giovedì 12 febbraio 2015

Eternità


Le Tempeste degli Scrittori,
I Sussulti dei Poeti,
La sorprendente Crescita del Cielo,
I Colori dei Musicisti,
L'alta Luce dell'Amore,
Il Tatto della Terra,
Il Puro Significato di Ogni Istante.
Questo è ciò che importa. Qui. Ora.


(born in English, with Italian title)


The Writers' Storms,
The Poet's Jolts,
The Sky's startling Growth,
The Musicians' Colors,
The lofty Light of Love,
The Touch of Earth.
The Pure Meaning of Each Moment.
This is what matters. Here. Now.

sabato 7 febbraio 2015

La meravigliosa storia di ... "Riturnella"



"Riturnella". Alcuni traducono questo termine calabrese accostandolo come sinonimo a "rìnnina" e traducendole con "rondine" o "rondinella". Facendo ricerche però, si scopre che colui che ha riportato alla luce questo brano popopolare calabrese, negli anni '70, vale a dire il prof. Antonello Ricci, ritiene che il termine "Riturnella" sia intraducibile in quanto "inserto nonsense". "Rìnnina" però, significa comunque "rondine"  e nel testo è il termine "rìnnina" a farla da padrone. Ci sono molte traduzioni e versioni di questa lirica, anche se si ritiene che la più fedele sia quella appresa dal professor Ricci da Mariangela Pirito, una "ancient" signora. Non è un caso che io riporti il termine in inglese, in italiano sarebbe più sensato dire "vecchietta" o "vecchia signora" perché dietro a questo termine, come in inglese o in francese, c'è "la storia"; si dice "i nostri vecchi del paese" quando si parla di storie, di ricordi... "se vuoi saperlo, devi chiederlo ai vecchietti in paese!", "i nostri vecchi, loro si che sanno". Invece è luogo comune pensare che il termine "vecchio" sia un'offesa. In realtà non lo è, non che io sappia. L'etimologia del termine "vecchio" è una rivelazione in se. "Vecchio" o "Veglio" significa non solo "che ha molti anni". Qualche ricerca su internet rivela: "Dicesi degli esseri organizzati, che dal nascere al morire corrono più stadi o gradi di vita". Dunque la storia, l'esperienza, i ricordi, le cose che "solo se sei vecchio puoi sapere" e "solo se te le tramanda un vecchio" sopravvivono. Il termine "anziano" invece è certo indicazione di una persona con maggiore esperienza, maggior dignità e autorità rispetto ad altre, sempre pensando all'etimologia della parola, ma la radice "ante" ovvero "avanti" unito a "anus", in latino "vecchio", mi pare si concentri più sull'avanzare del vecchio, più che sulla sua storia, dell'avanzare del passo lento o del suo avanzare e basta. Tutto opinabile, anche perché non sono etimologa, non ho studiato latino e questa mia sensazione viene dall'insegnamento di qualcuno che me lo fece notare. Resta il fatto che il termine "vecchio", al di la' degli insegnamenti ricevuti, mi sembra avere più sapore e colore. Perché allora non ho subito usato il termine "vecchia", "vecchietta" ed ho introdotto il termine in inglese?  perché "ancient" in inglese non è solo indicativo di una persona avanti negli anni, vecchia, anziana o quello che preferite; il termine "ancient" si usa anche quando si parla di rarità storiche, di cose preziose, di storie narrate, della storia di un individuo così come della storia in se. Tutto questo discorso, partito dalle mie dita senza alcun filtro, ha allungato di molto quel che doveva essere inizialmente la mia idea di introduzione a "Riturnella". Il fatto è che tutto ha un senso e se le mie dita sono partite "senza filtro" c'è un motivo. "Riturnella", torniamo a lei, anche se ancora di lei stavamo parlando in realtà. Lei. L'ho chiamata "Lei". Mi accorgo pochi secondi dopo averlo scritto, di aver scritto quello che ho scritto (scusate il gioco di parole, ma notare i dettagli è istintivo per me). "Riturnella" è un canto popolare calabrese e risale al periodo del primo dopoguerra, dunque agli inizi del '900, in cui milioni di italiani andavano in cerca di lavoro, perlopiù in america, per avere qualche speranza in più, perché in Italia tutto era stato distrutto, mentre in america c'era molta richiesta di manodopera... "Riturnella" è la storia dell'inimicizia tra "lavoro" ed "amore" diffusa in quei tempi, poiché il lavoro portava lontano dagli affetti... dai genitori, dai figli, dal proprio compagno o compagna di vita. E' una storia d'amore, è la storia di una donna e del suo amore lontanto, è la storia della sua premura, della "rìnnina", simbolo di tristezza e speranza insieme. Il tutto, in parole e musica. Vi propongo sotto il testo in dialetto per intero e una traduzione (volutamente un po' scremata delle ripetizioni tipiche del dialetto e non suddivisa nella forma originale, un po' parafrasata in sostanza, ma solo per mettere ulteriormente l'accento sulla storia). Ovviamente... ve ne consiglio vivamente l'ascolto. E' stato Eugenio Bennato a renderla nota ai più, con il suo "Musicanova" pubblicato nel 1978 ed è sua la versione che troverete nel video, con un testo leggermente differente da quello considerato come originale, per la diversa scelta di alcuni termini dialettali. Volendo, se vi interessa approfondire la lirica in se, la composizione del testo, potrete trovare informazioni interessanti facendo altre ricerche. Questo mio articoletto però, vorrebbe concentrarsi di più su tutto ciò che questo brano può significare, su tutta la storia che c'è dietro e su cosa possa significare anche per noi oggi.

La traduzione:

Tu, rondine che vai
Per mari e mari
Oh rondinella
Tu, rondine che vai
per mari e mari...
Ferma, quando ti dico
due parole, o rondinella,
ferma, quando ti dico due parole.
Corri a gettare il sospiro a mare
e guarda se mi risponde.
Guarda se mi risponde il bene mio...
Non mi risponde, no,
è troppo lontano,
oh rondinella, non mi risponde...
è troppo lontano.
E' sotto una frescura
che sta dormendo, o rondinella,
poi si risveglia con
il pianto agli occhi...
Si asciuga gli occhi
e gli passa il pianto, o rondinella.
Si asciuga gli occhi... e gli passa il pianto.
Prendigli il fazzoletto,
vado a lavarlo, o rondinella,
poi lo stendo a una pianta di rosa
e poi lo mando a Na,
lo mando a Napoli a stirare, o rondinella.
Poi te lo piego alla napoletana,
te lo piego alla napoletana, o rondinella.
E poi te lo mando col vento a portare
o rondinella, te lo mando a portare col vento.
Vai vento e portaglielo...
Vai vento e portalo al mio bene.
Attenta che non ti cada,
attenta che non ti cada
sopra il mare o rondinella,
che perdi i sigilli di questo cuore,
o rondinella...
che perdi i sigilli... di questo cuore.


Il testo originale:

Tu rìnnina chi vai
Tu rìnnina chi vai
Lu maru maru
Oi riturnella
Tu rìnnina chi vai lu maru maru

Ferma quannu ti dicu
Ferma quannu ti dicu
Dui paroli
Oi riturnella
Ferma quannu ti dicu dui paroli

Corri a jettari lu
Corri a jettari lu
Suspiru a mari
Oi riturnella
Corri a jettari lu suspiru a mari

Pe’ vìdiri se mi rišpunna
Pe’ vìdiri se mi rišpunna
Lu mio beni
Oi riturnella
Pe’ vìdiri se mi rišpunna lu mio beni

Non mi rišpunna, annò
Non mi rišpunna, annò
È troppu luntanu,
Oi riturnella
Non mi rišpunna, annò, è troppu luntanu

È sutt’ a na frišcura
È sutt’a na frišcura
Chi sta durmennu
Oi riturnella
È sutt’a na frišcura chi sta durmennu

Poi si rivigghja cu
Poi si rivigghja cu
lu chjantu all’occhi
Oi riturnella
Poi si rivigghja cu lu chjantu all’occhi

Si stuja l’occhi e li
Si stuja l’occhi e li
Passa lu chjantu
Oi riturnella
Si stuja l’occhi e li passa lu chjantu

Piglia lu muccaturu
Piglia lu muccaturu
Lu vaju a llavu
Oi riturnella
Piglia lu muccaturu, lu vaju a llavu

Poi ti lu špannu a nu
Poi ti lu špannu a nu
Peru de rosa
Oi riturnella
Poi ti lu špannu a nu peru de rosa

Poi ti lu mannu a Na
Poi ti lu mannu a Na
puli a stirare
Oi riturnella
Poi ti lu mannu a Napuli a stirare

Poi ti lu cogliu a la
Poi ti lu cogliu a la
Napulitana
Oi riturnella
Poi ti lu cogliu a la napulitana

Poi ti lu mannu cu
Poi ti lu mannu cu
Ventu a purtari
Oi riturnella
Poi ti lu mannu cu ventu a purtari

Ventu và portacellu
Ventu và portacellu
A lu mio beni
Oi riturnella
Ventu và portacellu a lu mio beni

Mera pe’ nun ti cara
Mera pe’ nun ti cara
Pe’ supra mari
Oi riturnella
Mera che nun ti cara pe’ supra mari

Ca perda li sigilli
Ca perda li sigilli
De chistu cori
Oi riturnella
Ca perda li sigilli de chistu cori.


 La versione di Eugenio Bennato (1978):



sabato 24 gennaio 2015

The Miracle



You know, you're a Miracle to me,
every night, every day, you know, I pray,
I pray our God, for He keeps beside you
two of His angels, to protect you,
to help you, for ever.

You know, you're a Miracle to me,
we saw, we lived, horrible scenes,
but now you're smiling,
you can! You can smile!

"I've seen things you people wouldn't believe"
but now this is a miracle,
and you're smiling, you can smile.

I pray, I pray, I pray,

because the peace falling in love with your heart,
because the peace falling in love with your soul.

You're a Miracle, you know,
you're a Miracle, to me,

you can smile, you can smile,
now you know, how to do.
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __  _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _

Sai, sei un Miracolo per me,
ogni sera, ogni giorno, sai, io prego,
io prego il nostro Dio, perché tenga accanto a te
due dei suoi angeli, per proteggerti,
per aiutarti, per sempre.

Sai, sei un Miracolo per me,
abbiamo visto, abbiamo vissuto, scene orribili,
ma ora stai sorridendo,
puoi! puoi sorridere!

"Ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi"
ma ora si tratta di un Miracolo,
e tu stai sorridendo, sai sorridere.

Io prego, io prego, io prego,

perché la pace si innamori del tuo cuore,
perché la pace si innamori della tua anima.

Sei un miracolo, sai,
sei un miracolo, per me,

puoi sorridere, lo sai ora, come fare...


*[song form]

domenica 18 gennaio 2015

Rossodannata: un nuovo progetto. Intimamente rosso, intimamente d'annata



Rossodannata. Un nuovo progetto musicale che ha preso il via dall'incontro tra due vecchi amici. Russu, membro fondatore dei punk rocker Totale Apatia e Dade, primo chitarrista della Hardcore band Nettezza Umana attualmente parte del progetto CDU (Cansòn de Usteria). Nel 2014 i due si ritrovano dopo essersi persi di vista dai primi anni del 2000 e nasce qualcosa di totalmente diverso da quanto entrambi fanno solitamente. Si tratta in questo caso di musica cantautorale intesa nel più ampio senso del termine; si mischiano le influenze punk rock care ad entrambi a musica e testi più riflessivi e meno impulsivi. Rossodannata... il nome del progetto suggerisce il calore di un gruppo di amici e il senso di libertà delle origini rock. Mi incuriosisce, perché conosco le imprese dei due fondatori e perché, conoscendo gli ottimi precedenti e sapendo che si parla di qualcosa di molto diverso, di un progetto nuovo sotto tutti gli aspetti, c'è molto da scoprire. Un giorno Russu e Dade si trovano con un po' di idee, bozze di canzoni che sarebbero rimaste sole e chiuse in un cassetto e cominciano a lavorarci; sentiamo da loro però, che cosa stanno combinando davvero:

Russu, Dade, avete origini musicali molto diverse da quanto state facendo ora; a quanto mi avete accennato il progetto è... cantautorale. Spiegateci meglio cosa state combinando... Quali sono le influenze musicali?

R: Ciao Lara, grazie per l’interessamento. Il progetto Rossodannata ha preso vita solamente qualche mese fa... per quanto mi riguarda venivo da un anno in cui mi ero già affacciato al panorama acustico, anche se sempre in chiave punk rock, proponendo cover di gruppi che mi avevano “formato”... da li la necessità , come capita da anni con i Totale Apatia, di scrivere e proporre pezzi originali... L’incontro con il Dade è avvenuto proprio durante una serata in cui suonavo con questo precedente progetto di cover; dopo anni che non ci si vedeva si sentiva nell'aria l’intento comune di proporre qualcosa di originale in questa versione acustica ci ha di fatto “riunito”, dando vita così a questo progetto cantautorale nel quale si raccontano storie e visioni personali di vita quotidiana su musica da noi composta. Le influenze che animano me in questo progetto vanno ricercate nella scena italiana di fine anni sessanta e settanta nella quale, in concomitanza coi movimenti politici e culturali del periodo, si diffuse ancora di più l'utilizzo della canzone da parte di alcuni cantautori per scopi politici e sociali. Per citarti alcuni nomi : De Gregori, Guccini, Rino Gaetano, Franco Battiato, Ivan Graziani e, a livello mondiale ovviamente Bob Dylan, anche se più vicini al mio modo di scrivere e di contenuti sono senz’altro i cantautori venuti dopo, quelli che ho potuto “vivere” anagraficamente parlando e che nei primi anni '80 hanno adattato la canzone d’autore a stili quali il Punk, lo Ska, il Rap , il Rock. Il primo Vasco Rossi, Alberto Camerini, Ruggeri, Jovanotti, Ligabue... e quelli che negli anni ' 90 hanno scelto invece una visuale più intimista che “socio-politica”. Dando uno sguardo ai giorni nostri potrei poi citarti grandi autori quali Davide Toffolo, Bugo, Pierpaolo Capovilla, Paolo Benvegnù, Giovanni Lindo Ferretti, Vasco Brondi, Edda...
D: Aggiungo come influenze musicali Vinicio Capossela, la Dixie e la musica classica. Bach, Mozart, Brahms ed Haendel per la maggiore. L'incontro con Russu è stato fortuito e provvidenziale per quanto mi riguarda, staccarmi da ciò che suono usualmente per suonare ed arrangiare brani grezzi che non siano stati pensati da me mi ha dato modo di alimentare (mea culpa) la mia megalomania compositiva. Lo reputo anche un'esercizio di stile se posso azzardare. Intendo: mettere in pratica quanto studiato fino ad ora e sottoporlo al giudizio di chi ha pensato e scritto quella canzone a prescindere dal genere nella quale verrà poi incanalata.

I testi. Avete reso noto che si tratta di testi un tempo chiusi nel cassetto e ripresi in mano per questo progetto. Quel che mi chiedo è: c'è un'idea comune, un filo conduttore, una volontà precisa, dietro a questi pezzi?

R: I testi che ho proposto io non danno troppo spazio a fantasie, sogni e utopie... e non sono nemmeno da troppo tempo chiusi in un cassetto in realtà. Direi che fotografano bene il mio ultimo anno di vita e in generale rivelano sentimenti che difficilmente riuscirei ad esternare diversamente. Come mia abitudine, un album nuovo è un po’ come aprire a caso una pagina di un diario personale e decidere di renderla pubblica.
D: Sono canzoni che parlano di vita quotidiana, di esperienze e probabilmente sottolineano un nuovo punto di vista o ne supportano uno. Personalmete non do troppo peso alle parole a meno che non sia io scriverle, vedo la voce come uno strumento ma mi piace pensarla così, un raccontare pezzi di vita... che sia stata vissuta o della quale vorremmo essere partecipi.

Ora a quanto so state registrando e lancerete ufficialmente il progetto con un primo ep giusto? e poi passerete ai live naturalmente. Cosa dobbiamo aspettarci?

R: Di norma, ci si incontra le prime volte, si tirano fuori le idee, si provano i brani all’infinito e poi si va a registrare. Nel nostro caso siamo partiti all’inverso! Grazie alle capacità del Dade con Logic ci siamo subito messi a registrare nel suo studio, a casa sua, a Soresina. L’idea era di un ep autoprodotto da usare come biglietto da visita... poi, una volta mixato il tutto al Phoenix Studio di Castelmella da Emilio Rossi, ci siamo resi conto che anche se i pezzi sono pochi (cinque più una ghost track) la durata effettiva è quella di un Album e non di un EP. Lo abbiamo intitolato “Oggi, Domenica”. Presenteremo il tutto con un primo evento alla Taverna delle Fate Ignoranti, a Quinzano d’Oglio (Bs, ndr), il 21 febbraio 2015 e da li si svilupperà poi un fitto calendario di date fino a questa primavera.
D: E' quello che ci chiediamo anche noi... ah ah ah ah

Russu, sei sempre stato un ottimo autore di testi, parlando ovviamente del tuo progetto con i Totale Apatia. I testi dei Totale Apatia non sono testi punk, nella maggior parte dei casi, sono testi che, secondo me, hanno in se un'impronta da cantautore, ma l'approccio in questo progetto qual è? scrivi i testi con la stessa lente, con la stessa visione con cui nascono i testi di un gruppo meticcio come i Totale o c'è qualcosa di diverso, un lato nascosto, se così lo vogliamo chiamare, che emerge qui, in Rossodannata?

R: Grazie! L’approccio con il quale scrivo è sempre più o meno lo stesso, da sempre... solo che , diversamente dal punk rock dei Totale Apatia, dove trovano spazio testi più morbidi e lessicalmente meno ricercati, a volte scanzonati come suggerisce la musica di fondo e forse più comunemente “volgari”, nei Rossodannata prevalgono testi più riflessivi, un po’ più impermeabili e ancora più personali, che si sposano sicuramente meglio con la versione semi-acustica e più intimista di questo progetto.
D: Si, un paio di testi li ho scritti io, uno, quello un po' più serio, "Ventricoli del Cuore" l'ho scritto come sfogo, avevo bisogno di qualcuno che mi ascoltasse ma c'era solo la bottiglia di Cabernet, che tra l'altro non dava segni di vita se non alcoolica; mi sono di conseguenza ritrovato a riflettere sul tempo che scorre e sul passato, sul futuro, sulle persone insomma, ero tra le mie nuvole. "Angelina" è uscita di botto, forse dedicata in qualche modo al nostro Russu che dopo aver visto un live dei Cansòn de Usteria, l'altro mio progetto, ha sottolineato il divertimento che ha provato nell'ascoltare alcune serenate che proponiamo, leggere e di facile ascolto. Ho cercato di ricreare quell'atmosfera.

Avete creato da poco una pagina fb dedicata al progetto. Due cose mi hannno subito colpito: la prima è la copertina di quello che sarà l'album. Una mano, una grezza mano che però, molto delicatamente accenna il simbolo per eccellenza di "rock 'n roll" e allo stesso tempo, cruda, sanguina per le spine di una dolce e intensa rosa rossa. Prima di tutto ci terrei a fare i miei pubblici complimenti all'autore dell'opera, Mattia Brena, ma al di la' di questo... continuiamo... Rosso, la scritta sopra, Dannata, la scritta sotto. Mi ha colpito molto e mi piacerebbe sapere qual è, per voi, il significato di quella copertina. La seconda cosa che mi ha colpito è l'immagine, con logo Rossodannata, scattata da Claudia Monterenzi e che ha elementi, per me, impossibili da non notare. Un divano, un mazzo di rose rosse e nere intrecciate, una chitarra a sinistra e un bicchiere di vino rosso a terra. Anche qui, quel che percepisco io è molto, ma voi? cosa vedete in questa immagine che avete scelto come primo segno identificativo del progetto insieme alla copertina...?

R: Partiamo con i ringraziamenti! Mattia Brena ci sta curando l’artwork del CD. L’immagine di profilo della pagina Facebook sarà, a parte piccoli cambiamenti, anche la copertina dell'album appunto. Il nome "Rossodannata" è nato semplicemente perché ad ogni prova beviamo sempre una buona bottiglia di vino rosso; dopo due bicchieri ci è venuta l’idea di scriverlo tutto attaccato, potendolo così interpretare anche come due parole distinte: “Rosso” e “dannata”. Il colore rosso per la passione che da sempre ci mettiamo e che a volte ci procura anche delle ferite che curiamo con la forza del rock... da qui le spine, la rosa e le corna. Claudia Monterenzi! La foto che ci identifica per ora sulla pagina è quella del set che avevamo scelto per fare degli scatti nello studio Montani a Verolavecchia (Bs – ndr). Il divano, la lampada accesa, la luce soffusa... danno un senso di distensione, rilassatezza e quiete a cui si aggiungono la familiarità di una chitarra e di un bicchiere di vino rosso, che possono rivelare il modo in cui ci siamo ritrovati io e Dade dopo tutti questi anni.
D: E' intimo, personale ma vuole anche farsi sentire, quella chitarra che ti fa compagnia in solitudine o accompagna le serate con gli amici e per quanto riguarda il vino beh, son tutte proteine, quasi un pasto completo ah ah.

Ok, per ora ci avete spiegato "cosa state combinando". Ora la domanda è: cosa combinerete? eventi, live, progetti per la crescita di questo nuovo duo? a cosa state pensando e cosa farete prossimamente?

R: A breve realizzeremo il videoclip del primo singolo scelto, vale a dire “La nave” che vorremmo mettere online il 9 febbraio in modo da promuoverlo in tempo per le prime date live. Partiremo da Quinzano il 21 febbraio e porteremo in giro per il centro e nord Italia i nostri brani più alcune cover punk riarrangiate a nostro modo, fino almeno a questa primavera; così poi entrambi possiamo tornare a dedicarci rispettivamente ai Totale apatia (nuovo album e nuovo tour) e ai Cansòn de Usteria. Speriamo comunque che questa sia solo la prima tappa di una continua futura collaborazione e che non passino poi altri dieci anni prima di ritrovarsi!
D: Magari un'altro disco...

Ultime parole per chiudere. Dite voi qualcosa, qualsiasi cosa vi passi per la testa.

R: Per restare anche in tema Totale... da “Penombra”: “I MATTI SIETE VOIIIIIIII!!!!!!”. Ciao Lara, grazie a te e al Cammino per questa chiacchierata!

Buon tutto ragazzi e come sempre, spaccate!

domenica 11 gennaio 2015

George Gershwin: la genialità innata


George Gershwin nasce a Brooklyn nel settembre del 1898. Fin dal quando era piccolo, a soli dieci anni, comincia a mostrare interesse per la musica, inziando a suonare il pianoforte senza aver mai studiato musica, seguendo solo ciò che l'istinto lo portava a fare. Così è nato il suo genio musicale, da quel momento, in cui ha deciso di provare a premere quei tasti bianchi e neri che così tanto lo affascinavano. Forse era rimasto affascinato dal tentativo della sorella Francis di avere una carriera musicale. Frances aveva cominciato a guadagnare qualche soldo con il canto e il ballo, ma lasciò dopo non molto, perché al tempo ancora non era ben accetto che una donna, sposata, si dedicasse ad attività creative e ricreative. Fatto sta che il piccolo Gershwin, da quel momento, inizia a diventare... il grande Gershwin. La musica di Gershwin è conosciuta a milioni e milioni di persone in tutto il mondo. Molte persone ascoltano un pezzo, ne restano incantati e magari non sanno che è suo e... magari non sanno che quel tal pezzo, reinterpretato come è spesso accaduto da miriadi di eccellenti artisti, è proprio suo, viene dal suo genio, perché di genio si tratta. Gershwin affermò che gli piaceva pensare alla musica come a una scienza emozionale; Gershwin compose, nella sua testa, la grande e famosissima “Rapsody in Blue” (1924), mentre ascoltava i ritmi e i rumori metallici del treno che lo stava portando a Boston. Quando la consegnò ai suoi collaboratori e colleghi, per lui ancora incompiuta, tutti si misero a lavoro e Ferde Grofé, compositore e orchestratore, si occupò subito dell'orchestrazione del brano. Lui... lui che voleva ultimarla, perfezionarla, immaginate il momento, tutti a lavoro perché l'opera fosse orchestrata al meglio e lui ancora lì, a ritoccare, a rivedere, a perfezionare. Il direttore d'orchestra, Paul Whiteman, a cui Gershwin aveva consegnato l'opera al suo arrivo però aveva dato il via alle prove e rimase allibito quando comprese che Gershwin avrebbe voluto migliorarla ulteriormente. Si domandava come avrebbe potuto, migliorare qualcosa di già così grandioso. L'opera dunque rimase come era stata consegnata al direttore ed è tuttora quella che la sua mente aveva composto, dall'inizio alla fine, durante un viaggio in treno per Boston. Riuscite a immaginare quel momento? Io ci provo, con tutte le forze, cerco di immaginare cosa gli passasse per la testa, sul treno, sceso dal treno, mentre si affannava per ritoccare il brano ed ultimarlo per come lo voleva lui. Quel momento, in cui i rumori metallici gli hanno dato l'ispirazione per creare un capolavoro di tale portata. Meraviglioso. Semplicemente meraviglioso. Andiamo avanti però... Gershwin che spazia dalla musica colta al jazz, fino al blues e al musical e Gershwin che diventa l'iniziatore, del musical americano. Gershwin che non nasce George, bensì Jacob e nasce da due emigrati ebrei: il padre, Moishe, cambiò il suo nome in Morris Gershwin qualche tempo dopo essere emigrato da San Pietroburgo e quattro anni più tardi conobbe Rose Bruskin, ebrea russa, che sposò e con la quale diede vita a quattro figli, tra i quali Jacop, appunto. Il nome, Jacob, lo cambiò quando divenne un musicista professionista (chissà perché? Era già un bel nome Jacob, forse a lui non "suonava" bene). Ha scritto la maggior parte delle sue opere vocali e teatrali in collaborazione con il fratello maggiore e paroliere Ira Gershwin. Gershwin... che nel 1928, nel periodo europeo, compone “Un americano a Parigi”, Gershwin che nel 1935 compone il musical “Porgy and Bess”... ed è qui, in realtà, che volevo arrivare. “Porgy and Bess” ebbe un grande successo, ma fu inizlamente percepita dalla comunità nera del tempo come un'opera offensiva, addirittura razzista. La descrizione della vita degli afro-americani che nell'opera appariva, non piacque per niente alle Black Panters in lotta per i diritti dei loro fratelli, ma fu tutta una grossa incomprensione sostanzialmente. Gershwin si era ispirato nella composizione dei brani per il musical a pezzi spiritual quali “All My Trials”, che negli anni '50 e '60 divenne uno degli inni dei movimenti di protesta; e si ispirò anche alla sua esperienza artistico-musicale così complessa, una fusione di tradizione operistica dell'Est europa, musica afro-americana, musica ebrea russa. “Summer time” - una ninna nanna che Clara, uno dei personaggi della celebre opera teatrale, canta al suo bambino - fu ispirata per esempio da diversi brani e sonorità: il sopra citato “All My Trials,” “Sometime I Feel Like a Motherless Child” (un brano che risale ai tempi della schiavitù, tempi in cui era pratica comune vendere i figli degli schiavi) e.... ninne nanne appunto: si parla in particolare di una ninna nanna russa e di un'altra ninna nanna, quest'ultima di origine ucraina. "Porgy and Bess" fu tratto dal racconto “Porgy” di Edwin DuBose Heyward, paroliere anch'esso dei testi insieme ad Ira. "Summertime" è certamente uno dei brani più famosi dell'intera opera e la cosa fenomenale non è solo che è stata interpretata da grandi talenti dela musica quali Ella Fitzgerald, Louis Armstrong, Billie Holiday, Chet Baker e Mahalia Jackson... Fu proprio Billie Holiday a portarla in classifica per la prima volta con la sua versione del 1936, ma ciò che risulta essere grandioso... è che la potenza di questo brano ha portato al concetto per il quale, al di la' dell'intento o del significato iniziale, un brano musicale possa assumere significati altrettanto grandiosi anche in epoche successive, molto più recenti e in riferimento a fatti storici completamente diversi. Parlo qui di Janis Joplin... che la urlava, con rabbia, al mondo intero, mentre la guerra del Vietnam esasperava i popoli coinvolti. La gridava al mondo, appena dopo l'assassinio di Martin Luther King e Kennedy, quando americani bianchi e neri, insieme, si scontravano la polizia in segno di protesta, mentre gli agenti del tempo intossicavano i manifestanti con il gas Mace sotto le telecamere di tutto il globo, mentre c'erano arresti per l'assalto alla Convenzione Democratica di Chicago, mentre i leader della protesta – in particolare - furono arrestati con le accuse pesantissime di incitazione alla violenza e cospirazione e assolti, quattro anni dopo, con la motivazione che erano stati violati i diritti di difesa. Summertime è stata tradotta in molte lingue ed anche in italiano dai Dalton – anche se a parer mio in questa versione perde purtroppo tutta la sua potenza e il significato del testo è parer mio violato e svuotato (con tutto il rispetto per i Dalton... di questi utlimi, se vi interessa sapere chi sono – vi segnalo un brano interessante. "Idea d'infinito", quello si che è un bel pezzo). Gershwin compose più di settecento brani, fino a che nel 1937 comiciò ad avvertire i sintomi di un tumore al cervello che lo portò alla morte lo stesso anno, dopo essersi accasciato al suolo sul set di The Glodwin Follies, un film del 1938 di cui stava curando le musiche. Morì al Cedars of Lebanon Hospital a seguito di un intervento di unrgenza. Pochi mesi dopo, il suo idolo, Joseph Maurice Ravel (compositore del celebre "Boléro, per intenderci), morì anchesso, durante un intervento simile al cervello. "Summertime". Vi propongo qui la versione originale di Jacob (mi piace poterli chiamare con il loro nome), la versione di Ella Fitzgerald e infine, la versione di Janis Joplin. Buon ascolto... e buona lettura della traduzione - scritta poco fa - che spero renda giustizia all'intensità del testo originale.


Summertime (Estate)

Estate...
e la vita è semplice,
i pesci saltano
e il cotone è alto.

Tuo padre è ricco,
Tua madre ti guarda con amore,
quindi silenzio, piccolino,
non piangere.

Uno di questi giorni
Ti sveglierai cantando,
poi spiegherai le ali
e ti guadagnerai il cielo.‎

Fino a quella mattina però,
nulla potrà farti del male,
con la tua mamma... e il tuo papà.




sabato 3 gennaio 2015

Billie Holiday: "Desiderando... sulla Luna"


Billie Holiday, 1915/1959. Stavo pensando alla tragicità della sua vita. Stavo pensando a quanto tutte le sue terribili tragedie si sentissero, nella sua voce. Nel 2009 Adriano Mazzoletti (giornalista, scrittore, conduttore radiofonico, produttore discografico considerato uno dei padri della diffusione della musica jazz in Italia - che comunque in Italia era giunto già nel primo decennio del novecento ed ha continuato ad essere presente, negli anni '20 e '30) scrisse che "...si imponeva per la sua voce intensamente drammatica, per la capacità di "volare" sul tempo e per l'emozione che sapeva trasmettere anche su testi a volte banali...". Stasera stavo ascoltando "I Wished on the Moon" un pezzo composto da Ralph Raiger (pianista e compositore nato a New York nel 1901 e morto prematuramente in un incidente aereo nel 1942) con un testo scritto da Dorothy Parker (scrittrice di racconti brevi, poeta, critica, autrice satirica - nata nel New Jersey nel 1893 pubbicò il suo primo racconto breve su "Vanity Fair" nel 1914. Morì a New York, nel 1967). Il pezzo fu inciso per la prima volta da Ruth Etting, una cantante/attrice attiva soprattutto negli anni '20 e '30 e fu proprio questo pezzo uno dei brani fondamentali all'inizio della sua carriera poiché arrivò così al grande pubblico. Reinterpretò "I Wished on the Moon" con l'accompagnamento del pianista Teddy Wilson nello stesso anno in cui lo stesso era stato inciso per la prima volta. Prima di quel momento Billie aveva inciso due dischi dopo essere stata notata dal produttore che l'ha lanciata, Jhon Hammond, ma entrambi erano passati inosservati. Hammond però continuò a credere in lei e le procurò un contratto con Wilson appunto, per l'incisione di alcuni pezzi con etichetta Brunswick. Torniamo però un attimo alle vicende della sua vita, giusto per rendere l'idea a chi non la conosce così a fondo o per nulla. Il suo vero nome era Eleanora Fagan. Eleanora nacque dall'incontro amoroso tra il sedicenne Clarence Holiday (suonatore di banjo) e la tredicenne Sadie Fagan (ballerina di fila). Suo padre non si occupò quasi mai di lei e fin dall'infanzia si trovò lontana dalla madre che l'aveva affidata alla cugina (a Baltimora) mentre lei lavorava a New York come domestica. A dieci anni fu stuprata e in seguito tentarono di violentarla altre volte. Ancora piccola raggiunse la madre a New York e cominciò a prostituirsi in un bordello clandestino di Harlem e arrotondava pulendo gli ingressi delle case nel quartiere, compeso l'ingresso del bordello. Alla proprietaria del bordello però non faceva pagare e in cambio lei gli lasciava ascoltare i dischi di Louis Amstrong e Bessie Smith sul fonografo del salotto. Quando le autorità scoprirono il bordello, Eleanora fu arrestata e condannata a quattro mesi di carcere. Uscita dalla prigione, per evitare di tornare alla prostituzione, iniziò a cercare lavoro come ballerina nei locali notturni. Non sapeva ballare, ma fu immediatamente assunta da un locale quando la sentirono cantare. Fu così che iniziò, all'età di 15 anni. Dopo non molto le colleghe del locale iniziarono a chiamarla "Lady" dunque "Signora" perché rifiutava le mance solitamente infilate dai clienti tra le cosce delle donne che si esibivano. A diciotto anni, Hammond la notò ed iniziò la vera e propria carriera musicale. Le sue pene però non finirono qui e anche se musicalmente la sua carriera prese il volo, ebbe ancora da affontare due matrimoni brevi e turbolenti e il colpo avuto con la morte della madre. In quel momento iniziarono i problemi con la droga e l'alcool e nel 1959, a soli 44 anni, morì per le complicazioni dovute alla cerrosi epatica. La Holiday (il suo nome d'arte nasce dal nome d'arte del padre musicista noto come "Holiday" e dalla stima nutrita per l'attrice Billie Dove) incise altre versioni di "I Wished on the Moon", tra le quali la seconda versione del 1957, introdotta nell'album "Songs for Distingué Lovers". Ascoltando la prima versione del '35 e la seconda del '57 anche un orecchio poco intenditore percepisce immediatamente quanto siano diverse. E' diversa la musica ma ciò che colpisce di più è l'interpretazione che Lady Holiday ha dato al testo... Ascoltando la versione del '35 si sente un dolore disperato, l'affanno, il respiro che c'è e che manca... Nella versione del '57 invece - questo è ciò che sento io nell'ascoltarle ovviamente - sembra quasi che la Holiday prenda in giro il suo dolore, è talmente esausta che nella sua voce si sente un dolore a cui lei sembra sputare in faccia, quasi come se oramai non avesse più speranze di essere veramente felice. Chissà, forse è questo che l'ha portata alla morte... a un certo punto era talmente esausta che si è rassegnata a soffrire sempre, il dolore già terribile è diventato anche autodistruzione e lì, Eleanora, è morta definitivamente... anni prima della sua morte fisica. E dopo queste riflessioni, mentre penso a tutto quel dolore, a tutto... quel ... dolore... vi propongo l'ascolto delle due versioni del pezzo e una mia traduzione (non letterale, sarebbe troppo scontato) del testo di "I Wished on the Moon", testo che - per come lo interpreto io - le si appiccica addosso come se fosse stato scritto per lei.


"I Wished on the Moon" - "Desideravo sulla Luna"

Esprimevo desideri alla luna, per qualcosa che non ho mai conosciuto...

Desideravo sulla luna... per più di quanto io abbia mai conosciuto...

Una rosa più dolce, un cielo più morbido,
un aprile in cui i giorni smettono di danzare via...

Esprimevo desideri alle stelle,
che mi gettassero giù un fascio di luce o due.
Le pregai, chiedendo loro... un sogno o due.

Ho cercato ogni bellezza, tutto si è avverato...
Esprimevo desideri alla luna, per voi.

Esprimevo desideri alla luna, per qualcosa che non ho mai conosciuto...

Desideravo sulla luna... per più di quanto io abbia mai conosciuto...

Una rosa più dolce, un cielo più morbido,
un aprile in cui i giorni smettono di danzare via...

Esprimevo desideri alle stelle,
che mi gettassero giù un fascio di luce o due.
Le pregai, chiedendo loro... un sogno o due.

Ho cercato ogni bellezza, tutto si è avverato...
Esprimevo desideri alla luna. Per voi.

 

 

giovedì 11 dicembre 2014

"Casta Diva", una preghiera alla Luna

Vincenzo Salvatore Carmelo Francesco Bellini

"Casta diva" è l'aria più famosa della "Norma" di Vincenzo Bellini ed è stata interpretata per la prima volta nel 1831 dalla mezzosoprano e soprano Giuditta Pasta, proprio in occasione della prima assoluta dell'opera. La "Norma" è un'opera in due atti tratta dalla tragedia "Norma" o "L'infanticide" di Louis-Alexandre Soumet che si ispirò a sua volta al mito di Medea. Il testo dell'intera opera di Bellini è del librettista, poeta e critico musicale Felice Romano, compresa - appunto - la meravigliosa poetica di "Casta diva". Si tratta di un brano nel quale la sacerdotessa gallica eleva una preghiera alla Luna ed è una poesia  a dir poco eccezionale. Nelle parole come nella musica, tanto che il compositore parigino Fromental Halévy, dichiarò che avrebbe barattato tutta la sua musica per quest'aria. Fu composta inizialmente in Sol maggiore per poi essere abbassata di un tono, a Fa maggiore, quando Giuditta Pasta la giudicò troppo acuta; modifica che comportò non solo cambimenti melodici, ma anche modifiche strumentali da parte di Bellini. Di seguito i versi meravigliosi del testo e il video della "Casta Diva" interpretata da Montserrat Caballe.

"Casta Diva che inargenti
Queste sacre antiche piante,
A noi volgi il bel sembiante
Senza nube e senza vel.

Tempra o Diva,
Tempra tu de' cori ardenti,
Tempra ancor lo zelo audace,
Spargi in terra quella pace
Che regnar tu fai nel ciel."

giovedì 4 dicembre 2014

"Feelings", "Pour Toi": da Loulou Gasté a Morris Albert, passando per la Fitzgerald e Nina Simone

Il padre di "Pour toi", Loulou Gasté
 "Feelings." La storia di questa meraviglia è abbastanza intricata. La musica di questo pezzo è stata originariamente scritta da Loulou Gasté nel 1956 per Dario Moreno, cantante e attore turco di origine ebrea attivo sopratutto in Francia, popolare negli anni '60 (fino alla morte prematura, per infarto, giunta nel '68). Il testo fu scritto da Marie-Hélène Bourquin e Albert Simonin e il titolo originale è "Pour toi". Il pezzo viene proposto negli anni da vari interpreti senza però arrivare mai al vero successo, fino a che, nel 1975, Morris Albert, cantautore, musicista e compositore brasiliano (Mauricio Alberto Kaisermann) la incide in inglese con una traduzione del testo non fedelissima all'originale, ma comunque molto intensa e la canzone diventa un hit. Il problema fu che, purtroppo, Morris Albert fece passare il pezzo come proprio, senza mai nemmeno citare o prendere in causa l'autore originale. In effetti, giustamente, Loulou Gasté lo denunciò per plagio e vinse la causa; il tribunale gli riconobbe la paternità del pezzo e Gasté fu risarcito, anche economicamente. La versione in inglese poi, venne interpretata e reinterpretata da molteplici musicisti eccezionali tra i quali Ella Fitzgerald e Nina Simone. Non ho trovato traduzioni degne del testo in francese e nemmeno del testo inglese (magari ci sono, io non le ho trovate) dunque vi propongo delle mie traduzioni, sperando di essere stata abbastanza fedele all'intensità dei testi. Dopodiché, vi invito all'ascolto di entrambe le versioni. La versione francese è interpretata in questo caso da Muriel Robin (attrice, cantante ed umorista) durante il "Symphonic Show"  (1999), nel quale Robin canta per Line Renaud, conosciuta con il nome d'arte di Jacqueline Ente, un' attrice e cantante francese legata a Gasté - suo mentore fin dall'inizio e in seguito anche suo sposo - che durante questa performance risulta evidentemente commossa. La versione inglese invece è quella di Nina Simone che la ripropone al pubblico al "Monteux Jazz Festival" nel 1976, con una memorabile performance durante la quale la Simone coinvolge il pubblico cercando di spiegare a chi ascolta, quanto possa essere intenso, forte, doloroso, il sentimento che ha portato l'autore a scrivere questo pezzo. Si chiede e chiede al pubblico, di immaginare cosa, che situazione, quali "Feelings" possono aver portato a scrivere un pezzo del genere. Buona lettura e buon ascolto.

"Pour Toi" (Per Te)

Per te...
ho lasciato ciò che amavo
ho perduto coloro che mi amavano,
questa sera, non ho che te.

Senza te...
A cosa assomiglia il giorno? Alla notte.
Cosa sembra la vita? La morte. 
Questa sera, non ho che te.
I tuoi occhi brillano come il fuoco,
la tua bocca ne ha preso il colore
Il tuo corpo ne ha mantenuto il calore.
Le tue dita che correvano sulla mia pelle nuda,
La tua voce "morente" in un sospiro
ed io palpitante di piacere.
Per te...
ho distrutto il mio passaggio,
ho rinnegato, dimenticato.
Ho fatto questo per te, verso te. 
Vagano i sogni delle mie notti
Se ne vanno i desideri della mia vita.
Questa sera, ascoltami,
I tuoi occhi brillano come il fuoco,
la tua bocca ne ha preso il colore
Il tuo corpo ne ha mantenuto il calore.
Le tue dita che correvano sulla mia pelle nuda,
La tua voce "morente" in un sospiro
ed io palpitante di piacere.
Per te.

"Feelings" (Sentimenti)

Sentimenti, 
niente di più che i sentimenti,
cercando di dimenticare 
i miei sentimenti d'amore.
Lacrime scendono sul mio viso, 
cercando di dimenticare 
i miei sentimenti d'amore.

Sentimenti, per tutta la mia vita li sentirò.
Vorrei non averti mai incontrato, ragazza; 
non tornerai mai.

Sentimenti, sentimenti,
ti sento di nuovo tra le mie braccia.

Sentimenti, sentimenti
come se non ti avessi mai perso
e sentimenti come se mai ancora
ti avessi avuto nel mio cuore.

Sentimenti, per tutta la mia vita li sentirò.
Vorrei non averti mai incontrato, ragazza;
non tornerai mai.

Sentimenti, sentimenti
come se non ti avessi mai perso,
sentimenti come se ancora mai
ti avessi avuto, nella mia vita.

Sentimenti, sentimenti,
sentimenti ancora tra le mie braccia.

Sentimenti ...
 


"Feelings" interpretata da Nina Simone, 1976

           
"Pour Toi" interpretata da Muriel Robin, 1999



martedì 25 novembre 2014

"Fenesta vascia": l'intensità porpora


"Fenesta vascia". Conoscete questa canzone? Questo pezzo è una memorabile raffinatezza della storia folkloristica napoletana. Il testo riporta la storia di un amore senza speranze di un giovane, innamorato perdutamente di una ragazza che abita dietro, appunto, la "finestra vascia". "Vascia" significa "bassa", nel senso di "misera" ed è "misera" perché... perpetuamente "chiusa". Un amore d'altri tempi, intensamente espresso nei versi della canzone e nella sua melodia dolce e malinconica, un'intensità "porpora", non so se mi spiego. La cosa ancor più bella è che questa "intensità porpora", come la definisco io, viene dal 1500. La canzone originale non è giunta fino ai giorni nostri, ma per fortuna è comunque arrivata all'età moderna grazie alla cura di Guglielmo Cottrau, compositore ed editore napoletano che si occupò della trascrizione musicale del pezzo, affidando la cura del testo a Giulio Genoino. Cottrau è ritenuto uno dei padri della musica napoletana perché fondamentalmente si era preso cura di questo pezzo come di molti altri dei secoli a lui precedenti, affidandone i testi e gli spartiti a poeti e musicisti locali, per non farli perdere nel tempo; poeti e musicisti appunto, quali ad esempio Luigi Biscardi e Mariano Paolella, "dimenticati" in qualche modo, a causa delle vicende storiche del 1860. Il testo poetico, aulico, di "Fenesta vascia" viene appunto affidato al valente poeta e letterato Giulio Genoino, anche lui, dimenticato dalla storiografia letteraria italiana, addirittura confuso, spesso con un omonimo consigliere di Masaniello che nulla aveva a che fare con lui. Genoino riportò fedelmente il testo del 1500, adattandolo alla lingua parlata nel 1800, per esempio per quanto riguardava termini allora in disuso o completamente rimossi dal napoletano moderno del tempo. Il risultato è ciò che oggi abbiamo a disposizione. E' affascinante, meraviglioso, tutto questo. Il testo di "Fenesta Vascia" ha una poetica impeccabile, è composto da due "ottave siciliane" di endecasillabi, con rima alternata AB, molto usata dai poeti aulici. Ogni ottava ha un tema diverso, ogni distico forma una frase a se, indipendente, ma sempre collegata logicamente alle altre. La rima è perfetta all'ascolto, pur se imperfetta nel testo scritto; questo perché nella dizione corretta osco-napoletana, il finale di ogni frase, delle parole, è sempre sfumato, il genere è indefinito e diviene definito solo per diretto collegamento alle parole che vengono prima, articolo o aggettivo che siano. La "e", ad esempio, delle parole in rima contenute nella prima strofa, è pronunciata "alla francese", sfumata appunto ed è proprio questo che determina le rime stesse; e così accade anche per rime successive. La musica fu scritta per il Calascione, uno strumento a plettro partenopeo oramai in disuso ed è stata poi reinterpretata suonandola con il mandolino, che esprime al meglio il timbro partenopeo originale, dolcemente sottile, dolcemente malinconico ed intenso. Non è facile tradurre il testo di "Fenesta Vascia", per la ricercatezza delle parole, per la tecnica con la quale il colto poeta che le ha scritte ha utilizzato, il fraseggio; un poeta che è rimasto anonimo, non si sa se per scelta o per convenienza; colto di certo, perché per come è scritto, questo testo, non poteva essere di un cantastorie, poteva solo essere ed è, assolutamente, di un poeta che sapeva, sapeva molto bene, cosa stava facendo. La punteggiatura, notatela, non fatevela sfuggire.


"Fenesta Vascia":

Fenesta vascia 'e padrona crudele,
quanta suspire mm'haje fatto jettare!...
Mm'arde stu core, comm'a na cannela,
bella, quanno te sento annommenare!
Oje piglia la 'sperienza de la neve!
La neve è fredda e se fa maniare...
e tu comme si' tanta aspra e crudele?!
Muorto mme vide e nun mme vuó' ajutare!?...

Vorría addeventare no picciuotto,
co na langella a ghire vennenn'acqua,
Pe' mme ne jí da’ chisti palazzuotte:
Belli ffemmene meje, ah! Chi vó' acqua...
Se vota na nennella da llá 'ncoppa:
Chi è 'sto ninno ca va vennenn'acqua?
E io responno, co parole accorte:
Só' lacreme d'ammore e non è acqua!...


"Finestra Misera":

Finestra bassa di una padrona crudele,
quanti sospiri mi hai fatto sprecare!.....
Questo mio cuore arde come una candela,
bella, se sento il tuo nome pronunciare!
Orsù prendi esempio dalla neve!
La neve è fredda ma si fa accarezzare….
Ma tu sei così aspra e crudele?!
Mi vedi morire e non mi vuoi aiutare!?....

Vorrei diventare un bel garzone,
che con la brocca va vendendo l’acqua,
e poter gridar tra questi caseggiati
Mie belle donne, ah! chi vuole l’acqua…..”
Si volge una ragazza in su dall’alto:
Chi è il bel garzone che vende l’acqua?”
Le risponderei con parole dosate:
Sono lacrime d’amore, non è acqua!.....”

"Fenesta Vascia" nella versione di Massimo Ranieri, 1974

Per ulteriori approfondimenti: www.ilportaledelsud.org

domenica 9 novembre 2014

Bob Dylan, marzo 1963 "Blowing in The Wind"

 


"Quante strade deve percorrere un uomo
Prima che lo si possa chiamare uomo?
Sì, e quanti mari deve sorvolare una bianca colomba
Prima che possa riposare nella sabbia?
Sì, e quante volte le palle di cannone dovranno volare
Prima che siano per sempre bandite?
La risposta, amico, sta soffiando nel vento
La risposta sta soffiando nel vento

Quante volte un uomo deve guardare verso l'alto
Prima che riesca a vedere il cielo?
Sì, e quante orecchie deve avere un uomo
Prima che possa ascoltare la gente piangere?
Sì, e quante morti ci vorranno perchè egli sappia
Che troppe persone sono morte?
La risposta, amico, sta soffiando nel vento
La risposta sta soffiando nel vento

Quanti anni può esistere una montagna
Prima di essere spazzata fino al mare?
Sì, e quanti anni la gente deve vivere
Prima che possa essere finalmente libera?
Sì, e quante volte un uomo può voltare la testa
Fingendo di non vedere?
La risposta, amico, sta soffiando nel vento
La risposta sta soffiando nel vento"