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"Donna misteriosa" di Emil Berg |
Oscar Mariotti, con “Alex”, è il secondo classificato del concorso di L.A. Editing. Lo stile di Oscar è definito, ma allo stesso tempo si percepisce - per un occhio esperto – la voglia di sperimentare. Ha iniziato a scrivere di recente, circa un paio d’anni fa e questo – visti i risultati – fa comprendere quanto a volte anche scoprire “tardi” una passione, non significhi aver “perso tempo”. Non sempre chi scrive e ha le abilità per farlo, come in questo caso, lo sa e lo fa fin dalla più giovane età. Ciò non toglie che questo percorso possa diventare di fondamentale importanza nella propria vita, che la scrittura possa divenire una necessità creativa di cui poi non puoi fare a meno, perché in fondo è sempre stata lì ad aspettarti. Ho avuto modo di leggere altre cose di Oscar Mariotti ultimamente e sono felice di dire che “è nato uno scrittore”. Non anticiperò nulla su questo racconto, vi lascerò godere di ogni scena. Si, ogni scena: perché Oscar racconta i passi delle sue storie come scene di un film.
Alex
Nel salotto buio, seduto sul vecchio divano, fissava lo schermo del computer. Fece scorrere immagine dopo immagine, posizione dopo posizione, la vita del signor Brunetti.
Lapo Brunetti, capo filiale di Cavriglia, era un mezzo uomo e mezzo marito di mezz'età. Dalle foto che stava guardando Alex, era evidente che non gli riuscisse bene nemmeno di tradire. La moglie era la brutta copia di una ragazza di campagna, sciatta nel vestire e con qualche chilo di troppo, con grandi occhi nocciola, onesti e speranzosi. La ragazza che era con lui nelle foto, rubate dalle finestre di un appartamento, era alta, bionda e magra. Molto, forse troppo, giovane e giocava con lui come il gatto con il topo. Rappresentava l’antitesi della moglie e non gli offriva certo amore, comprensione o una banale e tediosa quotidianità.
Alex guardò il soffitto, aspettandosi un po' di rumore. Arrivò il silenzio e scosse la testa: niente, totale immobilità, una quiete persistente. Prese uno Xanax dalla tasca, lo buttò giù con un sorso di rum e attese che facesse effetto. Lo schermo gli proponeva corpi nudi e tradimenti, lucide forme che si muovevano all'interno di appartamenti sporchi, grigi e senz’anima. Sorrise e pensò che quei luoghi, quelle camere da letto dalle lenzuola dozzinali, altro non rappresentassero se non l'essenza dei "gentiluomini" che le frequentavano.
Tornando a casa si era fermato alla Bottega e il ragazzo alla cassa aveva alzato la testa mostrando un sorrisone, per poi infilare le mani sotto il bancone e appoggiare una grossa busta gialla sul ripiano.
- Roba forte, Alex.
- Niente spoiler, Robi. Quanto ti devo?
- Venticinque. Quel tipo se l'è proprio goduta.
- Già - gli dette i soldi e uscì per strada.
Tito, il gatto, si strusciò alla gamba e lo riporto alla realtà. Lo guardò severamente:
- Cosa vuoi? – gli chiese stranito.
Il gatto saltò sul divano e si mise accanto a lui. Guardava incuriosito le foto scorrere sullo schermo e con grazia e dignità si volse verso Alex:
- Non vi capirò mai, umano.
Alex rimase impietrito e cominciò a pensare di aver avuto un’allucinazione. Di sicuro lo Xanax stava facendo il proprio dovere e si rilassò. Sorrise e accarezzò Tito che cominciò a fare le fusa:
- Perché vi legate a una femmina per tutta la vita? – ora Tito lo fissava seriamente.
- Cosa diavolo succede? – gli domandò stupefatto Alex.
- Puoi anche rispondere… – commentò l’amico gatto.
Alex si alzò intontito e barcollò verso la cucina. Si versò un bicchier d'acqua e si appoggiò al tavolo.
- Mentre sei lì, potresti darmi da mangiare - aggiunse Tito con pigrizia.
- I gatti non parlano, Tito.
- Gli uomini non pensano, Alex - saltò sul tavolo e si sedette, poi continuò - perché vi dovete scegliere una compagna per la vita e poi vi dovete nascondere quando andate in cerca di altre femmine?
- È complicato – provò ad argomentare l’uomo.
- No, non lo è.
- Tito, ti ho visto più di una volta andare in cerca di gatte.
- Sono loro che mi vogliono, Alex.
- E sappiamo bene quanto sei orgoglioso di questo.
- Bisogna sempre conservare la propria indipendenza. Se lasci che ti piantino addosso le unghie, sei perduto.
Alex sentì la camera vorticargli intorno e si aggrappò al tavolo. Riuscì a trascinarsi fino al divano e chiuse gli occhi:
- Il cibo, Alex. - sentì il morbido pelo di Tito contro la propria guancia - Alex, che razza di nome è Tito? Ti voglio bene ma...
Il giorno dopo si svegliò depresso e dolorante. Si guardò in giro e non riuscì a scorgere Tito. Lo schermo era ancora acceso e lo fissava, in attesa di una sua decisione.
Si preparò il caffè e decise di parlare chiaramente con il signor Brunetti. In fin dei conti era stato assunto per scoprire una possibile tresca di sua moglie. La signora Brunetti era una donna trasparente, nessun vizio e soprattutto nessun amante. Suo marito invece era di tutt’altra pasta e gli stava antipatico. Avrebbe parlato con lui e dopo aver riscosso lo avrebbe mandato al diavolo.
Prese il caffè e trovò Tito che dormiva nel suo letto: preferì non disturbarlo. Decise di farsi una doccia lunga e bollente e prima di uscire riempì la ciotola dell’amato gatto, per poi prendere il computer. Poche scale e si ritrovò in strada. Prese il cellulare e compose il numero:
- Carlo, hai da fare?
- Buongiorno a te Alex.
- Buongiorno. Hai da fare ora?
- Sono in studio, perché? - la sua voce risultava, come sempre, calma e profonda. Alex la odiava da sempre quella voce, fin da quando erano alle superiori.
- Mi è successa una cosa strana, ieri sera.
- Ho dieci minuti.
- Grazie.
- Dai, dimmi.
- Ho parlato con il gatto.
- Niente di strano. Anche io parlo con il mio gatto, - si schiarì la voce - il problema nasce se ti ha risposto.
Alex lo immaginò che sorrideva compiaciuto, seduto alla sua grande scrivania di legno scuro:
- Appunto, Carlo.
- Mi vuoi dire che Tito ti ha parlato?
- Esattamente.
- Cosa hai preso ieri sera?
- Niente di che. Giusto uno Xanax e un paio di bicchieri di rum. Il solito, Carlo.
- Solo? A me sembra abbastanza. Come ti senti?
- Disidratato e affamato di cervelli. Uno zombi, né più né meno.
- Me lo immagino. Ne riparliamo poi, è arrivata la paziente.
- Ciao, strizzacervelli.
- Vedi di non dare confidenza agli animali che non conosci, Alex. – e dopo quest’ultima affermazione beffeggiante, Carlo riattaccò.
Ritrovandosi davanti al suo ufficio, Alex rifletteva sulla notte appena passata: una notte strana di certo, con allucinazioni e conversazioni inaspettate. Eppure non aveva bevuto abbastanza da intontirsi. Ora che ci pensava, mentre si dirigeva verso Bianca, non aveva ancora bevuto ed erano le nove del mattino.
- Qual buon vento?
Bianca era una ventenne, senza grandi aspirazioni. Capelli rossi, occhi azzurri e lentiggini, magra e molto tatuata. Una modella che, parole sue, non aveva voluto posare nuda per cui si era dovuta trovare un altro lavoro. La sua più grande qualità era il fidanzato, carabiniere di stanza a Montevarchi e fonte inesauribile d’informazioni. Si avvicinò a lei, sfilò dal cappotto una busta e gliela porse.
- Stipendio.
- Una busta paga con bonifico, no?
- Per chi mi hai preso, sono all’antica – sottolineò Alex.
- Come no! - Bianca contava i soldi senza alzare la testa. - C’è il signor Brunetti in ufficio.
- Mattiniero. Ha detto niente?
- Non mi piace. Mi ha spogliato con gli occhi.
- Mette i brividi, vero?
Bianca annuì e gli indicò la porta dell’ufficio, così Alex entrò togliendosi il cappotto. Si diresse alla scrivania con in mano due grandi buste gialle:
- Buongiorno Signor Brunetti, scusi l’attesa - posò gli involucri e si mise a sedere.
- È in ritardo signor…
- Alex, solo Alex.
- Bene Alex. Che cosa ha scoperto?
- È complicato signor Brunetti.
- In realtà è semplice Alex. Mia moglie mi tradisce, sono sicuro.
- In realtà ho le prove di un tradimento.
- Delle foto? - Alex toccò le buste e annuì serio.
- Conosce la parola Hybris, signor Brunetti?
- Arroganza, superbia. Giusto?
- In parte è corretto.
- Cosa c’entra con me?
- Nella legislazione della Grecia antica aveva un ulteriore significato.
- Me lo dica, così andiamo avanti - prese il libretto degli assegni e lo compilò lasciando in bianco l’importo.
- Bene, arriviamo al punto. - fece scivolare le buste verso il cliente - Hybris era un oltraggio compiuto verso una persona per sottoporla al disprezzo generale, farle perdere il suo onore e danneggiarne la reputazione.
Il cliente si fece cupo e aprì le buste. La prima risultò vuota, mentre il contenuto della seconda lo trasformò in una statua di sale: scorreva le prove fotografiche del suo stesso tradimento.
- Bene, signor Brunetti.
- Come si permette!
- Sono cinquecento per aver dimostrato che sua moglie non l’ha tradita e altri mille per aver scoperto il suo tradimento.
- Questa è estorsione! Io la denuncio!
- Lei mi ha firmato il mandato. Ho fatto il mio lavoro – rimase ammutolito, così Alex proseguì - con fattura o senza?
- Lei, lei è… un farabutto!
- Forse. Assegno o contanti?
- Assegno. Voglio avere la certezza che nessuno venga a sapere del fatto - finì di compilarlo e glielo gettò sulla scrivania.
- Certamente, signor Brunetti. Spero che l’assegno sia coperto.
- Assolutamente. Addio, signor …
- Alex, solo Alex. Arrivederci signor Brunetti.
Il cliente si alzò e barcollò verso la porta, con le buste strette al petto. Infilò l’uscita senza voltarsi né chiudere.
- Che stronzo - commentò serafica Bianca.
Silenzio. In ufficio ora era solo e ripensava alla giornata appena passata, conclusa, morta. Aveva risolto il caso e scontentato il cliente e, non era sicuro di doverne andare fiero, aveva riscosso un bel po' di soldi. Sentì all’improvviso due colpi alla porta ravvicinati:
- Avanti - irritato, guardò l'orologio, la porta si aprì e lei entrò: fu incredibile, Alex rimase senza fiato.
La donna sfilò verso di lui, sembrava fluttuare. Aveva un vestito leggero che la fasciava interamente, le sue forme morbide premevano sulle cuciture e il seno prorompente lo ipnotizzò. Tanta abbondanza lo aveva scosso, lui non amava particolarmente il seno, preferiva un bel didietro al resto, ma quella donna era perfetta su tutto.
- Prego – la esortò Alex mostrandole la sedia.
Si accomodò e probabilmente fu in quel preciso momento che s’innamorò di lei. Le sue labbra piene e carnose lo imbambolavano e i grossi occhiali neri vintage che le nascondevano il volto le davano un tocco di mistero. Un volto innocente e piacevole, accompagnato da due bellissime gambe incrociate che mostravano tutta la carne possibile, liscia e desiderabile.
- Mi dica, signora.
- Signorina.
- Scusi. Continui.
- Morelli, Tiziana Morelli.
- Bene, mi dica.
- Lei è un investigatore privato, giusto?
- Sì. Senta signorina Morelli…
- Tiziana.
- Tiziana, di cosa ha bisogno?
- Ho la necessità che lei mi trovi un oggetto che mi è stato rubato.
- Mi chiami pure Alex. Quale oggetto?
- Una pen drive Alex.
Le porse un foglio e una penna:
- Scriva il suo nome, telefono e indirizzo. Dove e quando le è stata sottratta la pen drive?
- A casa mia. Non so di preciso quando, forse due giorni fa.
- Sospetti?
Alex continuava a osservarla e lei arrossì. Le sorrise e notò un livido fresco vicino all'occhio.
- Qualcuno, le scrivo i possibili nomi.
- Deve fare qualcosa con le porte.
- Cosa?
- Sì, le porte. Se la porta dovesse continuare a battere contro il suo viso, mi chiami.
- È un regalino d'addio del mio ex ragazzo.
- Simpatico.
- Non proprio. Quanto mi verrà a costare Alex?
- La richiamo Tiziana. Faccio qualche ricerca e le dirò.
La cliente si alzò e ondeggiò a dieci centimetri da terra, verso l'uscita:
- A presto, Alex.
- A presto, Tiziana.
Scomparve dalla stanza e lo lasciò svuotato di ogni forza. Che donna che era. Si gettò sulla sedia e osservò i nomi che aveva scritto cominciando a pensare.
La notte sarebbe stata lunga, tra un appostamento e l’altro, a spiare le vite di perfetti sconosciuti. No, quella sera sarebbe andato dritto a casa da Tito e dal suo rum, nel tentativo di lasciarsi alle spalle tutto tranne lei. Non voleva rischiare di distorcere la sua immagine perfetta. L’avrebbe rivista di certo e quasi non aveva la pazienza di aspettare.