bianca. Per intenderci, uno dei suoi lavori, arrivò a durare otto/dieci ore e fu integralmente proiettato una sola volta in forma privata, per poi essere tagliato dai produttori fino a una durata di due ore e rivenduto come film di serie B (cosa che ovviamente non fece piacere al suo creatore, ma appunto, questo suo modo di girare, fu in sostanza la sua rovina come regista). Dopo diversi tentativi di proporre questo suo anomalo ma allo stesso tempo geniale e titanico stile, si dedicò di nuovo solo alla recitazione e negli anni ebbe ruoli talvolta nella scrittura di sceneggiature o altri lavori come il tecnico, l' aiuto regista ecc... E' stato definito in sostanza un altro grande della storia del cinema, capace di creare capolavori riconosciuti quali "Rapacità", nel quale realismo e mertafore visive si fondevano in un'unica cosa, con la ricostruzione scenografica in studio, tra l'altro, di un'intera strada di San Francisco dell'ottocento, curata nei minimi dettagli. Usando, a differenza della gran parte dei registi americani del tempo, la profondità di campo, egli creò sfondi ricchi di dettagli, meno facili da accogliere per lo spettatore ma più ricchi di significati diversi tra loro, anche contrapposti a quelli portati dalle immagini in avanpiano. Nel 1955, Abel Gance – regista, attore, sceneggiatore, produttore e montatore cinematografico fancese – disse di lui: "Un genio, un uomo di immense capacità che è stato messo nell'impossibilità di nuocere, costretto per vivere a fare l'attore agli ordini di registi mediocri."