"Tra Bergamo e il Far West" è il piccolo capolavoro (piccolo solo perché è un EP di cinque pezzi e perché "i Bigfoot sono Piccoli") dei - mi ripeto, lo so - Piccoli Bigfoot. Il titolo del mini album è perfetto, perché non solo riprende parte del testo di uno dei pezzi, ma rappresenta in un tragitto immaginario fantastico, quello che è musicalmente. È un cantautore, il Piccolo grande Bigfoot che ha dato vita a questo progetto, ma non è comune, anche quando lo conosci di persona (chi lo ha avvistato lo sa). I suoi testi sono una meraviglia che si staglia tra ironia, profondità, giochi di parole da Cappellaio Matto (scusate, da Piccolo Bigfoot matto), allegria, tristezza che si prende in giro, tematiche importanti trattate con dolcezza, simpatia, rispetto e voglia di far sentire la voce di personaggi palpabili e persino amore. Iniziamo dal principio, come si dice: "la Bella" dei Piccoli Bigfoot è una di quelle che belle o meno è sempre Bella, perché "arriva al fosso" con un peso e se ne libera. Si libera dalle maschere e finalmente fa vedere al mondo chi è realmente. I panni e la cenere, che ricordiamo come scene di un'andata tradizione, prendono un significato molto, molto più profondo. Tutta la storia della sua vita, le esperienze che l'hanno formata, le sconfitte, i dolori e le gioie, tutto ciò che l'ha resa una donna capace di sbattersene di tutto e tutti, le danno lo slancio per tornare in mezzo alla gente a viso scoperto, messa a nudo senza timori, pronta a dire basta e a urlare al mondo il suo amore: la donna che la rende felice, che la fa ridere, con la quale vuole passare la sua esistenza. Smette così di sprecare fiato con chi non comprende e forse mai lo farà. Finalmente, al fosso trova refrigerio lavando le ferite, bruciando le cicatrici con l'acqua per mostrarle al mondo con l'orgoglio di una guerriera, determinata a difendere la sua libertà. Arriva poi un'altra bella ed anche se è molto diversa, anche lei ha sofferto tanto. Tanto da essere "La più bella che c'è". Un inno, una coccola, un abbraccio, alla propria città. Bergamo, che con Brescia è stata epicentro di un terremoto devastante con la pandemia del Covid, è straziata da tutto quel dolore, dalle vittime, dal silenzio assordante. Una città che di suo è meravigliosa e che, in compagnia ed unione alla Leonessa, braccetto e braccetto, ha affrontato qualcosa che solo chi ha visto e vissuto, può comprendere davvero. Tutta l'Italia è stata travolta, ma le condizioni delle due province in quel periodo, sono davvero difficili da descrivere. Non si percepiva solo nelle grandi città, lo si percepiva e vedeva tra le strade di paesi minuscoli ed ogni sirena era un dolore forte come una spada conficcata nel cuore. Il Piccolo Bigfoot lo sa bene e sa che la sua cara Bergamo si rialzerà, quindi le scrive. Mano nella mano con Brescia, con la quale sarà capitale della cultura 2023, Bergamo si è rialzata e anche se ferite, l'Aquila e la Leonessa, hanno ridato vita a se stesse. Ascoltatela e basta questa canzone forte e delicata e, magari, non dimenticate. "Prima gli immigrati", il terzo pezzo dell'EP, in realtà parla di miriadi di cose ed è il culmine dell'adorabile sottigliezza dei giochi di parole da cappellaio di cui accennavo: "Prima i partiti, poi gli arrivati" o "Prima compro l'oro, poi compro loro". Giochi di parole che non sono solo giochi di parole. Sono tutti schiaffi ben piazzati, crudi e dolci, di quelli che svegliano un po' chi si sta addormentando quando non è il caso. "Se se se": dolce, amara, romantica, vissuta, commuovente, verace. Sono parole che per forza ti senti dentro, pensando a tutti i se che a volte passano per la testa se ti ci metti, ma alla fine il tempo passa, quindi basta restare ai "Se". Senza dirlo, ci consiglia poeticamente di evitare di accumularli. La vita è una sola, non perdiamocene dei pezzi. Infine, anche se le adoro tutte, la mia preferita: la "Sindrome di Peter Punk". A parte il fatto che rivela le origini musicali del Piccolo Bigfoot ora cantautore (che non ha perso in questa veste alcuni aspetti tipici del pensiero, quello giusto e non cazzaro, del punk), è un brano che - porca miseria! - ti entra dentro. Potrebbe sembrare solo "nostalgico", ma non lo è. Da questa strana sindrome magari non è necessario guarire del tutto, anzi, è un po' come lo spirito bambino da mantenere vivo perché senza che gusto c'è? ma è anche la consapevolezza della crescita, della maturazione, delle domande importanti. È come un passaggio, dall'adolescenza all'età adulta o "da quando sei bambino" a quando capisci che è sacro mantenere in te lo spirito bambino, perché solo continuando a sgranare gli occhi, potremo vivere a pieno. Ed ora, dopo tutte queste parole, vi dico solo di ascoltare, di sentire. Oh, i Piccoli Bigfoot sono quattro, ma sono uno. Insomma, sono/è, tutte e due le cose. Se non c'è un po' di mistero e confusione, non è, non sono, i Piccoli Bigfoot. Mi auguro che arrivi presto un album, perché questo EP, per me personalmente, ha l'asticella già molto alta e chissà... cosa verrebbe fuori da un album vero e proprio. In fondo, "Tutti i migliori sono matti".
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