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Rodolfo Valentino |
Eravamo
rimasti ad Ince, Sennett e Griffith, i primi tre grandi del cinema
e... agli anni dieci, con relativi sviluppi, innovazioni e nascita di
generi cinematografici, tra i quali il western americano. Dunque ora
il passo successivo: nei primi anni della Grande Guerra. In quegli
anni Hollywood si consolidò del tutto a capitale mondiale del
cinema, grazie a una base finanziaria solida, vasti canali di
distribuizione, miriadi di artisti, tecnici, attori e produttori che
contribuirono a rendere il cinema americano tipico e ben
distinguibile e grazie a una prestigiosa organizzazione tecnica che
faceva la differenza, insieme a tutti gli altri aspetti sopracitati.
Negli anni dalla fine della prima guerra mondiale sino alla crisi del
'29, si trovò nel cinema americano uno specchio della realtà nei
suoi molteplici aspetti e due artisti, in particolare, fecero la
differenza: Eric von Stroheim e Charlie Chaplin, i migliori allievi –
rispettivamente – di Griffith e Sennett. I due iniziarono a creare
quelle che poi sarebbero state e rimaste nel tempo le migliori opere
del cinema americano degli anni '20. La struttura artistica e
produttiva americana di stampo hollywoodiano si impose con il marchio
di fabbrica di grandi case cinematografiche come la Fox, L'Universal,
la Paramount e la First National, che fin da allora furono sinonimo
di qualità. Nacquero in quel periodo, i primi divi del cinema. Il
divismo era frutto del crescendo di una realtà che sempre più
diventava per il pubblico un mondo a se, lontano dalle leggi comuni
della società. Il pubblico non distingueva più, così, la realtà
dalla finzione, la vita privata degli attori da ciò che era solo
frutto del lavoro artistico. La vita e l'arte di apparteneva a questo
mondo, si fondevano in un'unica dimensione dell'esistenza. Gli
spettatori che affollavano le sale riversavano le proprie
preoccupazioni, le proprie angosce e speranze, nel sogno che lo
schermo poteva dare agli occhi e al cuore a poco prezzo e la
stabilità, la libertà che avevano i registi, gli attori, i
produttori, permetteva al grande cinema di distinguersi dalle
produzioni fatte solo per "il consumo"; potevano essere
così affrontati argomenti d'ogni sorta, c'era una grande varietà di
generi e potevano essere affrontati argomenti anche profondi e
attuali. Fin da allora poi, nacquero due tipologie di "divo"
o "diva". Per intenderci, attori quali Douglas
Fairbanks (eroico e cavalleresco) e la moglie Mary Pickford (chiamata
anche "la fidanzatina d'america", "la piccola Mary"
ed altri appellativi simili) rappresentavano "i buoni" e
divennero modello di un certo tipo di americanismo, sia in patria che
all'estero, che portò loro grande un grande successo, anche al di là
delle loro reali capacità di attori. Furono la prima coppia celebre
del cinema americano. Fairbanks era vitale, simpatico, acrobatico e
pur se non fu un grande attore, aveva tutte le qualità per essere,
appunto, un divo, un personaggio che incarnava il mito
dell'autoesaltazione come strumento del successo. La moglie, dal
canto suo, fu anche produttrice e fondatrice dello studio
cinematografico United Artists e una dei trentasei fondatori dell'
Accademy of Motion Pictures Arts and Sciences. Al divismo "buono",
considerato "educativo" e che poteva essere "d'esempio
agli spettatori", si contrapponeva il divismo "trasgressivo",
quello scandaloso, provocatorio, di attori quali Theda Bara e Rodolfo
Valentino. Theda Bara fu la prima "vamp" (termine che
deriva tra l'altro da "vampire", non a caso). Venne portata
al pubblico come la donna tentatrice, la donna fatale e perversa che
si diverte a rendere gli uomini suoi schiavi per poi liberarsene una
volta conquistata la loro adorazione. Il tutto palesemente
progettato, fin dal nome d'arte, fin dal primo ruolo secondario con
il quale venne lanciata dalla Fox: un melodramma, "La vampira"
(1915), attraverso il quale nacque per l' appunto il suo pseudonimo
di Theda Bara, anagramma di "Arab Death". Immagini
conturbanti in abiti egizi, contornate da ragnatele e serpenti. Ecco
come è nata la "cattiva ragazza" del cinema di quei tempi.
E Rodolfo Valentino? Beh, anche chi non è un grande appassionato di
cinema, almeno una volta nella vita avrà sentito dire qualcosa che
lo riguarda. Ancora oggi è considerato il divo per eccellenza.
Latino, passionale, non il "cattivo" in realtà, quanto
piuttosto l'uomo fuori dai canoni del tempo, il primo vero sex
symbol, il "Latin Lover", con qualità recitative e uno
stile inconfondibile ammirato da tanti grandi del cinema, tra i quali
anche Charlie Chaplin. Bello e provocatore, ballerino eccelso e
grande attore, venne ben presto consegnato alla leggenda come "il
divo insuperabile". Il marchio di fabbrica hollywoodiano, con la
sua adattabilità di temi, la sua qualità palesata, la sua
meccanizzazione a livello di "industria cinematografica",
si considera essere stata rappresentata al meglio dal regista Cecil
Blount De Mille che passò da opere drammatiche a film passionali che
diedero il via alla "commerdia libertina" e posero le basi
per i successivi "anni folli", per poi occuparsi di western
ed altri temi leggeri e ricambiare, ancora, proponendo "I Dieci
Comandamenti", un film biblico di grande spettacolarità, senza
lasciare da parte però le sue produzioni drammatico-passionali. Il
cinema di De Mille porta gli spettatori, in ogni caso e al di la'
delle tematiche trattate, fuori dalla realtà; ipnotizza il pubblico,
addirittura troppo preso dalle immagini che scorrono, per poter avere
il tempo di riflettere sulle tematiche che gli vengono proposte.
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Charles Spencer Chaplin |
Charles
Specer Chaplin. Anche lui si affermò negli anni dieci. Iniziò dal
teatro - come anche altri del resto – e giunse al cinema muto nel
1914, lavorando per Sennett. Con il cinema poteva finalmente dar
libero sfogo a tutto ciò che il teatro, per tempi e spazio, non
poteva consentire. Il personaggio che lo rese celebre, Charlot, ebbe
una sua evoluzione, fino al perfezionamento raggiunto dall'attore nel
1915, quando Chaplin smise di lavorare con la Keystone di Sennet e
firmò un contratto con la Essanay che gli permetteva di scrivere e
dirigere i propri film. In questo passaggio la comicità esteriore si
fa più profonda e porta al personaggio quella velata amarezza che
non vuole nascondere gli aspetti più negativi della società e della
realtà. Nel 1916 Chaplin passa alla Mutual e con questa casa di
produzione il personaggio di Charlot perde totalmente il carattere
della "macchietta". La poesia di Chaplin non ha più
limitazioni e diventa simbolo di contestazione verso il sistema
borghese e capitalistico, non si tratta più di sola satira di
costumi e umorismo, bensì di un personaggio che ha le sue radici nel
giudizio della società e della politica, un personaggio ideologico
che mette in risalto tutte le contraddizioni di quei sistemi che
contesta. Chaplin non smette mai di far evolvere il suo personaggio e
successivamete, pur mantenendo lo schema del film comico e pieno di
gag, il sentimento prende il sopravvento, il nucleo del dramma non è
solo la solidutine di Charlot e la critica, la satira, prendono forme
umanamente più dolci, nonostante non manchi mai, in ogni caso,
l'accenno alla critica stessa. Charlot si raffina nel tempo anche dal
punto di vista stilistico e pur mantenendo come base la mimica del
personaggio, lo spessore psicologico del personaggio si fa sempre più
nitido, le tecniche espressive sempre più fini e si arricchiscono
così anche le ambientazioni e la tempistica, che diviene sempre più
ritmata e scorrevole. Con l'arrivo della crisi del 1929 Charlot
riacquisisce le sue caratteristiche principali, con opere
comico-politiche di stampo chiaramente satirico (v. "Tempi
Moderni", 1936). Trovandosi nel mezzo della prima e della
seconda guerra mondiale, Chaplin riesce con le sue opere a concludere
il ciclo di tutto il lavoro precedentemente proposto con il
personaggio di Charlot. Nell'alta tensione internazionale degli anni
appena precedenti al '40, progetta una continuazione del personaggio
che si rivelerà poi con l'uscita de "Il dittatore" (1940),
la prima esperienza di Chaplin nel cinema sonoro. Nel 1947 esce
"Monsieur Verdoux" e il personaggio di Charlot è
sostituito appunto dal sig. Verdoux: cinico, egoista, avventuriero e
cattivo, Verdoux è il simbolo della perdita dei valori morali
dell'umanità, amarissimo ritratto di un mondo in cui l'interesse dei
singoli o di un gruppo prevale su qualsiasi cosa, un mondo in cui il
delitto è diventato solo un mezzo del potere, giustificabile, per
gli assassini, come se nulla fosse. Nei periodi successivi escono
film legati alle esperienze personali di Chaplin ("Luci della
ribalta", 1952 - "Un re a New York", 1957 e "La
contessa di Hong Kong", 1967). "La contessa di Hong Kong",
tra l'altro, è l'unico film da lui creato e diretto in tempi
recenti, in cui egli stesso non appare come attore, il suo unico film
a colori e l'ultimo film della sua incredibile carriera di attore e
produttore. E' un film in cui i protagonisti sono la nostra
meravigliosa ed eterna Sophia Loren e il grande, memorabile, Marlon
Brando. Da sottolineare inoltre, è che Chaplin è sempre stato anche
il creatore delle musiche presenti nelle sue produzioni. Un artista a
tutto tondo, che è stato e rimarrà sempre unico, conosciuto da
tutti ma non abbastanza (nei tempi d'oggi) è diventato modello
difficilmente superabile di arte pura, leggera e brillante, senza
sconti e in continua fase di trasformazione, proprio come il mondo
che lo circondava. In una posizione di unicità, rispetto allo sfondo
delle produzioni hollywoodiane.
Per
quanto riguarda invece la storia professionale di Eric von Stroheim,
si parla di un uomo fortemente influenzato dal fascino che aveva,
rispettivamente, per il mondo aristocratico e per quello militare.
Figlio di un cappellaio viennese ebreo, egli si ritagliò inizlamente
ruoli da "rampollo aristocratico", ebbe poi molti ruoli in
cui interpretava ufficiali di vario grado dell'esercito americano e,
durante la seconda guerra mondiale, diversi furono anche i ruoli in
cui interpretava ufficiali nazisti. Il suo stile e il suo carattere
rigido si adattavano bene a ruoli duri e divenne così, in quel
periodo, la rappresentazione cinematografia del cattivo per
eccellenza. Alcune scene da lui intepretate come soldato tedesco, tra
l'altro, suscitarono grande scalpore e sdegno nell'opinione pubblica.
Questo però era il suo ruolo. In un' America oramai in guerra, egli
doveva portare al pubblico l'immagine del cattivo contro il quale il
Paese stava combattendo. Stroheim fece molta fatica ad iniziare la
carriera di attore, anche se poi, tra altri e bassi, fu interpete di
molteplici pellicole. Quando poi si dedicò alla creazione e alla
regia (una volta finita la guerra e con la fine delle richieste di
attori che interpretassero quel tipo di ruoli), riscontrò sempre
grossi problemi con i produttori, poiché era tanto pignolo, duro e
maniacale si può dire, da metterci ore ed ore ed ore già solo per
girare una scena di apertura. Questo lo screditò parecchio
naturalmente, poiché i suoi lavori da regista risultavano troppo
lunghi e costosi, ache se essendo a corto di offerte talvolta riuscì
a risollevarsi con lavori più adatti al cinema hollywoodiano, per
poi ripiombare nelle problematiche con i produttori una volta
riottenuta carta bianca. Per intenderci, uno dei suoi lavori, arrivò
a durare otto/dieci ore e fu integralmente proiettato una sola volta
in forma privata, per poi essere tagliato dai produttori fino a una
durata di due ore e rivenduto come film di serie B (cosa che
ovviamente non fece piacere al suo creatore, ma appunto, questo suo
modo di girare, fu in sostanza la sua rovina come regista). Dopo
diversi tentativi di proporre questo suo anomalo ma allo stesso tempo
geniale e titanico stile, si dedicò di nuovo solo alla recitazione e
negli anni ebbe ruoli talvolta nella scrittura di sceneggiature o
altri lavori come il tecnico, l' aiuto regista ecc... E' stato definito in
sostanza un altro grande della storia del cinema, capace di creare
capolavori riconosciuti quali "Rapacità", nel quale
realismo e mertafore visive si fondevano in un'unica cosa, con la
ricostruzione scenografica in studio, tra l'altro, di un'intera
strada di San Francisco dell'ottocento, curata nei minimi dettagli.
Usando, a differenza della gran parte dei registi americani del
tempo, la profondità di campo, egli creò sfondi ricchi di dettagli,
meno facili da accogliere per lo spettatore ma più ricchi di
significati diversi tra loro, anche contrapposti a quelli portati
dalle immagini in avanpiano. Nel 1955, Abel Gance – regista,
attore, sceneggiatore, produttore e montatore cinematografico
fancese – disse di lui: "Un genio, un uomo di immense capacità
che è stato messo nell'impossibilità di nuocere, costretto per
vivere a fare l'attore agli ordini di registi mediocri."