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sabato 30 aprile 2016

Garrapateros: "Garrapata Sound System"


"Garrapata Sound System", il nuovo album dei Garrapateros. Ve li ricordate? (per chi  li avesse scoperti sul blog ); ci avevo fatto una luuunga chiacchierata, molto interessante, andando a fondo, tra i testi, la musica, i pensieri, le visuali di vita (per rileggere cliccate qui). Il nuovo album ha quella formazione della quale Nic mi aveva parlato, nuove entrate nella band che andavano a costruire quel sound nuovo che già al tempo chiamava "Garrapata Sound System". Da bravi spiriti patchanka rebelde, i Garrapateros si sono evoluti ancora di più. E' stato fantastico ritrovare in questo album versioni molto più energiche (nella maggior parte dei casi) e "romantiche" (nel caso di "Cenere e Fuoco") di pezzi ripresi dal primo album "Vida no mata". Le ho percepite come più reali, più palpabili, come nei live e infatti... dei live sentiti/ visti, mi ricordano la struttura musicale, gli arrangiamenti, l'interpretazione, il tutto ripreso e fissato nell'album. Poi, riguardo ai pezzi del primo album che si sono evoluti durante gli innumerevoli live per poi racchiudersi in questo "Garrapata Sound System" (un po' come se i live fossero stati - nel passaggio - il bel paesaggio di fronte a un pittore impressionista), ti vai a riascoltare il prima e il dopo e pensi al fatto che la prima versione ti piace come ti piaceva allora, ma che qui trovi quell'evoluzione, quel groove in più, sempre più patchanka rebelde, la maturazione, il crescendo che in una band ci deve essere o non sarebbe una band di talento. Poi gli inediti. Dopo l'uscita dell'album a novembre 2015, la band presenta come singolo, con video, "Zona Rossa", una bella botta di energia che non manca - perché con un autore come Nic non potrebbe mancare - di profondità di concetti. I testi di Nic non sono mai superficiali, ha da sempre la capacità di scrivere in pochi versi una miriade di cose interpretabili in molteplici modi, sia quando i testi sono più lunghi e dettagliati sia quando sono - solo fisicamente - più brevi. Molto bello il video che rispecchia la canzone a pieno dal mio punto di vista. Il viaggio, gli amici, la vita, lasciare una scia, la scalata, il sudore, l'inizio, il tramonto. "Somos", la mia preferita. Un pezzo che inizia come una poesia, recitata da Nic naturalmente. Perché una poesia? beh, per il testo e per l'intepretazione fantastica che ne da l'autore. Traducendo al meglio possibile... "Mi dici qualcosa che non so, non capisco. Mi dici che non è una storia [questa], è quello che è successo a me (!) e il futuro delle tue parole è presente, qui (!). E non... se ho quindici anni ribellione, se ho quartant'anni responsabilità, se ho ottant'anni fatica o... se non sono ancora nato... innocenza; non tocco, non ascolto, non parlo. Vedo soltanto, eppure penso già [così tanto]: "Chi sono?"." La musica, in questo pezzo, ha addirittura influenze jazz (è patchanka, perché dunque limitarsi?). Si perché senti una batteria che in certi punti lo ricorda, senti un assolo di tastiere che in un pezzo jazz ci starebbe a pennello e senti un "canticchiare" di Nic che dal vivo potrebbe avvicinarsi a uno scat, perché no; senti poi, anche quel tipo di ritmato che ricorda il charleston e con cui è difficile star fermi. "Musica che accarezza la pena", dice, perché come spesso accade Nic ripropone tematiche che puntano alla riflessione sulla vita, su quanto sia dura a volte, ma su quanto sia necessario e sacrosanto godere di ogni momento, crescere e non credere mai che un sogno sia impossibile o che la vita "ammazzi" perché "La vida no mata", è un controsenso no? E così, se c'è una pena... la musica la accarezza. Felice a mille poi, di aver sentito "Hijo de Puta". Durante i live in duo acustico, Nic e Cannibal, avevano già iniziato a deliziare il pubblico con questo pezzo strumentale fantastico nel quale il sound di chitarra e percussioni di due musicisti già bastava a ribaltare un locale. Mai incisa prima, decidono - per fortuna - di farlo con "Garrapata Sound System" e nella versione dell'album arrivano i suoni spaziali dei synth e delle tastiere deliranti. Come ultimo pezzo dell'album, "Sigo" ovvero "Continuo", come il cammino dei Garrapateros, che - per citare il testo - sono come "una lucertola a cui continua a ricrescere la coda, in qualsiasi punto essa sia stata tagliata", perché Nic c'è, perché Cannibal c'è e perché hanno trovato lungo il loro cammino Petardero (basso e cori), Papy Chulo (chitarra elettrica e acustica) e Tio (tastiere, synth e groove), coi quali hanno sentito accendersi la giusta miccia, per continuare a crescere, in questo sogno diventato realtà.


 



martedì 1 dicembre 2015

Enrico Mantovani: la musica che si vede


Ernico Mantovani. Venerdì 26 Settembre ho assistito, non per la prima volta, ad uno dei suoi magnifici, emozionanti e sempre unici concerti (a "La Taverna delle Fate Ignoranti" di Quinzano d'Oglio (Bs), un luogo delizioso). Enrico Mantovani è un "OneManBand", perché definirlo "solo" un chitarrista di talento è poco; non a caso "OneManBand" è il suo biglietto da visita e quando lo senti suonare, quando lo vedi suonare e le emozioni si trasformano in musica, percepisci che le melodie, le armonie, il ritmo, diventano colori, temperatura, immagine, suono percepibile al tatto ed allora comprendi perché Enrico Mantovani non è "solo" un chitarrista di talento e a quel punto non è più necessario spiegare perché il suo biglietto da visita è "OneManBand"; però ve lo spiego, perché molti di voi magari non l'avranno ancora mai sentito nonostante giri in lungo e in largo l'Italia (come invece alcuni già adoreranno il suo sound). Al di la' di questo, mi capita spesso di partire dalle emozioni quando parlo di un talento, perché la differenza tra un "bravo musicista" e un "musicista di talento" sta nell'anima, nella grinta, in quel che arriva alle persone. È così per tutte le discipline artistiche, naturalmente a parer mio. Enrico Mantovani è un artista bresciano, polistrumentista, ma la chitarra è nel suo nome. Vive a Orzinuovi ed ha collaborato con grandi artisti quali il cantautore Massimo Bubola, Giorgio Cordini i più noti (al grande pubblico si intende) Massimo Ranieri, Francesco Renga, Eugenio Finardi... ed ha suonato anche con Alex Britti (spero vi sia capitato di sentire una volta almeno il Britti blues), Gianna Nannini, Fausto Leali e molti altri. Le ho scritte, le collaborazioni, perché è giusto, per far capire a chi non dovesse conoscerlo che di cose ne ha fatte e pure tante (e non solo queste, poi ci arriviamo), ma il mio intento non è parlare dei nomi con cui Enrico Mantovani ha collaborato; il mio intento è parlare di Enrico Mantovani, un musicista come pochi, della musica che si vede, dunque, delle infinite sfumature dell'arte.

Enrico Mantovani chi è? E poi... è abbastanza classico chiederlo, ma è sempre interessante per capire di più: come hai iniziato a suonare, quando, cosa ti ha spinto a imbracciare la chitarra?

"Direi che la mia fortuna è stata di iniziare molto giovane, con mio padre quando avevo sedici, quindici anni e già suonavo il blues e i pezzi degli Stones insieme al mio amico Riccardo Maffoni... ho iniziato con mio padre, dicevo, scriveva canzoni e racconti brevi ed era il mio consigliere su libri e dischi che mi hanno poi accompagnato fino ad oggi; mi sono subito reso conto, sin da adolescente, che non era solo una questione di “musica“, ma anche di parole, di pensieri e di poesia. La chitarra ok, saper suonare ok... mi veniva facile e spontaneo... ma sentivo che la magia vera erano le storie che le canzoni mi raccontavano... Così, assieme a mio padre, iniziai a suonare la chitarra nei suoi spettacoli sulla seconda guerra mondiale, sui partigiani, sulle storie dei partigiani nella nostra pianura e l'ultimo spettacolo si intitolava proprio "Novecento" e... sia i libri che le sue canzoni parlavano sempre di queste vicende e di storie che abbiamo dietro l'angolo, che risalgono a cinquanta, sessant'anni fa, non è un tempo poi così lontano. Del resto un piede nel novecento ce l’ho avuto anche io: da piccolo si passavano giornate intere in cascina, a giocare sui fienili, a contatto con gli animali, ci tuffavamo nei fossi e di sera, dopo cena, spesso mio padre imbracciava la chitarra e cantava canzoni di Nanni Svampa e di altri cantastorie. Più che la musica in se, sono le canzoni che mi hanno affascinato sin da piccolo."

Hai tanti progetti in corso: i meravigliosi Matmata, i concerti "OneManBand", la collaborazione costante con il grande Bubola ed altre collaborazioni. Raccontami un po' cosa stai combinando.

"Beh… con Massimo Bubola ho avuto la fortuna di partecipare ad un percorso sulla Prima Guerra mondiale, sulla Grande Guerra, che mi ha dato modo di rivedere la storia dell' Italia e degli italiani negli ultimi duecento anni; un lavoro a ritroso nel tempo, con brani e melodie popolari di fine ottocento e anche più antiche che hanno resistito fino ai giorni nostri. Massimo ha fatto il primo disco sulla guerra nel 2004, "Quel lungo treno", il secondo nel 2013, "Il testamento del capitano" e l' anno prossimo dovrebbe uscire il terzo; una trilogia con brani degli alpini e canti popolari riarrangiati in chiave folk e rock; tratti da una letteratura popolare e contadina, questi brani vanno a comporre parte della musica detta "poplare", che è quel tracciato dal quale nessun musicista dovrebbe mai discostarsi troppo secondo me. Purtroppo in Italia non abbiamo questa cultura che ad esempio è molto radicata in Irlanda, dove i nonni suonano con i nipoti e tutti conoscono un repertorio di duecento, trecento canzoni folk... e lo stesso vale anche per gli americani e sicuramente per molti atri popoli.

Un incontro raro e fortunato è stato poi quello con i Matmata; mentre con Bubola, con Massimo Ranieri, con Giorgio Cordini e altri ero maturato come musicista o come turnista, imparando a fare questo mestiere, con i Matmata c’è stato un’incontro tra musicisti maturi e già più consapevoli, grazie ai quali ho scoperto il valore della "Band", trovarsi tutti i giorni, suonare insieme più volte alla settimana per il piacere di suonare e per la volontà di creare un groove comune, un sound, un feeling, lavorando sui pezzi che Gianmario continua a creare ancora oggi con grande abilità. Infine nei Matmata ho trovato una famiglia; non è un lavoro da "turnista", è un lavoro con la tua band, coi tuoi amici, coi quali si condividono tantissimi momenti di vita, al di la' della musica…. è stato davvero magico incontrarli."

Per me che ho assistito più volte a tuoi live, con i Matmata e come OneManBand, sapendo quante emozioni, diversificate, trasmetti, mi viene istintivo chiederti: in quei momenti, sul palco, cosa provi, cosa pensi, cosa senti tu, cosa ti passa per la testa?

"Quando suoni.... non pensi a niente, suoni e basta; la musica ce l'hai nel cervello e nel cuore, è li che ti gira attorno, come fanno gli avvoltoi, come una giostra con tante lucine e tu sai già quali vanno accese e quali spente, senza pensarci.... suonare mi fa stare mezzo metro sopra terra, è una droga, la droga più bella e sana che esista e il concerto, il live, è il vero motivo per cui ho imparato a suonare e per cui, grazie al Cielo, continuo a suonare."

Hai fondato nel 2013 l'Accademia di Musica Hendrix (cliccate, cliccate ragazzi). Com'è nato questo progetto e come lo senti? Qual è il contesto?

"L'Accademia... mmmm…... Non credo moltissimo nelle scuole di musica, credo che all'uomo siano più utili i corsi di cucito o di giardinaggio. Le scuole di musica quando io avevo quindici anni non esistevano, o quasi; c'era qualche insegnante che dava lezioni private e se volevi suonare dovevi essere davvero portato, perché dovevi imparare ascoltando i dischi in vinile o la radio, quindi dovevi avere orecchio ed essere molto svelto nel capire le note da riportare sullo strumento. Oggi invece, forse anche a causa dei "talent", molta più gente vuole fare musica, ma siccome da sola non ci riesce, nemmeno con i video di youtube, si rifugia nelle accademie di musica. L’accademia comunque l’ho aperta per portare un po' di fermento sul territorio dove sono nato e dove ho sempre vissuto, sperando di imbattermi in qualche talentuoso futuro musicista."

Ora ti faccio una delle mie domande strane. Altre volte ho fatto questa domanda perché è per me parte dell' "andare oltre" e potrebbe sembrare una domanda semplice, ma non lo è affatto. Di che colore è secondo te la tua musica? E la tua anima? Combaciano?

"Mi piace suonare con le luci blu... e poi il blu è indubbiamente blues..."

Hai un pezzo che su tutti, per te, è il migliore?

"Beh, un brano è troppo poco, ne amo troppi, ma tra i miei artisti preferiti spiccano Bob Dylan e i Rolling Stones. Il resto è tutto sotto."

La tua parola preferita... (Enrico qui è favolosamente indeciso, ma poi la prima parola che gli viene in mente è...)

"Grembo."

Ecco qui, Enrico Mantovani. Penso non ci sia altro da aggiungere se non che, come ho detto anche a lui, una delle cose che lo rende più speciale è che non si rende conto davvero di quanto è raro.

Grazie infinite Enrico.

Link:

lunedì 14 luglio 2014

Andy Fluon: "L'arte è un flusso cosmico"



Andy Fluon... Non ha bisogno di presentazioni e anche se qualcuno di voi non lo conoscesse credo che... beh, leggete questa intervista e molto probabilmente vi verrà voglia di scoprire qualcosa di più. Andy, per quel che l'ho potuto conoscere, è prima di ogni cosa una persona meravigliosa, una persona estremamente profonda, gentile, disponibile, generosa e umile. Un talento incredibile, un musicista fanstastico e un pittore eccezionale. Andy è una persona che ho cominciato a seguire all'età di dodici anni e il suo approccio alla musica, al palco, mi ha stregato fin da subito. Andy, è una persona di cui ho seguito il percorso pittorico quadro per quadro, applicazione per applicazione e progetto per progetto; prima trammite la rete e poi anche vedendo alcune delle sue opere dal vivo e rimanendo ad ogni suo lavoro con gli occhi spalancati per la gioia e la vitalità, perché è questo che trasmette. Trasmette energia, vita, vitalità. Andy Fluon non ha bisogno di presentazioni, per questo ho pensato di introdurre la lettura della nostra chiacchierata dicendovi quel che è per me: un artista unico e una persona autentica.

Dunque Andy... partiamo da un evento recente che mi ha colpito. A maggio sei stato all'anniversario per il primo anno dell' "Acciuga Restaurant" (link video, ndr) di Londra dove erano esposti i tuoi dipinti e mi è piaciuto molto il discorso che ha fatto Guglielmo Arnulfo (Head Chef, ndr) riguardo all'unione di discipline artistiche così diverse come la cucina e l'arte pittorica ad esempio... Tra l'altro tu una volta mi dicesti che la cucina è una delle arti che ami di più al di la' dell'arte visiva e della musica...

"Beh a parte il discorso che ha fatto Guglielmo che chiaramente è il coadiuvautore di questo progetto che mi sta portando a Londra, il grande onore per me è stato quello di essere recensito da un'enormità della critica d'arte quale è Lucie Smith..."

Eh esatto te lo stavo per chiedere... era proprio il punto della mia domanda...

"... lui è assolutamente introvabile, cioè... non c'è un corrispondente in Italia per quel tipo di personalità..."

Che sensazione da' sentirsi dire che le tue opere rispecchiano lo spirito italiano nella sua migliore forma? deve essere stato... pazzesco no?

"Sentirsi dire da un colosso della scrittura della storia dell'arte che porto a Londra, in un luogo di condivisione multirazziale, il piacere italiano, il piacere del colore e l'interesse della cultura del rinascimento piuttosto che... proprio il piacere dello spirito italiano... e che sono meno italia morfico verosimilmente... (sorriso, ndr)... è stato un momento molto forte insomma, dopo tanti anni di lavoro pittorico è bello potersi presentare a Londra in questa nuova ottica, di un rispetto molto... così ...che nasce in maniera assolutamente naturale, senza troppi sfronzoli, per cui... Londra molto spesso ti mette a contatto con realtà gigantesche e che qui in Italia sono inimmaginabili no? Che ne so, ti può capitare a Camden Town di entrare in un pub e magari Robert Smith si sta bevendo una birra, è successo cioè... ci sono dei parametri molto differenti rispetto a qui. Adesso mi è capitata questa avventura, ma il vero protagonista di quest'avventura si chiama Edoardo Ferrera. E' uno Chef stellato, di quelli che però, diciamo, sono un po' dei controcorrente, perché hanno "sfanculato" quello che è il sistema dell'artefazione televisiva – per cui lo Chef che diventa grande rock star in tv con lo show e tutte le palle che ci girano attorno. Lui è uno Chef stellato vero ed è protagonista di questa nuova vita, di questo nuovo me, un po' ispirato a Fluon e un po' ispirato al futurismo; perché comunque sto facendo un omaggio al futurismo che pian piano prenderà vita, complice anche delle aziende. Avrò modo di fare l'italiano che però porta la "cultura oltre i tempi" italiana, a Londra e il che... mi piace molto."

Bellissima cosa... e infatti, sei sempre stato attivo ma l'impressione è che oggi tu lo sia più che mai o sempre di più, sei come un fiume in piena. Sei super impegnato tra esposizioni, musica, eventi... e appunto, restando in tema aziendale, la Tower Parade è stata una cosa bellissima, una bella iniziativa...

"Si, con Unicredit Foundation, in questo nuovo piazzale bellissimo che hanno fatto a Milano, molto bello da vedere; a mio parere è un capolavoro architettonico; tempo fa avevano fatto la "Cow Parade", con le mucche sparse per la città... è molto bello comunque essere nella lista dei trenta prescelti."

Anche perché poi è un'iniziativa a scopo benefico no? Ho letto che è un'iniziativa per aiutare i giovani, i disoccupati e gli inoccupati...

"Si, anche per aiutare persone con disabilità che hanno particolare bisogno di attenzione."

E anche la serata del 29 maggio "Una serata di stelle", è stata a scopo benefico... in te c'è un'entusiasmo innato, continuo e si rispecchia inevitabilmente e per nostra fortuna nella tua arte... che mi dici di questa iniziativa per esempio...? E poi... ti ci ritrovi un po' per caso a partecipare a questo tipo di eventi o è proprio una scelta mirata?

"Se sono invitato e ritengo che la cosa sia valida partecipo per quello che posso. Nel caso della "notte delle stelle" a Bergamo era per cercare di raccogliere fondi per una ragazza davvero speciale che si chiama Jenny e che adesso è in America in attesa del suo intervento chirurgico e quindi... è una persona che lotta con la sua vita in maniera molto speciale; dunque se ti senti in risonanza e la cosa ti piace è bello poter partecipare. Io ho suonato con Beatrice Antolini, è stata una bellissima serata..."

"Il nuovo che avanza". Cosa dovrebbe essere, per te, per i Fluon, "Il nuovo che avanza" e cosa invece pensi che sia ora?

" "Il nuovo che avanza", per quanto riguarda me... è proprio un flusso interiore che si mette in parallelo con la tua epoca e con la tua età; con un atteggiamento, un'attitudine alla vitalità. Quindi "il nuovo che avanza" è questa rinascita che ho avuto non molto tempo fa e che mi ha guidato nel portare in scena questo disco che, tra l'altro, è stato reso possibile grazie all'ausilio delle persone, del pubblico che ha sovvenzionato il progetto investendo a scatola chiusa su di noi e permettendo così di svolgerlo e di registrarlo. Per cui "il nuovo che avanza" è anche il non avere a che fare con una casa discografica che vaneggia e, invece, avere a che fare con un pubblico che compra a scatola chiusa e che ti permette di andare in studio e di fare tutto quello che concerne un progetto complicato quale un album come "Futura resistenza"."

Per essere più indipendenti dunque., per non essere "legati"...

"Si perché ci siamo resi conto che non siamo interessati a quel tipo di logica, del sistema discografico, per cui... trovi l'indipendenza e poi... trovi comunque i distributori digitali, ma è tutto molto più controllabile; magari è un profilo un po' meno altisonante ma sincero, concreto; sappiamo quello che stiamo facendo, quindi preferiamo muoverci con le nostre "piccole zampe" però facendolo in maniera efficace."

"Il mercato dell'arte". Vorrei farti questa domanda per aiutare un po' i pittori emergenti o comuque coloro che vorrebbero intraprendere questa strada. So che è difficile entrarci e che ci sono regole ragionieristiche dietro, un po' come nell'editoria e spesso anche nella musica... è "mercato" appunto. I giovani che ho incontrato e che tentano di iniziare a fare esposizioni tramite le gallerie d'arte, generalmente parlano delle gallerie e in generale del "mercato dell'arte" come un qualcosa di molto calcolato, matematico, più che che artistico...

"Certo."

E' veramente così dunque?

"Si beh... è una constatazione, non è una novità; la galleria per rimanere aperta deve speculare sugli artisti e avere un ricarico del cinquanta per cento. Un giovane artista deve stare attento a fare sempre una bolla di trasporto quando consegna i quadri perché se no, se il gallerista si inventa che sono suoi, non può riaverli indietro; a me è capitato questo nella mia esperienza di vita, quindi meglio tutelarsi... Poi un gellerista può essere bravissimo nel vendere, nell'espandere il tuo mercato, però bisogna rendersi conto che ci sono tanti fancendieri, tanti delinquenti, come altrettante persone molto piacevoli e brave che fanno bene il loro mestiere. Molti giovani spesso si lamentano del mercato dell'arte, mi scrivono e poi scopri che hanno fatto sette quadri ed io suggerisco sempre "ci vediamo al cinquantesimo quadro!"."

E secondo te è comunque sempre meglio proporsi per inziare ad esporre nelle gallerie d'arte o è meglio magari iniziare con un percorso alternativo per poi magari arrivare alle gallerie in un secondo momento?

"Guarda io sono molto snobbato da una grande parte del sistema dell'arte, perché vige la regola per la quale – e condividevo questo principio con Jérôme Sans, uno dei critici d'arte più grandi al mondo - se uno scultore famoso o un pittore famoso imbraccia una chitarra o suona il piano "è argento", mentre un musicista o uno che è conosciuto per la musica si mette a fare un quadro o una scultura è "un cretino che lo fa per hobby", perché poi c'è molto snobbismo... però è un problema prettamente italiano..."

Si perché infatti quando sei andato in America ti hanno adorato...

"Ah si a Miami ho venduto i miei quadri tranquillamente. Non esisteva il problema che fossi "quello dei Bluvertigo" o meno, perché c'è un'altra attitudine verso quel che piace."

Musica e pittura, "due entità che si alimentano" hai detto una volta in una bellissima intervista di Silvia Borsari. E' molto bello perché credo che sia così per molti artisti, le ispirazioni esterne che vanno verso l'arte e viceversa e l'arte che influenza se stessa... si può dire secondo te che l'arte ha un'anima unica al di la' delle discipline?

"No a mio parere... l'arte è un flusso cosmico, poi sta a noi singoli individui dare un'interpretazione e "cavalcare il cavallo", nel senso... io trovo nella pittura e nella musica dei punti di condivisione e cerco di farne un unico percorso creativo, però non dipende proprio dall'arte in se, l'arte in se è un'altra cosa, un flusso cosmico appunto; poi per come porsi o per quello che piace fare è assolutamente a discrezione dei singoli individui, tutti sono dei potenziali artisti."

Andy. Hai sempre detto e dimostrato che i tuoi colori favoriti, per accostamento e anima sono il giallo fluo e il viola... e tu? dentro di te ti senti... di questi colori?

"Si, rappresentano uno Ying e uno Yang, l'allacciamento di due opposti e poi... appaiono nella medicina cinese, cosa che mi interessa molto..."

Grazie mille Andy per la tua innata gentilezza d'animo; e di cuore, buon lavoro.


 



mercoledì 2 luglio 2014

Laura Campisi: quando una voce jazz prende il volo a New York





Laura Campisi. Molti di voi ancora non la conosceranno e d'altronde lo scopo di queste mie presentazioni è proprio quello di mettere in risalto artisti italiani eccezionali ma conosciuti solo in parte e che meritano, meritano molto di più. Laura è una cantautrice italiana eccezionale, nata nella bella Sicilia nel 1984 e immersa nella musica, nel vero senso della parola, fin dalla tenera età. I suoi genitori portavano in giro per la Sicilia brani della tradizione regionale antica, facendo al tempo stesso un lavoro di raccolta e selezione delle composizioni tipiche di ogni paese in cui si trovavano ad esibirsi. E' inevitabile dunque che l'avvicinamento di Laura alla musica sia stato naturale e immediato. “Sono cresciuta con grandi cantate, chitarre e controcanti improvvisati, tra la musica tradizionale e quella dei vari cantautori italiani” dice e aggiunge: “Fu mio padre che, notando questa mia passione, mi chiese un giorno “Ti piacerebbe studiare canto?”. Io risposi di sì senza nemmeno pensarci, come se fosse stata la cosa più naturale da farsi.” Nel 2011 Laura si trasferisce a New York, con la più assoluta spontaneità, dopo aver portato avanti vari progetti in Italia e dopo aver terminato la sua formazione: una laurea in Discipline della Musica, anni di Masterclass e corsi di perfezionamento – tra i quali il “Nuoro Jazz” e il “Roma Jazz's Cool” (con i nomi più illustri del Jazz) - e dopo aver partecipato e vinto diversi concorsi - da solista e da band leader dei “Lalla Into The Garden”; tra gli altri spiccano la vittoria al “Lucca Jazz Donna 2009” e al “Bianca d' Aponte 2010”- il primo è un concorso Jazz al femminile e il secondo un festival che si tiene ad Aversa dove, lo stesso anno, Laura riceve anche il Premio per la Migliore Interpretazione. Vive attualmente a Brooklyn a cui è arrivata dopo essersi resa conto di aver bisogno di nuovi stimoli, nuovi spazi e possibilità concrete per la sua crescita e la sua creatività. Resta naturalmente legata la suo paese, alla musica italiana e ovviamente ai suoi cari: “In Italia cerco di tornare due volte all’anno, per vedere la famiglia e gli amici, ma anche per tenere vive le relazioni artistiche con i colleghi e la scena musicale italiana.” Basta ascoltare la sua voce, il suo stile, la sua interpretazione, per aver voglia di approfondire la sua storia, per aver voglia di scoprire la sua musica.
Allora Laura... è difficile decidere da dove partire con te, hai una miriade di progetti alle spalle e in corso... Direi di parlare principalmente del progetto che stai realizzando ora (a fine articolo potrete leggere altre info e un sunto degli altri progetti, ndr). Si tratta della lavorazione del tuo primo album ufficiale a quanto ho letto sul sito, anche se in realtà non è il primo album che incidi. Raccontaci un po' di cosa si tratta, come si intitolerà, le collaborazioni e, già che ci siamo, dicci per quando è prevista l'uscita dell'album.
La storia di questo album è un racconto ancora in fase di scrittura. Non so ancora quando uscirà e se verrà pubblicato da un’etichetta o se sarà invece un’auto produzione dalla A alla Z. Al momento comunque, io ne sono stata la produttrice esecutiva ed artistica, con l’aiuto fondamentale di un generoso deus ex machina dietro le quinte e naturalmente degli stupendi musicisti che hanno collaborato. È infatti una soddisfazione nonché un privilegio aver raccolto una squadra davvero d’eccezione per un progetto direi poco usuale: un doppio trio (due bassi e due batterie) ad accompagnare una voce. Il gruppo è composto da Gregory Hutchinson (celebre musicista americano) alla batteria, Ameen Saleem al contrabbasso (mio carissimo amico, americano di Washington DC e membro fisso del Roy Hargrove Quintet e Big Band), Gianluca Renzi (ciociaro trapiantato a New York) al basso elettrico e al contrabbasso e il mio concittadino espatriato a Londra Flavio Li Vigni, alla batteria. Non mancano anche due stupendi special guests: Giovanni Falzone alla tromba e Vincent Herring al sax. Il repertorio è una miscela di pezzi riletti e reinterpretati dalla tradizione jazzistica, rock e più in generale “moderna” con mie composizioni in lingua inglese. La band si è andata formando pian piano, dapprima nella mia mente per poi diventare reale, come un bel puzzle. La disponibilità e la professionalità di ognuno dei ragazzi che hanno preso a cuore il progetto ognuno a proprio modo, ha reso quest’esperienza unica. Ho imparato tantissimo da ognuno di loro, e sto imparando molto anche da me stessa; dagli errori commessi imparo a rialzarmi ogni volta e ad inventarmi e reinventarmi sotto luci e ruoli diversi.
Premettendo che la tua voce è jazz, è vibrazione pura e lo è anche quando non stai cantando una canzone dalle evidenti sonorità jazz dal mio punto di vista, sul tuo sito si trovano pezzi in cui l'anima jazz si percepisce fin dalle prime note, proprio perché come accennavo le caratteristiche del jazz sono ben percepibili, ma si possono ascoltare anche pezzi più legati alla musica cantautorale italiana, pur se affrescata da un tocco alternativo e ho potuto ascoltare anche un delizioso pezzo in dialetto siciliano... Tu come come ti vedi? come ti senti? Più vicina al jazz in ogni caso o... come dire... una miscela di stili?
Diciamo che non sento la necessità di definirmi e credo sarebbe anche un compito abbastanza arduo... Sono nata col Jazz ma sono sempre stata attratta da tutta la buona musica e in ogni fase della mia esperienza artistica fino ad oggi posso ritrovare le influenze non solo di quello che ho studiato e cantato, ma anche di quello che ho ascoltato, ballato, fischiettato. Per ciò sì, mi sento più una miscela di stili. Questo vale sia per ciò che canto che per ciò che scrivo. Anzi, è proprio nella scrittura che i vari stili e generi hanno totale libertà di confluire creando contaminazioni.
E come ti sei innamorata del jazz? in che contesto lo hai scoperto?
Al Jazz sono arrivata quasi per caso: la scuola di canto che ho frequentato a Palermo per vari anni era una scuola di musica Jazz ed è così che mi sono avvicinata a quel genere; prima solo durante le lezioni, poi sempre di più nei miei ascolti di piacere e nella vita quotidiana. Anche se quando ho cominciato a studiarlo, a tredici anni, non lo ascoltavo ancora, nel cantarlo ho sentito da subito una profonda affinità, un senso di appartenenza, come uno specchio nel quale riconoscermi.
I testi dei tuoi pezzi li hai sempre scritti tu e sono poetici, accurati, colmi di emozione. Ciò che si percepisce è la volontà di trovare la parola giusta per ogni secondo per poi interpretarla per come quella singola parola va interpretata e vestita. Questa è la mia impressione insomma. La stesura dei tuoi testi è sempre stata un atto spontaneo, istintivo, fin da quando hai iniziato a cantare e magari ancora non avevi un gruppo o c'è stato un momento in particolare che, come dire, "ti ha dato il La"?
In realtà ho cominciato a scrivere molti anni dopo aver cominciato a cantare. La scrittura è arrivata per caso, senza bussare, è sempre stato un atto istintivo e, come tale, spesso repentino ma anche poco costante. Ci sono stati naturalmente periodi in cui ho scritto di più e periodi in cui non ho scritto, momenti in cui era difficile mettere insieme le idee e altri in cui la scrittura ha invece rappresentato un vero e proprio strumento di chiarezza e guarigione ed è così tutt'ora.
E scrivi "solo" testi di canzoni o ti dedichi anche alla scrittura in generale?
Delle mie canzoni scrivo tutto, sia la musica (melodia e armonia) che i testi, ma mi è anche capitato di scrivere testi per pezzi già esistenti o di tradurre e, per meglio dire, creare liriche italiane su canzoni pre-esistenti in inglese. Ho scritto versioni in italiano per due brani di Tom Waits (“San Diego Serenade” e “Long way home”) e per lo standard jazz “Never will I marry” e creato testi su pezzi strumentali come “Nardis” (Miles Davis e Bill Evans), “Naima” (John Coltrane), Torre Ligny (Salvatore Bonafede), “Mirella” (della pianista romana, da molti anni a New York, Patrizia Scascitelli – brano che, con il mio testo originale, è parte della colonna sonora del documentario sul Jazz del regista Gianluca Bozzo “Walnut Street Station, di recente presentato in Italia). Mi piacerebbe molto provare l’esperienza della scrittura a quattro mani, collaborare con altri cantautori e musicisti, magari anche ritrovarmi a dover scrivere la musica su un testo pre-esistente.
Oltre alla musica qual è la disciplina artistica che più ti attrae?
Amo leggere e mi attrae l’ipotesi di scrivere, sono affascinata dal mondo del giornalismo, soprattutto della critica. Ho la sensazione che prima o poi mi ritroverò a scrivere dei racconti o un romanzo. D’altra parte anche le canzoni sono racconti a modo loro e sarebbe stupendo potermi ritagliare del tempo per cimentarmi in qualcosa di tanto nuovo per me.
La mia amata e spesso utilizzata richiesta finale. Dimmi tu ora, quello che ti passa per la testa per concludere...
Naturalmente un ringraziamento a te per questa opportunità di raccontare qualcosa di me e per costruire un ponte in più con la scena italiana, dalla quale manco – se non per brevi tratti – da quasi tre anni ormai (quattro se si considera la prima volta che mi sono innamorata di New York). Spero di trovare sempre più opportunità per portare la mia musica dove sono nata e dove mi sono fatta le ossa, come spero che l’Italia presto si risollevi da un momento tragico non soltanto per la musica e l’arte, ma per tutti. Quello che sento di dire in conclusione è che è bello avere due cuori, uno qui e uno là.
Laura Campisi... Ora qualcosa in più di lei lo sapete, ma credetemi non basta... Potrete leggere di seguito, come promesso, il sunto dei suoi principali progetti, ma soprattutto... entrate nel suo sito e andate a ascoltare la sua musica, le sue composizioni, la sua voce incredibile.

Grazie a te Laura, ti auguro il meglio del meglio e che il mondo della musica ti scopra davvero come meriti, all'estero come in Italia.

Link:

 
Performance e collaborazioni:
Laura ha suonato con varie formazioni musicali in tutta Europa e America e continua a produrre una vasta gamma di musica: dal jazz al folk e al rhythm&blues sino alla tradizionale musica siciliana e mediterranea. Scrive canzoni in inglese, italiano, siciliano e canta in italiano, inglese, spagnolo, portoghese, francesce, siciliano e napoletano. Da segnalare tra le performance internazionali e nazionali il tour italiano a Gennaio 2014, con il "Back Home Trio" (special guest l'internazionale sassofonista Gianni Gebbia), ma anche quello del Gennaio 2013, con il "Laura Campisi Roma Quartet" e ancora, un'apparizione nel documentario del registra Nello Correale nel film documentario "La voce di Rosa" ottenuta grazie al suo ruolo attivo nella diffusione della musica e della cultura siciliana nel mondo. E poi New York, con il tour avviato nell'inverno 2010, il primo posto al al "Bianca d'Aponte Award" e al "Lucca Jazz Award" e una performance, assolutamente da sottolineare, all'Ambasciata italiana a Lisbona per la Festa della Repubblica. Nel 2008 un tour a Parigi e una serata anche al "Langau Jazz Festival" nel 2004, in Svizzera. Nel 2014 Laura appare anche nel film documentario dedicato alla scena jazz amercana e italiana intitolato "Walnut Street Station", del regista italiano Gianluca Bozzo. Si esibisce regolarmente con il bassista Ameen Saleem ed ha suonato con numerosi musicisti affermati a livello internazionale: Jon Davis, Tommy Campbell, Saul Rubin, Paul Jeffrey, Salvatore Bonafede, Gianluca Renzi, Fabio Morgera, Christos Rafalides and Gianpaolo Casati, per nominarne alcuni. Laura si sta anche cimentando in una collaborazione con la comunità culturale pakistana a New York, suonando con musicisti del luogo e mescolando così le sonorità tipiche della cultura pakistana con il jazz e la musica italiana, sperimentando tra l'altro le tradizionali composizioni in sanskrito e la musica Panjabi. Di recentissimo avvio anche un gruppo al femminile ("The Shook Ones") di genere completamente diverso, un'esperienza punk rock. Si è esibita in molti prestigiosi locali e luoghi di New York, tra i quali "The Kitano", il "Bar Next Door", il "Zeb's", la "New York University", il "Westchester Italian Cultural Center" e l' "Italian American Museum" nonché al "Lincoln Center’s Avery Fisher Hall", con un bel pubblico di tremila persone, in compagnia della SGI Youth Ensemble.

Progetti:

"Vedrai Vedrai" Luigi Tenco & More:
Un progetto che parte dalla selezione dei pezzi più intimi del grande Luigi Tenco e passa per gli altri grandi cantautori italiani, da Fabrizio DeAndrè a Sergio Endrigo sino a Ivano Fossati. Miscelando con i suoi musicisti il cantautorato italiano con le sonorità jazz, Laura traduce pezzi italiani in inglese, senza rinunciare però a qualche assaggio in siciliano e napoletano. Un viaggio musicale arricchito da pezzi firmati proprio da lei.

"Overseas Quartet":
Quattro musicisti, tutti nati a Palermo e un dialogo musicale. Questo è il "quartetto d'oltreoceano", un progetto nato nell'inverno di quest'anno dalla riunion di Laura Campisi con il bassista Gabrio Bevilacqua e che sarà presentato al pubblico, con molta probabilità, proprio quest'estate. Ed è così che Laura ha incontrato anche Marcello Pellittieri, anche lui stabilitosi a New York, batterista e insegnante al Berklee College of Music. I tre, con l'arrivo del pianista Mauro Schiavone, diventano appunto un quartetto e propongono un repertorio sofisticato, che spazia dagli standard jazz ai classici italiani e americani, fino a composizioni proprie, portando al pubblico la propria, a dir poco unica, voce.

"Face & Bass":
Un duo, voce e contrabbasso, un incontro musicale che Laura ha sempre amato e che l'accompagna sin dai suoi inizi in Sicilia. Con il suo caro amico e bassista affermato Ameen Saleem, propone un divertente, scintillante, repertorio. Unendo sensualità e ironia, intimità e scalanatura, questo duo mostra contagiosa allegria e la bellezza di un dialogo musicale basato sull'ascolto reciproco e la vera interazione.

"Lalla Into The Garden": E' il primo progetto cantautorale di Laura Campisi. Iniziato nel 2009 nella sua terra d'origine come sestetto (voce, due chitarre, violoncello, fisarmonica e percussioni), si trasformò negli anni continuando a mutare nella tipologia di strumenti e nelle sonorità sperimentate. Il nocciolo però è sempre stato lo stesso: i pezzi in italiano di Laura Campisi, alcuni dei quali l'hanno portata a vincere diversi premi nazionali e internazionali.

sabato 31 agosto 2013

"La vedo, la tua voce"


Era il silenzio assoluto; nemmeno il volo di una mosca nella testa di Giulietta. Eppure le era venuto il mal di testa per il gran frastuono. Le luci, i movimenti veloci delle persone, i semafori in continuo scattare di colori, la gente quasi accalcata nel camminare uscendo ed entrando da uffici ed edifici, i negozianti    all'opera, l'effetto sardina in metro. Proprio scendendo le scale per raggiungere la linea di metro che le aveva indicato mamma, notò a poca distanza un gruppo di studenti più o meno della sua età. Parlavano tra loro, scherzavano, forse urlavano nello scherzare perché il signore in parte a loro aveva abbozzato una strana espressione, poi bloccata dal suo improvviso sentirsi osservato, per quel nano secondo, proprio da Giulietta, nell'incrocio fortuito di sguardi. Era abituata a girare per città sconosciute, le era sempre piaciuto prendere il pulman o il treno e andare a visitare posti nuovi; spesso ci andava da sola perché diceva sempre che così "notava di più i dettagli", però le piaceva anche andare in giro con i suoi genitori nei fine settimana. Due personaggi pazzeschi i suoi. Li adorava. Sarebbe stato il primo giorno nella nuova scuola. Frequentava il liceo scientifico - il quarto anno - ed era un piccolo genio; sognava di diventare biologa marina e lo sarebbe diventata di certo. Arrivata a scuola si diresse tutta contenta verso l'ingresso e senza accorgersene urtò lo zaino posato a terra di un ragazzo. Non aveva visto ne lo zaino ne il ragazzo e tanto meno tutto ciò che aveva intorno. Gli studenti, i professori, il personale, non vedeva niente. Era tanto contenta di ricominciare la scuola dopo due settimane di fermo per il trasloco che non stava più nella pelle.

- Ehi! ehi! occhio! - aveva esclamato il ragazzo notando che Giulietta non si era accorta di nulla.

Jimmy si aspettava che si girasse, accennasse uno "scusa" o un sorriso. Niente. Giulietta aveva continuato imperterrita a camminare con passo deciso. Lui però era curioso, aveva capito che era nuova, non l'aveva mai vista prima ed era tanto carina che di certo l'avrebbe notata se non lo fosse stata.

- Ehi! - esclamò ancora sorridendo dopo aver preso lo zaino quasi correndole dietro - ehi! fermati! - voleva presentarsi ma Giulietta continuava a camminare veloce e sparì dietro un gruppo di persone appena entrata nell'edificio.

- Che modi... mi ha ignorato completamente. Non la mangiavo se si girava... bha...

Giulietta subito aveva trovato la sua classe. C'era solo la professoressa che la guardò  e subito chiese:

- Sei la ragazza nuova?
- Sssi.  - rispose lei piano, sorridendo.
- Siediti dove preferisci, dove sei più comoda ok?
- Si. Ggrazie. - Giulietta aveva già compreso che si trattava di una donna dolce. Le bastava guardare lo sguardo di una persona, le sue movenze, per capirlo.

Entrarono gli altri ragazzi. Giulietta si guardava intorno e loro la guardavano chiedendosi da dove arrivasse, qualcuno stranito, qualcun altro entusiasta.

Capì che non stavano facendo un gran casino. Doveva essere una classe abbastanza tranquilla.

Entrò un altro ragazzo ed era proprio Jimmy. Giulietta era girata verso la finestra, stava ammirando un po' persa le fronde degli alberi. Le trasmettevano un senso di pace infinita.

- Ehila... eccoti qui fuggitiva! - affermò appena entrato sempre sorridente.

Giulietta non si girò e lui le si piombò di fronte.

- Perché mi ignori? ti ho chiamato anche prima sai?

Giulietta stupita dalla sua apparizione improvvisa chiese:

- Ppuoi rripetere? ho perso un passagggio - rise.
- Come hai perso un passaggio? ... comunque, dicevo che mi hai ignorato anche prima, ti ho chiamato perché ho capito che sei nuova e nel passare
avevi urtato il mio zaino così volevo presentarmi.
- Ah, scusa, nnon ti ho visto... - disse dolce.
- Ho notato! eh eh! io sono Jimmy.
- Giulietta, piacere.
- La profe è uscita un attimo eh eh... qui parlano tutti, parliamo anche noi!
- Sssi, certo.

Le era passato il senso di frastuono. Il viso dolce del nuovo compagno di scuola l'aveva allietata.

- Posso chiederti una cosa? - propose Jimmy girando la testa per un attimo verso gli altri.
- Come scusa...? ho di nuovo perso il passaggio.
- Cosa... significa che perdi il passaggio? e ... scusa se te lo chiedo, è giusto per sapere... sento che parli un po' strano... come mai?
- Pperrdere il passagggio per me vuol dire che non ssono riuuscita a legggere le labbra del mio interlocuutore perché non era rivollto verso di me e uhm parlo sstrano perché nnnon mi sento. O meglio, non sento nulla! ah ah! - Giulietta si era messa a ridere di gusto, era sempre stata molto auto ironica. Aveva due occhi grandi azzurro cielo e quando rideva le si illuminavano ancor di più.
- Dunque sei sordomuta giusto? - sorrise Jimmy.
- Eh già, pperò non faccio ffatica nelle scuole normali. Leggo le labbra, ppreferisco.
- Beh, meglio così in effetti! - sorrise Jimmy - Beh, posso dirti subito una cosa allora.
- Cosa?
- Hai una voce splendida. - Jimmy era rimasto colpito ancor prima di averle parlato e ora ancor di più.
- Anche tu!  Ah ah! - rispose Giulietta ridente.
- Come anche io? e come fai a saperlo?
- La vedo, la tua voce. Non sso come spiegarlo, identifico la voce nei ggesti, nel modo in cccui una persona si muove, nnnegli occhi. Nello sgguardo e nelle eespressioni del vviso.
- Uau! che storia! eh eh...
- Eh ssi.
- E dimmi... cosa ti piace fare?
- Girare per ccittà che non conosco, legggere, sstudiare, balllare - ma solo per sfogare le enerrgie quando sono a casa e ... la musica, le vibrazioni della musica e ... la natura. Adoro tutto ciò che è oceano, mmare. Vorrei diventare biologa mmarina.
- Fantastico...
- E tu?
- Per ora sono intento a scoprirti... - sorrise e la professoressa entrò.

Giulietta si  era messa in prima fila per non perdere passaggi della lezione, Jimmy era dietro di lei e ancora la guardava. Lei gli fece segno verso la professoressa e poi accennò con la mano un "Dopo continuiamo".

La professoressa iniziò poco dopo a spiegare; sapeva che Giulietta era allo stesso punto del programma anche nella scuola che frequentava prima e che durante le due settimane di fermo aveva continuato a studiare con l'aiuto dei suoi vecchi professori che le inviavano materiale online. Sapeva anche che era un genietto, comunque si assicurò che lei si sentisse a suo agio e le disse di chiedere in qualsiasi momento qualsiasi cosa.

Era l'insegnante di inglese e stava leggendo in quell'istante la poesia di un autore che a Giulietta piaceva da matti. Una poesia meravigliosa.

La bella accoglienza della professoressa prima e di Jimmy poi ed ora la Poesia. Amava parecchio la Poesia.
- Che belle voci... - pensò.

lunedì 19 agosto 2013

La storia della musica, l'amore per la musica

Storia della musica - Il cammino - Lara Aversano

"Stòria della mùsica: disciplina che analizza la musica in senso cronologico, attraverso le epoche e le culture, con particolare riferimento alla musica colta occidentale" (dall'Enciclopedia Treccani online - ndr). Mi è saltato in mente di scrivere qualcosa che riguardasse la musica nei tempi antichi. Prima di iniziare, penso che al di là della musica degli esseri umani, primitiva o recente che sia, i più naturali musicisti sono in effetti gli animali. Un pensiero naturale direi. Gli uccellini, i grilli, le cicale, i delfini e le balene: gli esempi sono infiniti. Gli animali, che per istinto cantano, si lanciano segnali ritmici per comunicare, parlano danzando coi suoni. Se non è uno show meraviglioso questo... Mi domando: esisterà al mondo una persona a cui non piace il canto di un uccellino o di un grillo o di un qualsiasi altro animale? perché se in effetti al mondo non esistesse essere umano a cui non piace almeno uno di questi canti o, magari, la musica prodotta da un ruscello o dalle acque scoscianti di una cascata... allora quando una persona dice: "A me la musica non piace" - che di per sé è già un'affermazione che non riesco a concepire nel mio mondo personale - beh, in ogni caso, mente. "Eh ma non è la stessa cosa" direbbe forse la tal persona, ma pur sempre una forma di musica è no? Ad ogni modo: sappiamo tutti che gli antichi greci sono stati grandi artisti in tutti i sensi, ma non tutti - tranne coloro che hanno studiato greco -  sanno che il termine "musikè" nell'antica Grecia indicava insieme le discipline di danza, musica e poesia. Cosa che in fondo ogni appassionato sente. Quante volte è capitato di dire "la musica è poesia", "la poesia è musica" o simili? Di certo per un appassionato di danza è la medesima cosa. La danza è l'espressione corporea della musica e per sillogismo aristotelico "se la musica è poesia e la danza è musica, allora la danza è poesia" giusto? oppure "se la poesia è musica e la musica è danza, allora la poesia è danza"? (chissà se il filo c'è: da quanto tempo non sperimentavo un sillogismo aristotelico?!?). Comunque sia, i ragionamenti in se filano. Quando studiai (per mia curiosità) la filosofia dei pitagorici, approfondii anche in parte quel che già avevo sentito dire degli stessi riguardo alla musica, vale a dire che i pitagorici - che in pratica cercavano di dare spiegazione a qualsiasi cosa attraverso la matematica - erano grandi appassionati di musica, in quanto forma matematica iper interessante. Non è difficile comprenderne il perché: la musica greca in generale, come quella romana, fu in gran parte persa a causa della trasmissione orale. Ben pochi frammenti sono arrivati a noi; si sa molto di più invece degli studi dei Pitagorici sulla teoria e l'acustica musicale anche grazie al fatto che poi la tradizione della scuola pitagorica è stata portata avanti nel Medioevo da Boezio. Giunsero i primi canti cristiani, i canti gregoriani (chi non ne ha mai sentito parlare?), le prime forme di polifonia, il mottetto (che ho scoperto essere un'antica composizione musicale - vocale o vocale strumentale - di argomento religioso - magari l'avevo pure già sentito, ma chi se lo ricordava?), gli inni latini e la lauda in Italia fino ad arrivare alle composizioni dell'ars nova ovvero le innovazioni in campo musicale riguardanti la teoria, lo sviluppo polifonico e la notazione. La scuola fiamminga, che diede il massimo valore alla musica polifonica e poi il predominio della musica sacra italiana nel Cinquecento. A Venezia poi nacque la prima musica profana in Italia, con Monteverdi all'inizio del Seicento. Il recitar cantando, l'opera, la musica strumentale - dunque le sonate da chiesa o da camera, il concerto grosso e il solistico). Andando avanti con la storia poi si incontrano sempre più nomi indimenticabili, nomi di artisti che - anche per una persona poco appassionata - sono noti. Da Vivaldi a Bach fino Mozart, Chopin, Listz... Nacquero le prime scuole nazionali, fu recuperato il folklore, la storia andò avanti... Personalmente adoro ascoltare un Debussy o uno Chopin di tanto in tanto, così come amo il cantautorato. Amo il punk rock di qualità come amo anche Battiato ad esempio e ho ascoltato durante la mia crescita gruppi di musica tanto diversa e tutta tanto meravigliosa da far venire la pelle d'oca. Dai Pink Floyd ai Doors, dai Led Zeppelin ai Nirvana, da De André al punk rock (di tutto e di più!). Certo ho generi che amo di più e altri meno, ma in sostanza amo tutta la buona musica, così come ogni persona che se ne intende un pochino. Il saper dire "ok, questo non è esattamente il mio genere, ma è buona musica" è veramente bello e non è necessario essere dei professori o dei tecnici per capirlo. Non comprendo personalmente le persone "quadrate", che non riescono ad apprezzare null'altro che un solo singolo gruppo o un solo esclusivo genere musicale. Al di là di ciò, penso che la musica, l'arte - tutta l'arte - sia una cosa innata. Per crearla o per saperla apprezzare, devi prima di tutto averla dentro, come i primi uomini dell'età primitiva, che sentirono l'impulso di battere legno contro legno per creare dei ritmi su cui danzare o emettere suoni. Chi ha l'opportunità di vivere la musica da dentro poi, che suoni o meno, ha davvero una grande, inestimabile fortuna intorno a sé. Perché ho scritto tutte queste cose? Riflettevo, curiosavo, leggevo e così "con - divido. "Senza la musica la vita sarebbe un errore" (Nietzsche, ndr). Davvero non posso immaginare la mia esistenza senza musica, per me è parte naturale dell'albero della vita. Non potrei mai stare senza, è come il respiro.

domenica 26 maggio 2013

"Due chiacchiere con Lara" di Ilaria Degl' Innocenti

Lara Aversano Il cammino Punti senza fine intervista


Lara Aversano è un'autrice emergente dal tratto fluido, una penna spontanea che non si nasconde dietro a giri di parole o strutture complesse. Ho deciso di intervistarla perché in Martine ha racchiuso molti aspetti di ciò che oggi i giovano cercano. La modernità ha offuscato, con il proprio materialismo, cinismo e falsi miti, molti aspetti fondamentali che invece è necessario riscoprire. Attraverso il suo libro estrapola e riscopre molteplici sfumature che sono state dimenticate, ma che aiutano a ritrovare la parte intima, creativa, che c'è in ognuno di noi.


Allora Lara, dimmi qualcosa di più di “Punti senza fine"...

“ “Punti senza fine" è la storia di una ragazza italo francese - che si chiama Martine - fortemente appassionata all'arte in ogni sua forma, ma soprattutto di scrittura e musica. È una scrittrice emergente e in questo senso alcuni hanno definito il romanzo un meta-libro visto che io stessa sono un'emergente. Il che non è un caso naturalmente. Questa scelta mi sembrava essere il veicolo migliore attraverso il quale portare all'attenzione certe tematiche che volevo sottolineare. Come ad es. la volontà di incoraggiare le persone verso i propri sogni e progetti e di non farlo per puro ottimismo, ma perché credo che con il sudore, la volontà e l'onestà, i sogni si possano realizzare, indipendentemente da quale sia il sogno o il progetto in questione. Naturalmente prendendo in considerazione anche i limiti, pensando anche a quanto è difficile, soprattutto al giorno d'oggi; il primo passo però è proprio quello di continuare a lavorare perché ciò che vorremmo accada, nel piccolo o grande che sia. Ho potuto trasferire al personaggio alcune cose che io stessa ho compreso nel tempo riguardo al percorso verso la realizzazione di un sogno, di un progetto a cui teniamo e in effetti Martine riflette sulla dimensione del sogno che diventa realtà in vari campi della vita. È un libro nel quale, comunque, si affrontano tematiche anche molto diverse tra loro. Ogni capitolo è differente dall'altro anche se c'è naturalmente un filo conduttore. Il sogno artistico di Martine è un sogno già reale nel momento in cui scrive, è la scrittura stessa il suo sogno, però il sogno è anche l'arricchimento, il miglioramento, l'auto comprensione, la crescita e anche se nel caso di Martine si tratta appunto di un sogno artistico, credo che le cose su cui riflette il personaggio possano essere poi applicabili anche ad altre realtà. Ho usato il veicolo che meglio conoscevo, la scrittura e la passione per l'arte, per arrivare a questo, così come a tematiche sociali, d'attualità, d'interesse universale, culturale. Nel personaggio di Martine e nella storia che su di lei ho costruito, ho veicolato gli intenti del libro stesso in sostanza. Si parla di problemi adolescenziali, di tecnologia, di solitudine, di comprensione e incomprensione, di orrori del mondo e allo stesso tempo di bellezza, di fiducia, amore per la vita, delle piccole e grandi cose delle quali è necessario essere coscienti per vivere la vita al meglio. Ci sarebbe davvero molto da dire."

“Punti senza fine" è un titolo che racchiude in sé molti significati…

“Si, è vero. I “Punti senza fine" rappresentano molte cose: dalla continua ricerca per la crescita artistica, ma anche interiore e personale di ogni individuo per es... al concetto per il quale, a parer mio - che ovviamente esprimo l'idea attraverso il personaggio di Martine - ciò che importa di più in un percorso non è tanto la meta quanto ciò che si raccoglie sul sentiero che è ipoteticamente infinito poiché c'è sempre qualcosa da scoprire e di cui prendere coscienza. E non parlo solo di arte o conoscenza, ma proprio a livello interiore. I “Punti senza fine" sono poi anche tutte le persone che la protagonista ha attorno o che incontra, dalle quali impara molto e alle quali cerca di dare altrettanto. Sono miriadi di punti di varia natura che uniti insieme vanno a creare il disegno di un percorso con tutte le sue molteplici sfaccettature. E i significati sono anche altri, ben rintracciabili nell'interezza del testo."

La copertina raffigura dei libri antichi posti uno sopra l'altro su una base in legno, con un paesaggio naturale sullo sfondo che a differenza dell'immagine in primo piano è volutamente non a fuoco. Perché questa scelta?


“Beh, proprio per il discorso di poco fa ovvero l'idea di infinito che Martine ha rispetto a molte cose. La ricerca, la curiosità, la vivacità, il percorso e la voglia di vita. Poi il paesaggio naturale simboleggia anche quanto l'arte possa diventare per qualcuno vitale e necessaria come bere acqua, sia per chi tenta di creare che per chi la apprezza. Una cosa poi che desideravo rappresentare è l'urgenza che Martine e molti giovani hanno di poter riconoscere le tante cose belle che ci sono al mondo, la necessità di riuscire a vedere il buono che c'è. È anche simbolo di purezza e rispetto per l'arte, allo stesso modo in cui rispetto un albero piuttosto che un fiore. E ancora, la sacralità della vita e la vivacità della protagonista; sono colori vivaci perché Martine parla di tutto, dalla poesia alla filosofia, ma il testo non è mai appesantito, è volutamente scorrevole, anche perché spesso purtroppo l'arte viene presentata in modo troppo “didattico" tra virgolette e questo fa perdere a molti la voglia di avvicinarsi a questo mondo meraviglioso che in realtà è anima e passione. Ho avuto tra l'altro la grandissima fortuna di entrare in contatto con un grandissimo artista del mio paese: scultore, pittore e fotografo, che ha realizzato la fotografia per l'immagine di copertina leggendomi praticamente nell'anima. Si chiama Gianni Barili Giba, un grande artista davvero."


Come descriveresti a chi non ha ancora letto il libro la protagonista, Martine? E il motivo della scelta del suo essere italo francese?

“Martine è vivace, dinamica, appassionata, curiosa, estremamente sensibile e ama la vita da impazzire, nonostante esistano anche momenti difficili nella vita di ognuno. Ha un suo mondo tutto da scoprire. Ho scelto di farla essere italo francese per via della grande passione che ho per la Francia e la lingua francese, il suono che ha, la sua eleganza e la storia artistica del paese. E poi è per metà italiana perché, nonostante i problemi che ci sono, sono ancora fiera di essere italiana per molti motivi, dunque voleva essere un omaggio alla mia Terra."

"Martine si specchia nel mondo e specchia il mondo attraverso i suoi occhi" dice la sinossi in quarta di copertina. Ci vuoi parlare di questa sua crescita?

“La crescita di Martine è appassionata, lei assorbe tutto ciò che di buono può assorbire come un bambino che scopre il mondo e nel libro, che comunque prende in considerazione un tratto relativamente breve della sua vita, si coglie sia la volontà di miglioramento dal punto di vista artistico che la sua crescita come essere umano ed è un bel mondo da esplorare insomma... Ciò che il lettore può percepire leggendo la sua storia, è il suo modo di vedere il mondo, per questo la sinossi dice “si specchia nel mondo" perché interagisce con esso con intensità, alla sua maniera, mentre “specchia il mondo attraverso i suoi occhi", dunque svela al lettore come i suoi occhi vedono la vita, l'esistenza. È una crescita graduale e consapevole."

Martine incontra vari personaggi lungo il suo cammino e queste persone spesso la aiutano a crescere, mentre talvolta è lei, con il suo modo di essere, ad aiutare loro a crescere. Tante di queste persone, anche se ovviamente non tutte, le incrocia attraverso internet: perché questa scelta?


“Perché comunque la tecnologia e internet sono oramai parte integrante della vita delle persone, della maggior parte perlomeno e nel romanzo la protagonista riflette anche su i pro e i contro del progresso e della rete. Per tanti giovani che creano musica piuttosto che poesia o altre forme d'arte è diventato un mezzo importantissimo perché è un dato di fatto che permette di avere anche scambi molto belli e permette di farsi conoscere, come è successo poi anche a me. Ovvio poi che un libro o l'ascolto di una canzone suonata dal vivo, non sono paragonabili a uno schermo o a un video you tube. È un mezzo però, che può dare il via a qualcosa di più; dà la possibilità di far conoscere il proprio approccio all'arte. E poi ci sono i lati negativi, che comunque più o meno tutti conosciamo, ma di cui ho scelto di parlare perché è un argomento sicuramente attuale e importante."


Mi ha colpito molto il fatto che spesso e volentieri in calce al capitolo c’è una poesia. Sono molto belle e introspettive. Che cosa volevi comunicare ai lettori?

“Ogni poesia, che sia di Martine (dunque mia) o che sia di autori famosi, è sempre legata a ciò che poi si tratta nel capitolo, è una sorta di spunto di riflessione, una lettura tra le righe attraverso versi poetici miei o di grandi autori. C'è sempre comunque un motivo, in tutte le scelte che ho fatto, fino alla singola parola scelta piuttosto che un'altra che ha lo stesso significato, ma magari una sfumatura in più o in meno."

Anche tu sei appassionata di musica, vero? Che cosa ti ha avvicinato al mondo dell’arte? Che cosa ti affascina di più?

“Si sono un'appassionata di musica e non riesco proprio a farne a meno, non riesco a pensare nemmeno lontanamente alla mia vita senza musica. Sono sempre stata istintivamente coinvolta dal mondo dell'arte, fin da piccolissima. Ho sempre ascoltato tantissima musica, scrivo come spesso dico “da quando ho imparato la forma delle lettere" perché proprio a sei / sette anni, l'età in cui come tutti stavo imparando a scrivere io già scrivevo le prime poesiole, favole e simili, quindi da sempre. E ...non è solo fascino, è proprio una necessità fisiologica: leggere, scrivere, la vista di un quadro o di una fotografia, per me sono cose essenziali, è come vedere un paesaggio splendido della terra per fare un paragone. E in effetti sono una di quelle persone che nota tanto queste cose, la bellezza della natura intendo, perché è la forma d'arte più perfetta che esista ed è un qualcosa che va al di là dell'essere umano, è la bellezza pura, è la vita."

Martine è molto sensibile, molto profonda, riesce a leggere le persone... Sostanzialmente è empatica. Queste sue caratteristiche affiorano durante la lettura attraverso i dialoghi e la narrazione dei suoi incontri. Cosa puoi dirmi di questo?

“Si, è vero. Penso che saper ascoltare le persone con cui parliamo sia molto importante. Il “non ascolto" è un affaticamento per entrambe le parti e provoca incomprensione e malesseri, anche se non è facile riuscire sempre ad ascoltare davvero, a causa soprattutto della frenesia, della fretta. E intendo ascoltare una persona, ma anche ascoltare ciò che ci circonda. Martine è un personaggio che sa soffermarsi, magari non sempre perché è comunque una persona e come tale non può essere perfetta, ma la sua natura la porta spesso all'ascolto, anche del “non detto", di ciò che una persona a volte non dice o dice a metà. La colpiscono tutte le realtà che vede e percepisce, dalle più vicine alle più lontane, sulle quali riflette. È un personaggio sicuramente molto sensibile, dunque è naturale per lei soffermarsi su certe cose e a volte capita si domandi anche perché, altre persone, su certe questioni non si soffermino. E questo vale per il suo relazionarsi con le persone, ma anche per le tematiche su cui riflette."

Il mondo dell’editoria è complicato. Non è facile pubblicare un libro. Che cosa ti ha spinto a farlo e quali sono state le difficoltà che hai incontrato?

“Si, il mondo editoriale è complesso, è difficile... anche peggio del mondo discografico per dirti, che conosco per vari motivi, ma avevo un buon bagaglio di informazioni a riguardo e altri tipi di esperienze alle spalle (anche se ho ancora tanta pappa da mangiare come si dice) e dunque mi sono lanciata, per passione e per il desiderio di far arrivare, alle persone che lo leggeranno, il mondo di Martine. È stato per me un libro tra virgolette della “maturazione", molto importante. Poi sapevo perfettamente che è impossibile per un emergente essere pubblicato da una grossa casa editrice, perché un emergente in Italia ha veramente la strada sbarrata sotto molti aspetti, però se ci si crede e si lavora tanto, anche per crearsi una strada, qualcosa da cui partire prima della pubblicazione in se, poi il lavoro dà i suoi frutti, sia per il miglioramento personale che per i risultati ottenuti nel tempo. Fondamentale secondo me è non pensare mai “vorrei fare lo scrittore o il musicista" ecc... senza metterci anima e corpo, perché non basta dirlo, c'è molto molto da fare se si vuole realizzare qualcosa di buono. Anche in piccolo, non parlo di un best seller o di un disco di platino. Poi anche il fatto di non perdere di vista il motivo per cui si crea arte, dunque l'amore per la stessa, la passione, è fondamentale; se si perde di vista questo e si pensa solo ad arrivare chissà dove non ha senso e poi non si combina niente di realmente buono."

Tornando alla passione per la musica, approfondendo un po' l'argomento musicale rispetto alle altre arti. Come ti sei avvicinata a questo mondo?

“Beh... non è che mi ci sono avvicinata, ha sempre fatto parte della mia vita. È lei che mi ha rapito fin da quando ero piccola. L'ho sempre amata dal profondo e come ti dicevo non potrei vivere senza. Penso sia difficile spiegare a un non appassionato, alla musica, alla lettura, all'arte, quanto possano risultare importanti le arti nella vita di chi invece le ama; tra i tanti intenti di “Punti senza fine" c'è in effetti anche quello di provare a trasferire questo tipo di emozione, questa estrema importanza. Per quanto riguarda le varie chiacchierate che poi ho pubblicato sul blog o le collaborazioni, tutto è nato molto spontaneamente. Da piccola guardavo ad occhi sgranati i programmi d'approfondimento musicale, leggevo libri sui musicisti che amavo di più e visto che ho sempre amato scrivere un giorno ho pensato di provare a unire le due cose. Per me è stato un altro modo per approfondire, scoprire nuovi aspetti della musica e di alcuni suoi interpreti, portando poi il tutto al pubblico del blog ovviamente. Tutte le interviste/ chiacchierate che ho pubblicato sul blog mi hanno lasciato qualcosa dentro e alcune più di altre com'è normale che sia. Le ho sempre chiamate chiacchierate perché ho sempre cercato di renderle in qualche modo diverse, più familiari, più aperte. E le collaborazioni anche, tutto molto spontaneo, sempre guidata dalla pura passione."


E' anche un ambiente particolare, nel quale tutti alla fine si conoscono, la musica è anche una famiglia, si comprende anche da come hai descritto Martine. E' così che l'hai vissuta anche tu?

“Dipende da che tipo di realtà musicale si prende in considerazione. Io l'ho vissuta così personalmente, nella mia vita privata, con il gruppo del mio compagno e andando in giro per l'Italia con loro per concerti, conoscendo anche grandi artisti con i quali hanno suonato, ma soprattutto passando le giornate insieme a loro, ai miei amici e al mio compagno. Lì si è davvero come una famiglia. E in effetti ho voluto inserire nel romanzo e nella storia di Martine un'esperienza simile alla mia, perché è una cosa meravigliosa. Poi ci sono realtà diverse, ambienti di artisti mediaticamente più noti, i “famosi" diciamo così che in certi casi sì, si capisce che tra loro sono come una famiglia, in altri invece non credo proprio. Dipende sempre dalle persone, dal tipo di ambienti e molto altro. Questo per ciò che posso dirti dalle mie esperienze naturalmente. E poi sai... ci sono grandi, veramente grandi, che sono persone meravigliose, umili, veri artisti e ci sono persone, note o meno note, che invece quando comprendi come sono pensi “cavolo da questo/i non me l'aspettavo" eh eh... dipende dai casi. Certo è che – a parer mio – un vero artista dovrebbe sempre mantenere l'umiltà perché …credo sia un fondamentale della profondità dell'anima di una persona. Poi uno può essere strano o lunatico, avere tutti i difetti di questo mondo insieme ai pregi, perché è normale, nessuno è perfetto; gli artisti poi di solito sono più “strani", sotto diversi aspetti anche se pure lì dipende dalle persone, ma l'umiltà per me è fondamentale."

@Ilaria Degl' Innocenti*

*Laureata in economia con un master post laurea in giornalismo internazionale collabora con varie webzine - “Italia di Metallo", “Roma da leggere", “Outsiders" - e con alcune testate giornalistiche - Ibiskos Ulivieri e La Ballata – in qualità di collaboratrice editoriale.