Visualizzazione post con etichetta narrazione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta narrazione. Mostra tutti i post

domenica 30 gennaio 2022

Aiuta te stesso: "Ricorda che anche il David di Michelangelo, inizialmente, era un blocco di marmo"

Ricorda che anche il David di Michelangelo, inizialmente, era un blocco di marmo.
Ricorda che anche il David di Michelangelo,
inizialmente, era un blocco di marmo.

Ami scrivere, sei un aspirante scrittore o un'aspirante scrittrice? Aiuta te stesso, aiuta te stessa. Ci sono tre cose che devi avere: 1) pazienza 2) determinazione 3) tecnica. E questo discorso in realtà vale per tutti coloro che aspirano a realizzare qualcosa con la loro più grande passione; che si tratti di scrittura, di musica, di pittura o altro. Perché? Te lo spiego subito.

La pazienza è fondamentale

Devi sempre cercare il miglioramento e se non ne hai, non potrai raggiungere il risultato sperato. Non ci si può improvvisare scrittori e non è saggio pensare che basti il dono che ti è stato dato. Si può nascere con la scrittura nelle vene, così come per tutte le altre arti, ma non basta il talento. Non fare l'errore di pensare di essere al massimo delle tue potenzialità. La pazienza serve anche per attendere il momento più opportuno: a) per scrivere b) per proporsi a un pubblico. Un altro motivo per cui è importantissimo avere pazienza è che se devi catapultarti in un mondo, in questo caso quello editoriale, devi comprendere quali sono i suoi meccanismi e capire qual è la strada migliore per te. Se non hai ben presente questo aspetto, sarà come immergersi in una piscina olimpionica senza saper nuotare e senza avere un bagnino a soccorrerti.

La determinazione è il motore

La determinazione è un motore per te stesso e per il tuo obbiettivo. Prima di tutto, se non credi tu in quello che fai, non ci possono credere gli altri. In secondo luogo, la determinazione ti porta a investire tempo per raggiungere i risultati che speri, per ritagliarti degli spazi solo per te e per la tua grande passione. Anche se hai poco tempo (credimi, te lo dice una persona che ne ha veramente poco). Essere determinati non significa però "solo" crederci, significa impegnarsi davvero, perseverare sulla propria strada comprendendo quali sono i tuoi pregi e quali sono le tue limitazioni. Senza abbatterti da un lato e privo/a di presunzione dall'altro.

La tecnica e gli strumenti

Se vuoi fare il costruttore devi studiare parecchio e una volta fatto questo, devi imparare e riuscire a saper usare gli strumenti di lavoro. Ovviamente se scrivi, se fai musica, se dipingi e commetti un errore, non crollerà una casa, ma potrebbero crollare le tue speranze, la tua motivazione e potresti arrivare a pensare che "hai sbagliato tutto, sei un povero illuso". Se studi, ti impegni, cresci ed impari a usare gli strumenti su cui tanto hai lavorato, noterai un cambiamento incredibile, una maturazione eccezionale che non pensavi potesse fare così tanto la differenza.

In conclusione

Che i risultati raggiungibili siano "piccoli" (ma non sono mai davvero piccoli), "medi" o "grandi", se non fai tutto quello che è necessario per provare ad arrivare alla meta, non saprai mai dove saresti potuto arrivare. Se segui la tua strada con consapevolezza e facendoti aiutare, allora saprai di aver fatto tutto il meglio e, credimi, avrai vinto la tua sfida in ogni caso. Provaci, abbi pazienza, determinazione, tecnica. Aiuta te stesso. Aiuta te stessa.

L.A. Editing&Digital Marketing

Click here for the Facebook Page
Click here for Instagram Page

martedì 4 maggio 2021

Christopher Vogler e “Il viaggio dell’Eroe” (parte 2)

interiorità, messaggero interiore, archetipi

 La scorsa volta ci siamo inoltrati negli archetipi di Christopher Vogler e “Il viaggio dell’eroe”, prendendo in esame il ruolo del Mentore, dell’Alleato e del Guardiano della soglia, per la rubrica “Il racconto e i suoi segreti” (parte 1 nel link). Ora proseguiamo con il Messaggero.

Il Messaggero:

Il Messaggero è un ruolo che può assumere diversi significati. Si pensa, in genere, debba per forza essere un personaggio “in carne e ossa” per dirla semplice, ma in realtà può essere un “qualcuno” o “qualcosa” che porta il protagonista al cambiamento interiore. Certo, può essere un personaggio esterno a quello principale, ma c’è da tenere in considerazione anche questo altro possibile aspetto, molto importante.

Il messaggio, di fatto, può giungere da qualsiasi parte: si può trattare della melodia di una canzone, delle sue parole o di una chiacchierata fatta con un amico; può trattarsi di un discorso sentito da un estraneo, da un film che il protagonista guarda, un libro che legge, un gesto che vede fare da qualcuno per strada. Il messaggio è quel qualcosa che fa scattare nel protagonista un’evoluzione, un cambiamento interiore.

Altra funzione importantissima del messaggero è quello di dare motivazione al nostro protagonista. Facciamo però degli esempi pratici per comprendere meglio i concetti.

Nel primo caso potremmo pensare a una storia del genere e, volendo, basta una frase per esprimere “la chiamata” del protagonista”:

“Ora, come un fulmine a ciel sereno, sapevo cosa fare della mia vita. Avevo solo sedici anni, ma furono proprio quell’attimo infinitesimale e quelle immagini a farmi capire che dovevo cominciare a pensare al mio futuro e, il mio futuro, sarebbe stato l’Oceano.”

Bene, in queste tre righe inventate al momento, è evidente che il messaggero non è un personaggio, ma delle immagini che passano in tv. Il protagonista ha una sorta di illuminazione. Lì inizierà il suo cambiamento e da quel momento in poi in lui si scatenerà la motivazione per raggiungere il suo primo obbiettivo. Un altro esempio potrebbe essere quello del messaggero/ mezzo:

“Aprii la busta completamente bianca domandandomi cosa potesse essere. Ero povero in canna ed ora, davanti a me, trovavo un assegno da un milione di dollari e un numero di telefono.”

La busta, l’assegno e il numero di telefono. Mezzi per dire al protagonista in difficoltà che le cose cambieranno (in meglio o in peggio, nonostante il denaro, non si sa; potrebbe essere l’eredità di un parente sconosciuto o la tentazione di un criminale e, magari, il nostro protagonista si troverà in situazioni spiacevoli o rifiuterà, ritrovandosi magari anche con dei nemici).

Ora diversi esempi di messaggeri “fisici”, con i loro rispettivi messaggi:

“Sei troppo negativo, non si può essere così a diciott’anni, santo cielo. Non saremo mai abbastanza saggi per essere felici davvero, però ci puoi sempre provare. La felicità ha diverse forme e dovresti cominciare a prenderle in considerazione, caro mio.”

In queste righe d’esempio, una persona (amico/a, sorella/fratello ecc. ecc.) dice al protagonista una frase che lo farà riflettere. In sostanza, lo incita a darsi una mossa per provare a raggiungere degli obbiettivi o comunque qualcosa che lo porti alla sua strada e lo renda il più possibile ad essere felice.

“Alma, la tua gente non aspetta altro che te. Se non ti deciderai a prendere in mano la situazione, sarà la fine del nostro regno.”

In questo caso, una principessa, una guerriera, questa Alma che è protagonista della storia, riceve un messaggio da un altro personaggio che la incita a fare qualcosa. Esorta la protagonista ad agire, perché se non lo fa, il suo regno cadrà.

Hai intenzione di stare qui a pensare o prendi in mano quel telefono e ti informi per l’audizione? Forza! Non me ne andrò da qui fino a che non avrai alzato quella cornetta!”

In questa situazione, il messaggero da un po’ la scossa al nostro/ alla nostra protagonista che, evidentemente ha l’obbiettivo di intraprendere una carriera da attore/ attrice (ad esempio), ma probabilmente è titubante, non crede troppo in sé, dunque il messaggero gli suggerisce il passo successivo.

Albert, vai da Grace, prendi gli attrezzi e torna qui. Malcom ci aspetta per definire il piano: fai alla svelta, è meglio non farlo arrabbiare il capo. Abbiamo un colpo da portare a termine.

Questo personaggio dice al protagonista (Albert) quello che deve fare, dunque gli da un messaggio pratico, da parte del capo (Malcom) che lo porterà ad agire e compiere una serie di azioni (sino al presunto “colpo”, qui ovviamente non specificato).

Il messaggero è sempre presente in un modo o nell’altro, solo con generi diversi. Il messaggero di “Pinocchio”, ad esempio, può essere identificato con il grillo parlante che funge da sua coscienza, mentre se pensiamo ad un film, potremmo fare riferimento alla saga dei “Transformers”. Chi è, nel primo film, il messaggero che darà il via a tutto? Bumblebee! Esattamente lui, uno dei migliori amici di Optimus Prime che giunge sgangherato tra le mani di Sam.

Al prossimo articolo con gli archetipi del Mutaforme, dell’Ombra e dell’Imbroglione!

Consigliata la lettura di:
Jung, Campbell, Vogler: l’inconscio collettivo e “L’eroe dai mille volti”

Link:
Fb: L.A. Editing&Digital Marketing
Instagram: @laeditinganddigitalmarketing

martedì 2 marzo 2021

Christopher Vogler e "Il Viaggio dell'Eroe" (1)

christopher vogler

Christopher Vogler e "Il Viaggio dell'Eroe": eccoci a proseguire con la rubrica "Il racconto e i suoi segreti". L'ultima volta, infatti, ci siamo fermati proprio sulla domanda: "E Volger? Chi è? Cosa c'entra con questo percorso di cui stiamo parlando?" Per leggere l'articolo precedente clicca qui.

Christopher Vogler è uno sceneggiatore statunitense, classe '49, ancora in attività. Ha insegnato alla famosissima Università UCLA e a Hollywood ha lavorato anche con la Disney, ma ciò per cui il suo nome spicca anche in letteratura e, in particolare, nello studio della narrativa, è il saggio "The Writer's Journey: Mythic Structure For Writers". Letteralmente il titolo sarebbe traducibile in "Il diario dello scrittore: strutture mitiche per scrittori" ed è stato poi tradotto in italiano con il sopracitato titolo "Il Viaggio dell'Eroe".

Partendo dagli studi di Joseph Campbell, Vogler ha elaborato degli archetipi narrativi e ha racchiuso nel suo saggio, utile al cinema (suo ambito lavorativo) quanto alla scrittura, le principali funzioni degli stessi e la struttura base della loro evoluzione.

Al di là del fondamentale elemento dell'Eroe, protagonista della storia, i sette archetipi individuati dall'autore sono i seguenti:

- il Mentore (o Vecchio Saggio)
- l'Alleato (o gli Alleati)
- il Guardiano della soglia
- il Messaggero
- il Mutaforme (Shapeshifter)
- l'Ombra (Shadow)
- l’Imbroglione (Trickster)

Questi archetipi, va ricordato, non sono ruoli fissi assegnati a un determinato personaggio, ma funzioni che definiscono gli stessi a seconda dei contesti, della storia, dello scopo della nostra narrazione. Un personaggio che in prima battuta ha avuto la funzione di Mentore, può anche essere un Messaggero in altri contesti, così come un Guardiano potrebbe anche fare da Mentore, in alcuni casi.

Il Mentore:

Il Mentore è una figura chiave sia nella narrazione scritta che in quella cinematografica ed è un archetipo estremamente versatile, nelle caratteristiche e per le sue modalità di inserimento nella struttura narrativa. Possono, tra l’altro, esserci più Mentori in una stessa storia, anche se generalmente quello principale è uno e si distingue da altri eventuali.

Se dovessimo pensare a un Mentore della letteratura classica, dovremmo subito volgere lo sguardo alla Divina Commedia. Dante, infatti, ha scelto Virgilio come proprio Mentore nel percorso che deve intraprendere tra Inferno e Purgatorio, per arrivare al Paradiso nel quale però egli non potrà proseguire. Fatto è che Virgilio porta Dante a portevi accedere. Virgilio guida Dante, lo consiglia, gli fa notare cose che da solo non avrebbe notato, gli insegna come muoversi attraverso gli scenari e lo aiuta anche a comprendere molte più cose di sé stesso e del mondo (e dei mondi) che lo circondano.

Questo accade anche in tantissime avventure moderne e così funziona anche per gli altri archetipi. Sempre parlando di mentori, potremmo pensare al personaggio di Silente nella saga di Harry Potter, ad Alfred nelle avventure di Batman, al Grillo Parlante di Pinocchio!

Come dice la parola stessa, il Mentore è una guida, è colui che insegna all'Eroe come dare il meglio di sé; lo aiuta a sciogliere dubbi e paure e lo spinge verso l'avventura (tecnicamente si passa dunque dal mondo ordinario a quello straordinario). L'Eroe, sotto la guida del suo Saggio, inizia ad evolversi, cambia e cresce.

Da precisare, inoltre, è che esistono diversi tipi di Mentore e Volger li suddivide in:

- Mentori interiori
- Mentori caduti
- Mentori comici

Il mentore poi, può essere sia positivo che negativo e ve ne sono diversi esempi in letteratura così come al cinema. Per ciò che concerne i mentori negativi, ci basta pensare a "Animali Fantastici e dove trovarli". Infatti, il controverso personaggio di Creedence si trova ad avere come mentore proprio Percival Graves che, infine, altro non è che il malvagio Grindelwald sotto mentite spoglie. Un altro esempio di mentore negativo, lo troviamo nella famosissima saga di Guerre Stellari con il personaggio di Darth Sidious, guida del ben noto Darth Veder.

L’Alleato

La figura dell’Alleato o degli Alleati è quasi sempre presente in una storia. Amici, personaggi conosciuti dall’Eroe durante la sua avventura, personaggi che lo aiutano anche solo per gentilezza e di passaggio. Il vero alleato però è quello sempre presente o stabile per buona parte della storia. Un esempio di Alleati, richiamando l’amata saga di Harry Potter, sono i due inseparabili amici Hermione e Ron, sempre presenti, ma anche personaggi che troviamo nei diversi libri (e film), quali Sirius Black (padrino di Harry) o più in generale tutti i membri dell’Ordine della Fenice. Altro esempio di alleato è il personaggio di Sam Wilson (Falcon) per Capitan America.

Il Guardiano della Soglia:

Il Guardiano della Soglia mette a prova l’Eroe. Crea uno o più ostacoli per testare la forza e la volontà del protagonista di proseguire, dunque provoca una battuta d’arresto. Non è per nulla detto, però, che questo personaggio sia un nemico. A volte lo può sembrare fortemente, a volte lo è in un primo momento, ma poi si trasforma in Alleato, altre ancora è solo un “muro di prova” oppure potrebbe voler solo essere riconosciuto dall’Eroe per la funzione che ha.

In ogni caso, il Guardiano funge da passaggio tra il mondo ordinario e quello straordinario. Può essere anche interiore, perché come per quello esteriore, sarà sempre un modo con il quale il protagonista si troverà ad affrontare le proprie debolezze, a mettersi in discussione, per poi far emergere ancora più forza. Talvolta, l’Eroe può assorbire i poteri del Guardiano, interiorizzando ed elaborando così, anche fisicamente, le sue stesse difficoltà e trasformandole in qualcosa buono e utile.

Arrivati a questo punto, direi di proseguire con il prossimo articolo e l'approfondimento degli altri archetipi. Non mancate!

Fb: L.A. Editing&Digital Marketing
Instagram: @laeditingandditigalmarketing

venerdì 13 novembre 2020

Jung, Campbell, Vogler: l'inconscio collettivo e "L'eroe dai mille volti"

 

angelo con spada, immagini fantastiche, luce

Il racconto e i suoi segreti, la narrazione, le strutture:

Per arrivare all’argomento di questo articolo che è “L’eroe dai mille volti” di Joseph Campbell (1949) dobbiamo partire un bel po’ più indietro, iniziando da Jung, passando per Campbell e arrivando a Vogler. Prendiamo la rincorsa in una sorta di macchina del tempo e andiamo al 1912, anno in cui Carl Gustav Jung (psicoanalista, psichiatra, antropologo, accademico e filosofo che fu pilastro, con Freud, della psicologia moderna e della psicoanalisi) pubblicò “La libido: simboli e trasformazioni”. Quest’opera fu lo spartiacque che allontanò Jung e Freud, per anni amici e collaboratori, il cui rapporto si era già incrinato per le differenti visioni sulla psiche. Jung, con quest’opera, vuole portare la psicologia e la psicoanalisi a un nuovo livello, facendola uscire da quegli elementi caratterizzanti tipici di Freud che, a parer suo, rendevano la stessa quasi una “setta”.

Nel libro Jung parla di tantissime cose, ma l’argomento principale è l’esistenza di una “coscienza collettiva” che viene mostrata e raccontata attraverso miti e leggende che ogni essere umano incontra durante la propria vita e con i quali convive. L’eroe insito in ognuno di noi può destreggiarsi tra gli “archetipici”, che lo accompagnano e guidano tutti noi durante la nostra esistenza. Nonostante egli riesca in qualche modo ad andare oltre a tutto questo, la “coscienza collettiva” o “coscienza madre”, sarà sempre lì e lo porterà ad affrontare dei passi ben precisi, se pur con le varianti determinate dall’individualità. Ciò che poi differenzia Jung da Freud è anche l’approccio verso i pazienti: per Jung non è abbastanza avere la preparazione scientifica e medica per aiutare un soggetto; ciò che fa la differenza sta nel riuscire a comprendere la malattia dell’anima, nella persona che si ha di fronte.

Ci sarebbe molto altro da dire su Jung e tutto quel che ha significato il suo lavoro, ma noi dobbiamo arrivare ad altro. Qualcuno di voi si starà chiedendo: cosa c’entra tutto questo con la scrittura e la narrazione?

"L'eroe dai mille volti" di Campbell:

Si tratta di un’opera di mitologia comparata, ma va ben oltre questo. Ciò che ne scaturisce è un’analisi di sé stessi: l' obbiettivo è quello di riuscire a scorgere il proprio eroe interiore, parlando anche del significato della vita e dell’umanità.

Rifacendosi alle teorie psicoanalitiche di Jung, Campbell racconta leggende e miti dei popoli più disparati e di epoche anche molto diverse tra loro. Si rende conto che, alla fine, quel che accomuna tutto è proprio la centralità della storia dell’eroe. Egli si lancia all’avventura rispondendo alla propria “chiamata personale” o, come afferma Campbell, al proprio “appello”.

Da qui si arriva a una sorta di schema che sempre si ripete, pur con le dovute varianti soggettive: la prima fase è quella della vita ordinaria (o fase dell’innocenza). A seguire c’è una separazione dalla situazione iniziale, con il superamento di una prima soglia per la quale l’eroe si trova a cambiare il proprio mondo di riferimento.

In terza fase c’è l’iniziazione, che porta con sé mille tribolazioni, prove e maturazioni e, infine, c’è il ritorno. All’inizio questo ritorno può essere anche rifiutato, ma la crescita dell’eroe gli fa comprendere di poter ora passare da uno all’altro mondo in totale libertà. I passi veri e propri, se vogliamo schematizzarli, potrebbero essere questi:

  • Vita ordinaria/ innocenza: l’eroe ancora non è consapevole di esserlo e vive un mondo personale molto normale. La normalità però, gli sta stretta e questo lo rende solitamente infelice.
  • La separazione: l’eroe sente la sua “chiamata”, il suo “appello” e decide di rispondere positivamente, partendo per l’avventura verso mondi e luoghi a lui sconosciuti.
  • L’iniziazione: l’eroe incontra qualcuno che potrà considerare come un mentore, una guida, un maestro e questo gli insegnerà tutto ciò di cui potrà aver bisogno. Le idee, i principi, il modo di vedere le cose, cambiano e il nostro protagonista viene iniziato a un mondo nuovo. In questo universo, che inizialmente può anche sconvolgere un po’ il nostro eroe, si ritrova ad affrontare prove, tribolazioni, maturazioni. Incontra amici e nemici, si rinnova e varca così una “soglia”. Scopre di avere mezzi di cui non era a conoscenza e si confronta con le sue più profonde paure.
  • Il ritorno: l’eroe fa ritorno al mondo di partenza e si apre una nuova “soglia” da oltrepassare. Egli deve risolvere i problemi che ha lasciato nel vecchio mondo, stavolta con rinnovata consapevolezza.

Se volete approfondire l’opera di Campbell, una lettura assolutamente consigliata per chi scrive, potete iniziare leggendone la struttura (la trovate tranquillamente su Wikipedia cliccando qui).

E Vogler? Chi è? Cosa c’entra con questo percorso di cui stiamo parlando? E quali sono state le conseguenze artistiche di questi fondamenti? Ne parliamo la prossima volta, sempre qui, con la “rubrica” de “Il racconto e i suoi segreti”.

venerdì 25 settembre 2020

Gli atti della narrazione

tronco d'albero, story me, racconto, narrazione, atti della narrazione, editing


Questo articolo chiamato “Gli atti della narrazione”, vorrebbe essere parte e continuazione della rubrica “Il racconto e i suoi segreti”, ma ho deciso di dedicare all'argomento una titolazione a parte perché, in realtà, la tecnica narrativa in “atti” può andare ben oltre il racconto.

Prima di tutto: da dove nasce la struttura in atti?

Per chi di voi non lo sapesse, dobbiamo questa struttura ad Aristotele (è ispirata infatti alla sua "Poetica": cliccando sul titolo troverete l'intera opera). Essa proviene, infatti, dal principio della Dialettica (uno dei principali metodi argomentativi della filosofia), che è suddivisa in “Tesi”, “Antitesi” e “Sintesi”. Aristotele, in questo, ha fatto la differenza rispetto ad altri grandi filosofi, ma qui cambieremmo argomento, perciò meglio non divagare troppo.

I tre atti corrispondono molto semplicemente a tre fasi: “Inizio”, “Svolgimento”, “Fine”. Sembra banale, ma dovete pensare che tutto ciò che noi ora vediamo come “normalità”, viene dal pensiero di qualcuno che ci ha riflettuto, che ha studiato, che ne ha posto le basi. Secondo questa tecnica, le tre parti dovrebbero essere proporzionate. Si parla ad esempio di una trentina di pagine per primo ed ultimo atto e di circa il doppio per la parte centrale, il “secondo atto” o “svolgimento” che dir si voglia. Ecco perché ci si può spostare dal racconto e arrivare al romanzo, di qualsiasi genere esso sia.

Alcuni studiosi, nel tempo, hanno “protestato” questa forma, facendo passare il concetto che sarebbe troppo meccanica. In realtà, come per ogni tecnica narrativa, quella che viene data è una traccia. Per intenderci, potreste scrivere un primo atto di sessanta pagine, un secondo atto di centoventi e un terzo atto di quaranta. Il concetto è che dovrebbe esserci una buona proporzione tra le parti. Non ha senso avere un inizio di dieci pagine, uno svolgimento da duecento e un finale da trenta, per intenderci.

Lo sviluppo, poi, di tante altre tecniche narrative e di numerosi espedienti, dà a questa base la possibilità di trasformarsi. È un po’ come se stessimo parlando di un disegno, il cui schizzo deve avere come origine, per proporzionalità, delle figure geometriche tondeggianti (pensate alla realizzazione di un bozzetto per disegnare un corpo umano, partendo dal viso con un ovale, passando alle braccia con ovali di grandezze diverse e così via). Il disegno finale sarà ricco, dettagliato, vario, quindi non bisogna pensare agli atti come a un limite, ma come un terriccio di ottima qualità nel quale coltivare la pianta dei propri sogni.

Facciamo un esempio, semplice, che possa rendere l’idea:

Un impiegato di banca vive la sua ordinaria vita in maniera assai monotona. Un giorno però, dopo miriadi di vessazioni da parte del suo direttore, si ribella e decide di continuare a lavorare nella sua filiale mettendo a punto, allo stesso tempo, una rapina.

Questa situazione, sviluppata, potrebbe tranquillamente essere un “Inizio” o “Primo atto”. Una situazione normale viene scombussolata da qualcosa e, al momento, il protagonista non ha ancora agito, ma sta pianificando.

Tra un atto e l’altro vi sono i così detti “Turning Point”, dei punti di svolta e di collegamento, in questo caso, tra il primo e il secondo:

L’impiegato, oramai convinto dell’idea di rapinare la banca, si documenta e studia tutto ciò che può essergli utile. Nel frattempo affina il suo piano in ogni dettaglio.

Questo può essere un Turning Point. Un punto di svolta, in questa specifica situazione “preparatorio”, che permette al protagonista di acquisire strumenti che gli saranno utili.

Inizia successivamente il secondo atto, con una fase chiamata “Midpoint” (punto di mezzo): in questa fase il protagonista è messo di fronte alle difficoltà, a tentativi di riuscita che non vanno a buon fine, incontra e si scontra con l’antagonista, vede a volte una soluzione al problema, ma si rivela illusoria. Nel nostro esempio potrebbe andare così:

L’impiegato di banca si rende conto che vi sono sistemi di sicurezza di cui non era a conoscenza. Cerca un “aiutante”, qualcuno di esperto che lo possa aiutare a realizzare il colpo, ma… in questo caso, l’aiutante si rivela anche “antagonista”, poiché questo personaggio prova a sabotare il protagonista per tenersi tutti i soldi.

Nel mezzo, solitamente, c’è un ulteriore Turning Point: sembra che non ci sia soluzione al problema:

L’impiegato scopre il piano del suo antagonista, ma non sa come fermarlo visto che oramai è tutto programmato.

Inizia il terzo atto e si giunge al famoso “Climax”, il punto di più alta tensione emotiva, la scena portante:

Durante il colpo, l’impiegato ha un’illuminazione e mette in atto un piano che gli farà “sconfiggere” il suo antagonista. Visto che voleva fregarlo, lo frega a sua volta.

In questa parte portante, il narratore rivela caratteristiche del suo personaggio che lo renderanno vincente rispetto all'antagonista (come in questo caso) o perdente (dunque si intuisce che l’antagonista avrà la meglio).

La fine, ultimo atto detto anche “Epilogo”. L’epilogo in sé non è obbligatorio, la storia potrebbe rimanere in sospeso e far intravedere diverse possibilità di fine vicenda, lasciare nel dubbio o “far capire che”, senza però palesare con certezza come va a finire.

Se l’epilogo è presente, leggeremo la fine della storia e i cambiamenti che sono avvenuti in conseguenza alle azioni del protagonista. Nella nostra storia, in cui il protagonista, inizialmente un semplice impiegato, si trasforma in tutto e per tutto in un rapinatore (e gli va anche bene), potrebbe finire così:

“L’impiegato ribelle” incastra il suo antagonista e riesce a dileguarsi col bottino. In una scena finale, lo “vediamo” godersi la nuova vita. Non del tutto però, perché sa che vivrà, nel suo caso, da “persona sospetta”, “scomparsa”, “in fuga”. Tutto quel che può pensare è che la sua partenza non passerà inosservata, dunque si domanda come andranno le cose in futuro.

Il senso della storia si fa strada proprio nell'Epilogo. Una sorta di “morale”, in questo specifico caso. Cambia anche l’interiorità del protagonista, poiché non sarà mai più la persona di prima. Nel bene e nel male.