lunedì 18 maggio 2015

Garrapateros. "Compartìr", "Con - dividere". Patchanka rebelde!


Stasera parliamo di libertà, passione, fatiche e duro lavoro ripagato, talento, calore, allegria, profondità; parliamo della forza del suono, degli arcobaleni infiniti delle note musicali e dei ritmi, parliamo della potenza delle parole, parliamo dell'eccelsa, sublime, potenza della musica. Ne parliamo con Nic e Michele e parliamo dei Garrapateros; perché la loro storia, il loro sound, i loro sogni, i loro traguardi, sono un perfetto esempio di quanto la musica può fare e dare. I Garrapateros definiscono il loro genere “patchanka rebelde”, vale a dire “patchanka ribelle”. Il genere patchanka, per chi non ne sapesse molto, è nato con i Mano Negra, che hanno coniato il termine dando come titolo al loro primo album, nel 1988, proprio questa parola. Letteralmente può significare “miscuglio”, “confusione”, “caos”, nel senso che il genere è una miscela costituita da diverse sfumature della musica e della tradizione latina. Ora, aggiungiamo il “rebelde”, ribelle; perché i Garrapateros sono patchanka, rock, funky, punk. La libertà assoluta del suono e del ritmo, le cui principali ispirazioni sono i Mano Negra e Manu Chao, ma anche gruppi quali i Delinquentes, i Calle 13, gli Ojos de Brujo e i Canteca de Macao, gruppi anche molto diversi tra loro (consiglio: andate ad ascoltarli se non li conoscete). Quel che i Garrapateros hanno in più, quello che rende il loro sound “il loro sound” è... in parte frutto delle loro esperienze musicali precedenti, punk, rock, rock grunge... e in parte - e qui è la parte bella dell'Italia che viene fuori - della loro italianità. Il loro essere italiani fa la differenza, perché l'approccio musicale di un italiano, per una questione di genuina cultura generale e musicale, sarà sempre diverso dall'approccio che uno spagnolo ha verso la musica, così come l'approccio di un francese sarà sempre diverso da quello di un irlandese ecc ecc. Tutte queste cose, messe insieme, hanno creato qualcosa che pur avendo una base e riferimenti di un certo tipo, rendono il loro sound unico per il loro genere, assolutamente “rebelde”. Conoscevo Michele Cannibal, perché conoscevo il fantastico progetto grunge rock dei Cronofobia, ai quali nessun ascoltatore con un minimo di conoscenza musicale può rimanere indifferente e nel quale era ed è batterista (ma questa è un'altra storia). Conoscevo Michele appunto e una sera, vado in un locale della mia zona e per caso me lo ritrovo in duo con Nic Garrapatero, nella versione acustica che portano in giro qui e la'. Quella sera mi hanno steso e al secondo live a cui sono andata  - un live che aspettavo con gioia da quando avevo avvistato la notizia della data, un mese prima - mi hanno steso il triplo. La prima volta, ho scoperto poi, erano reduci da un viaggio lunghissimo e devastante ed erano fisicamente a pezzi (oh scusate! non me ne ero accorta ragazzi!), però poi al secondo live mi sono accorta della differenza, anche se già al primo mi avevano rapito, buona alla prima. Il loro primo album “Vida No Mata” l'ho praticamente consumato in macchina, non riuscivo a smettere di ascoltarlo. Brani del secondo album, il loro ultimo lavoro “Esperando”, li ho sentiti proprio in questo secondo live, con successivo inevitabile acquisto del cd. Cos'altro posso dire? Quando ho iniziato a scrivere questa intro stavo cercando il modo giusto per “rendere l'idea” e come spesso mi accade, è la descrizione delle mie stesse emozioni ad aiutarmi a trasmettere i concetti, perché la musica è questo, è passione pura, emozioni d'gni sorta, parole e suoni, poesia e ritmi, tradizioni e scoinvolgimenti. Mi fermo qui, potrei andare avanti per ore, ma è “pericoloso” perché le mie dita mi porterebbero a parlare di troppe cose e non arriverei al nucleo. Stasera il nucleo si chiama Garrapateros. Stasera, vi presento questo fantastico progetto, attraverso Nic e attraverso Michele, un percussionista che è solo da vedere e sentire, inutile descriverlo, non saprei nemmeno come. Nic Garrapatero... che è partito per la Spagna con qualche soldo da parte per potersi cercare un lavoro e fermarsi un po', niente Erasmus; per approfondire la lingua spagnola, perché allora studiava lingue all'università. Immaginate ora, immaginatelo in testa: un ragazzo che fino ad allora aveva suonato e ascoltato punk, parte per la Spagna, borsa in spalla. Arriva, conosce gente, sente profumi, vede colori, conosce tradizioni, si fa rapire dolcemente dai gitani che abitano poco distante da lui, comincia ad ascoltare musica che prima non conosceva e che forse mai avrebbe ascoltato e quando torna, inizia a fare musica diversa, prima da solo e poi... da Garrapatero, fonda i Garrapateros. Ora la parola a loro, a Nic – il mosaico, così l'ho soprannominato dopo questa chiacchierata – e a Michele, di poche parole – poche ma ben precise - e tanto ritmo dentro e tutto intorno.

"Vida no Mata". E' il primo pezzo del vostro primo lavoro e da' il titolo all'album stesso. "La vita non uccide". Il testo è molto intenso, parla di un uomo che in sostanza odia l'ipocrisia, le menzogne e che non vuole smettere di lottare. Mi chiedevo se il testo fosse ispirato a una storia reale visti i riferimenti alla protesta o se fosse nato da una tua pura riflessione.

Nic: " “Vida No Mata”... no, in realtà non è una canzone che prede spunto da una particolare vicenda personale, bensì... più in generale - dalla visione che ho della realtà, della quotidianità, da ciò che è questo preciso momento storico e che sicuramente mi riguarda. L'ho scritta riflettendo su un contesto globale che rientra poi nella dimensione personale di ognuno perché... l'informazione, i mass media, “quello che passa” e che descrive la nostra realtà, ci fa intendere che nonostante siamo su questa terra... praticamente saremmo “dei morti che camminano”, ci fa pensare che abbiamo più situazioni su cui piangere rispetto a situazioni dalle quali prendere spunto in positivo. Il testo dice “La vida no mata” nel senso che... è un controsenso che la Vita uccida! la Vita dovrebbe essere una crescita, uno spunto di riflessione e cambiamento, non certo qualcosa di negativo o un motivo per pensare di togliersela, la vita. Eppure questa visione negativa appare in modo sempre più frequente, il messaggio che passa è che viviamo in una specie di inferno o per spiegarlo meglio se “la sorte non è dalla tua” sembra che questo significhi non essere produttivo e che l'unica cosa che puoi fare è quella di disperarti. Io non credo sia così. “Vida no mata” poi ripende anche una frase molto familiare agli spagnoli che è “la prisa mata” che vuol dire “la fretta uccide”; che poi... non è nemmeno la fretta a uccidere messa a confronto con questo “senso di morte” diffuso."

Il secondo pezzo invece "Sevilla Maravilla" racconta della vita di strada che presumo tu abbia visto e portato dentro di te quando eri in Spagna, ma c'è una sorta di sottolineatura... in strada c'è chi sta meglio e chi sta peggio, ma in ogni caso c'è fratellanza. Ti riferivi in particolare ai gitani di quartiere che ti hanno praticamente accolto da quanto ho capito e che ti hanno fatto scoprire le loro tradizioni, la loro musica... o era un più discorso generale? Nel testo poi dici che quella è la parte migliore di Siviglia, al di la' di quello che possono essere le apparenze, ma mi chiedo: la popolazione spagnola accoglie la realtà gitana come parte integrante della cultura spagnola o ci sono pregiudizi come ad esempio accade in Italia per molte diverse realtà?

Nic: "Si è un pezzo che racconta l'esperienza quotidiana che ho avuto in un breve periodo che ho vissuto nella città di Siviglia, nel quartiere della Macarena. Quello che io ho visto in quel quartiere - che è un quartiere molto importante a Siviglia nonostante sia considerato un quartiere a rischio perché è un quartiere popolare con un forte tasso di immigrazione e una forte presenza dell'etnia gitana – è molto simile a quello che ho visto nel quartiere Cabanyal di Valencia, in cui appunto ho vissuto per un po' di tempo. Nel pezzo dico che è un quartiere in cui “non ci sono differenze”. Non è del tutto vero in realtà perché è chiaro che esistono sempre situazioni di discriminazione in una realtà in cui convivono diverse realtà culturali che condividono lo stesso spazio geografico e ci sono scontri, è ovvio. Nel pezzo dico che è la parte migliore di Siviglia nel senso che questi quartieri sono luoghi che ti sbattono in faccia la realtà, sopratutto per quanto riguarda il tema dei gitani. L'etnia gitana... non è più integrata in Spagna rispetto all'Italia, ma sicuramente c'è molta più accettazione rispetto a qui. Questo perché culturalmente e storicamente la cultura gitana è assimilata nella cultura del ballo e della musica spagnola. Ci sono generazioni e generazioni di cantanti, musicisti, ballerini di flamenco, di etnia gitana. In Spagna l'arte e la cultura del canto e della musica hanno un riconoscimento assoluto, molto più che in Italia perché il sentimento è molto più vivo e radicato e in effetti, tutto ciò che “di nuovo” si crea in Spagna, ha molte delle sue fondamenta “nel vecchio” e per forza di cose la cultura gitana ne è parte integrante. Siviglia con la Maccarena e Valencia con il Cabanyal, sono esperienze che io ho voluto fermare, come in uno scatto fotografico, attraverso questa canzone e sicuramente ho voluto raccontarne il meglio perché è quello che io stesso sono riuscito a tirare fuori dal peggio di quel che ho visto."

Passiamo al nuovo album, "Esperando". Mi piace moltissimo il fatto che in un modo o nell'altro, nei testi che scrivi ci sia sempre un incoraggiamento a non mollare, a continuare a lottare, a continuare a credere nei propri sogni. In "No falta nada" scrivi "Di quello che c'è non manca niente", un detto popolare che rende perfettamente il concetto: smettere di pensare di "non poter fare", perché come scrissi una volta "il sudore è nobile" e porta sempre a qualcosa di buono. Non è il "dove arrivo" ma il "come e perché", il "cosa porto con me e cosa lascio agli altri". Ed anche in "Querida vida", parli della meravigliosa esistenza di un insieme di energie che ogni persona può usare per affrontare la quotidianità, la frenesia, il senso di insofferenza e - anche qui - si parla di sogni. "Non ho più molto per me, però ho il mio sogno". Mi piace molto tutto questo, siamo sulle stesse corde. Questo meraviglioso atteggiamento verso la vita che porti con te, ce l'hai sempre avuto per carattere o credi che ci sia stato un momento in particolare in cui hai maturato questa consapevolezza?

Nic: "Si è vero... in quasi in tutti i pezzi che compongono il nostro primo album “Vida no mata” e anche il secondo mini album “Esperando”, c'è sicuramente un incoraggiamento a non mollare. Io in generale ho avuto un fortissimo cambiamento a partire dalla mia esperienza in Spagna. Non sono mai stato una persona negativa perché dal mio punto di vista essere realista significa riflettere su situazioni anche negative e prenderne spunto per arrivare a qualcosa di positivo. Le mie vicende ed esperienze personali poi mi hanno fatto rendere conto, misurandomi con me stesso e con gli altri, che in sostanza ero molto più pieno di risorse di quanto pensassi e così... ho maturato una gran voglia di risorgere. “Cenere e fuoco” già lo dice no? “sotto la cenere c'è ancora un po' di fuoco”. “Querida vida” dice proprio “nonostante io non abbia più spazio, non abbia più tempo, non abbia più molto per me, ho sempre il mio sogno” e questo è un pensiero di importanza assoluta nella mia esistenza perché - oltre ai Garrapateros - i Garrapata Sound System appena nati, il set acustico Rebelde, come side project... sono il mio sogno, progetti in cui io credo da morire. Credere nel mio sogno è la mia identità, è l'identificazione precisa della mia vita adesso. In passato non era assolutamente così; ero molto più attaccato a una sorta di linearità di come forse volevo fosse la mia vita e quindi nell'impossibilità di riuscire a raggiungere questa linearità stavo male, ero molto meno consapevole su chi fossi, su cosa volessi e su che cosa rappresentasse per me la musica; poi ho capito che siamo noi la nostra stessa risorsa. “Di quello che c'è non manca niente” dice “No falta mada”, vale a dire che da quello che abbiamo - seppur poco - si può partire, si può iniziare a costruire il passo successivo, a salire un nuovo gradino, per poi renderlo sempre più solido e quindi... è un continuo “non arrendersi”. Anche con il progetto Garrapateros “di quello che abbiamo in questo momento non ci manca niente” e proprio per questo ora è nato il “Garrapateros Sound System”, qualcosa che già esisteva ma che può avere uno sviluppo sempre più consistente. Basta volerlo."

Allora Nic... Il vostro nome significa libertà in sostanza, non letteralmente, ma per il concetto che ha... Spiega tu però, cosa significa per te, per voi.

Nic: "Il nome Garrapateros è stato scelto in omaggio ai Delinquentes, “capitanati” al tempo da Miguel Benítez, un ragazzo morto molto giovane - a ventuno anni - per un probabile arresto cardiaco causato dall'abuso di sostanze. Era un poeta, ha scritto diverse poesie oltre che canzoni stupende. Circa dieci anni dopo la sua morte il fratello ha pubblicato una raccolta di testi inediti scritti da Miguel prima di morire e che mai sono stati registrati e in questa raccolta ci sono anche alcune interviste. In una di queste Miguel spiega che cosa significa “garrapatero”. Letteralmente la "garrapata” è la "zecca”. Lui racconta che quando era piccolo viveva in campagna, aveva molti cani e gli toglieva spesso le zecche e la zecca è sempre stato un insetto che in qualche strano modo lo affascinava e dunque ha iniziato a usare il termine “garrapatero” associandolo però a una concezione positiva o a qualcosa che a lui piaceva. Ho voluto fare un omaggio a loro perché è sopratutto grazie ai loro pezzi che ho cominciato a conoscere la lingua spagnola; il loro modo di comunicare, il modo di comunicare di Miguel, è stato fondamentale per me. Adesso - con il progetto “Garrapata Sound System”  - abbiamo voluto staccarci dal termine “garrapateros” perché ad oggi, se in rete si digita il termine viene fuori di tutto e di più. Molte cose legate ai Garrapateros, ma anche tante tante band che fanno cover, per esempio dei Los Delinquentes e che si chiamano “Garrapateros”. Il Garrapata Sound System è il nuovo progetto, con cinque elementi, in cui il flauto non compare più e con il quale vorremmo arrivare un po' di più, rimanendo affezionati alla base - che è la stessa - ma “togliendo di mezzo” tutta la confusione che si può fare ora cercando informazioni su di noi e la nostra musica. Il senso di libertà che io sento in questo termine è determinato dalla realtà per cui c'è stato un grande cambiamento per me. La mia propensione naturale è stata quella di slegarmi dall'origine punk per far ramificare la base in altro; mantenere la radice, facendo crescere però rami che vanno in direzioni diverse."

Inizialmente sei partito da solo, poi avete iniziato a suonare insieme tu e Michele e pian piano si sono aggiunti gli altri ragazzi della band. Se tu e Michele non vi foste trovati, pensi che avresti cercato prima o poi altri musicisti con cui portare avanti il tuo progetto? Avevi già in mente di creare una band o è stato un effetto “Sliding doors” per cui le cose sarebbero andate diversamente perché inizialmente non ci pensavi? E se tu avessi continuato da solo? Cosa pensi avresti fatto? Come sarebbe andata secondo te?

Nic: "Beh... quando sono tornato dalla Spagna ho sentito la necessità di portare quello che avevo assimilato in Italia. Il distacco dalla Spagna all'Italia per me è stato molto forte, avevo bisogno di ritrovarmi a casa mantenendo però le stesse vibrazioni che avevo percepito e sviluppato là e ho portato con me lo stesso intento che là avevo maturato, di farmi conoscere con questa musica, diversa da quella che solitamente facevo e alla quale la gente che mi conosce era abituata. Ho iniziato da solo, ma dopo un po' che suonavo da solo - cosa che non avevo mai fatto avendo avuto in precenza una punk rock band - durante i live non potevo condividere con nessuno né le gioie né i dolori ed avendo comunque consapevolezza di quel che avrei voluto fare, già immaginavo sul palco con me un'altra persona proprio per... riedere insieme o “prenderci male” insieme. Con Michele è stato sicuramente un effetto “sliding doors”, nel senso che l'intenzione da parte mia di creare un'alternativa al onemanband c'era sicuramente, però per esempio, io e Michele ci conoscevamo abbastanza superficialmente al tempo e mai avrei pensato allora di trovarmi spalla a spalla con quello che ora per me è un fratello, dopo cinque anni. C'è stato ovviamente intresse da parte sua, dopo due giorni si era già procurato un cajòn flamenco. E' stato anche quello che tra i Garrapateros si è arricchito sempre di più, veniva dal rock, dal grunge, generi che a volte non vanno proprio d'accordo con quello che ho portato io, molto più leggero e anche spensierato se vogliamo, meno “pesante” rispetto al grunge che proprio per la sua storia è legato a situazioni molto più introspettive, anche se in realtà – come hai ben descritto tu stessa - nel genere dei Garrapateros questa “leggerezza” e “spensieratezza” è apparente, c'è sempre un'interiorizzazione della realtà e la volontà di buttar fuori questa interiorizzazione e renderla esplicita nelle canzoni. Sicuramente io avrei creato una band perché sono “un animale sociale” fondamentalmente, da solo mi sarei stato un po' stretto, però ecco, nel corso del tempo si sono create tutte le collaborazioni, sempre comunque con un effetto “sliding doors”. Non so come sarebbe andata se non avessi incontrato Michele... avrei magari incontrato qualcun'altro, ma probabilmente non così bravo..."

Michele, te lo devo chiedere............... ma perché “Cannibal”?!?

Michele: "Cannibal... eheh... semplicemente perché ho ascoltato e ascolto tuttora i Cannibal Corpse; è dunque un riferimento alla fissa che ho per questo gruppo, niente di più semplice. In adolescenza gli amici con cui suonavo, un giorno mi hanno chiamato così e da quel momento ho deciso che sarebbe stato il mio nome d'arte!"

A parte gli scherzi... tu che vieni da un progetto come i Cronofobia... come ti sei avvicinato a questa musica, cosa ti ha catturato? Nic ha avuto esperienze che lo hanno avvicinato (per fortuna aggiungo) a questo mondo musicale... e tu? Cosa è successo dentro di te? Qual è stato il tuo viaggio?

Michele: "Mi sono interessato ai gusti musicali di Nic semplicemente per curiosità... Non avevo mai suonato musica Spagnola ed essendone incuriosito mi è sembrata la cosa più giusta da fare, mi ha subito attirato l'idea di fare una nuova esperienza. Ed è stata la scelta più giusta perché grazie a questo ho imparato una miriade di cose, proprio come musicista; ho imparato ad essere più dinamico nel suonare batteria e percussioni, ho iniziato a cantare ed ho anche imparato a conoscere e ammirare un sacco di persone che ballano i vari generi della musica spagnola."

"Il destino è un pazzo che gioca coi fili". Tema ricorrente nei pezzi dei Garrapateros. Ditemi qualcosa di più. Nic, Michele, parlatemi del destino.

Michele: "Io personalmente non credo nel destino, credo più alla fortuna. Ritengo una grande fortuna il poter sentire il ritmo in ogni cosa che faccio, lo sento nelle vene!" Nic: "Il tema del destino, associato anche al tema della casualità quindi all'effetto “sliding doors” di cui parlavamo prima, è una medaglia a due faccie che io non ho ancora ben identificato a dire il vero. Intendo dire che... in me è più presente “la visione della casualità”; quando scrivo del destino in “Huele a Pasado” per esempio, quello è un testo molto personale, una canzone dal gusto agrodolce, una tristezza consapevole - che non ti porta a buttarti giù da una finesta ma come dicevo anche prima serve per cercare di crescere. A volte... fa un po' parte della natura umana colpevolizzare qualcuno e in quella canzone io colpevolizzo il destino. Il destino che è appunto “un burattinaio”, è capriccioso, in questo pezzo. Completamente diversa invece è la visione di quando ho scritto “Casualidad” che è uscita nel 2012. Li scrivo che la vita è una casualità da quando inizia a quando finisce, ma è anche una possibilità, “sfrutta il momento e non te ne pentirai”. Il caso e il destino sono due cose che spesso fanno molta paura, perché rappresentano quel che non si conosce, ma allo stesso tempo quel che non si conosce incuriosisce. Molti lo temono e lo vivono con angoscia, io lo vivo con interesse, sono curioso di sapere quel che mi accadrà, anche se non credo che le persone siano legate a una predestinazione, questo no; sarebbe molto triste pensare che tutto è già scritto. In ogni caso mi ritengo una persona molto fortunata, perché ho un sogno e non tutti ce l'hanno. Per me è vitale. Avere un sogno, portarlo avanti, è una cosa... molto rara, una cosa preziosa... Che sia allora una casualità, destino... nellla mia vita c'è questo sogno, che è la mia vita stessa. Nella canzone in cui ho scritto che è “un pazzo che gioca coi fili” ho cercato di stare nel mezzo tra casualità e destino anche per... “impersonificare” la casualità stessa e facendone una “casualità personificata” allora non è più “casualità”, diventa un qualcosa, qualcuno, senza nome né cognome, a cui poter dare la colpa e che crea una serie di eventi che possono sembrare anche casuali, ma nel caso di questa voluta “personificazione” molto probabilmente non lo sono."

Allora.... so che nel vostro percorso musicale avete avuto grandissime soddisfazioni, tantissimi live, l'apertura del concerto agli Ska-P, a Tonino Carotone, il calore del pubblico, i vostri fantastici viaggi e tutto ciò che avete scatenato. Al di la' però di queste fantastiche esperienze, qual è stato per voi il momento in cui avete pensato “va alla grande, stiamo realizzando il nostro sogno”? Una scena, un ricordo, un momento, un'immagine, una riflessione.

Nic: "Le situazioni in cui... ho pensato “va alla grande, stiamo realizzando il nostro sogno”... sono tantissime... Non voglio sembrare banale ma... “vivere il presente” è sicuramente una cosa che mi caratterizza, penso al futuro ma in una prospettiva che si basa però sempre sul vissuto del presente, dunque si, l'elenco sarebbe molto lungo. Da quando ho iniziato a fare tanti concerti da solo – cosa che comunque non avevo mai fatto avendo avuto prima una band – a quando ho iniziato a suonare con Cannibal e abbiamo fatto esperieze stupende per cui a volte ti dici e chiedi: “Fanstastico! cosa succederà dopo...?”. Tanti live, tante esperienze diverse, quindi... ogni passo che si fa è vitale. Dalle cose più belle come l'apertura agli Ska – P e a Tonino Carotone fino alle “porte in faccia” che ti fanno dire “sta diventando sempre più vero”. Ad oggi, ti dico con ancora più convizione “Va alla grande, stiamo realizzando il nostro sogno”. Siamo in contatto con una casa discografica, con booking... non c'è ancora niente di ufficiale dunque al momento non posso fare “nomi” per così dire, ma c'è qualcuno che è molto interessato al nostro progetto e che ci aiuterà nella produzione... dunque... questo sicuramente è il raccolto di una serie di grandi soddisfazioni che ci hanno dato sempre più la carica per andare avanti, che mi ha fatto andare avanti con l'entusiasmo che ho tuttora." Michele: "Ricordo con grande piacere molta gente che non ci aveva mai sentito, che non sapeva chi fossimo e non conosceva la nostra musica, ballare e divertirsi con grande energia. Per me questa è sempre una soddisfazione. E poi... fare così tanti concerti fa pensare ad un futuro da musicista anche a livello lavorativo... il che è fanstastico..."

Come immaginate il vostro futuro...?

Nic: "Il mio futuro io lo immagino... in tour... con i Garrapata Sound System - dunque gli elementi nuovi che hanno creato un sound stupendo e con i quali c'è un intesa perfetta - visitando posti che non ho mai visto, facendo la cosa che più amo al mondo che ovviamente è suonare. Lo immagino... pensando che quel che ora è una passione e un lavoro part-time – per rendere l'idea – si trasformi nel mio lavoro a tutti gli effetti e di fatto già ora ho un tetto sulla testa e vivo grazie a questo. Condividere e vivere grazie a questo, così vedo il mio futuro." Michele: "Riguardo al futuro e a quel che si vuol credere a riguardo... so solo che ci vuole un grande impegno per realizzare i propri sogni e unicamente il grande impegno può portare ad avere la fortuna di fare esperienze grandiose, come è successo a noi, per esempio potendo suonare a concerti fantastici, con grandi artisti."

Parole. Colori. Sono due realtà che spesso – alternativamente - introduco nelle domande che faccio nelle chiaccherate su "Il cammino". Due mondi che dicono molto. A voi desidero proporre entrambi i mondi... dunque... di che colore siete? e qual è o quali sono le parole più significative per voi?

Nic: "I colori e le parole... io sono bianco e nero, sono gli estremi... e sto lavorando, negli anni, per trovare il compromesso tra gli estremi. Sono... sono un lunatico, altalenante, sono... un giorno a cento e un giorno a zero. Nella musica però è diverso, cerco sempre di essere a cento e mi impegno per esserlo, anche perché so che se do' il massimo nella musica, tutto il positivo che ne nasce mi ritorna e mi arrichisce anche per altri aspetti della mia vita. Anche nei Garrapateros sono bianco e nero e i ragazzi sicuramente lo hanno visto negli anni, a volte "sclero", a volte mi sento troppo rigido, ma poi comunque anche queste cose hanno portato a qualcosa di buono il più delle volte. I Garrapateros invece... per me... sono un colore unico fatto di miriadi di colori o per meglio spiegarlo... spettri di luce, miriadi di colori diversi che vanno a formare la luce stessa. La parola che più mi ha rapito invece... è sicuramente... "Compartir", "Condividere" e ... penso non ci sia bisogno di dire altro" (sorride, ndr). Michele: "Io sono porpora! Assolutamente porpora. E le parole che amo di più sono sicuramente... Consapevolezza, Gusto e Pensiero..."





sabato 25 aprile 2015

Massimo Bubola e la Eccher Band: al Teatro Odeon, la sacralità della Vita


"Concerto". Questa parola ha una storia intricata, complessa, piena di sfumature... La prima apparizione documentabile di questa parola splendida nella lingua italiana risale al 1519 ed è un termine dalle origini grandiose, perché è come una storia anzi, è una storia, per ogni popolo. Ogni parola è una storia, ogni parola è un mondo a se, perché le parole hanno un peso e un valore inestimabile e il mio appello è sempre stato una sorta di disperato richiamo, non sprecatele, vi prego; e ribadisco ogni giorno il mio... "Mi metto nelle mani delle parole, come fossi tra le mani di Dio"... una frase che le Parole mi hanno permesso di scrivere... in "Punti senza fine". E... "Mùsica", la Musa e ... "Spettàcolo"... "guardare", "tutto ciò che attrae lo sguardo, la vista, l'attenzione". Capite perché...? riesco a trasmettere, mi chiedo, il motivo, per cui personalmente, mi metto nelle mani delle parole come fossi tra le mani di Dio...? Bene, parto da qui. Pane, vita, grazie, promessa, amore, amicizia, dolore, gioia, immensità. Parto da questo per tentare di descrivere la Bellezza (richiamo di... "Armonia") ... si la Bellezza con la B maiuscola, di tutto ciò che Massimo Bubola e la Eccher Band (Enrico Mantovani, alle chitarre e al mandolino - Erika Ardemagni ai cori e auto harp e Alessandro Formenti, al basso) mi hanno saputo donare nella spettacolare serata di ieri, al Teatro Odeon di Lumezzane. Finalmente ho potuto assaporare dal vivo la grandezza di Massimo, della sua musica, della sua penna, il suo sapere e il suo intimo calore umano. Credo che se non sapete chi sia Massimo Bubola, beh, siamo alle solite... se non lo sapete, abbiate il buon senso di andare ad ascoltare i suoi pezzi, di leggere la sua storia, di tutto ciò che ha fatto in quarant' anni di musica, essendo egli parte importante, essenziale, profonda, della musica italiana; della Musica che che è Musa, la Musica che è Bellezza, la Musica. Ho cominciato a scrivere queste righe ieri sera tardi, appena rientrata dalla serata, all'una e ventitre del 25 aprile 2015, nel giorno del settantesimo anniversario della Liberazione della nostra Terra. Non volevo perdere un secondo, volevo perlomeno riuscire a fissare, come in uno scatto fotografico vivente, tutte le emozioni, le lacrime, le risa, il sènso dunque il "sensus", la percezione, il poter cogliere con lo sguardo, l'olfatto, l'udito, il tatto e con immenso, immenso gusto, il senso profondo e l'amore, la profondità di tutto quel che ho vissuto, in quelle due ore a Teatro, con dolore e vita nell'aria. Massimo Bubola ha iniziato l'articolato progetto riguardante la Grande Guerra con un primo album nel 2005, "Quel lungo treno" nel quale sono racchiusi brani tradizionalli riarrangiati e... rivitalizzati. Folk, country, rock, ballata e anche un tocco d'Irlanda. A proposito di Irlanda... per me che per la prima volta sono riuscita ad assistere dal vivo alla musica di Massimo Bubola, sentire "Il cielo d'Irlanda" è stato un colpo al cuore, una sorta di tachicardia emozionale, che mi ha accompagnato in realtà per tutta la serata, durante ogni pezzo. "Il fiume sand creek" scritta da Massimo pensando a un massacro di pellerossa realmente accaduto, nel novembre 1864. Stragi, umane. La guerra, i massacri, di ieri e di oggi, perché l'umanità non ha ancora compreso quanto sia sacra la vita o preferisce far finta di nulla perché... "tanto è così". No... non dev'essere così. Massimo Bubola con la sua band ha proposto al pubblico canzoni quali le sopracitate "Il cielo d'Irlanda" e "Il fiume sand creek" ed anche una versione dolcissima di "Volta la carta" perché "è come mi piace farla ora che ho un bimbo piccolo, come una ninna nanna" ha detto. Torniamo però al progetto dedicato alla Grande Guerra, proseguito con la pubblicazione, nel maggio 2014 dell'album "Il testamento del capitano", uscito in occasione del centenario. Sei brani della tradizione popolare, alpina e sei inediti del maestro. Ieri sera ho potuto ascoltare le meravigliose "Ta pum", "Bombardano Cortina", "Sul ponte Perati", "Il testamento del Capitano", brani che... ho ricordato, perché li avevo già  uditi, in tenera età probabilmente... e le parole tornavano alla mente, mentre Massimo cantava e così... le ho sentite. E il capolavoro che Massimo ha scritto pensando a quei tempi non lontani in cui la sera si cantavano canzoni popolari che riguardavano proprio la guerra, il dolore, la nostalgia e l'amore e che lui ha saputo racchiudere in "Rosso su verde", così, come se fosse la cosa più semplice del mondo, scrivere un brano che racchiude tutto questo. Ma quanto... quanto... è... e li ho visti quei momenti, nella testa e nel cuore, quei momenti di cui raccontava e in cui la memoria, c'era davvero.  La voce calda e intensa di Massimo Bubola, le sue parole... la dolcezza estrema e tutto l'amore racchiuso in "Tre rose"; tutto, tutte le molecole della mia anima sono state rapite. La voce e il volto angelico di Erika Ardemagni, la passione e i colori, il gusto, di Enrico Mantovani, il tocco, di Alessandro Formenti. La Eccher Band. Mi hanno "ammazzato" e "ridato la vita".  E "come se non bastasse", tra un pezzo e l'altro, l'attore gardesano Fabio Gandossi, che ha interpretato scritti pieni di pathos, storie di soldati al fronte, scritti donati al pubblico da Massimo, un dono, un altro, grande dono. Grazie... grazie... grazie... e anche questa parola... racchiude un grande mondo.


Lara Aversano

venerdì 27 marzo 2015

Rossodannata: "Oggi, domenica"


"Oggi, domenica" è il primo EP dei Rossodannata, un progetto di Russu (Totale Apatia) e Dade (CDU). Un paio di mesi fa feci una chiacchierata con i ragazzi, curiosa di sapere di più di quel che sarebbe stato ed essendo già a conoscenza della storia musicale del duo. La prima reazione che ho avuto, nel sentire e vedere il video del singolo "La Nave" è stata quella di commuovermi, non "solo" perché il testo è molto significativo e il video anche, non "solo" perché le melodie e il cantato rispecchiano il testo, ma perché ho visto un punk rocker meticcio, come ha sempre dimostrato di essere Alessandro Rossoni, autore della maggior parte dei testi dei "Rossodannata", mettersi completamente a nudo nei confronti di chi avrebbe ascoltato. E' sempre stato un autore sincero, onesto, incazzato, serio, felice, ironico, ma qui, ho trovato il Russu che tanti non conoscono o non immaginavano, la familiarità, l'intimità, il coraggio di mettersi in gioco. "Acoustic Punk". Il punk può essere acustico? che cos'è il punk per voi? è "solo" un genere musicale? per molti, per coloro che non ne percepiscono il nucleo, la parte più profonda... punk e punk rock, significano "fare casino", "protesta", "andare contro tutto e tutti", addirittura "anarchia". Forse lo è stato, anzi sicuramente lo è stato, ma la musica ha il meraviglioso potere di essere in continua evoluzione, di farsi scoprire, di poter significare sempre qualcosa di diverso. Bene, è difficile da spiegare, ma la concezione punk, come Russu e Dade stessi hanno affermato in una recente intervista, è anche "uno stile di vita" e io aggiungo che è "non mollare", "rialzarsi quando si cade", "riflettere su ciò che ci circonda", "riflettere su se stessi", è "l'alternativa, perchè così non mi piace", "è divertimento" ma anche "serietà"; il tutto nella più totale, disarmante, onestà. Senza ipocrisie, senza far finta di star bene, senza per forza dover arrivare a qualcosa di cosmico; la semplicità. Non il semplicismo, attenzione. Questo, per me, è punk rock. E questo Ep, porta due punk rocker a qualcosa di certamente alternativo, perché i loro ascolti cantautorali si mescolano a quell'irrefrenabile spirito che è parte di loro e che non li mollerà mai, perché punk rocker lo saranno anche a settant'anni. "Sobrio". E' il primo pezzo dell'EP, testo breve, conciso, quasi ermetico, semplice e difficile da interpretare (il che lo rende molto punk). Iniziano le prime note di chitarra, solitarie, come fossero in attesa di qualcosa e quel qualcosa è un'inizio che fonde la melodia punk di una chitarra elettrica al suono surreale di flauti che tanto ricordano certi cantautori, con le loro melodie, "non punk" (ma anche qui dipende dai punti di vista). "Flebile, la mia volontà di avere in tempo quello che mi spetta". Potrebbe sembrare la frase di qualcuno che ha un po' mollato la presa, che è stanco di aspettare qualcosa che gli sembra non arrivare mai, ma la realtà, per come la vedo io, è che nel momento in cui questo pensiero è diventato musica, si è automaticamente trasformato in voglia di vivere e di non mollare. Un po' come... "Sono stufo, stanco, annoiato, disgustato.... pronto, a lanciare la sfida" (Totale Apatia). "Sobrio" è una presa di coscenza, è una riflessione, è la sobrietà che l'autore ha nel valutare ciò che è attorno a noi e dentro di noi, esseri umani, ogni giorno. "Forse un giorno arriverà una novità [...]. I tuoi occhi blu riflettono cose che forse sai solo tu, come non è stato mai." E questo "come non è stato mai", ripetuto più e più volte, che un po' mi ricorda i finali di alcune canzoni dei Nirvana, è una dichiarazione di sobrietà. "La nave", il secondo pezzo, il primo singolo. E' una canzone allegra e triste al tempo stesso, è riflessiva, ma si prende in giro. Si guarda allo specchio, fa la faccia un po' storta, poi si capisce e sorride, ironica, sincera, intima. La chitarra di Davide Baronio (Dade) crea un'atmosfera che va contro se stessa, nel senso più positivo dell'affermazione. E' come un ossimoro, io la sento così ed è perfetta in questo pezzo. La voce di Russu è quasi sofferente, è una voce punk che riflette più a fondo e questo già dice molto. Tutti abbiamo delle paure, tutti abbiamo momenti di sconforto, il pezzo lo afferma con tutta onestà, con parole nude e crude, ma... "Sorridi, è la vita... e non farti del male" (!). Si arriva poi al terzo pezzo, "Down the Street", la versione acustica di un pezzo dei Totale Apatia che sarà presente nel nuovo album, in uscita proprio quest'anno (i Totale Apatia hanno anticipato al pubblico alcuni dei nuovi pezzi, compesa "Down the Street" in versione originale, nel live di Sabato 21 Marzo a Brescia). Nella versione alla "Rossodannata" il brano ha sfumature folk, popolari, ma allo stesso tempo mantiene lo sfondo punk, nonostante il suono di una popolarissima fisarmonica. "Il soffio del vento", il quarto pezzo, nostalgico, commuovente, sofferente. Al primo ascolto, durante il live d'esordio, mi ha fatto piangere come una disperata. E' senza dubbio il pezzo che amo di più. "E il ricordo sale in me/ non ricordo neanche se/ sono solo sogni e fantasie/ le tue mani sulle mie." Dolce e soffice, si trasforma poi in un tango, passione, rabbia e solitudine, la voglia di svegliarsi con un ricordo nostalgico che torna ad essere realtà e poi di nuovo malinconia, perché il soffio del vento, in questo pezzo porta via qualcosa di grande, così... come fosse stato niente. "Ventricoli del cuore", scritta, cantata e intepretata da Davide, è in parte narrata, incentrata sul peso dell preoccupazioni, sulle tensioni, sulle speranze, sulle lotte quotidiane, il tempo che passa e il valore che ogni passo ha, sulla nostra strada. Passi che non sono da bruciare e poi... "Miete vittime il rancore", il rancore dentro, mai; meglio liberarsene alla svelta, per non perdere la strada. Infine, la traccia nascosta: "Angelina" (anche qui l'autore è Dade), fantasticamente rustica, ricorda lo stile "Cochi e Renato" sia per il cantato che per il testo simpatico e ironico. Un bel finale, sia l'EP che per il live, un saluto al pubblico, perché anche quando si riflette e spesso si soffre, la vita va sempre presa per quello che è, un dono meraviglioso; ed è meglio sapersi prendere un po' in giro, non perdere il sorriso, perché un nostro sincero sorriso, è l'arma più potente che abbiamo verso tutto ciò che non va.


martedì 17 marzo 2015

Dario Cecchini e i Funk Off: l'energia che esplode in musica


Funk Off
Oltre sedici anni di storia, quasi settecento concerti. I Funk Off sono stati la prima funky marchin' band italiana e al termine hanno dato un nuovo significato, unendo quest'accezione al groove della black music, ad arrangiamenti jazz, a movimenti e coreaografie di grande impatto emotivo e visivo, senza mai perdere la loro "italianità", le origini, la musicalità della propria terra. Dopo di loro tante band sono nate, seguendo la loro scia meravigliosa ma... loro sono unici, unici e inimitabili. Sono passione, grinta, originalità, feeling, groove, calore, colore e potenza. Dario Cecchini (clik click!) è il fondatore e leader della band fiorentina, scrive ed arrangia la loro musica dall'inverno del 1998, quando il progetto nasce e comincia ad attirare l'attenzione dei responsabili dell'Umbria Jazz che dal 2003 in poi li inviterà a tutte le edizioni del Festival, scegliendoli come marchin' band ufficiale sia della manifestazione perugina che dell'Umbria Jazz Winter di Orvieto, coinvolgendo, come è inevitabile che sia, tutto il pubblico e portandoli fino al palco di un entusiasta James Brown. Ci sarebbero così tante cose da scrivere, ma... cliccate sul link tra parentesi e vi renderete conto di cosa hanno combinato questi musicisti eccezionali (FunkOff on Fb). Personalmente li ho scoperti nel 2011, ospiti di "Sostiene Bollani" su Rai3. Io e il mio compagno ci siamo guardati, con gli occhi spalancati, l'ascolto che si trasforma immediatamente in un istante di stupendo entusiamo, un sussulto e se non ricordo male un "Oh mio Dio...!". Una rivelazione. Sul loro sito www.funkoff.it potete trovare tutte le news e le date sempre aggiornate. Ora, veniamo a noi... una bella chiacchierata con lui, Dario Cecchini...
Dario Cecchini

Per prima cosa sono curiosa di sapere come ti è venuta l'idea di questo progetto, ma non desidero chiederti, per così dire, "informazioni generali". Intendo proprio a livello "fisico/chimico/mentale/temporale". Mi spiego meglio: so che sei cresciuto con il jazz, che hai molte influenze (dal funk alla black music o la soul latina), hai molte esperienze diverse, prima di questo progetto per esempio dirigevi la Big Band del Cam (scuola di musica fiorentina) con la quale hai iniziato a mescolare il jazz, il funk, la black music... ma la mia domanda è: l'istante. C'è un istante, un punto di illuminazione in cui è nato il progetto Funk Off? Il culmine dell'idea, il climax dell'ispirazione, riguardo all'idea del progetto Funk Off appunto.

"Allora... il momento è stato... durante una prova della Big Band del Cam, la Ballroom Dance Band che dirigevo oramai da circa tre anni, anzi dal '94, quattro anni... In questa band c'erano diversi dei ragazzi che poi sono entrati a far parte dei Funk Off: Andrea Pasi, Nicola Cipriani, Paolo Bini, Francesco Bassi, Luca Bassani, che in quella formazione suonava il basso e... durante una prova ebbi quest'idea, pensai "porca miseria! Potrei fare una band che fa questo tipo di musica, con la formazione della banda e quindi con il suono della banda, però unendo a questo il movimento". Al momento ho pensato che poteva essere un'idea sulla quale lavorare, poi ricordo che ne ho parlato con Francesco Bassi, gli dissi dell'idea, che avrei scritto un po' di pezzi e che poi avremmo potuto valutare cosa fare. C'è da dire che... qualche anno prima credo, un nostro amico Dj mi chiese di fare una cosa con la formazione della banda, di suonare "Reginella Campagnola" e io feci un'arrangiamento, così a voce, poi diedi le direttive musicali. E' un brano tipico delle bande di paese insomma - e non so.. non so se questa cosa mi ha influenzato in qualche modo, non ci avevo mai riflettuto, poi fu lui, questo Dj, a chiedermi se mi fossi ispirato a quell'esperienza e io gli dissi "Mah... no, non ci avevo mai riflettuto, però...". Io credo di essermi più ispirato di più... nel vedere i movimenti spontanei che i musicisti facevano quando provavamo i pezzi, arrangiamenti di brani più e meno funk e anche qualche brano mio... ed è stato anche il momento in cui presi fiducia sull'idea che mescolare musica jazz, funk, soul... potesse avere una ragion d'essere e che potesse funzionare; quindi anche una presa di coscienza e una presa di fiducia in me stesso."

Funk Off
E quando hai dato il via al progetto ti aspettavi di risultare così sconvolgente? Cioè, fin dall'inizio, siete stati un'esplosione per tutti!

"Ma sai... io non sono molto bravo a trovare concerti, a gestire questi aspetti, però c'era e c'è Nicola Cipriani che invece è molto bravo in questo e lui si diede molto da fare e... grazie a lui iniziammo a fare le prime date; poi è ovvio che quando parte un progetto non pensi che possa diventare quello che poi diventa... quello che è diventato. Tu provi a portarlo avanti nel miglior modo possibile. Non immaginavo che alla gente potesse piacere così tanto questo progetto, anche perché... oggi in giro ci sono tante marchin' band, ma all'epoca non ce n'erano, noi siamo stati i primi e quindi... era tutto da vedere, magari andavi fuori e la gente non ti stava nemmeno ad ascoltare... Poi... uno non fa il progetto per la gente, lo fa prima di tutto per esprimere le proprie idee artistiche, musicali, poi se va bene... naturalmente fa piacere! Quando ho iniziato con i Funk Off avevo trentacinque anni, erano quindici anni che provavo a fare musica e che vivevo di musica comunque e non lavoro nel mondo del pop – ho avuto collaborazioni pop, ma comunque non faccio musica pop - quindi per me un progetto parte come un'esigenza artistica, in altri contesti parte invece con l'idea di guadagnare, di diventare famosi, come nel caso dei talent."

Oltre a questo... vedo gruppi che hanno avuto un ottimo riscontro, che se lo meritano e che... anche loro non partono con l'intenzione di "diventare famosi" e tantomeno si aspettavano quello che poi sono riusciti a realizzare, parlo di gruppi assolutamente non commerciali, che però nell'impostazione iniziale avevano un approccio diverso fin dall'inizio, a livello di diffusione della loro musica, rispetto alle nuove tecnologie per esempio.

"Una banda così" Funk Off
"Ah la nostra diffusione è stata quella più vecchio stile del mondo, abbiamo cominciato a fare live, a quei tempi solo marcianti. Al tempo, nei live in strada, facevamo un po' come ora in realtà, alcuni dei pezzi avevano delle coreografie più strutturate e altri invece meno, poi però andando avanti negli anni si sono aggiunti Alessandro Sugelli, Francesco Bassi, Andrea Pasi (i principali curatori delle coreografie, ndr). All'inizio eravamo veramente "solo" una marchin' band; io mi ricordo che quando ci è successo di fare il primo concerto su un palco io... non è che fossi tanto sicuro e convinto che la cosa potesse funzionare, quindi poi... ovviamente c'è stato uno sviluppo, dal concerto di marchin' band che marcia per la strada e che suona muovendosi a quello di una formazione che resta di marchin' band ma che suona anche su un palco e naturalmente è diversa la cosa."

Una cosa però mi ha colpito, per la sua dolcezza... Già dai video dei live, dalle performance che ho potuto trovare online perché purtroppo non ho mai avuto occasione di vedervi dal vivo, mi dai l'impressione, in particolare con i più giovani, di essere un po' "lo zio" della situazione; mentre suonate, lo scambio di gesti, di sguardi, sembra tu abbia un senso di protezione verso i tuoi musicisti, anche con quelli che più o meno hanno la tua età in realtà, però con i più giovani è più palpabile la cosa... è un'impressione mia o è così davvero?

"Beh... certo... io sono... diciamo così... a capo dei Funk Off, quindi... è ovvio che proteggo i Funk Off. In realtà non ce n'è mai bisogno, anzi, a volte devo stare attento a proteggermi da loro perché sai, in quattordici contro uno...! (ride con affetto..., ndr). No beh, sono protettivo nel senso che voglio bene a questa band, fa parte di me, dunque sono protettivo con loro come lo sarei verso me stesso; poi lo scambio di sguardi, di gesti, sicuramente è una questione di feeling, ma è anche frutto di esigenze musicali, direttive. C'è talmente tanto affiatamento che... basta che loro mi guardino, gli basta vedere come mi muovo, con un'occhiata ci intendiamo, se c'è qualcosa che non va o se c'è qualcosa che voglio dire, loro lo capiscono al volo. Quello che mi piace dei Funk Off è che il concerto si sviluppa in maniera diversa tutte le volte, a volte nascono cose nuove durante i live, proprio perché c'è molto feeling e dunque io posso "chiamare" delle cose che nelle prove non abbiamo fatto perché c'è molta empatia tra noi. Riguardo ai più giovani... non so... tanto sono tutti più giovani di me! (ride - ah ah, ndr). Mi piace che succedano le cose sul palco, nel jazz succede questo, quello che accade stasera non accade domani sera e quello che succede domani sera non succederà l'indomani e il nostro approccio viene molto dal jazz. Per esempio, se parliamo di un concerto di musica pop, si parla di un "prodotto perfetto", pensato, organizzato, perché deve essere più o meno sempre così com'è. Nel progetto dei Funk Off è esattamente il contrario, è un "prodotto imperfetto", comunque organizzato, ma che trova energia, linfa e cambiamento durante lo sviluppo del concerto. Questo ci riporta al fatto dell'essere empatici l'uno nei confronti degli altri e anche al correre dei rischi. A volte è successo, magari io ho lanciato delle chiamate che al momento non sono state colte ed è capitato facessimo degli errori anche evidenti, ma va bene, ci sta, anche nella vita è così. A me proprio... non interessa fare una musica perfetta."

Siete anche a lavoro per il nuovo album che esce ad Aprile 2015 giusto? Dimmi dimmi, racconta eh eh...

"Riguardo al nuovo album beh, io sono molto contento perché ha un sound diverso dagli album precedenti – al di la' del fatto che ovviamente sono pezzi nuovi - proprio come ispirazione, arrangiamenti, produzione. Oltretutto ci sono tre ospiti, due dei quali hanno collaborato anche alla composizione dei brani, hanno scritto i testi di due brani e li cantano. "Dance with me" con AverySunshine e "Déjà Vu" con Raul Midon. L'altro ospite è Fred Wesley, che era il trombonista della della band di James Brown (The J.B. 's - ndr). Per me questo è l'album più soul tra gli album dei Funk Off. Non tutti i brani sono soul, ma una buona parte è comunque d'ispirazione soul, anche perché venivo da un periodo di ascolti di artisti come Marvin Gaye, Bill Withers, Leon Ware, Curtis Mayfield e io... ce li sento, sono veramente contento."

Qualche novità sui prossimi live? (date a fondo articolo, ndr)

"Abbiamo vari concerti e varie Street Parades. Inoltre presenteremo in alcuni teatri il nuovo album e in questi eventi avremo come ospite Karima, una collaborazione nuova. Lei è molto brava a cantare ed è molto brava a cantare in inglese ed avendo composto dei pezzi in inglese è nata questa cosa; poi faremo anche un pezzo suo, con un arrangiamento un po' "funkoffizzato" diciamo eh eh..."

Ora parliamo di parole, è una cosa che adoro quando chiacchiero con musicisti, artisti e anche in generale... dimmi una, due.. quelle che vuoi... parole per te essenziali e qual è per te il loro significato più profondo, il motivo della scelta... Perché le parole, come la musica, sono un mondo non credi...?

"Di sicuro "armonia", "equilibrio", sono le parole che hanno un significato particolare per me. "Armonia" perché... mi piace avere armonia intorno, mi piace dal punto di vista umano e mi piace perché nella musica... amo molto l'armonia o le sfumature che l'armonia può dare... penso che quando c'è armonia tutte le cose siano migliori. "Equilibrio" perché l'equilibrio è una cosa importante, una cosa della quale sono sempre alla ricerca e... a volte lo trovo e a volte non lo trovo; e questo sia nella musica che nella vita. Questo però non significa che i pezzi debbano per forza essere equilibrati, anzi, fondamentalmente penso che nel momento compositivo, creativo, sia necessario essere tutt'altro che equilibrati, che si debba essere "esagerati", "illogici", che si debba seguire l'istinto, abbandonarsi ai sentimenti e alla creatività stessa, quindi in quella fase credo che l'equilibrio non sia produttivo. Per tutto il resto però credo che nella vita l'equilibrio sia una cosa fondamentale; questo non vuol dire che poi io ce l'abbia (sorride..., ndr)."

Ai di la' della musica ci sono altre discipline artistiche che ami particolarmente? e se si, perché?

"In realtà mi piacciono molto tutte le discipline artistiche, mi piace molto la danza, mi piace molto la pittura, il disegno, mi piace l'arte in generale, infatti soffro molto per la totale assenza di rispetto che c'è nei confronti dell'arte e della cultura in Italia. Mi piacerebbe saper disegnare, ma non ho un gran talento e non avrei nemmeno il tempo per potermi applicare. Mi piacciono molto anche le parole, mi piace molto... il suono delle parole... Le parole hanno un peso, dunque cerco di usarle per il peso che penso che abbiano e per il peso che gli do' io..."

[Non commento più di tanto ma... se seguite quello che faccio un po' mi conoscete, quindi potrete immaginare quanto mi abbia fatto un'immenso piacere sentire queste parole...]

Per chiudere... come descriveresti te stesso e come descriveresti i Funk Off...?

"Beh... io mi descrivo come uno che cerca di vivere per quanto può nella Musica e... di sicuro i Funk Off lo sanno... Cerco di esprimere le mie idee nella musica in maniera sincera, prendendomi dei rischi anche, cercando sempre di andare avanti, di fare sempre cose diverse rispetto a quelle che ho già fatto. Penso di essere una persona molto sensibile, ma anche perché... me lo dicono gli altri... credo si saper ascoltare, quindi cerco sempre – rispetto anche a quello che ti dicevo prima – di costruire un'armonia, cerco di avere il massimo dell'armonia attorno a me. A volte ci riesco e a volte no. Questo non vuol dire che poi non si arrivi talvolta anche a degli scontri, purtroppo succede... ("Beh... servono anche quelli..." commento io nel frattempo...). I Funk Off... come descriverli... mi ritengo una persona fortunata perché ho avuto un'idea e ho trovato quattordici persone che mi hanno seguito per realizzarla ed è una fortuna che non tutti hanno avuto. I Funk Off sono un gruppo che si basa sulla musica e sull'amicizia, su una forte aggregazione tra le persone che ne fanno parte e che sono in gran parte vissute insieme essendo undici di noi dello stesso paese; poi c'è Alessandro che da tanti anni abita a Vicchio e poi ci sono tre musicisti che vengono da Firenze, da Prato, da Montepulciano e sono i membri più recenti della band. Comunque sia i Funk Off sono un gruppo che si basa molto sui rapporti umani e questi rapporti umani, un po' per indole, un po' per come è nato il progetto, per come nascono i pezzi... si trasmettono con naturalezza nella musica stessa. E' un gruppo molto unito, nonostante sia fatto di persone molto diverse tra loro e dunque quando ci sono da prendere delle decisioni io dico sempre "cerco di scontentare tutti il meno possibile" perché accontentare tutti è impossibile."

Grazie Dario, per questo bell'incontro sul Cammino.



I prossimi Live:

24 aprile 2015 – a Latina (LT)
02 maggio 2015 – al Teatro Carrara, Carrara (MS)
16 maggio 2015 – al Vicenza Jazz Festival, Vincenza (VI)
17 maggio 2015 – al Teatro Thiene, Thiene (VI)
20 maggio 2015 – alla Casa del Jazz, Roma
29 maggio 2015 – a Novazzano (CH)

I Funk Off:
Dario Cecchini - sax baritono e direzione musicale
Paolo Bini, Mirco Rubegni ed Emiliano Bassi - tromba
Sergio Santelli e Tiziano Panchetti - sax alto
Andrea Pasi e Claudio Giovagnoli - sax tenore
Giacomo Bassi e Nicola Cipriani - sax baritono
Giordano Geroni - sousafono
Francesco Bassi - rullante e coordinatore sezione ritmica
Alessandro Suggelli - cassa
Luca Bassani - piatti
Daniele Bassi - percussioni leggere

giovedì 26 febbraio 2015

Il meraviglioso mondo di Lisa Marie Simmons e degli Hippie Tendencies


Stasera si parla di "Hippie Tendencies". Non di "tendenze hippie" in senso letterale ne di concetto "hippie" di per se. "Hippie Tendencies" è una band che ha l'intento di riflettere nella propria musica valori in cui crede quali, citando la loro biografia "soluzioni pacifiche ai problemi globali, l'energia sostenibile e l'accettazione delle differenze religiose, culturali e sessuali". La band nasce nel 2006 e si forma dall'incontro di quattro musicisti italiani con una cantautrice americana. Marco Cremaschini al piano, Cesare Valbusa alla batteria, Massimo Saviola al basso elettrico, Christian Codenotti alla chitarra acustica e voce e Lisa Marie Simmons, voce portante, autrice dei testi e co - compositrice. Le melodie e i ritmi spaziano da pezzi quali "Wana Wa Africa", che già dal titolo e fin dalle prime note e ritmiche ricorda la grande terra, a pezzi funky/pop, divententi e solari come "Poppy Rock" fino alle sfumature soul/blues di "Shame on You" e alla malinconia di "The Trees", per citare alcuni pezzi che possono rendere l'idea delle molteplici influenze del progetto. I testi hanno approcci diversi e tematiche anche molto distanti tra loro, dal tema dell' immigrazione alla "poca voglia di stare zitti di fronte a certe cose", fino a sentimenti di solitudine - provati nel mezzo di una folla davanti alla quale qualcuno sorride chiedendosene un po' il motivo e dunque... anche l'espressione del desiderio di incrociare una mano tesa. Si parla di ingiustizie, delle logiche del potere e della brama di denaro, mascherate, anche se non così tanto, ma anche di risvegli, prese di coscienza, le domande sull'esistenza che ogni essere umano si fa o potrebbe farsi; si giunge poi a temi pesanti, quali l'orrore degli abusi sui minori e si torna all'allegria con pezzi quali appunto "Poppy rock" in cui in sotanza Lisa si chiede a gran voce "ma perché devi per forza etichettare la mia musica?". Per quanto riguarda i loro album, i tour in Europa e in America, le informazioni più classiche, vi rimando alla loro pagina fb e al loro sito. Ora, l'intento è quello di  parlare con Lisa, il caldo timbro, il centro attorno al quale si crea il mondo degli Hippie Tendencies.

- Lisa dolce Lisa... qualche giorno fa ho visto il video di una tua intervista del 2009 a "Luci della città". Mi ha colpito moltissimo la tua dolcezza, la gioia che si percecisce nel tuo sguardo, il modo in cui parli della musica e dei tuoi ricordi legati ad essa... Parlavi del Colorado, in cui sei nata e nel quale ti sei avvicinata alla musica grazie alla passione di tuo padre e di tuo nonno, un batterista jazz... parlavi del suo locale e dell'ambiente in cui sei cresciuta, con la musica attorno fin da piccolissima... Una meraviglia insomma. Poi il tuo lungo percorso girando per il mondo seguendo sempre, costantemente, la musica. Dal Colorado a New York, dall'Olanda alla Francia fino ai Caraibi e poi l'Italia, che a quanto pare... ti ha rubato il cuore. A proposito di questo, del fatto che qui hai deciso di mettere radici... cosa ti ha colpito così tanto da farti scegliere di fermarti proprio qui, dopo tutti i posti meravigliosi in cui avevi vissuto?

Io amo l'Italia profondamente. Ho cantato in ogni regione, tranne la Sardegna e ho sempre trovato in ogni luogo qualcosa di grande valore. Adoro la realtà per la quale a pochi chilometri da un posto all'altro si possono trovare dialetti diversi e piatti tipici differenti, una cultura unica per ogni luogo. Come in ogni luogo in cui ho vissuto ci sono paradossi. Ci sono cose bellissime, l'antica cultura italiana, l'arte, il cibo, il vino, la bellezza dei paesaggi. Comunque... in ogni posto c'è del bello e del brutto. Tuttavia mi sento a casa qui, c'è un vasto mare di talento artistico in questo Paese e... questo talento, unito a tutte le altre sfaccettature, mi piacciono un sacco e tutto combina per me come un' ispirazione giornaliera, quoditiana. E poi... io sono innamorata di un italiano e i musicisti che formano la mia band sono italiani; siamo diventati davvero una famiglia. Per il momento continuo ad essere ispirata e produttiva musicalmente stando, poi ... se questo dovesse cambiare mi sposterò di nuovo!

- Hippie Tendencies. Il primo album è uscito nel 2010 e porta il vostro nome, il secondo album invece, "Identity", è uscito nel maggio 2014. Da quando hai iniziato questa esperienza con gli Hippie Tendencies, avete attraversato generi musicali d'ogni sorta e tu sei sempre stata l'autrice dei testi. Ho ascoltato pezzi del primo album e del secondo e c'è veramente "una zuppa" - come la chiamavi tu nell'intervista sopracitata - di musiche ed emozioni. Una zuppa delle più buone e sane aggiungo io, è fantastico il tuo paragone con la zuppa perché relazionato alla vostra musica mi fa immaginare veramente una zuppa di quelle che già solo a guardarle ti dicono "mangiami", insomma, è vero, non è come in molti casi in cui ho sentito dire "il nostro gruppo è pieno di generi, è pieno di questo o quello" e poi ascoltando a volte ti dici "ma sono sicuri?". A parte gli scherzi, hai dei musicisti bravissimi e tu sei come un fiore attorno al quale loro girano incantati. Questa è l'impressione che ho, nell'ascolto dei pezzi e sopratutto vedendo i video dei live. Allo stesso tempo, sembra che tra voi ci sia un feeling incredibile, palpabile e che tutti voi siate legati da un filo, l'uno per l'altra. Parlaci di come si sono incrociati i vostri percorsi, di come è iniziato tutto e soprattutto... quando si parla di musica e delle emozioni che ci da' è difficile dare una spiegazione, ma ... proviamoci... come "ti spieghi" tutto questo, come si è creato questo filo, come si è creata questa "zuppa" di emozioni? Penso sia una delle più belle sensazioni da poter sentir descrivere, per me che te lo chiedo e per chi leggerà...

Ho incontrato il pianista Marco Cremaschini quando sono andata da lui per migliorare le mie capacità al pianoforte. Ero frustrata, perché le canzoni che sentivo nella mia testa non riuscivano ad uscivare delle mie dita. Mi sono seduta al suo pianoforte e cantavo, mentre suonavo un paio di canzoni... e mi ha detto: “Mi piace il tuo stile, cerchiamo di mettere insieme una band?”. Così, all'improvviso, è stata la prima cosa che mi ha detto dopo avermi ascoltata. Irresistibile! Mi ha detto che il mio stile andava proprio nella stessa direzione in cui lui e un suo amico bassista si stavano avventurando. La mia prima impressione su di lui è stata altrettanto positiva. Ho pensato che fosse divertente, profondo, gentile e intelligente e sono stata immediatamente attratta dalla sua maestria incredibile con il piano; mi ha subito colpito quanto fosse delicato e allo stesso tempo potente. Il giorno dopo ho chiamato il mio amico Filippo De Paoli (oggi membro dei Plan de Fuga) e gli ho parlato del progetto, chiedendogli se volesse partecipare. Marco ha chiamato Massimo Saviola e Cesare Valbusa e insomma... abbiamo riscotrato un feeling immediato e e abbiamo scritto la nostra prima canzone insieme ("Feel No Pain") nel giro di una settimana. Poi Filippo, che è un grande frontman, ha deciso di dedicare il suo tempo ai "Plan de Fuga", un progetto che stava decollando e, quando lui ha deciso di dedicarsi a questo, abbiamo incontrato Christian Codenotti . Christian è il sound engineer del primo album (e anche del secondo) e anche con lui abbiamo subito sentito un grande feeling, durante la registrazione e il mixaggio dell'album. Si percepiva il suo amore per il progetto ed è stato davvero naturale, spontaneo, chiedergli di unirsi a noi. Per quanto riguarda la nostra chimica... chi... può spiegare questo? Anche se ognuno di noi proveniene da diversi mondi musicali, in un modo che non so spiegare, quando scriviamo insieme, tutte le diverse esperienze si fondono dando vita ad un suono originale ed organico. Abbiamo un grande rispetto l'uno per gli altri e anche questo, sul palco, nei live, si vede, si sente…In più, per così dire, siamo tutti "animali del palco", amiamo il nostro lavoro ed è essenziale per ognuno di noi comunicare al pubblico la profondità delle nostre emozioni, l'essenza che abbiamo cercato durante la scrittura e la composizione di ogni singolo pezzo. L'essere stati in tour insieme in Europa e in America poi, ha certamente contribuito anche al consolidamento del nostro sound e della nostra resa sul palco.

- Parlando del tuo amore per la scrittura... ti piace scrivere anche testi che non siano canzoni, magari prose, poesie o altro? e... le tue letture? quali sono i tuoi autori preferiti parlando di letteratura e/o poesia?

Io sono affascinata dalle parole e dalla forza insita in loro. Sì, io scrivo anche poesie e spoken word. Se ne può trovare alcuni esempi sul sito internet "AllPoetry" con lo pseudonimo "Limarie". Una mia poesia, "Hair" è stata pubblicata in Sud Africa in una raccolta di poesie chiamata "The Long and the Short of it".

L'elenco dei poeti - e ci tengo a precisare che per me molti cantautori sono poeti - e scrittori che ammiro è infinito. Alcune delle mie prime influenze sono state Alice Walker, Maya Angelou, Toni Morrison, C.S. Lewis, Tom Robbins, Tom Wolfe, Isabel Allende, Ani Di Franco, Bob Dylan, Joni Mitchell, James Taylor, Gabriel Garcia Marquez, Angela Davis, Nina Simone, Paul Simon, Stevie Nicks, David Bowie, Gil Scott-Heron, Walt Whitman, Richard Wright, F. Scott Fitzgerald, James Baldwin, James Joyce, Flann O’Brien, Emile Zola, etc. etc. etc. Parlando invece di autori contemporanei direi Dave Mathews, Karen Joy Fowler, Donna Tartt, Anthony Doerr, Zadie Smith, Jonathan Franzen, Jeffrey Eugenides, Dave Eggers, Leonard Cohen, Jonathan Safran Foer e molti molti altri!

- Il cd che hai inciso da piccola, quello che ti ha fatto dire "questo è ciò che voglio fare". Raccontaci qualcosa di questo, in sostanza è stato il momento decisivo, quello che ti ha tolto ogni possibile dubbio no? un passaggio fondamentale per te... L'album su cui ho cantato da piccola era un coro di bambini di cui facevo parte e per me è stato un onore poter avere un assolo tutto mio in quel contesto e.. si, quel momento, così come la mia prima volta sul palco, di certo è stato un momento cruciale. E' stato allora che ho scoperto quanto per me fosse naturale il dediderio di comunicare il messaggio delle canzoni al pubblico. Il rapporto, lo scambio incredibile che si crea tra il performer e il pubblico mi ha incantato. Anche se per un po' sono stata indecisa tra recitazione e canto, dentro di me sapevo che in ogni caso avrei lavorato con le parole, amavo stare sul palco e adoravo il potere curativo della musica.

A casa mio padre ascoltava molto jazz e mia madre ascoltava musica folk americana, così le influenze sono state varie. Mia madre ci leggeva libri e passavo la maggior parte delle serate così, con l'infiammarsi dell'immaginazione, amando sempre più le parole e spesso, tutti riuniti cantavamo i pezzi gli album dei miei genitori, imparando e analizzando ogni parola dei testi.

- Ora siete in tour con il nuovo album... le ultime novità riportano un live il 5 Marzo in Austria, il 13 Marzo a Verona, poi di nuovo all'estero il 09 e il 10 maggio a Chicago e così via... (tutte le date e i dettagli sul sito - ndr). Siete delle trottole insomma, cosa ti piace di più dei vostri viaggi, al di la' del live che andate a fare, parlo proprio del viaggio in se, tu e i tuoi musicisti verso mete sempre così diverse l'una dall'altra.

Beh, una volta mentre eravamo in partenza per un tour in Italia e in Francia, Marco ha detto: “Eccoci qui! andiamo verso un'altra avventura!” Questo è esattamente lo spirito dei nostri viaggi, sono una meravigliosa avventura senza fine. Non si sa mai cosa troveremo, anche parlando del pubblico; ogni pubblico è diverso e rende ogni concerto differente, tenendolo il live sempre fresco ed emozionante.

Visto che siamo, come ho detto, un po 'come una famiglia, passare del tempo sulla strada insieme assomiglia proprio a ciò che succede in una famiglia appunto; ci facciamo un sacco di scherzi, litighiamo e poi facciamo la pace, ci godiamo il paesaggio che attraversiamo, il cibo, la gente. Amo scrivere mentre siamo in viaggio, alcuni dei nostri pezzi sono nati proprio in questo modo. "Woke Ui" è stato scritto, in sostanza, a partire da un'idea di Massimo che abbiamo sviluppato dopo un concerto a Firenze seduti ai bordi del palco del teatro vuoto.. Assolutamente, il fuoco della nuova idea, molto spesso è alimentato da un' esperienza avuta on the road.

- Avete avuto grandi, eccellenti soddisfazioni, questo è certo ma... visto che sappiamo qual è... cosa pensi della situazione discografica italiana?

In generale vivere di musica è straordinariamente difficile e richiede una quantità enorme di energia e convinzione. Il business della musica è cambiato in tutto il mondo, con l'avanzamento della tecnologia e di internet, sotto certi aspetti in modo positivo e sotto altri punti di vista in modo molto meno costruttivo. Ci sono molto più musicisti rispetto a un tempo e in Italia, come in altri paesi, c'è un monopolio su ciò che le stazioni radiofoniche scelgono di trasmettere. Il pubblico è sottovalutato e molte Major credono che le persone richiedano poca sostanza; quello che arriva alle masse non si avvicina minimamente a rappresentare il vasto numero di belle canzoni e bravi musicisti che ci sono in Italia e nel mondo di oggi. Noi abbiamo la fortuna di essere con l'etichetta indie Alfa Music, che ci rispetta e promuove la nostra musica senza cercare di etichettarci in nessun modo.

- Un ultima domanda, pura curiosità... stai già scrivendo altri pezzi? e "Identity", dal tuo punto di vista, cosa pensi abbia in comune con il primo album "Hippie Tendencies" e cosa invece pensi ci sia di particolarmente diverso... Ma certo! Scrivo sempre! Mentre stavamo scrivendo e registrando "Identity” ho scritto anche un altro album via skype con i miei amici Lisa Bell e Bob Story, intitolato "The ItalianProject". I ragazzi della band hanno partecipato anche a quel progetto e Lisa Bell tornerà in Italia questa estate e presentiamo alcuni di questi brani insieme a noi. Ho anche un progetto parallelo con mio fratello, un grande cantante... e non lo dico solo da sorella orgogliosa, è la verità! Mio fratello si chiama Miles Simmons e il progetto è "The Downbeat Trio". Sto scrivendo canzoni per questo progetto, così come scrivo e collaboro anche con il suo altro progetto, la " Miles Simmons e The Granny Says Band", con favolosi musicisti Simone Boffa, Henry Sauda, Arcangelo “Arki” Buelli, e Giorgio Marcelli

E poi ancora, Marco ed io abbiamo un altro progetto del quale siamo molto entusiasti; è di un genere completamente diverso risetto agli "Hippie Tendencies". Si incentra su "spoken word" con musica. Poi scrivo per altri cantanti e naturalmente sto scrivendo anche nuovi pezzi per gli HT. Seguendoci su Facebook o tenendo d'occhio il nostro sito, si può sapere naturalmente, riguardo a tutti i progetti in corso e al loro sviluppo.

Per quanto riguarda le differenze e i punti in comune tra i due album... direi che “Identity” riflette la nostra crescita come musicisti e come band ed è forse più sofisticato in qualche modo rispetto al primo album. Il punto in comune più evidente invece, riguarda certamente le tematiche, quello che vorremmo trasmettere e il nostro approccio rispetto a questioni delicate. Poi beh... naturalmente lascio al pubblico il giudizio finale!

Grazie Lisa per averci presentato il tuo mondo e i migliori auguri per tutto!

giovedì 19 febbraio 2015

La meravigliosa arrabbiatura di Dante ne "Il Convivio" e il suo amore per la lingua italiana


Introduzione dovuta, per coloro che non sapessero - o non ricordassero - di quale opera si sta parlando. "Il Convivio" è un'opera scritta da Dante agli inizi del suo esilio, intorno al 1304-1308, ed è un'opera mista di versi e prosa. Il titolo, "Il Convivio" significa letteralmente "il banchetto" poiché Dante intendeva trasmettere ai lettori la sua sapienza attraverso canzoni (nel loro significato etimologico) e commenti in prosa, nella sua immagine, rispettivamente, "vivande" e "pane". Già questo è spettacolare. E' un'opera incompiuta, inizialmente Dante aveva in progetto di scrivere quindici trattati in prosa volgare, uno introduttivo, altri quattordici trattati di commento e altrettante canzoni dottrinali, composte anche negli anni precedenti all'inizio di quest'opera. Lo ha lasciato però al IV, si pensa per dedicarsi alla Divina Commedia. Le argomentazioni sono filosofico-dottrinali, anche perché con quest'opera Dante avrebbe voluto dimostrare la sua maestria letteraria e la sua sapienza, creando una grande opera enciclopedica, per riscattare la sua condizione di esule. Al tempo stesso, sceglie l'utilizzo del volgare, per essere più vicino alla gente, perché lo ama e perché è talmente grande che nel I trattato dice di essere solo "ai piedi dei veri sapienti", dunque di essere un raccoglitore delle briciole di questi grandi e di avere l'intento di condividere le proprie stesse scoperte. La meraviglia assoluta. Il problema di molti giovani con Dante, ho sempre pensato, è che gli viene proposto a scuola in modo tanto didattico ma poco emozionale e dunque a scuola si studia che ha fatto le tali opere, nei tali periodi, se si hanno buoni libri di testo c'è un accenno al significato più profondo, ma solo se si è molto fortunati si trovano insegnanti che sanno trasmettere (così come per tutta la letteratura in realtà) il vero senso e la vera grandezza di questo poeta. Non è nemmeno detto che sia "colpa" degli insegnanti (molti sono bravi, non sto dicendo questo), ma piuttosto... è colpa dell'abitudine, del modo in cui è sempre stato presentato, del dato di fatto  che anche gli insegnanti più bravi, spesso si ritrovano a usare più "il metodo" che l'anima. Questo però è un altro discorso, torniamo all'opera. "Il Convivio". Qui vi ripropongo l'undicesimo capitolo del primo libro, con vari commenti esplicativi tra parentesi. Tenete sempre presente, mentre leggete, che colui scrive, Dante, ha scritto queste cose nel '300 (sembra scontato dirlo ma non lo è!) e provate a pensare e a sentire... quanto tutto ciò che scrive sia vicino a noi, pensate a quanto lui vedesse oltre il tempo, oltre lo spazio, oltre tutto. Si parla proprio del volgare, il nostro volgare, la lingua italiana... e la protesta, la meravigliosa arrabbiatura che Dante esprime, verso coloro che non la sanno apprezzare. Mi ricorda qualcosa di attuale... a voi no?!?

"A perpetuale infamia e depressione de li malvagi uomini d'Italia, che commendano lo volgare altrui  (apprezzano, raccomandano) e lo loro proprio dispregiano (dunque disprezzano), dico che la loro mossa viene da cinque abominevoli cagioni (ragioni). La prima è la cechitade di discrezione (l'incapacità di valutazione e di poter dunque fare scelte corrette); la seconda, maliziata escusazione (semplicemente, presuntuose scuse); la terza, cupidità di vanagloria (desiderio di vuota gloria); la quarta, argomento d'invidia; la quinta e ultima, viltà d'animo, cioè pusillanimità (pusillanime è colui che è piccolo d'animo, che ha poco coraggio e poca volontà).

Sarà bene se ci limitiamo alle ultime tre "abominevoli cagioni".

La terza setta contra nostro volgare si fa per cupiditate di vanagloria. Sono molti che per ritrarre (esporre) cose poste in altrui lingua e commendare quella, credono essere più ammirati che ritraendo quelle de la sua. E sanza dubbio non è sanza loda d'ingegno apprendere bene la lingua strana (straniera); ma biasimevole (incromprensibile) è commendare quella oltre a la verità, per farsi glorioso di tale acquisto.

La quarta si fa da uno argomento di invidia. Sì come è detto di sopra, la invidia è sempre dove è alcuna paritade (emulazione). Intra li uomini di una lingua è la paritade del volgare; e perché l'uno quella non sa usare come l'altro, nasce invidia. Lo invidioso poi argomenta, non biasimando (capisce, in questo caso ne comprende l'amareggiamento) colui che dice di non saper dire (dunque che non conosce la lingua straniera), ma biasima (dunque non capisce) quello che è materia della sua opera (non capisce l'importanza e la bellezza dell'italiano), per tòrre (togliere), dispregiando l'opera da quella parte, a lui che dice (l'autore oggetto d'invidia e che utilizza ed apprezza la propria lingua) onore e fama; sì come colui che biasimasse lo ferro d'una spada, non per biasimo da dare al ferro, ma a tutta l'opera del maestro.

La quinta e ultima setta si muove da viltà d'animo. Sempre lo magnanimo si magnifica  in suo cuore (si stima, intimamente), e così lo pusillanimo, per contrario, sempre si tiene meno che non è (si sminuisce, in modo eccessivo). E perché magnificare e parvicare (sminuire) sempre hanno rispetto (si riferiscono) ad alcuna cosa (a qualcosa), per comparazione a la quale (rispetto alla quale) si fa lo magnanimo grande e lo pusillanimo piccolo, avviene che 'l magnanimo sempre fa minori lì altri che non sono, e lo pusillanimo sempre maggiori. E però che (siccome) con quella misura che l'uomo misura sè medesimo, misura le sue cose, che sono quasi parte di sé medesimo, avviene che il magnanimo le sue cose sempre appaiono migliori che non sono, e l'altrui men buone: lo pusillanimo sempre crede le sue cose valere poco, e l'altrui assai. Onde molti (per questo molti) per questa viltade dispregiano lo proprio volgare, e l'altrui pregiano: e tutti questi cotali sono li abominevoli cattivi d'Italia (abbietti, spregievoli) che hanno a vile questo prezioso volgare, lo quale, s'è vile in alcuna (in qualcosa), non è se non in quanto elli suona ne la bocca meretrice di questi adulteri (nella bocca puttana di questi traditori)".

giovedì 12 febbraio 2015

Eternità


Le Tempeste degli Scrittori,
I Sussulti dei Poeti,
La sorprendente Crescita del Cielo,
I Colori dei Musicisti,
L'alta Luce dell'Amore,
Il Tatto della Terra,
Il Puro Significato di Ogni Istante.
Questo è ciò che importa. Qui. Ora.


(born in English, with Italian title)


The Writers' Storms,
The Poet's Jolts,
The Sky's startling Growth,
The Musicians' Colors,
The lofty Light of Love,
The Touch of Earth.
The Pure Meaning of Each Moment.
This is what matters. Here. Now.