venerdì 15 luglio 2016

Rinaldo Donati: "La meraviglia si grida e si tace"


El coche - Rinaldo Donati
"Some say that we're reckless./ They say we're much too young./ Tell us to stop before we've begun./ We've got to hold out till graduation./ Try to hang on Maxine." Questi versi sono tratti da "Maxine", un prezzo di Donald Fagen, dall'album "The Nightfly" (1982). "Alcuni ci dicono che siamo spericolati, dicono che siamo troppo giovani. Ci dicono di fermarci ancor prima d'avere iniziato. (Che) Dobbiamo aspettare fino alla laurea. Provo ad aggrapparmi a Maxine." Questo tratto di "Maxine" è la prima cosa che salta all'occhio sul sito www.maxine.it di Rinaldo Donati, fotografo e musicista, che tra poco, qui sotto, potrete conoscere un po' di più. L'album di Fagen era un concept album autobiografico, in cui sostanzialmente lui ripercorreva la sua giovinezza e Maxine, il suo primo amore, è raccontata nel pezzo per come allora vedevano il mondo, con nostalgia e probabilmente con gratitudine perché quelli erano gli anni della scoperta, dello stupore, della meraviglia per il mondo e della curiosità nei confronti della vita e del mondo stesso. Per Donati il nome "Maxine" è diventato simbolo della propria visione della vita. Nel parlarne, Donati esprime un'intepretazione del pezzo e di come lo ha vissuto. "E' come il piccolo principe [...]. I bambini sono la luce del futuro, per essere così prossimi al massimo livello di creatività per il quale un legnetto diventa una vera astronave, quindi Maxine è la mia isola, non di separazione ma di salvezza." Le migliori parole per farvi capire chi è Rinaldo Donati, sono proprio le sue perché "entrare nelle sfumature e nei chiaroscuri è il senso della sua vita" e la cosa va oltre la fotografia, oltre la musica, poiché oltre è la sua visione, uno stile di vita, appunto. "Sono un uomo in viaggio che esprime un ideale di bellezza attraverso la musica e le arti visive" dice Donati e si descrive come "un compositore e un fotografo". "L'uno vive nell'altro. [...] Sono attratto dagli spazi ampi, dalle forme seducenti e dai volti che, come gli oggetti che ci guardano, vivono sul confine misterioso fra realtà e immaginazione. Così quello che vedo e sento diventano una cosa sola, musica e immagine. L'una contiene sempre l'altra. Amo la musica dal linguaggio complesso e un certo tipo di musica pop, ma mi entusiasmo per lo stridore di una locomotiva di inizio secolo." Il progetto fotografico e quello musicale si uniscono nel live. Simple, il suo progetto musicale/d'arte visiva e i musicisti che con Donati prendono parte al progetto, suonano con lui improvvisando – perlopiù – una colonna sonora per le immagini che vengono proiettate in ordine casuale sugli schermi. L'invito al pubblico è quello di provare a farsi trascinare, nella musica e nelle immagini, perché in ogni sequenza, in ogni fotografia, in ogni accostamento, c'è una storia da poter immaginare. Personalmente ho avuto la fortuna di poter visitare la mostra fotografica in contemporanea alla performance musicale e d'arte visiva del progetto Simple, dunque in quel caso la mostra è stata visitabile durante, prima o dopo il live stesso. La mostra fotografica appunto, si chiama "Grace Roule Hot" ed è allestita in una piccola roulotte, simbolo del viaggio. La liaison linguistica fa intendere la volontà di guardarsi attorno, di guardare il mondo e osservare, le grandi cose e i piccoli dettagli, la Grazia della Bellezza. Il calore della vita e della vitalità fanno da contorno a questa visione alla quale il visitatore può approcciarsi attraverso microfotografie e lenti speciali per osservarle. Non posso aggiungere altro, se non proporvi la nostra chiacchierata e presentarvi di conseguenza la visione artistica di Rinaldo Donati. Dunque, buona lettura...

Mi pare di aver compreso - visione che adoro - che sono più le immagini a catturare te, piuttosto che tu a catturare le immagini... giusto?

Cachinho - Rinaldo Donati
"Le foto più belle sono quelle nel ricordo degli occhi, così come la musica più alta non è quella incisa nei dischi ma è quella che volteggia nell’aria. Così le immagini si colgono nell’incontro casuale, all’incrocio di una via, uno sguardo, sono loro che decidono di concedersi mentre le cerchiamo per fermarle. Adoro scattare foto con il grand’angolo dove tutto è convesso, spaziale come in un grande abbraccio al mondo, ma per una questione metrica significa addossarsi molto al soggetto invadendo il suo spazio privato e può diventare complicato, quasi aggressivo, come un furto. Con un teleobiettivo, da lontano, è molto più semplice ma non c’è prospettiva quindi non l’ho mai usato. A volte mi diverto a scattare foto molto ravvicinate fra la gente, per strada e succede che, per come le persone stesse si muovono, si compongono il movimento, la luce e gli spazi. Le foto progettate, luci, riflessi e posture non mi interessano... così come quelle che ritraggono la realtà esattamente com’è : per quella ho già i miei occhi … cerco la meraviglia."


Nativa - Rinaldo Donati
Cos'è per te la Bellezza? E cos'è Poesia?

"Entrambe sono gratitudine, come senso di appartenenza al mondo, una forma di dovere."

Ti capita mai di sentire, dentro di te, le fotografie che scatti o la musica che crei, come se vivessero di vita propria? hai mai questa sensazione nel rivedere le immagini o nel sentire la musica che tu e i tuoi musicisti state improvvisando? O per tentare di esprimermi al meglio: essendo il tuo un progetto che comprende diverse arti, musica, fotografia che diventa ed implica nella performance l'arte visiva... come senti tutte queste cose? ti perdi tu stesso in quel viaggio ogni volta? 
 
Il granchio
"La musica e le immagini vivono sempre di vita propria ancor di più quando non sono preordinate o non esiste il controllo .. sono un po’ come la vita che decide per ognuno di noi e tutto è sempre perfetto anche quando stride. Non è così semplice perdersi perché per riuscirci bisognerebbe aver raggiunto una meta molto alta, di simbiosi fra suono e non pensiero… percorriamo una strada. Per il pubblico può essere più semplice rispetto a noi che siamo nell’azione del suono; il pubblico può abbandonarsi ai simboli e appunto al gioco creativo dei suoni."

Mentre suoni, sei realmente consapevole di quel che sarà? non a livello pratico di quel che stai facendo ovviamente, ma a livello sensoriale, di percezione tua e del pubblico e... le immagini, alle quali tu stesso ogni volta ti approcci in modo diverso in qualche modo, a seconda della casualità in cui sono proiettate (e i tuoi musicisti con te)... immagino tu le senta e le viva in modo diverso rispetto a quando le hai scattate... è così? 
 
Tremzinho - Rinaldo Donati
"C’è un software appositamente progettato che invia le immagini in sequenze casuali ai proiettori, quindi ogni volta si “scrivono” storie diverse che noi stessi attraversiamo con la musica, cercando un equilibrio nel quale la musica possa diventare colonna sonora e le immagini colonna visiva della musica."

Quando vedi un paesaggio, un dettaglio, un volto, una scena di vita... avrai certamente delle sensazioni, emozioni che ti spingono a scegliere di scattare proprio in quel momento e in quel luogo. Pensi mai, una volta fatte o visualizzate le immagini, cosa potrebbero evocare - a livello sensoriale e/o emotivo - per le persone?

Bonde boy - Rinaldo Donati
"Si, mi capita di pensare cosa potrebbero evocare quando le rivedo io stesso e scopro cosa evocano in me. Ho vissuto per tanto tempo lontano dal mondo reale, immerso nella musica, in un modo solitario ed immaginario, quindi la fotografia è arrivata quando potevo comprendere il senso di vivere nel presente, nel “qui e ora”. Scattavo le foto poi le riguardavo di notte per scoprire di far parte di quell’universo di persone, di essere per quelle strade. Non sarebbe mai avvenuto con foto “realistiche” ma con questi scatti alterati ho trovato nelle immagini la traduzione visiva di ciò che nel mio immaginario vedevo con la musica quindi, oggi, i due aspetti si fondono. Non ho preoccupazioni intellettuali, mi basta fotografare la vita semplice, le forme, gli oggetti, frammenti di vite non vissute, riverberi da viaggi immaginati e credo che altre persone potranno sentirsi attratte da questa traduzione se troveranno aspetti che li riguardano, così come capita nel condividere la musica."

Come spieghi durante le performance Simple e anche sul tuo sito, le immagini non sono modificate nei colori o nelle forme facendo uso di software, bensì sono utilizzati filtri e "white setting". Ci spieghi meglio questo aspetto? ad esempio, usi filtri "manuali" sulla macchina o filtri digitali? e riguardo al bilanciamento del bianco, lo fai attraverso strumenti digitali appunto o - per così dire - da artigiano?

Sombras - Rinaldo Donati
"Posso spiegarlo … ma non proprio svelarlo! Così come un pianoforte è accordato nel sistema temperato, la macchina fotografica chiede parametri di bianco per restituire i colori di tutta la gamma cromatica. I miei scatti nascono nella combinazione di filtri e riferimenti “white/bianco” completamente fasulli. Questi riferimenti sono passe-partout - chiavi diverse del bianco - né avrò costruiti una cinquantina ma ad oggi me né funzionano una mezza dozzina e portano la macchina ad avere buchi cromatici. Questo fa si che, per strada, prima di uno scatto, in combinazione con la luce e il “senso” del luogo io indirizzi la macchina verso “tonalità relative”. Bronzo, gamma degli arancioni, verde bianco, argenti, pirite .. in combinazione con lenti fortemente convesse ne esce un mondo parallelo che mi affascina. Quelli sono i negativi, nessun edit dopo lo scatto."

Nella sezione dedicata proprio ad alcune delle tue immagini, appare evidente la scritta "The truth is out there", dunque "La verità è là fuori". Anche questa frase, come spesso accade nelle espressioni artistiche, è interpretabile in diversi modi, un po' come il viaggio che tu proponi con i Simple. Cosa però, vorresti trasmettere tu con questa frase?

Indian Love Call - Rinaldo Donati
"Credo che il senso ultimo stia sempre nascosto dietro le cose. Il viaggio da soli in luoghi sconosciuti è l’occasione perfetta per osservarci ed osservare dunque il cambiamento. La nostra crescita, la nostra libertà... sono in mezzo alla gente, fuori per le strade."




Come è nato il nome "Simple" per il progetto musicale e visivo che proponi con i tuoi musicisti?

Lou - Rinaldo Donati

"Simple è un occasione per giocare, un “luogo”, anche per il pubblico per entrare nel proprio spazio creativo. Nella creatività c’è il senso dell’uomo e non sta nella chitarra o nella scatola di colori in sè, bensì è un attitudine da coltivare fermando il turbine dei pensieri, così come un bambino trasforma un legnetto in un astronave." La musica da sola sembra non bastare più, oggi siamo accellerati, la mente si distrae e diventa impossibile dedicare un’ora di silenzio solo per ascoltarla. Le immagini... ci riempiamo gli occhi negli schermi. Le due, insieme, possono avvolgerci e trascinarci, sta a noi lasciarci andare. Riguardo al momento di scelta del nome, beh... era notte e rientravo da un viaggio solitario in Messico con una macchina fotografica. Avevo rimesso “Chavez Ravine” di Ry Cooder e “Mulholland Falls” di Dave Grusin, che erano state la “colonna sonora” di quei giorni e rivedevo le foto che il computer inviava sullo schermo. La sequenza casuale delle immagini e del suono, mi fece rendere conto che nasceva una storia, così ho provato con altre musiche e foto di altre latitudini, altre vite, altri colori. Senza volere, mi sono accorto di come nel senso si costruissero nuove narrazioni. Un esempio? Un bimbo con lo sguardo severo, una donna che ride sguaiata, un pescespada in una pescheria, una bici caduta … ognuno ha la sua storia anche se gli scatti vengono da diverse parti del mondo. Simple è un termine che per me significa... "voglio fermare il flusso di pensiero? è semplice (simple), dovrò entrare nel mio spazio creativo, in questo caso la narrazione, il viaggio."

Spiega a chi non ha ancora avuto la fortuna di assistere alla tua meravigliosa mostra fotografica, in cosa contiste, in sostanza, la visione di queste microimmagini e il perché, anche, di questa scelta, di questa visione. 

"Grace Roule Hot, è una "mobile microphoto exhibition" (esposizione mobile di microfotografie, ndr). Pensavo a quanti uomini hanno messo la loro vita in una valigia andandosene dall’altra parte del mondo. Se volessi scoprire chi sono, nella mia metterei delle piccole foto e la musica che amo. La roulotte è una casa e molti si avvicinano ad essa con pudore, come fosse la camera da letto dei genitori. E' un mezzo "per andare", quindi, metaforicamente, il viaggio, la vita, sono in corso. La musica, che amo, è un filo nell’aria. Le lenti di ingrandimento sono la chiave dell’esposizione perché inducono gli ospiti al gioco, quindi ciò che colgono è nella loro creatività, nella leggerezza e nel non giudizio. Ho visto occhi meno colorati di fronte a foto giganti guardate da dieci metri. Avrai notato che su Grace c’è un libretto per le firme di chi passa di li: è fatto con carta da lucido, da disegno tecnico. Una firma, un commento, le frasi, traspaiono e si intravedono anche nelle pagine seguenti facendolo diventare un mondo trasparente di energia grafica e di “segni”. Osservo come ci alterniamo nella ricerca del nostro territorio o ci mischiamo come acqua scrivendo fra le firme degli altri."

Luz - Polo
Quanto è importante per te la dimensione del gioco? quanto è importante la meraviglia?

"Il gioco è la forma più alta di creatività, di concentrazione assoluta, di presenza nel qui e ora. E’ la freccia che scocca, la curva perfetta, il boomerang che ritorna è l’acqua di Marzo. La meraviglia? è l’anima del gioco, "la meraviglia si grida e si tace" (cit. Claudio Sanfilippo "La Meraviglia")."
 
Mi chiedo anche quanto, in un artista come te, siano importanti o meno, le altre discipline artistiche. Cinema, pittura, scultura... anche perché la mia sensazione è che questo progetto, consapevolmente o meno, comprenda un po' anche di queste arti. Tu che lo proponi come la vedi?

"Il Cinema è una meravigliosa forma di raccontare storie, ma di fronte ad un film lo spettatore rimane passivo, reagisce a ciò che riceve ma senza creare un percorso attivo e personale (dipende poi dall'immaginazione che una persona ha... aggiungo io - ndr). Pittura e scultura .. sinceramente non saprei."

Orologio - Rinaldo Donati
Navio na baia - Rinaldo Donati




Cosa ami di più della vita e cosa di più del mondo?

"L’immaginazione."


Danny Car - Rinaldo Donati




Se tu dovessi dare un colore e una nota a te stesso e alla tua arte, quali sceglieresti?

"Viola e Rosso Cardinale: sacro e profano. Una nota...? Re bemolle maggiore 7, che è parente del Fa minore." 

Beh, non posso far altro che ringraziare Rinaldo Donati per questa interessante chiacchierata ed invitarvi a visitare i link sotto riportati e naturalmente, se ne avete occasione, vi consiglio vivamente di andare alla sua mostra fotografica e/o ad assistere alla performance del progetto Simple.




giovedì 23 giugno 2016

Non siate indifferenti


Non siate indifferenti, perché l'indifferenza ha portato a questo e a tutto il resto. Non date tutto per scontato, non pensate che sia inutile perché l'inutilità è l'accettazione di qualcosa che non deve essere accettato. Se chi ha vissuto sulla propria pelle momenti storici difficili, con grandi lotte che ci hanno portato alla libertà, per quanto possa essere considerata relativa, fosse rimasto indifferente, in un angolo, impaurito e senza prese di posizione, noi non saremmo qui a discutere, a parlare, a scrivere, ad ascoltare musica o a protestare. Se tutti fossero indifferenti molte battaglie portate avanti per la nostra Terra nel silenzio mediatico non sarebbero state vinte. Tutti sappiamo, pochi si mettono in gioco, anche quando si tratta di cose piccole, ma così grandi, come usare un minuto del nostro tempo per fare qualcosa di buono. Continuare a restare nell'indifferenza, significa portare ai noi, ai nostri figli, ai nostri nipoti, un futuro per il quale non c'è possibilità di ritorno. Inutile protestare, pur se giustamente, sui temi d'attualità, se intorno a noi la nostra casa, la nostra Terra, si sgretola a causa nostra. E' tutto inutile, se non proteggiamo quel che abbiamo. Se abbiamo un compito certo, nella vita, è quello di custodire questo grande capolavoro che è la nostra casa, al massimo delle nostre possibilità. Non vi chiedo di diventare persone impegnate in questa lotta quotidianamente, come molte persone fanno... non è da tutti e non è nelle possibilità di tutti, ma... un minuto, un minuto del vostro tempo, credo proprio non vi costi nulla e se rimanete indifferenti, farete parte anche voi dei grandi Indifferenti del mondo, quei poteri che così tanto ci opprimono, in un modo o nell'altro, quegli esseri che sparsi per il mondo bramano solo potere e ricchezza e il cui motto è "non importa come". Dunque, non date loro una mano, fate questo piccolo grande gesto e pensateci, non dimenticatevelo, ci sono tanti piccoli gesti che si possono fare... tanti piccoli gesti che insieme diventano grandi, enormi e che possono renderci fieri e certamente migliori.

"Insegnate ai vostri figli tutto ciò che noi abbiamo insegnato ai nostri: che la Terra è la madre di tutti. Tutto ciò che capita alla Terra capita anche ai suoi figli. Sputare a Terra è sputare su sé stessi. La Terra non appartiene all’uomo, è l’uomo che appartiene alla Terra. Tutto è collegato, come il sangue che unisce una famiglia. Ciò che capita alla Terra, capita anche ai figli della Terra" (David Servan-Schreiber)




martedì 21 giugno 2016

Odissea 2016: Festa della Valle dell'Oglio, 16a edizione


Segnalo questa manifestazione per tutti coloro che possano essere interessati e che abbiano la possibilità di raggiungere le varie località coinvolte. Dal sito di Piccolo Parallelo, ecco le informazioni riguardanti questa splendida serie di spettacoli sparsi nel territorio delle province di Brescia, Cremona, Bergamo e Mantova.

"LA VITA TI SFIDA — SFIDA LA VITA

Sfida è la parola chiave di questa sedicesima Odissea. La sfida è qualcosa che vuole dimostrare, autonomamente ed "eroicamente", ciò che si ritiene ai limiti del possibile o, addirittura, al di là del possibile. Confida in qualcosa, magari di nascosto, ma che è dentro di noi, a nostra disposizione, che chiede coraggio e dedizione per essere portato alla luce. Il che poi, sul piano pratico, vuol dire compiere azioni, imprese, gesti. Questa "ODISSEA 16" racconterà di sfide. Sfide per sopravvivere o forse perché insite nella propria natura, sfide per la voglia/necessità di inventarsi un proprio mondo.

Sfide alle convenzioni/convinzioni sociali e artistiche ricordando tre grandi personaggi che a distanza di 400 anni l'uno dall'altro hanno saputo opporsi alle convenzioni del loro tempo: Frida Khalo di Annalisa Asha Esposito, Caravaggio di Piccolo Parallelo e la monaca Hildegarde Von Binghen con il concerto Lux Vivens. Sfide portate ai limiti estremi ricordando una incredibile vicenda della montagna raccontata da A.T.I.R con (S)Legati. La conferenza/spettacolo L'azzardo del giocoliere di Federico Benuzzi smaschererà i meccanismi del gioco d'azzardo. Sfida tutta artistica quelle delle Jellyfish, presenti in forma "stabile" e itinerante che con Teatro su ordinazione offriranno un loro menù artistico in più lingue. Sfide lanciate al futuro: gli adulti/bambini non potranno perdere Mattia Coti Zelati e la sua Merenda robotica per imparare a programmare un robot o Maurizio Patella con Loro. Storia vera del più famoso rapimento alieno in Italia. Racconteremo di altre piccole sfide quotidiane non meno importanti di quelle grandi, eclatanti. Come quella lanciata alla legge di gravità che gli eVenti Verticali sfideranno con Wonted il primo spettacolo del festival ancora una volta in verticale

Piccolo Parallelo sarà presente con tre serate: lo spettacolo Caravaggio ... i furori che celebrerà il ventesimo anno di repliche offrendo ai primi cento spettatori alcune gocce del profumo "Caravaggio" creato da Laura Tonatto (fra le più rinomate profumiere del mondo) in occasione della presentazione dello spettacolo al Museo Hermitage di San Pietroburgo; un reading di L'aria veloce del nord ultima recente scrittura di Enzo Cecchi, che sarà anche la guida/celebrante del Respiro del Fiume — Variazioni di matrimoni sulle acque. La vaganza notturna dentro e lungo l'Oglio che unirà i partecipanti in un ideale sposalizio con l'acqua e aprirà il festival sabato 18 giugno.

Complessivamente 17 appuntamenti in 14 Comuni che coprono le 4 Province bagnate dall'Oglio. Questa 16a edizione di Odissea gode del patrocinio della Regione Lombardia e delle Province di Brescia, Bergamo, Cremona e Mantova. E' realizzata grazie al contributo di 10 Comuni: Borgo San Giacomo, Chiari, Orzinuovi, Palazzolo, Pumenengo, Roccafranca, Rudiano, Torre Pallavicina, Verolavecchia, e grazie al Parco Oglio Sud i Comuni di Ostiano, Commessaggio e San Martino dall'Argine. Altri ancora, Soncino e San Paolo, ospiteranno appuntamenti grazie al Parco Oglio Nord e ad alcuni sponsor privati. Vi aspettiamo dunque, ancora una volta per questa nuova sfida.

Marco Zappalaglio — Enzo Cecchi"


venerdì 17 giugno 2016

La storia del cinema (parte 2): dalla nascita del divismo a Chaplin e von Stroheim

Rodolfo Valentino

Eravamo rimasti ad Ince, Sennett e Griffith, i primi tre grandi del cinema e... agli anni dieci, con relativi sviluppi, innovazioni e nascita di generi cinematografici, tra i quali il western americano. Dunque ora il passo successivo: nei primi anni della Grande Guerra. In quegli anni Hollywood si consolidò del tutto a capitale mondiale del cinema, grazie a una base finanziaria solida, vasti canali di distribuizione, miriadi di artisti, tecnici, attori e produttori che contribuirono a rendere il cinema americano tipico e ben distinguibile e grazie a una prestigiosa organizzazione tecnica che faceva la differenza, insieme a tutti gli altri aspetti sopracitati. Negli anni dalla fine della prima guerra mondiale sino alla crisi del '29, si trovò nel cinema americano uno specchio della realtà nei suoi molteplici aspetti e due artisti, in particolare, fecero la differenza: Eric von Stroheim e Charlie Chaplin, i migliori allievi – rispettivamente – di Griffith e Sennett. I due iniziarono a creare quelle che poi sarebbero state e rimaste nel tempo le migliori opere del cinema americano degli anni '20. La struttura artistica e produttiva americana di stampo hollywoodiano si impose con il marchio di fabbrica di grandi case cinematografiche come la Fox, L'Universal, la Paramount e la First National, che fin da allora furono sinonimo di qualità. Nacquero in quel periodo, i primi divi del cinema. Il divismo era frutto del crescendo di una realtà che sempre più diventava per il pubblico un mondo a se, lontano dalle leggi comuni della società. Il pubblico non distingueva più, così, la realtà dalla finzione, la vita privata degli attori da ciò che era solo frutto del lavoro artistico. La vita e l'arte di apparteneva a questo mondo, si fondevano in un'unica dimensione dell'esistenza. Gli spettatori che affollavano le sale riversavano le proprie preoccupazioni, le proprie angosce e speranze, nel sogno che lo schermo poteva dare agli occhi e al cuore a poco prezzo e la stabilità, la libertà che avevano i registi, gli attori, i produttori, permetteva al grande cinema di distinguersi dalle produzioni fatte solo per "il consumo"; potevano essere così affrontati argomenti d'ogni sorta, c'era una grande varietà di generi e potevano essere affrontati argomenti anche profondi e attuali. Fin da allora poi, nacquero due tipologie di "divo" o "diva". Per intenderci, attori quali Douglas Fairbanks (eroico e cavalleresco) e la moglie Mary Pickford (chiamata anche "la fidanzatina d'america", "la piccola Mary" ed altri appellativi simili) rappresentavano "i buoni" e divennero modello di un certo tipo di americanismo, sia in patria che all'estero, che portò loro grande un grande successo, anche al di là delle loro reali capacità di attori. Furono la prima coppia celebre del cinema americano. Fairbanks era vitale, simpatico, acrobatico e pur se non fu un grande attore, aveva tutte le qualità per essere, appunto, un divo, un personaggio che incarnava il mito dell'autoesaltazione come strumento del successo. La moglie, dal canto suo, fu anche produttrice e fondatrice dello studio cinematografico United Artists e una dei trentasei fondatori dell' Accademy of Motion Pictures Arts and Sciences. Al divismo "buono", considerato "educativo" e che poteva essere "d'esempio agli spettatori", si contrapponeva il divismo "trasgressivo", quello scandaloso, provocatorio, di attori quali Theda Bara e Rodolfo Valentino. Theda Bara fu la prima "vamp" (termine che deriva tra l'altro da "vampire", non a caso). Venne portata al pubblico come la donna tentatrice, la donna fatale e perversa che si diverte a rendere gli uomini suoi schiavi per poi liberarsene una volta conquistata la loro adorazione. Il tutto palesemente progettato, fin dal nome d'arte, fin dal primo ruolo secondario con il quale venne lanciata dalla Fox: un melodramma, "La vampira" (1915), attraverso il quale nacque per l' appunto il suo pseudonimo di Theda Bara, anagramma di "Arab Death". Immagini conturbanti in abiti egizi, contornate da ragnatele e serpenti. Ecco come è nata la "cattiva ragazza" del cinema di quei tempi. E Rodolfo Valentino? Beh, anche chi non è un grande appassionato di cinema, almeno una volta nella vita avrà sentito dire qualcosa che lo riguarda. Ancora oggi è considerato il divo per eccellenza. Latino, passionale, non il "cattivo" in realtà, quanto piuttosto l'uomo fuori dai canoni del tempo, il primo vero sex symbol, il "Latin Lover", con qualità recitative e uno stile inconfondibile ammirato da tanti grandi del cinema, tra i quali anche Charlie Chaplin. Bello e provocatore, ballerino eccelso e grande attore, venne ben presto consegnato alla leggenda come "il divo insuperabile". Il marchio di fabbrica hollywoodiano, con la sua adattabilità di temi, la sua qualità palesata, la sua meccanizzazione a livello di "industria cinematografica", si considera essere stata rappresentata al meglio dal regista Cecil Blount De Mille che passò da opere drammatiche a film passionali che diedero il via alla "commerdia libertina" e posero le basi per i successivi "anni folli", per poi occuparsi di western ed altri temi leggeri e ricambiare, ancora, proponendo "I Dieci Comandamenti", un film biblico di grande spettacolarità, senza lasciare da parte però le sue produzioni drammatico-passionali. Il cinema di De Mille porta gli spettatori, in ogni caso e al di la' delle tematiche trattate, fuori dalla realtà; ipnotizza il pubblico, addirittura troppo preso dalle immagini che scorrono, per poter avere il tempo di riflettere sulle tematiche che gli vengono proposte.

Charles Spencer Chaplin
Charles Specer Chaplin. Anche lui si affermò negli anni dieci. Iniziò dal teatro - come anche altri del resto – e giunse al cinema muto nel 1914, lavorando per Sennett. Con il cinema poteva finalmente dar libero sfogo a tutto ciò che il teatro, per tempi e spazio, non poteva consentire. Il personaggio che lo rese celebre, Charlot, ebbe una sua evoluzione, fino al perfezionamento raggiunto dall'attore nel 1915, quando Chaplin smise di lavorare con la Keystone di Sennet e firmò un contratto con la Essanay che gli permetteva di scrivere e dirigere i propri film. In questo passaggio la comicità esteriore si fa più profonda e porta al personaggio quella velata amarezza che non vuole nascondere gli aspetti più negativi della società e della realtà. Nel 1916 Chaplin passa alla Mutual e con questa casa di produzione il personaggio di Charlot perde totalmente il carattere della "macchietta". La poesia di Chaplin non ha più limitazioni e diventa simbolo di contestazione verso il sistema borghese e capitalistico, non si tratta più di sola satira di costumi e umorismo, bensì di un personaggio che ha le sue radici nel giudizio della società e della politica, un personaggio ideologico che mette in risalto tutte le contraddizioni di quei sistemi che contesta. Chaplin non smette mai di far evolvere il suo personaggio e successivamete, pur mantenendo lo schema del film comico e pieno di gag, il sentimento prende il sopravvento, il nucleo del dramma non è solo la solidutine di Charlot e la critica, la satira, prendono forme umanamente più dolci, nonostante non manchi mai, in ogni caso, l'accenno alla critica stessa. Charlot si raffina nel tempo anche dal punto di vista stilistico e pur mantenendo come base la mimica del personaggio, lo spessore psicologico del personaggio si fa sempre più nitido, le tecniche espressive sempre più fini e si arricchiscono così anche le ambientazioni e la tempistica, che diviene sempre più ritmata e scorrevole. Con l'arrivo della crisi del 1929 Charlot riacquisisce le sue caratteristiche principali, con opere comico-politiche di stampo chiaramente satirico (v. "Tempi Moderni", 1936). Trovandosi nel mezzo della prima e della seconda guerra mondiale, Chaplin riesce con le sue opere a concludere il ciclo di tutto il lavoro precedentemente proposto con il personaggio di Charlot. Nell'alta tensione internazionale degli anni appena precedenti al '40, progetta una continuazione del personaggio che si rivelerà poi con l'uscita de "Il dittatore" (1940), la prima esperienza di Chaplin nel cinema sonoro. Nel 1947 esce "Monsieur Verdoux" e il personaggio di Charlot è sostituito appunto dal sig. Verdoux: cinico, egoista, avventuriero e cattivo, Verdoux è il simbolo della perdita dei valori morali dell'umanità, amarissimo ritratto di un mondo in cui l'interesse dei singoli o di un gruppo prevale su qualsiasi cosa, un mondo in cui il delitto è diventato solo un mezzo del potere, giustificabile, per gli assassini, come se nulla fosse. Nei periodi successivi escono film legati alle esperienze personali di Chaplin ("Luci della ribalta", 1952 - "Un re a New York", 1957 e "La contessa di Hong Kong", 1967). "La contessa di Hong Kong", tra l'altro, è l'unico film da lui creato e diretto in tempi recenti, in cui egli stesso non appare come attore, il suo unico film a colori e l'ultimo film della sua incredibile carriera di attore e produttore. E' un film in cui i protagonisti sono la nostra meravigliosa ed eterna Sophia Loren e il grande, memorabile, Marlon Brando. Da sottolineare inoltre, è che Chaplin è sempre stato anche il creatore delle musiche presenti nelle sue produzioni. Un artista a tutto tondo, che è stato e rimarrà sempre unico, conosciuto da tutti ma non abbastanza (nei tempi d'oggi) è diventato modello difficilmente superabile di arte pura, leggera e brillante, senza sconti e in continua fase di trasformazione, proprio come il mondo che lo circondava. In una posizione di unicità, rispetto allo sfondo delle produzioni hollywoodiane.

Per quanto riguarda invece la storia professionale di Eric von Stroheim, si parla di un uomo fortemente influenzato dal fascino che aveva, rispettivamente, per il mondo aristocratico e per quello militare. Figlio di un cappellaio viennese ebreo, egli si ritagliò inizlamente ruoli da "rampollo aristocratico", ebbe poi molti ruoli in cui interpretava ufficiali di vario grado dell'esercito americano e, durante la seconda guerra mondiale, diversi furono anche i ruoli in cui interpretava ufficiali nazisti. Il suo stile e il suo carattere rigido si adattavano bene a ruoli duri e divenne così, in quel periodo, la rappresentazione cinematografia del cattivo per eccellenza. Alcune scene da lui intepretate come soldato tedesco, tra l'altro, suscitarono grande scalpore e sdegno nell'opinione pubblica. Questo però era il suo ruolo. In un' America oramai in guerra, egli doveva portare al pubblico l'immagine del cattivo contro il quale il Paese stava combattendo. Stroheim fece molta fatica ad iniziare la carriera di attore, anche se poi, tra altri e bassi, fu interpete di molteplici pellicole. Quando poi si dedicò alla creazione e alla regia (una volta finita la guerra e con la fine delle richieste di attori che interpretassero quel tipo di ruoli), riscontrò sempre grossi problemi con i produttori, poiché era tanto pignolo, duro e maniacale si può dire, da metterci ore ed ore ed ore già solo per girare una scena di apertura. Questo lo screditò parecchio naturalmente, poiché i suoi lavori da regista risultavano troppo lunghi e costosi, ache se essendo a corto di offerte talvolta riuscì a risollevarsi con lavori più adatti al cinema hollywoodiano, per poi ripiombare nelle problematiche con i produttori una volta riottenuta carta bianca. Per intenderci, uno dei suoi lavori, arrivò a durare otto/dieci ore e fu integralmente proiettato una sola volta in forma privata, per poi essere tagliato dai produttori fino a una durata di due ore e rivenduto come film di serie B (cosa che ovviamente non fece piacere al suo creatore, ma appunto, questo suo modo di girare, fu in sostanza la sua rovina come regista). Dopo diversi tentativi di proporre questo suo anomalo ma allo stesso tempo geniale e titanico stile, si dedicò di nuovo solo alla recitazione e negli anni ebbe ruoli talvolta nella scrittura di sceneggiature o altri lavori come il tecnico, l' aiuto regista ecc... E' stato definito in sostanza un altro grande della storia del cinema, capace di creare capolavori riconosciuti quali "Rapacità", nel quale realismo e mertafore visive si fondevano in un'unica cosa, con la ricostruzione scenografica in studio, tra l'altro, di un'intera strada di San Francisco dell'ottocento, curata nei minimi dettagli. Usando, a differenza della gran parte dei registi americani del tempo, la profondità di campo, egli creò sfondi ricchi di dettagli, meno facili da accogliere per lo spettatore ma più ricchi di significati diversi tra loro, anche contrapposti a quelli portati dalle immagini in avanpiano. Nel 1955, Abel Gance – regista, attore, sceneggiatore, produttore e montatore cinematografico fancese – disse di lui: "Un genio, un uomo di immense capacità che è stato messo nell'impossibilità di nuocere, costretto per vivere a fare l'attore agli ordini di registi mediocri."

lunedì 6 giugno 2016

La storia del cinema (parte 1): dai fratelli Lumière al western americano

I fratelli Lumière
Stavo pensando a tanti film che mi sono piaciuti, a quelli che ho adorato a quelli che proprio non mi hanno convinto. Ho pensato a grandi registi, attori e attrici, al grande lavoro che c'è dietro a ogni film che vediamo, a quante persone al mondo vedono film ogni giorno; mi sono venuti in mente i fratelli Lumière e così mi sono detta: ma poi? Dopo di loro che è successo? E qui è partita la ricerca che tenterò di condividere con voi al meglio. In effetti, addetti ai lavori e studenti/ studiosi del settore a parte, credo siano rare le persone che conoscono quello che è stato il grande percorso che ha portato fino ad oggi, dunque, eccomi qui a riassumere il più possibile quel che ho scoperto nelle mie ricerche, con un primo articolo dedicato, a cui seguiranno poi altri articoli.

I fratelli Lumière - Louis e Auguste - furono i primi, alla fine del 1895, a far scoprire il cinema al pubblico e questo lo sappiamo più o meno tutti. Come naturale che sia, non è che la cosa sia nata all'improvviso e i due fratelli, prima di questa prima proiezione, sperimentarono a lungo, si impegnarono in messe a punto e richerche tecniche fino a che Louis riuscì a creare l'apparecchio da cui tutto è iniziato: il Cinematografo. L'apparecchio aveva le funzioni di ripresa e riproduzione di immagini fotografiche animate; era azionato a manovella e consentiva la riproduzione delle immagini per un tempo abbastanza lungo da rappresentare azioni compiute e continue. Vista la scoperta ed essendo consapevoli di quanto potesse avere successo una tale innovazione, i fratelli Lumière, si cimentarono nella commercializzazione su vasta scala della loro invenzione, ottenendo, fin dal primo spettacolo del dicembre 1895, un grande riscontro da parte del pubblico. Nelle prime proiezioni lo spettacolo era costituito da una serie di brevi film di un minuto o poco più ciascuno, per un totale di mezzora di spettacolo intervalli compresi ed era costituito da scene familiari, di attualità, piccoli sketch comici e informazione documentaristica. Immaginate lo stupore degli spettatori. Noi siamo abituati al grande cinema, ma pensate a quei primi spettatori, alla loro meraviglia, la curiosità, le emozioni, nel vedere per la prima volta nella storia, persone ed oggetti, la realtà, enfatizzata nei dettagli drammatici come in quelli comici, riprodotta sotto forma di spettacolo animato. La cinecamera era fissa e sembrava proprio essere come una porta aperta su un mondo fino ad allora sconosciuto. La produzione dei due fratelli si intensificò tra il 1895 e il 1899 e si concentrò soprattutto sull'informazione alternativa, non pilotata, e documentaristica. Nel 1896 assunsero alcuni fotografi e questi signori avevano il compito di assicurarsi della corretta riproduzione degli spettacoli e allo stesso tempo di catturare fotograficamente scene, panorami francesi, stranieri ed esotici, durante la loro permanenza nei diversi luoghi dove lo spettacolo veniva proposto. Nacquero così anche la "carrellata" e altri effetti cinematografici inventati da Eugène Promio, un operatore francese d'origini italiane, che studiò questi espedienti tecnici durante le riprese di alcuni film girati in differenti parti del mondo. Andando avanti il cinema divenne sempre più un mezzo d'informazione, con la funzione di far conoscere luoghi lontani e di presentare fatti di cronaca tramite i primi veri e propri inviati della storia. Iniziò così una folle corsa, la corsa dei vari produttori di film dell'epoca per essere sempre i primi ad arrivare sul posto dove qualcosa accadeva. Questa continua corsa, così intensta, portò poi alla riproduzione di fatti accaduti realmente, d'attualità e cronaca appunto, in scenari ricostruiti in studio. Anche l'illusionista francese Geroge Méliès rimase ammaliato dal cinematografo, poiché vide nella macchina la possibilità di riprodurre illusioni che aveva già proposto a teatro. I fratelli Lumière però decisero per questioni commerciali e di profitto di non vendergli il Cinematografo e Méliès, nel 1896, costruì un proprio apparecchio (il Kinetografo), dando il via a spettacoli di fotografie animate, non molto lontani - per il primo anno di attività cinematografica - dai primi lavori dei Lumière. L'anno successivo però, fece un balzo di qualità, aprì un vero e proprio studio cinematografico con il quale realizzò poi "film con trucchi", che diventeranno la sua specialità ed erano sostanzialmente una continuazione e un'amplificazione del suo lavoro teatrale. L'illusione ottica, la meraviglia, il mistero, erano alla base dei suoi lavori teatrali e il cinema permetteva di amplificare tutto questo. Fu Mélies, in questo senso, a dare vita allo spettacolo cinematografico. Furono girati negli anni diversi film fantastici, d'avventura e anche comici, continuò la produzione del cinema a trucchi portando le sue illusioni in scena e rispetto agli altri aveva anche tecniche e approcci diversi. I suoi film erano più lunghi, suddivisi in scene ed episodi, erano ricchi di ambientazioni e personaggi e lo schema era tratto dal dramma tradizionale o dal romanzo d'avventura, con uno stile di recitazione molto teatrale da parte degli attori. Gli stessi fratelli Lumière riconobbero Mélies come il creatore dello spettacolo cinematografico che avrebbe dato i natali a tutte le successive produzioni. Nonostante ciò, nel 1912, la sua produzione si fermò a causa delle grandi case cinematografiche che non lasciavano più spazio ai produttori indipendenti e alle piccole case. Nei primi quindici anni dalla creazione del Cinematografo, il cinema si era già evoluto in qualcosa di molto più ampio, sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista commerciale. Nacque in Francia, Stati Uniti e in Gran Bretagna, una vera e propria industria del cinema, con produzione e distribuzione delle pellicole. Il cinema continuò ad arricchirsi, visto il grande gradimento del pubblico, grazie ai produttori e naturalmente ai creatori dei film e così nelle principali città vennero aperti numerosi studi. Il primo grande industriale cinematografico, che creò a partire dal 1896 un vero e proprio impero di produzione, distribuzione e noleggio dei film, fu Charles Pathé, per molti anni dominatore del mercato mondiale (in particolare tra il 1903 e 1909). Tra i suoi primi collaboratori vi fu Ferninand Zecca (relizzazione, supervisione, produzione dei film e creazione di un'equipe di persone specializzate: registi, operatori e tecnici). Insieme, i due, daranno vita a film di ogni genere. Pathé cominciò a ridimensionare il suo impero intorno al 1918, pressato dalla concorrenza e nel 1929 decise di ritirarsi. Nel frattempo, nel 1895, anche Lèon Gaumont aveva dato vita alla sua società di produzione. Precedentemente impiegato in una fabbrica di materiale ottico e fotografico, intraprese la via delle grandi produzioni cinematografiche; inventore e costruttore di apparecchi di proiezione e cineprese, commercializzò anche macchine di altri inventori e la sua modalità di commercializzazione era ben precisa: la vendita di ogni apparecchio era accomagnata da pellicole dimostrative, che tra l'altro erano create dalla segretaria della società, Alice Guy, considerata la prima regista donna. Nel 1911, il Gaumont Palace di Parigi divenne la sala cinematografica più grande al mondo, con 3400 posti a sedere. Nel 1930 la società venne messa in liquidazione e riaperta con nuovo nome nel 1938. Accanto alle grosse produzioni, si mantennero comunque attive produzioni meno spettacolari, con scenografie meno costose, a cui però partecipavano attori di fama e letterati. Al centro di queste produzioni c'era l'attenzione per lo spettacolo cinematografico in se, l'evoluzione dell'espressione artistica (oltre che tecnica). In particolare con Emile Cohl, Max Linder, Louis Feuillade e le loro produzioni nei primi decenni del novecento, si ebbero le maggiori novità dal punto di vista artistico/espressivo. Negli Stati Uniti invece fecero da pionieri Thomas Edison (inventore, tra le altre cose, del Kinetoscopio e fondatore della sua casa di produzione, la Edison appunto), William Kennedy Dickinson (casa di produzione Biograph), Stuart Blackton e Albert E. Smith (fondatori della Vitagraph). L' approccio americano però – più che in altri Paesi – fu fin dall'inizio palesemente speculativo, perciò per diversi anni le produzioni americane non riuscirono ad avere una struttura tecnico/artistica che gli permettesse di realizzare produzioni di qualità come invece accadeva in Francia. Visto lo svilupparsi di una vera e propria guerra ai brevetti, durata negli Stati Uniti fino al 1908, nel 1909 venne fondata la "Motion Pictures Patent Company", che raggruppava le sette più importanti case produttrici americane (Edison, Biograph, Vitagraph, Essanay, Selig, Lubin e Kalem) e che aveva lo scopo di mettere ordine nel settore, eliminando anche le piccole case indipendenti che venivano inglobate dalle grandi case. Fu dal 1905 in poi che la produzione statunitense cominciò a prendere una reale forma, con la costruzione di sale specializzate. Anche in America le produzioni si concentrarono inizialmente sull'attualità, sulle pellicole comiche, storiche, avventurose o documentaristiche, con micro film che messi insieme porgevano all'attenzione del pubblico uno spettacolo di circa mezzora, come accadeva in Francia. Il primo esempio di cinema narrativo per come viene inteso ancora oggi però, è attribuito proprio all'americano Edwin Porter, che realizzò il progetto per Edison nel 1902. Le immagini documentaristiche dell'intervento di una squadra di pompieri, vennero unite alla storia di una mamma e del suo bambino: in pericolo tra le fiamme in cui viene avvolta la loro casa, c'è una successione di momenti di tensione, che porta infine al salvataggio di entrambi. Happy Ending. Pur non utilizzando ancora le techiche di montaggio e varietà di piani che verranno usate in seguito, Porter diede una svolta essenziale al cinema americano e ancora di più e in modo decisivo lo fece con le produzioni successive. Si devono a lui i primi film con suspance, i primi prototipi di western, le prime storie di gangster e le prime narrazioni di dramma sociale. Se la Edison puntava molto sulla messa in scena della realtà, la Vitagraph si sviluppò maggiormente nella direzione della qualità tecnica e Stuart Blackton fu infatti un grande esperto di cinematografia e un grande sperimentatore. La tecnica a scatto singolo, con la quale è possibile animare oggetti inanimati, deve la sua diffusione ai suoi film d'animazione e fu il successo dei suoi lavori a spingere anche altre case di produzione a dedicarsi al ramo del disegno animato. Negli anni la Biograph aumentò le sue produzioni affiancando la Edison per tipologia e generi. Furono proprio le due case a porre le basi dell'odierna Hollywood. Fu in quel periodo infatti che i produttori cominciarno a girare film in esterna e la California, Hollywood, con il suo clima più mite, era la meta ideale degli addetti ai lavori e portò così truppe di registi, attori e operatori a radunarsi per lavorare sulle coste californiane. Da segnalare assolutamente è inoltre il lavoro del regista David Wark Griffith (Biograph) che, ancora in piena corsa ai brevetti, fu artefice di un cambiamento fondamentale: cominciò a considerare il cinema un'arte e non un oggetto di consumo. Il suo approccio diverso , i suoi lavori, il buon fiuto nello scovare talenti tra gli attori e il suo modo di dirigerli, lo misero in tempi brevi in primo piano, per quel che concerne la storia del cinema. Introdusse forme espressive nuove, elaborate, trasformò l'idea di cinema per come era stata concepita fino a quel momento dagli altri registi e produttori. Per lui il cinema era un linguaggio artistico ed espressivo autonomo, la psicologia dei personaggi era accurata, umana, i personaggi non erano più solo "mascherine", bensì uno specchio realistico dei sentimenti del pubblico. Dalla Biograph passò poi alla Mutual, ottenendo ancora grandi successi e ponendo le basi espressive per rendere il cinema l'arte popolare che è tuttora. In Europa nel frattempo il cinema continuò il suo sviluppo in diversi paesi e in particolar modo in Gran Bretagna con i lavori di George Sadoul e la sua "scuola di Brighton". Quest'ultima, aveva come principali caratteristiche l'utilizzo dei primi piani e dei montaggi alternati. Prima ancora di Sadoul, fondamentali furono anche i lavori di Robert William Paul, che partendo da film semplici sullo stile dei fratelli Lumière ampliò gli orizzonti del paese verso nuove direzioni, producendo anche quello che viene considerato il primo film comico britannico. Paul sul fronte dello spettacolo cinematografico, James Williamson e George Albert Smith – sempre della scuola di Brighton – sul fronte del realismo, diedero così i natali alle produzioni più innovative. Nonostante ciò, nemmeno in Gran Bretagna, come negli altri paesi europei, vi fu un reale salto di qualità. Per vedere l'affermarsi di alcune realtà cinematografiche nazionali (Italia, Danimarca, Svezia, Germania, Spagna ecc.) si dovrà attendere a lungo, ovvero gli anni appena precedenti alla prima guerra mondiale. In Italia, ad esempio, le prime produzioni sono considerate "ambulanti", in quanto erano perlopiù spettacoli da fiera e ad ogni modo la produzione era perlopiù francese (nonostante l'italiano Filoteo Alberini avesse brevettato nel 1895 il Kinetografo). Aprirono diversi anni dopo le prime sale e nel frattempo Alberini e Santoni, diedero i natali a "Il Primo Stabilimento di Manifattura Cinematografica Alberini e Santoni", trasformata l'anno dopo nella "Cines", che diventò in seguito una delle più importanti case di produzione italiane. In contemporanea, in Francia e Stati Uniti, nacquero nel 1913 i "serials". Vi fu, in sostanza, un passaggio dalla carta stampata allo schermo di quel tipo di narrazioni a puntate che erano così diffuse sui giornali e che sempre più avevano avuto successo negli anni. In breve tempo i serials si diffusero diventando addirittura una moda. Per quanto riguarda il cinema d'oltre oceano, fu il western a diventare il genere americano per eccellenza, soprattutto con l'arrivo degli anni dieci e Thomas Harper Ince ne fu immediatamente il rappresentate più qualificato. Con il western il pubblico poteva apprezzare l'apertura dell'uomo verso spazi infiniti, l'azione, il sentimento storico di un tempo non molto lontano e il richiamo alla tradizione culturale e alla letteratura. Per questi motivi la gente lo amò fin da subito. Dopo il 1912 Ince, dopo centinaia di film, lasciò il testimone ad altri registi e in particolare a Ford, Barker e Hart. Hart, come attore e regista, fu per anni il simbolo del West e i suoi film furono spesso prodotti in collaborazione con Barker. Ebbero comunque una rilevante supervisione da parte dello stesso Ince, che in sostanza divenne il terzo grande del cinema americano accanto a Sennett e Griffith.

venerdì 20 maggio 2016

Van De Sfroos e "Il costruttore di motoscafi": la storia di una vita in una canzone

Quando svariati anni fa ho scoperto questa canzone, me ne sono innamorata al primo ascolto. Essendo il dialetto comasco comprensibile per una persona della mia zona, non ho avuto problemi a comprenderne il testo. Davide Van De Sfroos è fantatico, tantissimi lo seguono, qualcuno lo ascolta di tanto in tanto e c'è poi chi non lo conosce, perché i suoi testi sono perlopiù dialettali o perché non l'ha mai sentito al di la' di questo. Un giorno feci ascoltare a una ragazza del sud questo pezzo: ne amava la melodia, la fonetica, ne percepiva al di la' di tutto la dolcezza e la genuina poeticità, ma ovviamente non comprendeva il testo a pieno, dunque gliela tradussi parola per parola e anche lei, la adorò. L'ho riascoltata proprio oggi, così mi è venuta voglia di condividerla con chi leggerà e ascolterà, scrivendone anche la traduzione per chi non comprende il dialetto in questione. È la storia di un uomo, della sua vita, dell'amore per quello che fa e per la sua famiglia, della sua genuina ironia, delle sue speranze e riflessioni. La storia di una vita, in una canzone.



"Dicono tutti che il lago di Como... è fatto come un uomo, ma io sono sicuro che è una donna; devi farle il filo, se vuoi averla, perché sotto la gonna, c'è la... (profondità). E per poter seguire ogni suo capriccio, ho imparato a curvare il legno e a raddrizzarlo quando è storto. Perché quando mi preparo un motoscafo, dev'essere come una spada e dev'essere come una foglia. E forse sono nato con questa canottiera, con questo cuore fatto di acqua e lamiera... Con questa schiena larga e questa testa dura, sempre sporco d'olio e segatura. E per coprire le mie barche, ho usato le lenzuola del letto matrimoniale. La vita gira finché gira l'elica, ma gira a vuoto se non hai un timone. Paola, che mi chiami dal balcone, insieme a questi tre figli che mi faranno diventar matto, ma che impareranno quel che faccio... e che farò. Paola, tre figli, tre matti... o forse tre campioni... L'unica cosa che so bene, è che faranno il mio mestiere... questo mestiere. I ghirigori sopra l'acqua e la mia firma sopra l'onda, con la barca che s'impenna, con la barca che dondola e poi arriverà la "brèva", a cancellare questa mia scia, ma il segno della mia storia, non la porterà mai via. E arrivano da Como e da Milano e voglion tutti la barca pronta; gli spiegherò imprecando o parlando come Shakespeare... che la barca ha una poppa e una prua! E non mi interessa per niente se tutti dicono che è la plastica il futuro dei motoscafi. Ho trascorso la mia vita in mezzo ai pezzi di legno e tra quattro pezzi di legno partirò per l'altra sponda. Paola, che mi chiami dal balcone, insieme a questi tre figli che mi faranno diventar matto, ma che impareranno quel che faccio e... che farò. Paola, tre figli, tre matti! L'unica cosa che so bene è che faranno il mio mestiere... questo mestiere... I ghirigori sopra l'acqua e la mia firma sopra l'onda, con la barca che si impenna, con la barca che dondola... E poi arriverà la "brèva", a cancellare questa mia scia, ma il segno della mia storia, non la porterà mai via." - Davide Van de Sfroos, "Il costruttore di motoscafi", dall'album "Pica!" (2008).

* "brèva": è il nome di un vento, ndr

sabato 30 aprile 2016

Garrapateros: "Garrapata Sound System"


"Garrapata Sound System", il nuovo album dei Garrapateros. Ve li ricordate? (per chi  li avesse scoperti sul blog ); ci avevo fatto una luuunga chiacchierata, molto interessante, andando a fondo, tra i testi, la musica, i pensieri, le visuali di vita (per rileggere cliccate qui). Il nuovo album ha quella formazione della quale Nic mi aveva parlato, nuove entrate nella band che andavano a costruire quel sound nuovo che già al tempo chiamava "Garrapata Sound System". Da bravi spiriti patchanka rebelde, i Garrapateros si sono evoluti ancora di più. E' stato fantastico ritrovare in questo album versioni molto più energiche (nella maggior parte dei casi) e "romantiche" (nel caso di "Cenere e Fuoco") di pezzi ripresi dal primo album "Vida no mata". Le ho percepite come più reali, più palpabili, come nei live e infatti... dei live sentiti/ visti, mi ricordano la struttura musicale, gli arrangiamenti, l'interpretazione, il tutto ripreso e fissato nell'album. Poi, riguardo ai pezzi del primo album che si sono evoluti durante gli innumerevoli live per poi racchiudersi in questo "Garrapata Sound System" (un po' come se i live fossero stati - nel passaggio - il bel paesaggio di fronte a un pittore impressionista), ti vai a riascoltare il prima e il dopo e pensi al fatto che la prima versione ti piace come ti piaceva allora, ma che qui trovi quell'evoluzione, quel groove in più, sempre più patchanka rebelde, la maturazione, il crescendo che in una band ci deve essere o non sarebbe una band di talento. Poi gli inediti. Dopo l'uscita dell'album a novembre 2015, la band presenta come singolo, con video, "Zona Rossa", una bella botta di energia che non manca - perché con un autore come Nic non potrebbe mancare - di profondità di concetti. I testi di Nic non sono mai superficiali, ha da sempre la capacità di scrivere in pochi versi una miriade di cose interpretabili in molteplici modi, sia quando i testi sono più lunghi e dettagliati sia quando sono - solo fisicamente - più brevi. Molto bello il video che rispecchia la canzone a pieno dal mio punto di vista. Il viaggio, gli amici, la vita, lasciare una scia, la scalata, il sudore, l'inizio, il tramonto. "Somos", la mia preferita. Un pezzo che inizia come una poesia, recitata da Nic naturalmente. Perché una poesia? beh, per il testo e per l'intepretazione fantastica che ne da l'autore. Traducendo al meglio possibile... "Mi dici qualcosa che non so, non capisco. Mi dici che non è una storia [questa], è quello che è successo a me (!) e il futuro delle tue parole è presente, qui (!). E non... se ho quindici anni ribellione, se ho quartant'anni responsabilità, se ho ottant'anni fatica o... se non sono ancora nato... innocenza; non tocco, non ascolto, non parlo. Vedo soltanto, eppure penso già [così tanto]: "Chi sono?"." La musica, in questo pezzo, ha addirittura influenze jazz (è patchanka, perché dunque limitarsi?). Si perché senti una batteria che in certi punti lo ricorda, senti un assolo di tastiere che in un pezzo jazz ci starebbe a pennello e senti un "canticchiare" di Nic che dal vivo potrebbe avvicinarsi a uno scat, perché no; senti poi, anche quel tipo di ritmato che ricorda il charleston e con cui è difficile star fermi. "Musica che accarezza la pena", dice, perché come spesso accade Nic ripropone tematiche che puntano alla riflessione sulla vita, su quanto sia dura a volte, ma su quanto sia necessario e sacrosanto godere di ogni momento, crescere e non credere mai che un sogno sia impossibile o che la vita "ammazzi" perché "La vida no mata", è un controsenso no? E così, se c'è una pena... la musica la accarezza. Felice a mille poi, di aver sentito "Hijo de Puta". Durante i live in duo acustico, Nic e Cannibal, avevano già iniziato a deliziare il pubblico con questo pezzo strumentale fantastico nel quale il sound di chitarra e percussioni di due musicisti già bastava a ribaltare un locale. Mai incisa prima, decidono - per fortuna - di farlo con "Garrapata Sound System" e nella versione dell'album arrivano i suoni spaziali dei synth e delle tastiere deliranti. Come ultimo pezzo dell'album, "Sigo" ovvero "Continuo", come il cammino dei Garrapateros, che - per citare il testo - sono come "una lucertola a cui continua a ricrescere la coda, in qualsiasi punto essa sia stata tagliata", perché Nic c'è, perché Cannibal c'è e perché hanno trovato lungo il loro cammino Petardero (basso e cori), Papy Chulo (chitarra elettrica e acustica) e Tio (tastiere, synth e groove), coi quali hanno sentito accendersi la giusta miccia, per continuare a crescere, in questo sogno diventato realtà.


 



martedì 12 aprile 2016

martedì 1 dicembre 2015

Enrico Mantovani: la musica che si vede


Ernico Mantovani. Venerdì 26 Settembre ho assistito, non per la prima volta, ad uno dei suoi magnifici, emozionanti e sempre unici concerti (a "La Taverna delle Fate Ignoranti" di Quinzano d'Oglio (Bs), un luogo delizioso). Enrico Mantovani è un "OneManBand", perché definirlo "solo" un chitarrista di talento è poco; non a caso "OneManBand" è il suo biglietto da visita e quando lo senti suonare, quando lo vedi suonare e le emozioni si trasformano in musica, percepisci che le melodie, le armonie, il ritmo, diventano colori, temperatura, immagine, suono percepibile al tatto ed allora comprendi perché Enrico Mantovani non è "solo" un chitarrista di talento e a quel punto non è più necessario spiegare perché il suo biglietto da visita è "OneManBand"; però ve lo spiego, perché molti di voi magari non l'avranno ancora mai sentito nonostante giri in lungo e in largo l'Italia (come invece alcuni già adoreranno il suo sound). Al di la' di questo, mi capita spesso di partire dalle emozioni quando parlo di un talento, perché la differenza tra un "bravo musicista" e un "musicista di talento" sta nell'anima, nella grinta, in quel che arriva alle persone. È così per tutte le discipline artistiche, naturalmente a parer mio. Enrico Mantovani è un artista bresciano, polistrumentista, ma la chitarra è nel suo nome. Vive a Orzinuovi ed ha collaborato con grandi artisti quali il cantautore Massimo Bubola, Giorgio Cordini i più noti (al grande pubblico si intende) Massimo Ranieri, Francesco Renga, Eugenio Finardi... ed ha suonato anche con Alex Britti (spero vi sia capitato di sentire una volta almeno il Britti blues), Gianna Nannini, Fausto Leali e molti altri. Le ho scritte, le collaborazioni, perché è giusto, per far capire a chi non dovesse conoscerlo che di cose ne ha fatte e pure tante (e non solo queste, poi ci arriviamo), ma il mio intento non è parlare dei nomi con cui Enrico Mantovani ha collaborato; il mio intento è parlare di Enrico Mantovani, un musicista come pochi, della musica che si vede, dunque, delle infinite sfumature dell'arte.

Enrico Mantovani chi è? E poi... è abbastanza classico chiederlo, ma è sempre interessante per capire di più: come hai iniziato a suonare, quando, cosa ti ha spinto a imbracciare la chitarra?

"Direi che la mia fortuna è stata di iniziare molto giovane, con mio padre quando avevo sedici, quindici anni e già suonavo il blues e i pezzi degli Stones insieme al mio amico Riccardo Maffoni... ho iniziato con mio padre, dicevo, scriveva canzoni e racconti brevi ed era il mio consigliere su libri e dischi che mi hanno poi accompagnato fino ad oggi; mi sono subito reso conto, sin da adolescente, che non era solo una questione di “musica“, ma anche di parole, di pensieri e di poesia. La chitarra ok, saper suonare ok... mi veniva facile e spontaneo... ma sentivo che la magia vera erano le storie che le canzoni mi raccontavano... Così, assieme a mio padre, iniziai a suonare la chitarra nei suoi spettacoli sulla seconda guerra mondiale, sui partigiani, sulle storie dei partigiani nella nostra pianura e l'ultimo spettacolo si intitolava proprio "Novecento" e... sia i libri che le sue canzoni parlavano sempre di queste vicende e di storie che abbiamo dietro l'angolo, che risalgono a cinquanta, sessant'anni fa, non è un tempo poi così lontano. Del resto un piede nel novecento ce l’ho avuto anche io: da piccolo si passavano giornate intere in cascina, a giocare sui fienili, a contatto con gli animali, ci tuffavamo nei fossi e di sera, dopo cena, spesso mio padre imbracciava la chitarra e cantava canzoni di Nanni Svampa e di altri cantastorie. Più che la musica in se, sono le canzoni che mi hanno affascinato sin da piccolo."

Hai tanti progetti in corso: i meravigliosi Matmata, i concerti "OneManBand", la collaborazione costante con il grande Bubola ed altre collaborazioni. Raccontami un po' cosa stai combinando.

"Beh… con Massimo Bubola ho avuto la fortuna di partecipare ad un percorso sulla Prima Guerra mondiale, sulla Grande Guerra, che mi ha dato modo di rivedere la storia dell' Italia e degli italiani negli ultimi duecento anni; un lavoro a ritroso nel tempo, con brani e melodie popolari di fine ottocento e anche più antiche che hanno resistito fino ai giorni nostri. Massimo ha fatto il primo disco sulla guerra nel 2004, "Quel lungo treno", il secondo nel 2013, "Il testamento del capitano" e l' anno prossimo dovrebbe uscire il terzo; una trilogia con brani degli alpini e canti popolari riarrangiati in chiave folk e rock; tratti da una letteratura popolare e contadina, questi brani vanno a comporre parte della musica detta "poplare", che è quel tracciato dal quale nessun musicista dovrebbe mai discostarsi troppo secondo me. Purtroppo in Italia non abbiamo questa cultura che ad esempio è molto radicata in Irlanda, dove i nonni suonano con i nipoti e tutti conoscono un repertorio di duecento, trecento canzoni folk... e lo stesso vale anche per gli americani e sicuramente per molti atri popoli.

Un incontro raro e fortunato è stato poi quello con i Matmata; mentre con Bubola, con Massimo Ranieri, con Giorgio Cordini e altri ero maturato come musicista o come turnista, imparando a fare questo mestiere, con i Matmata c’è stato un’incontro tra musicisti maturi e già più consapevoli, grazie ai quali ho scoperto il valore della "Band", trovarsi tutti i giorni, suonare insieme più volte alla settimana per il piacere di suonare e per la volontà di creare un groove comune, un sound, un feeling, lavorando sui pezzi che Gianmario continua a creare ancora oggi con grande abilità. Infine nei Matmata ho trovato una famiglia; non è un lavoro da "turnista", è un lavoro con la tua band, coi tuoi amici, coi quali si condividono tantissimi momenti di vita, al di la' della musica…. è stato davvero magico incontrarli."

Per me che ho assistito più volte a tuoi live, con i Matmata e come OneManBand, sapendo quante emozioni, diversificate, trasmetti, mi viene istintivo chiederti: in quei momenti, sul palco, cosa provi, cosa pensi, cosa senti tu, cosa ti passa per la testa?

"Quando suoni.... non pensi a niente, suoni e basta; la musica ce l'hai nel cervello e nel cuore, è li che ti gira attorno, come fanno gli avvoltoi, come una giostra con tante lucine e tu sai già quali vanno accese e quali spente, senza pensarci.... suonare mi fa stare mezzo metro sopra terra, è una droga, la droga più bella e sana che esista e il concerto, il live, è il vero motivo per cui ho imparato a suonare e per cui, grazie al Cielo, continuo a suonare."

Hai fondato nel 2013 l'Accademia di Musica Hendrix (cliccate, cliccate ragazzi). Com'è nato questo progetto e come lo senti? Qual è il contesto?

"L'Accademia... mmmm…... Non credo moltissimo nelle scuole di musica, credo che all'uomo siano più utili i corsi di cucito o di giardinaggio. Le scuole di musica quando io avevo quindici anni non esistevano, o quasi; c'era qualche insegnante che dava lezioni private e se volevi suonare dovevi essere davvero portato, perché dovevi imparare ascoltando i dischi in vinile o la radio, quindi dovevi avere orecchio ed essere molto svelto nel capire le note da riportare sullo strumento. Oggi invece, forse anche a causa dei "talent", molta più gente vuole fare musica, ma siccome da sola non ci riesce, nemmeno con i video di youtube, si rifugia nelle accademie di musica. L’accademia comunque l’ho aperta per portare un po' di fermento sul territorio dove sono nato e dove ho sempre vissuto, sperando di imbattermi in qualche talentuoso futuro musicista."

Ora ti faccio una delle mie domande strane. Altre volte ho fatto questa domanda perché è per me parte dell' "andare oltre" e potrebbe sembrare una domanda semplice, ma non lo è affatto. Di che colore è secondo te la tua musica? E la tua anima? Combaciano?

"Mi piace suonare con le luci blu... e poi il blu è indubbiamente blues..."

Hai un pezzo che su tutti, per te, è il migliore?

"Beh, un brano è troppo poco, ne amo troppi, ma tra i miei artisti preferiti spiccano Bob Dylan e i Rolling Stones. Il resto è tutto sotto."

La tua parola preferita... (Enrico qui è favolosamente indeciso, ma poi la prima parola che gli viene in mente è...)

"Grembo."

Ecco qui, Enrico Mantovani. Penso non ci sia altro da aggiungere se non che, come ho detto anche a lui, una delle cose che lo rende più speciale è che non si rende conto davvero di quanto è raro.

Grazie infinite Enrico.

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venerdì 28 agosto 2015

Grembo


Caldo il tuo grembo,
alimento e rifugio
del mio stesso respiro.

Intima grazia per noi,
il grembo della terra.

Focolare nel gusto,
il grembo di una donna.
Nel grembo il dono.

Poggiati sul grembo,
piccoli granelli,
al sicuro nell'infinito.

E respirando il tuo grembo
il mio si riscalda,
felice giaciglio d'entrambi.

Avvolti nel nostro abbraccio,
profumo di biscotti,
aroma di pane fresco
e polvere di caffè.