Quando svariati anni fa ho scoperto questa canzone, me ne sono innamorata al primo ascolto. Essendo il dialetto comasco comprensibile per una persona della mia zona, non ho avuto problemi a comprenderne il testo. Davide Van De Sfroos è fantatico, tantissimi lo seguono, qualcuno lo ascolta di tanto in tanto e c'è poi chi non lo conosce, perché i suoi testi sono perlopiù dialettali o perché non l'ha mai sentito al di la' di questo. Un giorno feci ascoltare a una ragazza del sud questo pezzo: ne amava la melodia, la fonetica, ne percepiva al di la' di tutto la dolcezza e la genuina poeticità, ma ovviamente non comprendeva il testo a pieno, dunque gliela tradussi parola per parola e anche lei, la adorò. L'ho riascoltata proprio oggi, così mi è venuta voglia di condividerla con chi leggerà e ascolterà, scrivendone anche la traduzione per chi non comprende il dialetto in questione. È la storia di un uomo, della sua vita, dell'amore per quello che fa e per la sua famiglia, della sua genuina ironia, delle sue speranze e riflessioni. La storia di una vita, in una canzone.
"Dicono tutti che il lago di Como... è fatto come un uomo, ma io sono sicuro che è una donna; devi farle il filo, se vuoi averla, perché sotto la gonna, c'è la... (profondità). E per poter seguire ogni suo capriccio, ho imparato a curvare il legno e a raddrizzarlo quando è storto. Perché quando mi preparo un motoscafo, dev'essere come una spada e dev'essere come una foglia. E forse sono nato con questa canottiera, con questo cuore fatto di acqua e lamiera... Con questa schiena larga e questa testa dura, sempre sporco d'olio e segatura. E per coprire le mie barche, ho usato le lenzuola del letto matrimoniale. La vita gira finché gira l'elica, ma gira a vuoto se non hai un timone. Paola, che mi chiami dal balcone, insieme a questi tre figli che mi faranno diventar matto, ma che impareranno quel che faccio... e che farò. Paola, tre figli, tre matti... o forse tre campioni... L'unica cosa che so bene, è che faranno il mio mestiere... questo mestiere. I ghirigori sopra l'acqua e la mia firma sopra l'onda, con la barca che s'impenna, con la barca che dondola e poi arriverà la "brèva", a cancellare questa mia scia, ma il segno della mia storia, non la porterà mai via. E arrivano da Como e da Milano e voglion tutti la barca pronta; gli spiegherò imprecando o parlando come Shakespeare... che la barca ha una poppa e una prua! E non mi interessa per niente se tutti dicono che è la plastica il futuro dei motoscafi. Ho trascorso la mia vita in mezzo ai pezzi di legno e tra quattro pezzi di legno partirò per l'altra sponda. Paola, che mi chiami dal balcone, insieme a questi tre figli che mi faranno diventar matto, ma che impareranno quel che faccio e... che farò. Paola, tre figli, tre matti! L'unica cosa che so bene è che faranno il mio mestiere... questo mestiere... I ghirigori sopra l'acqua e la mia firma sopra l'onda, con la barca che si impenna, con la barca che dondola... E poi arriverà la "brèva", a cancellare questa mia scia, ma il segno della mia storia, non la porterà mai via." - Davide Van de Sfroos, "Il costruttore di motoscafi", dall'album "Pica!" (2008).
"Garrapata Sound System", il nuovo album dei Garrapateros. Ve li ricordate? (per chi li avesse scoperti sul blog ); ci avevo fatto una luuunga chiacchierata, molto interessante, andando a fondo, tra i testi, la musica, i pensieri, le visuali di vita (per rileggere cliccate qui). Il nuovo album ha quella formazione della quale Nic mi aveva parlato, nuove entrate nella band che andavano a costruire quel sound nuovo che già al tempo chiamava "Garrapata Sound System". Da bravi spiriti patchanka rebelde, i Garrapateros si sono evoluti ancora di più. E' stato fantastico ritrovare in questo album versioni molto più energiche (nella maggior parte dei casi) e "romantiche" (nel caso di "Cenere e Fuoco") di pezzi ripresi dal primo album "Vida no mata". Le ho percepite come più reali, più palpabili, come nei live e infatti... dei live sentiti/ visti, mi ricordano la struttura musicale, gli arrangiamenti, l'interpretazione, il tutto ripreso e fissato nell'album. Poi, riguardo ai pezzi del primo album che si sono evoluti durante gli innumerevoli live per poi racchiudersi in questo "Garrapata Sound System" (un po' come se i live fossero stati - nel passaggio - il bel paesaggio di fronte a un pittore impressionista), ti vai a riascoltare il prima e il dopo e pensi al fatto che la prima versione ti piace come ti piaceva allora, ma che qui trovi quell'evoluzione, quel groove in più, sempre più patchanka rebelde, la maturazione, il crescendo che in una band ci deve essere o non sarebbe una band di talento. Poi gli inediti. Dopo l'uscita dell'album a novembre 2015, la band presenta come singolo, con video, "Zona Rossa", una bella botta di energia che non manca - perché con un autore come Nic non potrebbe mancare - di profondità di concetti. I testi di Nic non sono mai superficiali, ha da sempre la capacità di scrivere in pochi versi una miriade di cose interpretabili in molteplici modi, sia quando i testi sono più lunghi e dettagliati sia quando sono - solo fisicamente - più brevi. Molto bello il video che rispecchia la canzone a pieno dal mio punto di vista. Il viaggio, gli amici, la vita, lasciare una scia, la scalata, il sudore, l'inizio, il tramonto. "Somos", la mia preferita. Un pezzo che inizia come una poesia, recitata da Nic naturalmente. Perché una poesia? beh, per il testo e per l'intepretazione fantastica che ne da l'autore. Traducendo al meglio possibile... "Mi dici qualcosa che non so, non capisco. Mi dici che non è una storia [questa], è quello che è successo a me (!) e il futuro delle tue parole è presente, qui (!). E non... se ho quindici anni ribellione, se ho quartant'anni responsabilità, se ho ottant'anni fatica o... se non sono ancora nato... innocenza; non tocco, non ascolto, non parlo. Vedo soltanto, eppure penso già [così tanto]: "Chi sono?"." La musica, in questo pezzo, ha addirittura influenze jazz (è patchanka, perché dunque limitarsi?). Si perché senti una batteria che in certi punti lo ricorda, senti un assolo di tastiere che in un pezzo jazz ci starebbe a pennello e senti un "canticchiare" di Nic che dal vivo potrebbe avvicinarsi a uno scat, perché no; senti poi, anche quel tipo di ritmato che ricorda il charleston e con cui è difficile star fermi. "Musica che accarezza la pena", dice, perché come spesso accade Nic ripropone tematiche che puntano alla riflessione sulla vita, su quanto sia dura a volte, ma su quanto sia necessario e sacrosanto godere di ogni momento, crescere e non credere mai che un sogno sia impossibile o che la vita "ammazzi" perché "La vida no mata", è un controsenso no? E così, se c'è una pena... la musica la accarezza. Felice a mille poi, di aver sentito "Hijo de Puta". Durante i live in duo acustico, Nic e Cannibal, avevano già iniziato a deliziare il pubblico con questo pezzo strumentale fantastico nel quale il sound di chitarra e percussioni di due musicisti già bastava a ribaltare un locale. Mai incisa prima, decidono - per fortuna - di farlo con "Garrapata Sound System" e nella versione dell'album arrivano i suoni spaziali dei synth e delle tastiere deliranti. Come ultimo pezzo dell'album, "Sigo" ovvero "Continuo", come il cammino dei Garrapateros, che - per citare il testo - sono come "una lucertola a cui continua a ricrescere la coda, in qualsiasi punto essa sia stata tagliata", perché Nic c'è, perché Cannibal c'è e perché hanno trovato lungo il loro cammino Petardero (basso e cori), Papy Chulo (chitarra elettrica e acustica) e Tio (tastiere, synth e groove), coi quali hanno sentito accendersi la giusta miccia, per continuare a crescere, in questo sogno diventato realtà.
Ernico Mantovani.
Venerdì 26 Settembre ho assistito, non per la prima volta, ad uno
dei suoi magnifici, emozionanti e sempre unici concerti (a "La
Taverna delle Fate Ignoranti" di Quinzano d'Oglio (Bs), un luogo
delizioso). Enrico Mantovani è un "OneManBand", perché
definirlo "solo" un chitarrista di talento è poco; non a
caso "OneManBand" è il suo biglietto da visita e quando lo
senti suonare, quando lo vedi suonare e le emozioni si trasformano in musica, percepisci che le melodie, le
armonie, il ritmo, diventano colori, temperatura, immagine, suono
percepibile al tatto ed allora comprendi perché Enrico Mantovani non
è "solo" un chitarrista di talento e a quel punto non è
più necessario spiegare perché il suo biglietto da visita è
"OneManBand"; però ve lo spiego, perché molti di voi
magari non l'avranno ancora mai sentito nonostante giri in lungo e in
largo l'Italia (come invece alcuni già adoreranno il suo sound). Al
di la' di questo, mi capita spesso di partire dalle emozioni quando
parlo di un talento, perché la differenza tra un "bravo
musicista" e un "musicista di talento" sta nell'anima,
nella grinta, in quel che arriva alle persone. È così per tutte le discipline artistiche, naturalmente a parer
mio. Enrico Mantovani è un artista bresciano, polistrumentista, ma
la chitarra è nel suo nome. Vive a Orzinuovi ed ha collaborato con
grandi artisti quali il cantautore Massimo Bubola, Giorgio Cordini i più noti (al grande pubblico si
intende) Massimo Ranieri, Francesco Renga, Eugenio Finardi... ed ha
suonato anche con Alex Britti (spero vi sia capitato di sentire una
volta almeno il Britti blues), Gianna Nannini, Fausto Leali e molti
altri. Le ho scritte, le collaborazioni, perché è giusto, per far
capire a chi non dovesse conoscerlo che di cose ne ha fatte e pure
tante (e non solo queste, poi ci arriviamo), ma il mio intento non è
parlare dei nomi con cui Enrico Mantovani ha collaborato; il mio
intento è parlare di Enrico Mantovani, un musicista come pochi, della musica che si vede, dunque, delle infinite sfumature dell'arte.
Enrico
Mantovani chi è? E poi... è abbastanza classico chiederlo, ma è
sempre interessante per capire di più: come hai iniziato a
suonare, quando, cosa ti ha spinto a imbracciare la chitarra?
"Direi
che la mia fortuna è stata di iniziare molto giovane, con mio padre
quando avevo sedici, quindici anni e già suonavo il blues e i pezzi
degli Stones insieme al mio amico Riccardo Maffoni... ho iniziato con
mio padre, dicevo, scriveva canzoni e racconti brevi ed era il mio
consigliere su libri e dischi che mi hanno poi accompagnato fino ad
oggi; mi sono subito reso conto, sin da adolescente, che non era solo
una questione di “musica“, ma anche di parole, di pensieri e di
poesia. La chitarra ok, saper suonare ok... mi veniva facile e
spontaneo... ma sentivo che la magia vera erano le storie che le
canzoni mi raccontavano... Così, assieme a mio padre, iniziai a
suonare la chitarra nei suoi spettacoli sulla seconda guerra
mondiale, sui partigiani, sulle storie dei partigiani nella nostra
pianura e l'ultimo spettacolo si intitolava proprio "Novecento"
e... sia i libri che le sue canzoni parlavano sempre di queste
vicende e di storie che abbiamo dietro l'angolo, che risalgono a
cinquanta, sessant'anni fa, non è un tempo poi così lontano. Del
resto un piede nel novecento ce l’ho avuto anche io: da piccolo si
passavano giornate intere in cascina, a giocare sui fienili, a
contatto con gli animali, ci tuffavamo nei fossi e di sera, dopo
cena, spesso mio padre imbracciava la chitarra e cantava canzoni di
Nanni Svampa e di altri cantastorie. Più che la musica in se, sono
le canzoni che mi hanno affascinato sin da piccolo."
Hai
tanti progetti in corso: i meravigliosi Matmata, i concerti
"OneManBand", la collaborazione costante con il grande
Bubola ed altre collaborazioni. Raccontami un po' cosa stai
combinando.
"Beh…
con Massimo Bubola ho avuto la fortuna di partecipare ad un percorso
sulla Prima Guerra mondiale, sulla Grande Guerra, che mi ha dato modo
di rivedere la storia dell' Italia e degli italiani negli ultimi
duecento anni; un lavoro a ritroso nel tempo, con brani e melodie
popolari di fine ottocento e anche più antiche che hanno resistito
fino ai giorni nostri. Massimo ha fatto il primo disco sulla guerra
nel 2004, "Quel lungo treno", il secondo nel 2013, "Il
testamento del capitano" e l' anno prossimo dovrebbe uscire il
terzo; una trilogia con brani degli alpini e canti popolari
riarrangiati in chiave folk e rock; tratti da una letteratura
popolare e contadina, questi brani vanno a comporre parte della
musica detta "poplare", che è quel tracciato dal quale
nessun musicista dovrebbe mai discostarsi troppo secondo me.
Purtroppo in Italia non abbiamo questa cultura che ad esempio è
molto radicata in Irlanda, dove i nonni suonano con i nipoti e tutti
conoscono un repertorio di duecento, trecento canzoni folk... e lo
stesso vale anche per gli americani e sicuramente per molti atri
popoli.
Un incontro
raro e fortunato è stato poi quello con i Matmata; mentre con
Bubola, con Massimo Ranieri, con Giorgio Cordini e altri ero maturato
come musicista o come turnista, imparando a fare questo mestiere, con
i Matmata c’è stato un’incontro tra musicisti maturi e già più
consapevoli, grazie ai quali ho scoperto il valore della "Band",
trovarsi tutti i giorni, suonare insieme più volte alla settimana
per il piacere di suonare e per la volontà di creare un groove
comune, un sound, un feeling, lavorando sui pezzi che Gianmario
continua a creare ancora oggi con grande abilità. Infine nei Matmata
ho trovato una famiglia; non è un lavoro da "turnista", è
un lavoro con la tua band, coi tuoi amici, coi quali si condividono
tantissimi momenti di vita, al di la' della musica…. è stato
davvero magico incontrarli."
Per
me che ho assistito più volte a tuoi live, con i Matmata e come
OneManBand, sapendo quante emozioni, diversificate, trasmetti, mi
viene istintivo chiederti: in quei momenti, sul palco, cosa provi,
cosa pensi, cosa senti tu, cosa ti passa per la testa?
"Quando
suoni.... non pensi a niente, suoni e basta; la musica ce l'hai nel
cervello e nel cuore, è li che ti gira attorno, come fanno gli
avvoltoi, come una giostra con tante lucine e tu sai già quali vanno
accese e quali spente, senza pensarci.... suonare mi fa stare mezzo
metro sopra terra, è una droga, la droga più bella e sana che
esista e il concerto, il live, è il vero motivo per cui ho imparato
a suonare e per cui, grazie al Cielo, continuo a suonare."
Hai
fondato nel 2013 l'Accademia di Musica Hendrix (cliccate, cliccate ragazzi). Com'è nato
questo progetto e come lo senti? Qual è il contesto?
"L'Accademia...
mmmm…... Non credo moltissimo nelle scuole di musica, credo che
all'uomo siano più utili i corsi di cucito o di giardinaggio. Le
scuole di musica quando io avevo quindici anni non esistevano, o
quasi; c'era qualche insegnante che dava lezioni private e se volevi
suonare dovevi essere davvero portato, perché dovevi imparare
ascoltando i dischi in vinile o la radio, quindi dovevi avere
orecchio ed essere molto svelto nel capire le note da riportare sullo
strumento. Oggi invece, forse anche a causa dei "talent",
molta più gente vuole fare musica, ma siccome da sola non ci riesce,
nemmeno con i video di youtube, si rifugia nelle accademie di musica.
L’accademia comunque l’ho aperta per portare un po' di fermento
sul territorio dove sono nato e dove ho sempre vissuto, sperando di
imbattermi in qualche talentuoso futuro musicista."
Ora
ti faccio una delle mie domande strane. Altre volte ho fatto questa
domanda perché è per me parte dell' "andare oltre" e
potrebbe sembrare una domanda semplice, ma non lo è affatto. Di
che colore è secondo te la tua musica? E la tua
anima? Combaciano?
"Mi
piace suonare con le luci blu... e poi il blu è indubbiamente
blues..."
Hai
un pezzo che su tutti, per te, è il migliore?
"Beh,
un brano è troppo poco, ne amo troppi, ma tra i miei artisti
preferiti spiccano Bob Dylan e i Rolling Stones. Il resto è tutto
sotto."
La
tua parola preferita... (Enrico qui è favolosamente indeciso, ma poi
la prima parola che gli viene in mente è...)
"Grembo."
Ecco
qui, Enrico Mantovani. Penso non ci sia altro da aggiungere se non
che, come ho detto anche a lui, una delle cose che lo rende più
speciale è che non si rende conto davvero di quanto è raro.
"Il
re del folk-rock
Massimo Bubola torna
a interpretare e rivisitare le canzoni della Grande
Guerra
con questo nuovo progetto dal titolo Rosso
su Verde Tour
che prevede nel corso dell’anno anche un libro in uscita e un
prossimo album che
va a completare la trilogia iniziata nove anni fa con il successo di
Quel
lungo treno
e proseguito poi con Il
Testamento del Capitano
nel 2014 Massimo
Bubola
riprende e ri-arrangia, caratterizzandoli profondamente col suo sound
e la sua poetica inconfondibile, grandi
brani tradizionali
come: Ta
pum, Il Testamento del Capitano, Sul ponte di Perati, Monti Scarpazi,
Bombardano
Cortina,
La tradotta
e proponendo
anche suoi
grandi successi del passato.
Tutto
quanto rivisitato con la sensibilità e l'esperienza di un grande
autore, scrittore e musicista, autore di capolavori della canzone
italiana e non, come Fiume
Sand Creek,Andrea,
Don
Raffaè
e Il
cielo d’Irlanda,
solo per citarne alcuni presenti nella scaletta del concerto.
Il
progetto prevede, oltre a Massimo e la Eccher Band sul palco (Enrico Mantovani alle chitarre e mandolino - Erika Ardemagni alla voce e auto harp - Alessandro Formenti al basso) , la
presenza di un attore gardesano, Fabio
Gandossi
che leggerà brani da alcune lettere dal fronte ed estratti dal
materiale storico di Massimo.
Il 26 Giugno 2015, all'Anfiteatro Sotto La Torre Civica di Verolavecchia (Bs), l'occasione imperdibile di assistere a questo grande live. Alle ore 21,30. Ingresso: 10 euro.
Non mancate!"
E per rendere l'idea di quello a cui potrete assistere...
Stasera
parliamo di libertà, passione, fatiche e duro lavoro ripagato,
talento, calore, allegria, profondità; parliamo della forza del
suono, degli arcobaleni infiniti delle note musicali e dei ritmi,
parliamo della potenza delle parole, parliamo dell'eccelsa, sublime,
potenza della musica. Ne parliamo con Nic e Michele e parliamo dei
Garrapateros;
perché la loro storia, il loro sound, i loro sogni, i loro
traguardi, sono un perfetto esempio di quanto la musica può fare e
dare. I Garrapateros
definiscono il loro genere “patchanka
rebelde”,
vale a dire “patchanka ribelle”. Il genere patchanka, per chi non
ne sapesse molto, è nato con i Mano Negra, che hanno coniato il
termine dando come titolo al loro primo album, nel 1988, proprio
questa parola. Letteralmente può significare “miscuglio”,
“confusione”, “caos”, nel senso che il genere è una miscela
costituita da diverse sfumature della musica e della tradizione
latina. Ora, aggiungiamo il “rebelde”, ribelle; perché i
Garrapateros sono patchanka, rock, funky, punk. La libertà assoluta
del suono e del ritmo, le cui principali ispirazioni sono i Mano
Negra e Manu Chao, ma anche gruppi quali i Delinquentes, i Calle 13,
gli Ojos de Brujo e i Canteca de Macao, gruppi anche molto diversi
tra loro (consiglio: andate ad ascoltarli se non li conoscete). Quel
che i Garrapateros hanno in più, quello che rende il loro sound “il
loro sound” è... in parte frutto delle loro esperienze musicali
precedenti, punk, rock, rock grunge... e in parte - e qui è la parte
bella dell'Italia che viene fuori - della loro italianità. Il loro
essere italiani fa la differenza, perché l'approccio musicale di un
italiano, per una questione di genuina cultura generale e musicale,
sarà sempre diverso dall'approccio che uno spagnolo ha verso la
musica, così come l'approccio di un francese sarà sempre diverso da
quello di un irlandese ecc ecc. Tutte queste cose, messe insieme,
hanno creato qualcosa che pur avendo una base e riferimenti di un
certo tipo, rendono il loro sound unico per il loro genere,
assolutamente “rebelde”. Conoscevo Michele Cannibal, perché
conoscevo il fantastico progetto grunge rock dei Cronofobia, ai quali
nessun ascoltatore con un minimo di conoscenza musicale può rimanere
indifferente e nel quale era ed è batterista (ma questa è un'altra
storia). Conoscevo Michele appunto e una sera, vado in un locale
della mia zona e per caso me lo ritrovo in duo con Nic Garrapatero,
nella versione acustica che portano in giro qui e la'. Quella sera mi
hanno steso e al secondo live a cui sono andata - un live che
aspettavo con gioia da quando avevo avvistato la notizia della data,
un mese prima - mi hanno steso il triplo. La prima volta, ho scoperto
poi, erano reduci da un viaggio lunghissimo e devastante ed erano
fisicamente a pezzi (oh scusate! non me ne ero accorta ragazzi!),
però poi al secondo live mi sono accorta della differenza, anche se
già al primo mi avevano rapito, buona alla prima. Il loro primo
album “Vida No Mata” l'ho praticamente consumato in macchina, non
riuscivo a smettere di ascoltarlo. Brani del secondo album, il loro
ultimo lavoro “Esperando”, li ho sentiti proprio in questo
secondo live, con successivo inevitabile acquisto del cd. Cos'altro
posso dire? Quando ho iniziato a scrivere questa intro stavo cercando
il modo giusto per “rendere l'idea” e come spesso mi accade, è
la descrizione delle mie stesse emozioni ad aiutarmi a trasmettere i
concetti, perché la musica è questo, è passione pura, emozioni
d'gni sorta, parole e suoni, poesia e ritmi, tradizioni e
scoinvolgimenti. Mi fermo qui, potrei andare avanti per ore, ma è
“pericoloso” perché le mie dita mi porterebbero a parlare di
troppe cose e non arriverei al nucleo. Stasera il nucleo si chiama
Garrapateros. Stasera, vi presento questo fantastico progetto,
attraverso Nic e attraverso Michele, un percussionista che è solo da
vedere e sentire, inutile descriverlo, non saprei nemmeno come. Nic
Garrapatero... che è partito per la Spagna con qualche soldo da
parte per potersi cercare un lavoro e fermarsi un po', niente
Erasmus; per approfondire la lingua spagnola, perché allora studiava
lingue all'università. Immaginate ora, immaginatelo in testa: un
ragazzo che fino ad allora aveva suonato e ascoltato punk, parte per
la Spagna, borsa in spalla. Arriva, conosce gente, sente profumi,
vede colori, conosce tradizioni, si fa rapire dolcemente dai gitani
che abitano poco distante da lui, comincia ad ascoltare musica che
prima non conosceva e che forse mai avrebbe ascoltato e quando torna,
inizia a fare musica diversa, prima da solo e poi... da Garrapatero,
fonda i Garrapateros. Ora la parola a loro, a Nic
– il mosaico, così l'ho soprannominato dopo questa chiacchierata –
e a Michele,
di poche parole – poche ma ben precise - e tanto ritmo dentro e
tutto intorno.
"Vida
no Mata".
E' il primo pezzo del vostro primo lavoro e da' il titolo all'album
stesso. "La vita non uccide". Il testo è molto intenso,
parla di un uomo che in sostanza odia l'ipocrisia, le menzogne e che
non vuole smettere di lottare. Mi chiedevo se il testo fosse ispirato
a una storia reale visti i riferimenti alla protesta o se fosse nato
da una tua pura riflessione.
Nic:" “Vida No Mata”... no, in realtà non è
una canzone che prede spunto da una particolare vicenda personale,
bensì... più in generale - dalla visione che ho della realtà,
della quotidianità, da ciò che è questo preciso momento storico e
che sicuramente mi riguarda. L'ho scritta riflettendo su un contesto
globale che rientra poi nella dimensione personale di ognuno
perché... l'informazione, i mass media, “quello che passa” e che
descrive la nostra realtà, ci fa intendere che nonostante siamo su
questa terra... praticamente saremmo “dei morti che camminano”,
ci fa pensare che abbiamo più situazioni su cui piangere rispetto a
situazioni dalle quali prendere spunto in positivo. Il testo dice “La
vida no mata” nel senso che... è un controsenso che la Vita
uccida! la Vita dovrebbe essere una crescita, uno spunto di
riflessione e cambiamento, non certo qualcosa di negativo o un motivo
per pensare di togliersela, la vita. Eppure questa visione negativa
appare in modo sempre più frequente, il messaggio che passa è che
viviamo in una specie di inferno o per spiegarlo meglio se “la
sorte non è dalla tua” sembra che questo significhi non essere
produttivo e che l'unica cosa che puoi fare è quella di disperarti.
Io non credo sia così. “Vida no mata” poi ripende anche una
frase molto familiare agli spagnoli che è “la prisa mata” che
vuol dire “la fretta uccide”; che poi... non è nemmeno la fretta
a uccidere messa a confronto con questo “senso di morte”
diffuso."
Il
secondo pezzo invece "Sevilla
Maravilla"
racconta della vita di strada che presumo tu abbia visto e portato
dentro di te quando eri in Spagna, ma c'è una sorta di
sottolineatura... in strada c'è chi sta meglio e chi sta peggio, ma
in ogni caso c'è fratellanza. Ti riferivi in particolare ai gitani
di quartiere che ti hanno praticamente accolto da quanto ho capito e
che ti hanno fatto scoprire le loro tradizioni, la loro musica... o
era un più discorso generale? Nel testo poi dici che quella è la
parte migliore di Siviglia, al di la' di quello che possono essere le
apparenze, ma mi chiedo: la popolazione spagnola accoglie la realtà
gitana come parte integrante della cultura spagnola o ci sono
pregiudizi come ad esempio accade in Italia per molte diverse realtà?
Nic:
"Si è un pezzo che racconta l'esperienza quotidiana che ho
avuto in un breve periodo che ho vissuto nella città di Siviglia,
nel quartiere della Macarena. Quello che io ho visto in quel
quartiere - che è un quartiere molto importante a Siviglia
nonostante sia considerato un quartiere a rischio perché è un
quartiere popolare con un forte tasso di immigrazione e una forte
presenza dell'etnia gitana – è molto simile a quello che ho visto
nel quartiere Cabanyal di Valencia, in cui appunto ho vissuto per un
po' di tempo. Nel pezzo dico che è un quartiere in cui “non ci
sono differenze”. Non è del tutto vero in realtà perché è
chiaro che esistono sempre situazioni di discriminazione in una
realtà in cui convivono diverse realtà culturali che condividono lo
stesso spazio geografico e ci sono scontri, è ovvio. Nel pezzo dico
che è la parte migliore di Siviglia nel senso che questi quartieri
sono luoghi che ti sbattono in faccia la realtà, sopratutto per
quanto riguarda il tema dei gitani. L'etnia gitana... non è più
integrata in Spagna rispetto all'Italia, ma sicuramente c'è molta
più accettazione rispetto a qui. Questo perché culturalmente e
storicamente la cultura gitana è assimilata nella cultura del ballo
e della musica spagnola. Ci sono generazioni e generazioni di
cantanti, musicisti, ballerini di flamenco, di etnia gitana. In
Spagna l'arte e la cultura del canto e della musica hanno un
riconoscimento assoluto, molto più che in Italia perché il
sentimento è molto più vivo e radicato e in effetti, tutto ciò che
“di nuovo” si crea in Spagna, ha molte delle sue fondamenta “nel
vecchio” e per forza di cose la cultura gitana ne è parte
integrante. Siviglia con la
Maccarena e Valencia con il Cabanyal, sono esperienze che io ho
voluto fermare, come in uno scatto fotografico, attraverso questa
canzone e sicuramente ho voluto raccontarne il meglio perché è
quello che io stesso sono riuscito a tirare fuori dal peggio di quel
che ho visto."
Passiamo
al nuovo album, "Esperando".
Mi piace moltissimo il fatto che in un modo o nell'altro, nei testi
che scrivi ci sia sempre un incoraggiamento a non mollare, a
continuare a lottare, a continuare a credere nei propri sogni. In "No
falta nada" scrivi "Di quello che c'è non manca niente",
un detto popolare che rende perfettamente il concetto: smettere di
pensare di "non poter fare", perché come scrissi una volta
"il sudore è nobile" e porta sempre a qualcosa di buono.
Non è il "dove arrivo" ma il "come e perché",
il "cosa porto con me e cosa lascio agli altri". Ed anche
in "Querida vida", parli della meravigliosa esistenza di un
insieme di energie che ogni persona può usare per affrontare la
quotidianità, la frenesia, il senso di insofferenza e - anche qui -
si parla di sogni. "Non ho più molto per me, però ho il mio
sogno". Mi piace molto tutto questo, siamo sulle stesse corde.
Questo meraviglioso atteggiamento verso la vita che porti con te, ce
l'hai sempre avuto per carattere o credi che ci sia stato un momento
in particolare in cui hai maturato questa consapevolezza?
Nic:
"Si è vero... in quasi in tutti i pezzi che compongono il
nostro primo album “Vida no mata” e anche il secondo mini album
“Esperando”, c'è sicuramente un incoraggiamento a non mollare.
Io in generale ho avuto un fortissimo cambiamento a partire dalla mia
esperienza in Spagna. Non sono mai stato una persona negativa perché
dal mio punto di vista essere realista significa riflettere su
situazioni anche negative e prenderne spunto per arrivare a qualcosa
di positivo. Le mie vicende ed esperienze personali poi mi hanno
fatto rendere conto, misurandomi con me stesso e con gli altri, che
in sostanza ero molto più pieno di risorse di quanto pensassi e
così... ho maturato una gran voglia di risorgere. “Cenere e fuoco”
già lo dice no? “sotto la cenere c'è ancora un po' di fuoco”.
“Querida vida” dice proprio “nonostante io non abbia più
spazio, non abbia più tempo, non abbia più molto per me, ho sempre
il mio sogno” e questo è un pensiero di importanza assoluta nella
mia esistenza perché - oltre ai Garrapateros - i Garrapata Sound
System appena nati, il set acustico Rebelde, come side project...
sono il mio sogno, progetti in cui io credo da morire. Credere nel
mio sogno è la mia identità, è l'identificazione precisa della mia
vita adesso. In passato non era assolutamente così; ero molto più
attaccato a una sorta di linearità di come forse volevo fosse la mia
vita e quindi nell'impossibilità di riuscire a raggiungere questa
linearità stavo male, ero molto meno consapevole su chi fossi, su
cosa volessi e su che cosa rappresentasse per me la musica; poi ho
capito che siamo noi la nostra stessa risorsa. “Di quello che c'è
non manca niente” dice “No falta mada”, vale a dire che da
quello che abbiamo - seppur poco - si può partire, si può iniziare
a costruire il passo successivo, a salire un nuovo gradino, per poi
renderlo sempre più solido e quindi... è un continuo “non
arrendersi”. Anche con il progetto Garrapateros “di quello che
abbiamo in questo momento non ci manca niente” e proprio per questo
ora è nato il “Garrapateros Sound System”, qualcosa che già
esisteva ma che può avere uno sviluppo sempre più consistente.
Basta volerlo."
Allora
Nic... Il vostro nome significa libertà in sostanza, non
letteralmente, ma per il concetto che ha... Spiega tu però, cosa
significa per te, per voi.
Nic:"Il nome Garrapateros è stato scelto in
omaggio ai Delinquentes, “capitanati” al tempo da Miguel Benítez,
un ragazzo morto molto giovane - a ventuno anni - per un probabile
arresto cardiaco causato dall'abuso di sostanze. Era un poeta, ha
scritto diverse poesie oltre che canzoni stupende. Circa dieci anni
dopo la sua morte il fratello ha pubblicato una raccolta di testi
inediti scritti da Miguel prima di morire e che mai sono stati
registrati e in questa raccolta ci sono anche alcune interviste. In
una di queste Miguel spiega che cosa significa “garrapatero”.
Letteralmente la "garrapata” è la "zecca”. Lui
racconta che quando era piccolo viveva in campagna, aveva molti cani
e gli toglieva spesso le zecche e la zecca è sempre stato un insetto
che in qualche strano modo lo affascinava e dunque ha iniziato a
usare il termine “garrapatero” associandolo però a una
concezione positiva o a qualcosa che a lui piaceva. Ho voluto fare un
omaggio a loro perché è sopratutto grazie ai loro pezzi che ho
cominciato a conoscere la lingua spagnola; il loro modo di
comunicare, il modo di comunicare di Miguel, è stato fondamentale
per me. Adesso - con il progetto “Garrapata Sound System” -
abbiamo voluto staccarci dal termine “garrapateros” perché ad
oggi, se in rete si digita il termine viene fuori di tutto e di più.
Molte cose legate ai Garrapateros, ma anche tante tante band che
fanno cover, per esempio dei Los Delinquentes e che si chiamano
“Garrapateros”. Il Garrapata Sound System è il nuovo progetto,
con cinque elementi, in cui il flauto non compare più e con il quale
vorremmo arrivare un po' di più, rimanendo affezionati alla base -
che è la stessa - ma “togliendo di mezzo” tutta la confusione
che si può fare ora cercando informazioni su di noi e la nostra
musica. Il senso di libertà che io sento in questo termine è
determinato dalla realtà per cui c'è stato un grande cambiamento
per me. La mia propensione naturale è stata quella di slegarmi
dall'origine punk per far ramificare la base in altro; mantenere la
radice, facendo crescere però rami che vanno in direzioni diverse."
Inizialmente
sei partito da solo, poi avete iniziato a suonare insieme tu e
Michele e pian piano si sono aggiunti gli altri ragazzi della band.
Se tu e Michele non vi foste trovati, pensi che avresti cercato prima
o poi altri musicisti con cui portare avanti il tuo progetto? Avevi
già in mente di creare una band o è stato un effetto “Sliding
doors” per cui le cose sarebbero andate diversamente perché
inizialmente non ci pensavi? E se tu avessi continuato da solo? Cosa
pensi avresti fatto? Come sarebbe andata secondo te?
Nic:
"Beh... quando sono tornato dalla Spagna ho sentito la necessità
di portare quello che avevo assimilato in Italia. Il distacco dalla
Spagna all'Italia per me è stato molto forte, avevo bisogno di
ritrovarmi a casa mantenendo però le stesse vibrazioni che avevo
percepito e sviluppato là e ho portato con me lo stesso intento che
là avevo maturato, di farmi conoscere con questa musica, diversa da
quella che solitamente facevo e alla quale la gente che mi conosce
era abituata. Ho iniziato da solo, ma dopo un po' che suonavo da solo
- cosa che non avevo mai fatto avendo avuto in precenza una punk rock
band - durante i live non potevo condividere con nessuno né le gioie
né i dolori ed avendo comunque consapevolezza di quel che avrei
voluto fare, già immaginavo sul palco con me un'altra persona
proprio per... riedere insieme o “prenderci male” insieme. Con
Michele è stato sicuramente un effetto “sliding doors”, nel
senso che l'intenzione da parte mia di creare un'alternativa al
onemanband c'era sicuramente, però per esempio, io e Michele ci
conoscevamo abbastanza superficialmente al tempo e mai avrei pensato
allora di trovarmi spalla a spalla con quello che ora per me è un
fratello, dopo cinque anni. C'è stato ovviamente intresse da parte
sua, dopo due giorni si era già procurato un cajòn flamenco. E'
stato anche quello che tra i Garrapateros si è arricchito sempre di
più, veniva dal rock, dal grunge, generi che a volte non vanno
proprio d'accordo con quello che ho portato io, molto più leggero e
anche spensierato se vogliamo, meno “pesante” rispetto al grunge
che proprio per la sua storia è legato a situazioni molto più
introspettive, anche se in realtà – come hai ben descritto tu
stessa - nel genere dei Garrapateros questa “leggerezza” e
“spensieratezza” è apparente, c'è sempre un'interiorizzazione
della realtà e la volontà di buttar fuori questa interiorizzazione
e renderla esplicita nelle canzoni. Sicuramente io avrei creato una
band perché sono “un animale sociale” fondamentalmente, da solo
mi sarei stato un po' stretto, però ecco, nel corso del tempo si
sono create tutte le collaborazioni, sempre comunque con un effetto
“sliding doors”. Non so come sarebbe andata se non avessi
incontrato Michele... avrei magari incontrato qualcun'altro, ma
probabilmente non così bravo..."
Michele,
te lo devo chiedere............... ma perché “Cannibal”?!?
Michele:
"Cannibal... eheh... semplicemente perché ho ascoltato e
ascolto tuttora i Cannibal Corpse; è dunque un riferimento alla
fissa che ho per questo gruppo, niente di più semplice. In
adolescenza gli amici con cui suonavo, un giorno mi hanno chiamato
così e da quel momento ho deciso che sarebbe stato il mio nome
d'arte!"
A
parte gli scherzi... tu che vieni da un progetto come i Cronofobia...
come ti sei avvicinato a questa musica, cosa ti ha catturato? Nic ha
avuto esperienze che lo hanno avvicinato (per fortuna aggiungo) a
questo mondo musicale... e tu? Cosa è successo dentro di te? Qual è
stato il tuo viaggio?
Michele:
"Mi sono interessato ai gusti
musicali di Nic semplicemente per curiosità... Non avevo mai
suonato musica Spagnola ed essendone incuriosito mi è sembrata la
cosa più giusta da fare, mi ha subito attirato l'idea di fare una
nuova esperienza. Ed è stata la scelta più giusta perché grazie a
questo ho imparato una miriade di cose, proprio come musicista; ho
imparato ad essere più dinamico nel suonare batteria e percussioni,
ho iniziato a cantare ed ho anche imparato a conoscere e ammirare un
sacco di persone che ballano i vari generi della musica spagnola."
"Il
destino è un pazzo che gioca coi fili". Tema ricorrente nei
pezzi dei Garrapateros. Ditemi qualcosa di più. Nic, Michele,
parlatemi del destino.
Michele:
"Io personalmente non credo nel destino, credo più alla
fortuna. Ritengo una grande fortuna il poter sentire il ritmo in ogni
cosa che faccio, lo sento nelle vene!"Nic: "Il
tema del destino, associato anche al tema della casualità quindi
all'effetto “sliding doors” di cui parlavamo prima, è una
medaglia a due faccie che io non ho ancora ben identificato a dire il
vero. Intendo dire che... in me è più presente “la visione della
casualità”; quando scrivo del destino in “Huele a Pasado” per
esempio, quello è un testo molto personale, una canzone dal gusto
agrodolce, una tristezza consapevole - che non ti porta a buttarti
giù da una finesta ma come dicevo anche prima serve per cercare di
crescere. A volte... fa un po' parte della natura umana
colpevolizzare qualcuno e in quella canzone io colpevolizzo il
destino. Il destino che è appunto “un burattinaio”, è
capriccioso, in questo pezzo. Completamente diversa invece è la
visione di quando ho scritto “Casualidad” che è uscita nel 2012.
Li scrivo che la vita è una casualità da quando inizia a quando
finisce, ma è anche una possibilità, “sfrutta il momento e non te
ne pentirai”. Il caso e il destino sono due cose che spesso fanno
molta paura, perché rappresentano quel che non si conosce, ma allo
stesso tempo quel che non si conosce incuriosisce. Molti lo temono e
lo vivono con angoscia, io lo vivo con interesse, sono curioso di
sapere quel che mi accadrà, anche se non credo che le persone siano
legate a una predestinazione, questo no; sarebbe molto triste pensare
che tutto è già scritto. In ogni caso mi ritengo una persona molto
fortunata, perché ho un sogno e non tutti ce l'hanno. Per me è
vitale. Avere un sogno, portarlo avanti, è una cosa... molto rara,
una cosa preziosa... Che sia allora una casualità, destino... nellla
mia vita c'è questo sogno, che è la mia vita stessa. Nella canzone
in cui ho scritto che è “un pazzo che gioca coi fili” ho cercato
di stare nel mezzo tra casualità e destino anche per...
“impersonificare” la casualità stessa e facendone una “casualità
personificata” allora non è più “casualità”, diventa un
qualcosa, qualcuno, senza nome né cognome, a cui poter dare la colpa
e che crea una serie di eventi che possono sembrare anche casuali, ma
nel caso di questa voluta “personificazione” molto probabilmente
non lo sono."
Allora....
so che nel vostro percorso musicale avete avuto grandissime
soddisfazioni, tantissimi live, l'apertura del concerto agli Ska-P, a
Tonino Carotone, il calore del pubblico, i vostri fantastici viaggi e
tutto ciò che avete scatenato. Al di la' però di queste fantastiche
esperienze, qual è stato per voi il momento in cui avete pensato “va
alla grande, stiamo realizzando il nostro sogno”? Una scena, un
ricordo, un momento, un'immagine, una riflessione.
Nic:
"Le situazioni in cui... ho pensato “va alla grande, stiamo
realizzando il nostro sogno”... sono tantissime... Non voglio
sembrare banale ma... “vivere il presente” è sicuramente una
cosa che mi caratterizza, penso al futuro ma in una prospettiva che
si basa però sempre sul vissuto del presente, dunque si, l'elenco
sarebbe molto lungo. Da quando ho iniziato a fare tanti concerti da
solo – cosa che comunque non avevo mai fatto avendo avuto prima una
band – a quando ho iniziato a suonare con Cannibal e abbiamo fatto
esperieze stupende per cui a volte ti dici e chiedi: “Fanstastico!
cosa succederà dopo...?”. Tanti live, tante esperienze diverse,
quindi... ogni passo che si fa è vitale. Dalle cose più belle come
l'apertura agli Ska – P e a Tonino Carotone fino alle “porte in
faccia” che ti fanno dire “sta diventando sempre più vero”. Ad
oggi, ti dico con ancora più convizione “Va alla grande, stiamo
realizzando il nostro sogno”. Siamo in contatto con una casa
discografica, con booking... non c'è ancora niente di ufficiale
dunque al momento non posso fare “nomi” per così dire, ma c'è
qualcuno che è molto interessato al nostro progetto e che ci aiuterà
nella produzione... dunque... questo sicuramente è il raccolto di
una serie di grandi soddisfazioni che ci hanno dato sempre più la
carica per andare avanti, che mi ha fatto andare avanti con
l'entusiasmo che ho tuttora." Michele: "Ricordo con
grande piacere molta gente che non ci aveva mai sentito, che non
sapeva chi fossimo e non conosceva la nostra musica, ballare e
divertirsi con grande energia. Per me questa è sempre una
soddisfazione. E poi... fare così tanti concerti fa pensare ad un
futuro da musicista anche a livello lavorativo... il che è
fanstastico..."
Come
immaginate il vostro futuro...?
Nic:
"Il mio futuro io lo immagino... in tour... con i Garrapata
Sound System - dunque gli elementi nuovi che hanno creato un sound
stupendo e con i quali c'è un intesa perfetta - visitando posti che
non ho mai visto, facendo la cosa che più amo al mondo che
ovviamente è suonare. Lo immagino... pensando che quel che ora è
una passione e un lavoro part-time – per rendere l'idea – si
trasformi nel mio lavoro a tutti gli effetti e di fatto già ora ho
un tetto sulla testa e vivo grazie a questo. Condividere e vivere
grazie a questo, così vedo il mio futuro." Michele:
"Riguardo al futuro e a quel che si vuol credere a riguardo...
so solo che ci vuole un grande impegno per realizzare i propri sogni
e unicamente il grande impegno può portare ad avere la fortuna di
fare esperienze grandiose, come è successo a noi, per esempio
potendo suonare a concerti fantastici, con grandi artisti."
Parole.
Colori. Sono due realtà che spesso – alternativamente - introduco
nelle domande che faccio nelle chiaccherate su "Il cammino".
Due mondi che dicono molto. A voi desidero proporre entrambi i
mondi... dunque... di che colore siete? e qual è o quali sono le
parole più significative per voi?
Nic:
"I colori e le parole... io sono bianco e nero, sono gli
estremi... e sto lavorando, negli anni, per trovare il compromesso
tra gli estremi. Sono... sono un lunatico, altalenante, sono... un
giorno a cento e un giorno a zero. Nella musica però è diverso,
cerco sempre di essere a cento e mi impegno per esserlo, anche perché
so che se do' il massimo nella musica, tutto il positivo che ne nasce
mi ritorna e mi arrichisce anche per altri aspetti della mia vita.
Anche nei Garrapateros sono bianco e nero e i ragazzi sicuramente lo
hanno visto negli anni, a volte "sclero", a volte mi sento
troppo rigido, ma poi comunque anche queste cose hanno portato a
qualcosa di buono il più delle volte. I Garrapateros invece... per
me... sono un colore unico fatto di miriadi di colori o per meglio
spiegarlo... spettri di luce, miriadi di colori diversi che vanno a
formare la luce stessa. La parola che più mi ha rapito invece... è
sicuramente... "Compartir", "Condividere" e ...
penso non ci sia bisogno di dire altro" (sorride, ndr). Michele:
"Io sono porpora! Assolutamente porpora. E le parole che amo di
più sono sicuramente... Consapevolezza, Gusto e Pensiero..."
"Concerto".
Questa parola ha una storia intricata, complessa, piena di
sfumature... La prima apparizione documentabile di questa parola
splendida nella lingua italiana risale al 1519 ed è un termine dalle
origini grandiose, perché è come una storia anzi, è una storia,
per ogni popolo. Ogni parola è una storia, ogni parola è un mondo a
se, perché le parole hanno un peso e un valore inestimabile e il mio
appello è sempre stato una sorta di disperato richiamo, non
sprecatele, vi prego; e ribadisco ogni giorno il mio... "Mi
metto nelle mani delle parole, come fossi tra le mani di Dio"...
una frase che le Parole mi hanno permesso di scrivere... in "Punti
senza fine". E... "Mùsica", la Musa e ...
"Spettàcolo"... "guardare", "tutto ciò che
attrae lo sguardo, la vista, l'attenzione". Capite perché...?
riesco a trasmettere, mi chiedo, il motivo, per cui personalmente, mi
metto nelle mani delle parole come fossi tra le mani di Dio...? Bene,
parto da qui. Pane, vita, grazie, promessa, amore, amicizia, dolore,
gioia, immensità. Parto da questo per tentare di descrivere la
Bellezza (richiamo di... "Armonia") ... si la Bellezza con
la B maiuscola, di tutto ciò che Massimo Bubola e la Eccher
Band (Enrico Mantovani, alle chitarre e al mandolino -
Erika Ardemagni ai cori e auto harp e Alessandro Formenti,
al basso) mi hanno saputo donare nella spettacolare serata di ieri,
al Teatro Odeon di Lumezzane. Finalmente ho potuto assaporare dal
vivo la grandezza di Massimo, della sua musica, della sua penna, il
suo sapere e il suo intimo calore umano. Credo che se non sapete chi
sia Massimo Bubola, beh, siamo alle solite... se non lo sapete,
abbiate il buon senso di andare ad ascoltare i suoi pezzi, di leggere
la sua storia, di tutto ciò che ha fatto in quarant' anni di musica,
essendo egli parte importante, essenziale, profonda, della musica
italiana; della Musica che che è Musa, la Musica che è Bellezza, la
Musica. Ho cominciato a scrivere queste righe ieri sera tardi, appena
rientrata dalla serata, all'una e ventitre del 25 aprile 2015, nel
giorno del settantesimo anniversario della Liberazione della nostra
Terra. Non volevo perdere un secondo, volevo perlomeno riuscire a
fissare, come in uno scatto fotografico vivente, tutte le emozioni,
le lacrime, le risa, il sènso dunque il "sensus", la
percezione, il poter cogliere con lo sguardo, l'olfatto, l'udito, il
tatto e con immenso, immenso gusto, il senso profondo e l'amore, la
profondità di tutto quel che ho vissuto, in quelle due ore a Teatro,
con dolore e vita nell'aria. Massimo Bubola ha iniziato l'articolato
progetto riguardante la Grande Guerra con un primo album nel 2005,
"Quel lungo treno" nel quale sono racchiusi brani
tradizionalli riarrangiati e... rivitalizzati. Folk, country, rock,
ballata e anche un tocco d'Irlanda. A proposito di Irlanda... per me
che per la prima volta sono riuscita ad assistere dal vivo alla
musica di Massimo Bubola, sentire "Il cielo d'Irlanda" è
stato un colpo al cuore, una sorta di tachicardia emozionale, che mi
ha accompagnato in realtà per tutta la serata, durante ogni pezzo.
"Il fiume sand creek" scritta da Massimo pensando a un
massacro di pellerossa realmente accaduto, nel novembre 1864. Stragi,
umane. La guerra, i massacri, di ieri e di oggi, perché l'umanità
non ha ancora compreso quanto sia sacra la vita o preferisce far
finta di nulla perché... "tanto è così". No... non
dev'essere così. Massimo Bubola con la sua band ha proposto al
pubblico canzoni quali le sopracitate "Il cielo d'Irlanda"
e "Il fiume sand creek" ed anche una versione dolcissima di
"Volta la carta" perché "è come mi piace farla ora
che ho un bimbo piccolo, come una ninna nanna" ha detto.
Torniamo però al progetto dedicato alla Grande Guerra, proseguito
con la pubblicazione, nel maggio 2014 dell'album "Il
testamento del capitano", uscito in occasione del
centenario. Sei brani della tradizione popolare, alpina e sei inediti
del maestro. Ieri sera ho potuto ascoltare le meravigliose "Ta
pum", "Bombardano Cortina", "Sul ponte Perati",
"Il testamento del Capitano", brani che... ho ricordato,
perché li avevo già uditi, in tenera età probabilmente... e
le parole tornavano alla mente, mentre Massimo cantava e così... le
ho sentite. E il capolavoro che Massimo ha scritto pensando a quei
tempi non lontani in cui la sera si cantavano canzoni popolari che
riguardavano proprio la guerra, il dolore, la nostalgia e l'amore e
che lui ha saputo racchiudere in "Rosso su verde", così,
come se fosse la cosa più semplice del mondo, scrivere un brano che
racchiude tutto questo. Ma quanto... quanto... è... e li ho visti
quei momenti, nella testa e nel cuore, quei momenti di cui raccontava
e in cui la memoria, c'era davvero. La voce calda e intensa di
Massimo Bubola, le sue parole... la dolcezza estrema e tutto l'amore
racchiuso in "Tre rose"; tutto, tutte le molecole della mia
anima sono state rapite. La voce e il volto angelico di Erika
Ardemagni, la passione e i colori, il gusto, di Enrico Mantovani, il
tocco, di Alessandro Formenti. La Eccher Band. Mi hanno "ammazzato"
e "ridato la vita". E "come se non bastasse",
tra un pezzo e l'altro, l'attore gardesano Fabio Gandossi, che ha
interpretato scritti pieni di pathos, storie di soldati al fronte,
scritti donati al pubblico da Massimo, un dono, un altro, grande
dono. Grazie... grazie... grazie... e anche questa parola...
racchiude un grande mondo.
"Oggi,
domenica" è il primo EP dei Rossodannata,
un progetto di Russu (Totale Apatia) e Dade (CDU). Un paio di mesi fa
feci una chiacchierata con i ragazzi, curiosa di sapere di più di
quel che sarebbe stato ed essendo già a conoscenza della storia
musicale del duo. La prima reazione che ho avuto, nel sentire e
vedere il video del singolo "La Nave" è stata quella di
commuovermi, non "solo" perché il testo è molto
significativo e il video anche, non "solo" perché le
melodie e il cantato rispecchiano il testo, ma perché ho visto un
punk rocker meticcio, come ha sempre dimostrato di essere Alessandro
Rossoni, autore della maggior parte dei testi dei "Rossodannata",
mettersi completamente a nudo nei confronti di chi avrebbe ascoltato.
E' sempre stato un autore sincero, onesto, incazzato, serio, felice,
ironico, ma qui, ho trovato il Russu che tanti non conoscono o non
immaginavano, la familiarità, l'intimità, il coraggio di mettersi
in gioco. "Acoustic Punk". Il punk può essere acustico?
che cos'è il punk per voi? è "solo" un genere musicale?
per molti, per coloro che non ne percepiscono il nucleo, la parte più
profonda... punk e punk rock, significano "fare casino",
"protesta", "andare contro tutto e tutti",
addirittura "anarchia". Forse lo è stato, anzi sicuramente
lo è stato, ma la musica ha il meraviglioso potere di essere in
continua evoluzione, di farsi scoprire, di poter significare sempre
qualcosa di diverso. Bene, è difficile da spiegare, ma la concezione
punk, come Russu e Dade stessi hanno affermato in una recente
intervista, è anche "uno stile di vita" e io aggiungo che
è "non mollare", "rialzarsi quando si cade",
"riflettere su ciò che ci circonda", "riflettere su
se stessi", è "l'alternativa, perchè così non mi piace",
"è divertimento" ma anche "serietà"; il tutto
nella più totale, disarmante, onestà. Senza ipocrisie, senza far
finta di star bene, senza per forza dover arrivare a qualcosa di
cosmico; la semplicità. Non il semplicismo, attenzione. Questo, per
me, è punk rock. E questo Ep, porta due punk rocker a qualcosa di
certamente alternativo, perché i loro ascolti cantautorali si
mescolano a quell'irrefrenabile spirito che è parte di loro e che
non li mollerà mai, perché punk rocker lo saranno anche a
settant'anni. "Sobrio". E' il primo pezzo dell'EP, testo
breve, conciso, quasi ermetico, semplice e difficile da interpretare
(il che lo rende molto punk). Iniziano le prime note di chitarra,
solitarie, come fossero in attesa di qualcosa e quel qualcosa è
un'inizio che fonde la melodia punk di una chitarra elettrica al
suono surreale di flauti che tanto ricordano certi cantautori, con le
loro melodie, "non punk" (ma anche qui dipende dai punti di
vista). "Flebile, la mia volontà di avere in tempo quello che
mi spetta". Potrebbe sembrare la frase di qualcuno che ha un po'
mollato la presa, che è stanco di aspettare qualcosa che gli sembra
non arrivare mai, ma la realtà, per come la vedo io, è che nel
momento in cui questo pensiero è diventato musica, si è
automaticamente trasformato in voglia di vivere e di non mollare. Un
po' come... "Sono stufo, stanco, annoiato, disgustato....
pronto, a lanciare la sfida" (Totale Apatia). "Sobrio"
è una presa di coscenza, è una riflessione, è la sobrietà che
l'autore ha nel valutare ciò che è attorno a noi e dentro di noi,
esseri umani, ogni giorno. "Forse un giorno arriverà una novità
[...]. I tuoi occhi blu riflettono cose che forse sai solo tu, come
non è stato mai." E questo "come non è stato mai",
ripetuto più e più volte, che un po' mi ricorda i finali di alcune
canzoni dei Nirvana, è una dichiarazione di sobrietà. "La
nave", il secondo pezzo, il primo singolo. E' una canzone
allegra e triste al tempo stesso, è riflessiva, ma si prende in
giro. Si guarda allo specchio, fa la faccia un po' storta, poi si
capisce e sorride, ironica, sincera, intima. La chitarra di Davide
Baronio (Dade) crea un'atmosfera che va contro se stessa, nel senso
più positivo dell'affermazione. E' come un ossimoro, io la sento
così ed è perfetta in questo pezzo. La voce di Russu è quasi
sofferente, è una voce punk che riflette più a fondo e questo già
dice molto. Tutti abbiamo delle paure, tutti abbiamo momenti di
sconforto, il pezzo lo afferma con tutta onestà, con parole nude e
crude, ma... "Sorridi, è la vita... e non farti del male"
(!). Si arriva poi al terzo pezzo, "Down the Street", la
versione acustica di un pezzo dei Totale Apatia che sarà presente
nel nuovo album, in uscita proprio quest'anno (i Totale Apatia hanno
anticipato al pubblico alcuni dei nuovi pezzi, compesa "Down the
Street" in versione originale, nel live di Sabato 21 Marzo a
Brescia). Nella versione alla "Rossodannata" il brano ha
sfumature folk, popolari, ma allo stesso tempo mantiene lo sfondo
punk, nonostante il suono di una popolarissima fisarmonica. "Il
soffio del vento", il quarto pezzo, nostalgico, commuovente,
sofferente. Al primo ascolto, durante il live d'esordio, mi ha fatto
piangere come una disperata. E' senza dubbio il pezzo che amo di più.
"E il ricordo sale in me/ non ricordo neanche se/ sono solo
sogni e fantasie/ le tue mani sulle mie." Dolce e soffice, si
trasforma poi in un tango, passione, rabbia e solitudine, la voglia
di svegliarsi con un ricordo nostalgico che torna ad essere realtà e
poi di nuovo malinconia, perché il soffio del vento, in questo pezzo
porta via qualcosa di grande, così... come fosse stato niente.
"Ventricoli del cuore", scritta, cantata e intepretata da
Davide, è in parte narrata, incentrata sul peso dell preoccupazioni,
sulle tensioni, sulle speranze, sulle lotte quotidiane, il tempo che
passa e il valore che ogni passo ha, sulla nostra strada. Passi che
non sono da bruciare e poi... "Miete vittime il rancore",
il rancore dentro, mai; meglio liberarsene alla svelta, per non
perdere la strada. Infine, la traccia nascosta: "Angelina"
(anche qui l'autore è Dade), fantasticamente rustica, ricorda lo
stile "Cochi e Renato" sia per il cantato che per il testo
simpatico e ironico. Un bel finale, sia l'EP che per il live, un
saluto al pubblico, perché anche quando si riflette e spesso si
soffre, la vita va sempre presa per quello che è, un dono
meraviglioso; ed è meglio sapersi prendere un po' in giro, non
perdere il sorriso, perché un nostro sincero sorriso, è l'arma più
potente che abbiamo verso tutto ciò che non va.
Oltre
sedici anni di storia, quasi settecento concerti. I Funk Off sono
stati la prima funky marchin' band italiana e al termine hanno dato
un nuovo significato, unendo quest'accezione al groove della black
music, ad arrangiamenti jazz, a movimenti e coreaografie di grande
impatto emotivo e visivo, senza mai perdere la loro "italianità",
le origini, la musicalità della propria terra. Dopo di loro tante
band sono nate, seguendo la loro scia meravigliosa ma... loro sono
unici, unici e inimitabili. Sono passione, grinta, originalità,
feeling, groove, calore, colore e potenza. Dario
Cecchini (clik click!) è il fondatore e leader della band
fiorentina, scrive ed arrangia la loro musica dall'inverno del 1998,
quando il progetto nasce e comincia ad attirare l'attenzione dei
responsabili dell'Umbria Jazz che dal 2003 in poi li inviterà a
tutte le edizioni del Festival, scegliendoli come marchin' band
ufficiale sia della manifestazione perugina che dell'Umbria Jazz
Winter di Orvieto, coinvolgendo, come è inevitabile che sia, tutto
il pubblico e portandoli fino al palco di un entusiasta James Brown.
Ci sarebbero così tante cose da scrivere, ma... cliccate sul link
tra parentesi e vi renderete conto di cosa hanno combinato questi
musicisti eccezionali (FunkOff
on Fb). Personalmente li ho scoperti nel 2011, ospiti di
"Sostiene Bollani" su Rai3. Io e il mio compagno ci siamo
guardati, con gli occhi spalancati, l'ascolto che si trasforma
immediatamente in un istante di stupendo entusiamo, un sussulto e se
non ricordo male un "Oh mio Dio...!". Una rivelazione. Sul
loro sito www.funkoff.it potete
trovare tutte le news e le date sempre aggiornate. Ora, veniamo a
noi... una bella chiacchierata con lui, Dario Cecchini...
Dario Cecchini
Per
prima cosa sono curiosa di sapere come ti è venuta l'idea di questo
progetto, ma non desidero chiederti, per così dire, "informazioni
generali". Intendo proprio a livello
"fisico/chimico/mentale/temporale". Mi spiego meglio: so
che sei cresciuto con il jazz, che hai molte influenze (dal funk alla
black music o la soul latina), hai molte esperienze diverse, prima di
questo progetto per esempio dirigevi la Big Band del Cam (scuola di
musica fiorentina) con la quale hai iniziato a mescolare il jazz, il
funk, la black music... ma la mia domanda è: l'istante. C'è un
istante, un punto di illuminazione in cui è nato il progetto Funk
Off? Il culmine dell'idea, il climax dell'ispirazione, riguardo
all'idea del progetto Funk Off appunto.
"Allora...
il momento è stato... durante una prova della Big Band del Cam, la
Ballroom Dance Band che dirigevo oramai da circa tre anni, anzi dal
'94, quattro anni... In questa band c'erano diversi dei ragazzi che
poi sono entrati a far parte dei Funk Off: Andrea Pasi, Nicola
Cipriani, Paolo Bini, Francesco Bassi, Luca Bassani, che in quella
formazione suonava il basso e... durante una prova ebbi quest'idea,
pensai "porca miseria! Potrei fare una band che fa questo tipo
di musica, con la formazione della banda e quindi con il suono della
banda, però unendo a questo il movimento". Al momento ho
pensato che poteva essere un'idea sulla quale lavorare, poi ricordo
che ne ho parlato con Francesco Bassi, gli dissi dell'idea, che avrei
scritto un po' di pezzi e che poi avremmo potuto valutare cosa fare.
C'è da dire che... qualche anno prima credo, un nostro amico Dj mi
chiese di fare una cosa con la formazione della banda, di suonare
"Reginella Campagnola" e io feci un'arrangiamento, così a
voce, poi diedi le direttive musicali. E' un brano tipico delle bande
di paese insomma - e non so.. non so se questa cosa mi ha influenzato
in qualche modo, non ci avevo mai riflettuto, poi fu lui, questo Dj,
a chiedermi se mi fossi ispirato a quell'esperienza e io gli dissi
"Mah... no, non ci avevo mai riflettuto, però...". Io
credo di essermi più ispirato di più... nel vedere i movimenti
spontanei che i musicisti facevano quando provavamo i pezzi,
arrangiamenti di brani più e meno funk e anche qualche brano mio...
ed è stato anche il momento in cui presi fiducia sull'idea che
mescolare musica jazz, funk, soul... potesse avere una ragion
d'essere e che potesse funzionare; quindi anche una presa di
coscienza e una presa di fiducia in me stesso."
Funk Off
E
quando hai dato il via al progetto ti aspettavi di risultare così
sconvolgente? Cioè, fin dall'inizio, siete stati un'esplosione per
tutti!
"Ma
sai... io non sono molto bravo a trovare concerti, a gestire questi
aspetti, però c'era e c'è Nicola Cipriani che invece è molto bravo
in questo e lui si diede molto da fare e... grazie a lui iniziammo a
fare le prime date; poi è ovvio che quando parte un progetto non
pensi che possa diventare quello che poi diventa... quello che è
diventato. Tu provi a portarlo avanti nel miglior modo possibile. Non
immaginavo che alla gente potesse piacere così tanto questo
progetto, anche perché... oggi in giro ci sono tante marchin' band,
ma all'epoca non ce n'erano, noi siamo stati i primi e quindi... era
tutto da vedere, magari andavi fuori e la gente non ti stava nemmeno
ad ascoltare... Poi... uno non fa il progetto per la gente, lo fa
prima di tutto per esprimere le proprie idee artistiche, musicali,
poi se va bene... naturalmente fa piacere! Quando ho iniziato con i
Funk Off avevo trentacinque anni, erano quindici anni che provavo a
fare musica e che vivevo di musica comunque e non lavoro nel mondo
del pop – ho avuto collaborazioni pop, ma comunque non faccio
musica pop - quindi per me un progetto parte come un'esigenza
artistica, in altri contesti parte invece con l'idea di guadagnare,
di diventare famosi, come nel caso dei talent."
Oltre
a questo... vedo gruppi che hanno avuto un ottimo riscontro, che se
lo meritano e che... anche loro non partono con l'intenzione di
"diventare famosi" e tantomeno si aspettavano quello che
poi sono riusciti a realizzare, parlo di gruppi assolutamente non
commerciali, che però nell'impostazione iniziale avevano un
approccio diverso fin dall'inizio, a livello di diffusione della loro
musica, rispetto alle nuove tecnologie per esempio.
"Una banda così" Funk Off
"Ah
la nostra diffusione è stata quella più vecchio stile del mondo,
abbiamo cominciato a fare live, a quei tempi solo marcianti. Al
tempo, nei live in strada, facevamo
un po' come ora in realtà, alcuni dei pezzi avevano delle
coreografie più strutturate e altri invece meno, poi però andando
avanti negli anni si sono aggiunti Alessandro Sugelli,
Francesco Bassi, Andrea Pasi (i principali curatori delle
coreografie, ndr). All'inizio eravamo veramente "solo" una
marchin' band; io mi ricordo che quando ci è successo di fare il
primo concerto su un palco io... non è che fossi tanto sicuro e
convinto che la cosa potesse funzionare, quindi poi... ovviamente c'è
stato uno sviluppo, dal concerto di marchin' band che marcia per la
strada e che suona muovendosi a quello di una formazione che resta di
marchin' band ma che suona anche su un palco e naturalmente è
diversa la cosa."
Una
cosa però mi ha colpito, per la sua dolcezza... Già dai video dei
live, dalle performance che ho potuto trovare online perché
purtroppo non ho mai avuto occasione di vedervi dal vivo, mi dai
l'impressione, in particolare con i più giovani, di essere un po'
"lo zio" della situazione; mentre suonate, lo scambio di
gesti, di sguardi, sembra tu abbia un senso di protezione verso i
tuoi musicisti, anche con quelli che più o meno hanno la tua età in
realtà, però con i più giovani è più palpabile la cosa... è
un'impressione mia o è così davvero?
"Beh...
certo... io sono... diciamo così... a capo dei Funk Off, quindi... è
ovvio che proteggo i Funk Off. In realtà non ce n'è mai bisogno,
anzi, a volte devo stare attento a proteggermi da loro perché sai,
in quattordici contro uno...! (ride con affetto..., ndr). No beh,
sono protettivo nel senso che voglio bene a questa band, fa parte di
me, dunque sono protettivo con loro come lo sarei verso me stesso;
poi lo scambio di sguardi, di gesti, sicuramente è una questione di
feeling, ma è anche frutto di esigenze musicali, direttive. C'è
talmente tanto affiatamento che... basta che loro mi guardino, gli
basta vedere come mi muovo, con un'occhiata ci intendiamo, se c'è
qualcosa che non va o se c'è qualcosa che voglio dire, loro lo
capiscono al volo. Quello che mi piace dei Funk Off è che il
concerto si sviluppa in maniera diversa tutte le volte, a volte
nascono cose nuove durante i live, proprio perché c'è molto feeling
e dunque io posso "chiamare" delle cose che nelle prove non
abbiamo fatto perché c'è molta empatia tra noi. Riguardo ai più
giovani... non so... tanto sono tutti più giovani di me! (ride - ah
ah, ndr). Mi piace che succedano le cose sul palco, nel jazz succede
questo, quello che accade stasera non accade domani sera e quello che
succede domani sera non succederà l'indomani e il nostro approccio
viene molto dal jazz. Per esempio, se parliamo di un concerto di
musica pop, si parla di un "prodotto perfetto", pensato,
organizzato, perché deve essere più o meno sempre così com'è. Nel
progetto dei Funk Off è esattamente il contrario, è un "prodotto
imperfetto", comunque organizzato, ma che trova energia, linfa e
cambiamento durante lo sviluppo del concerto. Questo ci riporta al
fatto dell'essere empatici l'uno nei confronti degli altri e anche al
correre dei rischi. A volte è successo, magari io ho lanciato delle
chiamate che al momento non sono state colte ed è capitato facessimo
degli errori anche evidenti, ma va bene, ci sta, anche nella vita è
così. A me proprio... non interessa fare una musica perfetta."
Siete
anche a lavoro per il nuovo album che esce ad Aprile 2015 giusto?
Dimmi dimmi, racconta eh eh...
"Riguardo
al nuovo album beh, io sono molto contento perché ha un sound
diverso dagli album precedenti – al di la' del fatto che ovviamente
sono pezzi nuovi - proprio come ispirazione, arrangiamenti,
produzione. Oltretutto ci sono tre ospiti, due dei quali hanno
collaborato anche alla composizione dei brani, hanno scritto i testi
di due brani e li cantano. "Dance with me" con
AverySunshine
e "Déjà Vu" con Raul
Midon. L'altro ospite è Fred Wesley, che era il trombonista
della della band di James Brown (The J.B. 's - ndr). Per me questo è
l'album più soul tra gli album dei Funk Off. Non tutti i brani sono
soul, ma una buona parte è comunque d'ispirazione soul, anche perché
venivo da un periodo di ascolti di artisti come Marvin Gaye, Bill
Withers, Leon Ware, Curtis Mayfield e io... ce li sento, sono
veramente contento."
Qualche
novità sui prossimi live? (date a fondo articolo, ndr)
"Abbiamo
vari concerti e varie Street Parades. Inoltre presenteremo in alcuni
teatri il nuovo album e in questi eventi avremo come ospite Karima,
una collaborazione nuova. Lei è molto brava a cantare ed è molto
brava a cantare in inglese ed avendo composto dei pezzi in inglese è
nata questa cosa; poi faremo anche un pezzo suo, con un arrangiamento
un po' "funkoffizzato" diciamo eh eh..."
Ora
parliamo di parole, è una cosa che adoro quando chiacchiero con
musicisti, artisti e anche in generale... dimmi una, due.. quelle che
vuoi... parole per te essenziali e qual è per te il loro significato
più profondo, il motivo della scelta... Perché le parole, come la
musica, sono un mondo non credi...?
"Di
sicuro "armonia", "equilibrio", sono le parole
che hanno un significato particolare per me. "Armonia"
perché... mi piace avere armonia intorno, mi piace dal punto di
vista umano e mi piace perché nella musica... amo molto l'armonia o
le sfumature che l'armonia può dare... penso che quando c'è armonia
tutte le cose siano migliori. "Equilibrio" perché
l'equilibrio è una cosa importante, una cosa della quale sono sempre
alla ricerca e... a volte lo trovo e a volte non lo trovo; e questo
sia nella musica che nella vita. Questo però non significa che i
pezzi debbano per forza essere equilibrati, anzi, fondamentalmente
penso che nel momento compositivo, creativo, sia necessario essere
tutt'altro che equilibrati, che si debba essere "esagerati",
"illogici", che si debba seguire l'istinto, abbandonarsi ai
sentimenti e alla creatività stessa, quindi in quella fase credo che
l'equilibrio non sia produttivo. Per tutto il resto però credo che
nella vita l'equilibrio sia una cosa fondamentale; questo non vuol
dire che poi io ce l'abbia (sorride..., ndr)."
Ai
di la' della musica ci sono altre discipline artistiche che ami
particolarmente? e se si, perché?
"In
realtà mi piacciono molto tutte le discipline artistiche, mi piace
molto la danza, mi piace molto la pittura, il disegno, mi piace
l'arte in generale, infatti soffro molto per la totale assenza di
rispetto che c'è nei confronti dell'arte e della cultura in Italia.
Mi piacerebbe saper disegnare, ma non ho un gran talento e non avrei
nemmeno il tempo per potermi applicare. Mi piacciono molto anche le
parole, mi piace molto... il suono delle parole... Le parole hanno un
peso, dunque cerco di usarle per il peso che penso che abbiano e per
il peso che gli do' io..."
[Non
commento più di tanto ma... se seguite quello che faccio un po' mi
conoscete, quindi potrete immaginare quanto mi abbia fatto un'immenso
piacere sentire queste parole...]
Per
chiudere... come descriveresti te stesso e come descriveresti i Funk
Off...?
"Beh...
io mi descrivo come uno che cerca di vivere per quanto può nella
Musica e... di sicuro i Funk Off lo sanno... Cerco di esprimere le
mie idee nella musica in maniera sincera, prendendomi dei rischi
anche, cercando sempre di andare avanti, di fare sempre cose diverse
rispetto a quelle che ho già fatto. Penso di essere una persona
molto sensibile, ma anche perché... me lo dicono gli altri... credo
si saper ascoltare, quindi cerco sempre – rispetto anche a quello
che ti dicevo prima – di costruire un'armonia, cerco di avere il
massimo dell'armonia attorno a me. A volte ci riesco e a volte no.
Questo non vuol dire che poi non si arrivi talvolta anche a degli
scontri, purtroppo succede... ("Beh... servono anche quelli..."
commento io nel frattempo...). I Funk Off... come descriverli... mi
ritengo una persona fortunata perché ho avuto un'idea e ho trovato
quattordici persone che mi hanno seguito per realizzarla ed è una
fortuna che non tutti hanno avuto. I Funk Off sono un gruppo che si
basa sulla musica e sull'amicizia, su una forte aggregazione tra le
persone che ne fanno parte e che sono in gran parte vissute insieme
essendo undici di noi dello stesso paese; poi c'è Alessandro che da
tanti anni abita a Vicchio
e poi ci sono tre musicisti che vengono da Firenze, da Prato, da
Montepulciano e sono i membri più recenti della band. Comunque sia i
Funk Off sono un gruppo che si basa molto sui rapporti umani e questi
rapporti umani, un po' per indole, un po' per come è nato il
progetto, per come nascono i pezzi... si trasmettono con naturalezza
nella musica stessa. E' un gruppo molto unito, nonostante sia fatto
di persone molto diverse tra loro e dunque quando ci sono da prendere
delle decisioni io dico sempre "cerco di scontentare tutti il
meno possibile" perché accontentare tutti è impossibile."
Grazie
Dario, per questo bell'incontro sul Cammino.
I
prossimi Live:
24
aprile 2015 – a Latina (LT)
02
maggio 2015 – al Teatro Carrara, Carrara (MS)
16
maggio 2015 – al Vicenza Jazz Festival, Vincenza (VI)
17
maggio 2015 – al Teatro Thiene, Thiene (VI)
20
maggio 2015 – alla Casa del Jazz, Roma
29
maggio 2015 – a Novazzano (CH)
I
Funk Off:
Dario
Cecchini - sax baritono e direzione musicale
Paolo
Bini, Mirco Rubegni ed Emiliano Bassi - tromba
Sergio
Santelli e Tiziano Panchetti - sax alto
Andrea
Pasi e Claudio Giovagnoli - sax tenore
Giacomo
Bassi e Nicola Cipriani - sax baritono
Giordano
Geroni - sousafono
Francesco
Bassi - rullante e coordinatore sezione ritmica