venerdì 2 aprile 2021

"Fregare il tempo", di Logan Laugelli - Indie Zone

Di seguito il link per leggere la mia recensione all'album di Logan Laugelli "Fregare il tempo", realizzata per Indie Zone. Leggete, ascoltate, non ve ne pentirete.

Logan Laugelli, "Fregare il tempo"


Lara Aversano



martedì 2 marzo 2021

Christopher Vogler e "Il Viaggio dell'Eroe" (1)

christopher vogler

Christopher Vogler e "Il Viaggio dell'Eroe": eccoci a proseguire con la rubrica "Il racconto e i suoi segreti". L'ultima volta, infatti, ci siamo fermati proprio sulla domanda: "E Volger? Chi è? Cosa c'entra con questo percorso di cui stiamo parlando?" Per leggere l'articolo precedente clicca qui.

Christopher Vogler è uno sceneggiatore statunitense, classe '49, ancora in attività. Ha insegnato alla famosissima Università UCLA e a Hollywood ha lavorato anche con la Disney, ma ciò per cui il suo nome spicca anche in letteratura e, in particolare, nello studio della narrativa, è il saggio "The Writer's Journey: Mythic Structure For Writers". Letteralmente il titolo sarebbe traducibile in "Il diario dello scrittore: strutture mitiche per scrittori" ed è stato poi tradotto in italiano con il sopracitato titolo "Il Viaggio dell'Eroe".

Partendo dagli studi di Joseph Campbell, Vogler ha elaborato degli archetipi narrativi e ha racchiuso nel suo saggio, utile al cinema (suo ambito lavorativo) quanto alla scrittura, le principali funzioni degli stessi e la struttura base della loro evoluzione.

Al di là del fondamentale elemento dell'Eroe, protagonista della storia, i sette archetipi individuati dall'autore sono i seguenti:

- il Mentore (o Vecchio Saggio)
- l'Alleato (o gli Alleati)
- il Guardiano della soglia
- il Messaggero
- il Mutaforme (Shapeshifter)
- l'Ombra (Shadow)
- l’Imbroglione (Trickster)

Questi archetipi, va ricordato, non sono ruoli fissi assegnati a un determinato personaggio, ma funzioni che definiscono gli stessi a seconda dei contesti, della storia, dello scopo della nostra narrazione. Un personaggio che in prima battuta ha avuto la funzione di Mentore, può anche essere un Messaggero in altri contesti, così come un Guardiano potrebbe anche fare da Mentore, in alcuni casi.

Il Mentore:

Il Mentore è una figura chiave sia nella narrazione scritta che in quella cinematografica ed è un archetipo estremamente versatile, nelle caratteristiche e per le sue modalità di inserimento nella struttura narrativa. Possono, tra l’altro, esserci più Mentori in una stessa storia, anche se generalmente quello principale è uno e si distingue da altri eventuali.

Se dovessimo pensare a un Mentore della letteratura classica, dovremmo subito volgere lo sguardo alla Divina Commedia. Dante, infatti, ha scelto Virgilio come proprio Mentore nel percorso che deve intraprendere tra Inferno e Purgatorio, per arrivare al Paradiso nel quale però egli non potrà proseguire. Fatto è che Virgilio porta Dante a portevi accedere. Virgilio guida Dante, lo consiglia, gli fa notare cose che da solo non avrebbe notato, gli insegna come muoversi attraverso gli scenari e lo aiuta anche a comprendere molte più cose di sé stesso e del mondo (e dei mondi) che lo circondano.

Questo accade anche in tantissime avventure moderne e così funziona anche per gli altri archetipi. Sempre parlando di mentori, potremmo pensare al personaggio di Silente nella saga di Harry Potter, ad Alfred nelle avventure di Batman, al Grillo Parlante di Pinocchio!

Come dice la parola stessa, il Mentore è una guida, è colui che insegna all'Eroe come dare il meglio di sé; lo aiuta a sciogliere dubbi e paure e lo spinge verso l'avventura (tecnicamente si passa dunque dal mondo ordinario a quello straordinario). L'Eroe, sotto la guida del suo Saggio, inizia ad evolversi, cambia e cresce.

Da precisare, inoltre, è che esistono diversi tipi di Mentore e Volger li suddivide in:

- Mentori interiori
- Mentori caduti
- Mentori comici

Il mentore poi, può essere sia positivo che negativo e ve ne sono diversi esempi in letteratura così come al cinema. Per ciò che concerne i mentori negativi, ci basta pensare a "Animali Fantastici e dove trovarli". Infatti, il controverso personaggio di Creedence si trova ad avere come mentore proprio Percival Graves che, infine, altro non è che il malvagio Grindelwald sotto mentite spoglie. Un altro esempio di mentore negativo, lo troviamo nella famosissima saga di Guerre Stellari con il personaggio di Darth Sidious, guida del ben noto Darth Veder.

L’Alleato

La figura dell’Alleato o degli Alleati è quasi sempre presente in una storia. Amici, personaggi conosciuti dall’Eroe durante la sua avventura, personaggi che lo aiutano anche solo per gentilezza e di passaggio. Il vero alleato però è quello sempre presente o stabile per buona parte della storia. Un esempio di Alleati, richiamando l’amata saga di Harry Potter, sono i due inseparabili amici Hermione e Ron, sempre presenti, ma anche personaggi che troviamo nei diversi libri (e film), quali Sirius Black (padrino di Harry) o più in generale tutti i membri dell’Ordine della Fenice. Altro esempio di alleato è il personaggio di Sam Wilson (Falcon) per Capitan America.

Il Guardiano della Soglia:

Il Guardiano della Soglia mette a prova l’Eroe. Crea uno o più ostacoli per testare la forza e la volontà del protagonista di proseguire, dunque provoca una battuta d’arresto. Non è per nulla detto, però, che questo personaggio sia un nemico. A volte lo può sembrare fortemente, a volte lo è in un primo momento, ma poi si trasforma in Alleato, altre ancora è solo un “muro di prova” oppure potrebbe voler solo essere riconosciuto dall’Eroe per la funzione che ha.

In ogni caso, il Guardiano funge da passaggio tra il mondo ordinario e quello straordinario. Può essere anche interiore, perché come per quello esteriore, sarà sempre un modo con il quale il protagonista si troverà ad affrontare le proprie debolezze, a mettersi in discussione, per poi far emergere ancora più forza. Talvolta, l’Eroe può assorbire i poteri del Guardiano, interiorizzando ed elaborando così, anche fisicamente, le sue stesse difficoltà e trasformandole in qualcosa buono e utile.

Arrivati a questo punto, direi di proseguire con il prossimo articolo e l'approfondimento degli altri archetipi. Non mancate!

Fb: L.A. Editing&Digital Marketing
Instagram: @laeditingandditigalmarketing

domenica 27 dicembre 2020

Mezzosangue

angelo lupo ali

Sei nato pregno d'amore. Ti definisci demone, ma in te vedo ali da mezzosangue: per metà angelo e per metà umano, in qualche modo prigioniero di tumulti, ti liberi dalla ghigliottina degli imbecilli e non resti mai spettatore. Non c'è confine: fossi anche solo nel deserto, troveresti il modo di aiutare. Ti immagino tra le corsie, nelle stanze coi tuoi ragazzi, mentre cerchi di proteggerli più che puoi. Ti immagino mentre combatti, per farli sentire sicuri. Ti immagino la sera, dopo ore di lavoro massacranti, con una torcia in mano per individuare gli invisibili. Hai moltitudini complesse in te, come paragrafi di un testo che per tema ha miriadi di colori. Chiari, scuri, luminosi, cupi. Il tuo cuore elettrico dà scariche diverse, di pace e di caos, ma mai inquina. Vedo il tuo angelo, che fin da bambino ti sta accanto, sfiorarti la guancia quando sei stanco, mentre ti dice piano: "Riposa guerriero, l'alba è vicina".

A mio fratello Elvis

venerdì 13 novembre 2020

Jung, Campbell, Vogler: l'inconscio collettivo e "L'eroe dai mille volti"

 

angelo con spada, immagini fantastiche, luce

Il racconto e i suoi segreti, la narrazione, le strutture:

Per arrivare all’argomento di questo articolo che è “L’eroe dai mille volti” di Joseph Campbell (1949) dobbiamo partire un bel po’ più indietro, iniziando da Jung, passando per Campbell e arrivando a Vogler. Prendiamo la rincorsa in una sorta di macchina del tempo e andiamo al 1912, anno in cui Carl Gustav Jung (psicoanalista, psichiatra, antropologo, accademico e filosofo che fu pilastro, con Freud, della psicologia moderna e della psicoanalisi) pubblicò “La libido: simboli e trasformazioni”. Quest’opera fu lo spartiacque che allontanò Jung e Freud, per anni amici e collaboratori, il cui rapporto si era già incrinato per le differenti visioni sulla psiche. Jung, con quest’opera, vuole portare la psicologia e la psicoanalisi a un nuovo livello, facendola uscire da quegli elementi caratterizzanti tipici di Freud che, a parer suo, rendevano la stessa quasi una “setta”.

Nel libro Jung parla di tantissime cose, ma l’argomento principale è l’esistenza di una “coscienza collettiva” che viene mostrata e raccontata attraverso miti e leggende che ogni essere umano incontra durante la propria vita e con i quali convive. L’eroe insito in ognuno di noi può destreggiarsi tra gli “archetipici”, che lo accompagnano e guidano tutti noi durante la nostra esistenza. Nonostante egli riesca in qualche modo ad andare oltre a tutto questo, la “coscienza collettiva” o “coscienza madre”, sarà sempre lì e lo porterà ad affrontare dei passi ben precisi, se pur con le varianti determinate dall’individualità. Ciò che poi differenzia Jung da Freud è anche l’approccio verso i pazienti: per Jung non è abbastanza avere la preparazione scientifica e medica per aiutare un soggetto; ciò che fa la differenza sta nel riuscire a comprendere la malattia dell’anima, nella persona che si ha di fronte.

Ci sarebbe molto altro da dire su Jung e tutto quel che ha significato il suo lavoro, ma noi dobbiamo arrivare ad altro. Qualcuno di voi si starà chiedendo: cosa c’entra tutto questo con la scrittura e la narrazione?

"L'eroe dai mille volti" di Campbell:

Si tratta di un’opera di mitologia comparata, ma va ben oltre questo. Ciò che ne scaturisce è un’analisi di sé stessi: l' obbiettivo è quello di riuscire a scorgere il proprio eroe interiore, parlando anche del significato della vita e dell’umanità.

Rifacendosi alle teorie psicoanalitiche di Jung, Campbell racconta leggende e miti dei popoli più disparati e di epoche anche molto diverse tra loro. Si rende conto che, alla fine, quel che accomuna tutto è proprio la centralità della storia dell’eroe. Egli si lancia all’avventura rispondendo alla propria “chiamata personale” o, come afferma Campbell, al proprio “appello”.

Da qui si arriva a una sorta di schema che sempre si ripete, pur con le dovute varianti soggettive: la prima fase è quella della vita ordinaria (o fase dell’innocenza). A seguire c’è una separazione dalla situazione iniziale, con il superamento di una prima soglia per la quale l’eroe si trova a cambiare il proprio mondo di riferimento.

In terza fase c’è l’iniziazione, che porta con sé mille tribolazioni, prove e maturazioni e, infine, c’è il ritorno. All’inizio questo ritorno può essere anche rifiutato, ma la crescita dell’eroe gli fa comprendere di poter ora passare da uno all’altro mondo in totale libertà. I passi veri e propri, se vogliamo schematizzarli, potrebbero essere questi:

  • Vita ordinaria/ innocenza: l’eroe ancora non è consapevole di esserlo e vive un mondo personale molto normale. La normalità però, gli sta stretta e questo lo rende solitamente infelice.
  • La separazione: l’eroe sente la sua “chiamata”, il suo “appello” e decide di rispondere positivamente, partendo per l’avventura verso mondi e luoghi a lui sconosciuti.
  • L’iniziazione: l’eroe incontra qualcuno che potrà considerare come un mentore, una guida, un maestro e questo gli insegnerà tutto ciò di cui potrà aver bisogno. Le idee, i principi, il modo di vedere le cose, cambiano e il nostro protagonista viene iniziato a un mondo nuovo. In questo universo, che inizialmente può anche sconvolgere un po’ il nostro eroe, si ritrova ad affrontare prove, tribolazioni, maturazioni. Incontra amici e nemici, si rinnova e varca così una “soglia”. Scopre di avere mezzi di cui non era a conoscenza e si confronta con le sue più profonde paure.
  • Il ritorno: l’eroe fa ritorno al mondo di partenza e si apre una nuova “soglia” da oltrepassare. Egli deve risolvere i problemi che ha lasciato nel vecchio mondo, stavolta con rinnovata consapevolezza.

Se volete approfondire l’opera di Campbell, una lettura assolutamente consigliata per chi scrive, potete iniziare leggendone la struttura (la trovate tranquillamente su Wikipedia cliccando qui).

E Vogler? Chi è? Cosa c’entra con questo percorso di cui stiamo parlando? E quali sono state le conseguenze artistiche di questi fondamenti? Ne parliamo la prossima volta, sempre qui, con la “rubrica” de “Il racconto e i suoi segreti”.

sabato 24 ottobre 2020

Facciamo chiarezza sui Bot!

 

Facciamo chiarezza sui bot! Se ti sei incuriosito/a leggendo il titolo di questo articolo significa anche che, probabilmente e come accade a molte persone, ti trovi ad essere un po’ in confusione a riguardo. Facciamo chiarezza sui bot una volta per tutte? Alcuni ne parlano in un modo, altri in maniera completamente diversa, qualcuno ne parla bene e altri ne parlano male. Il perché è semplice: non parlano, in realtà, della stessa cosa.

I bot negativi, per intenderci, sono quelli utilizzati da piattaforme poco serie per aggiungere like, follow, visualizzazioni ecc., tramite falsi profili (ne avrete sicuramente già sentito parlare). Questo tipo di bot è dannoso – io li chiamerei in un altro modo ad esempio! se no le persone come fanno a capire la differenza?).

I bot buoni, invece, sono quelli dei motori di ricerca. Sono “robot”, software chiamati anche spider o crawler, utilizzati dai motori di ricerca per analizzare, indicizzare, classificare, memorizzare – ogni singolo giorno – migliaia di pagine web. Attraverso le azioni dei crawler/bot dei motori di ricerca si va a formare la SERP, vale a dire la Search Engine Results Page (traducendo in modo chiaro: “pagina dei risultati dei motori di ricerca”). Per rendere visibili contenuti, siti, pagine, ecc. ai bot dei motori di ricerca, esistono le famose tecniche SEO e il vasto mondo della SEO Evolution. Per questo si parla di ottimizzazione, indicizzazione e tutto quanto ne consegue.

Spero di aver dipanato i vostri dubbi… ci risentiamo al prossimo articolo!

L.A. Editing&Digital Marketing

venerdì 25 settembre 2020

Gli atti della narrazione

tronco d'albero, story me, racconto, narrazione, atti della narrazione, editing


Questo articolo chiamato “Gli atti della narrazione”, vorrebbe essere parte e continuazione della rubrica “Il racconto e i suoi segreti”, ma ho deciso di dedicare all'argomento una titolazione a parte perché, in realtà, la tecnica narrativa in “atti” può andare ben oltre il racconto.

Prima di tutto: da dove nasce la struttura in atti?

Per chi di voi non lo sapesse, dobbiamo questa struttura ad Aristotele (è ispirata infatti alla sua "Poetica": cliccando sul titolo troverete l'intera opera). Essa proviene, infatti, dal principio della Dialettica (uno dei principali metodi argomentativi della filosofia), che è suddivisa in “Tesi”, “Antitesi” e “Sintesi”. Aristotele, in questo, ha fatto la differenza rispetto ad altri grandi filosofi, ma qui cambieremmo argomento, perciò meglio non divagare troppo.

I tre atti corrispondono molto semplicemente a tre fasi: “Inizio”, “Svolgimento”, “Fine”. Sembra banale, ma dovete pensare che tutto ciò che noi ora vediamo come “normalità”, viene dal pensiero di qualcuno che ci ha riflettuto, che ha studiato, che ne ha posto le basi. Secondo questa tecnica, le tre parti dovrebbero essere proporzionate. Si parla ad esempio di una trentina di pagine per primo ed ultimo atto e di circa il doppio per la parte centrale, il “secondo atto” o “svolgimento” che dir si voglia. Ecco perché ci si può spostare dal racconto e arrivare al romanzo, di qualsiasi genere esso sia.

Alcuni studiosi, nel tempo, hanno “protestato” questa forma, facendo passare il concetto che sarebbe troppo meccanica. In realtà, come per ogni tecnica narrativa, quella che viene data è una traccia. Per intenderci, potreste scrivere un primo atto di sessanta pagine, un secondo atto di centoventi e un terzo atto di quaranta. Il concetto è che dovrebbe esserci una buona proporzione tra le parti. Non ha senso avere un inizio di dieci pagine, uno svolgimento da duecento e un finale da trenta, per intenderci.

Lo sviluppo, poi, di tante altre tecniche narrative e di numerosi espedienti, dà a questa base la possibilità di trasformarsi. È un po’ come se stessimo parlando di un disegno, il cui schizzo deve avere come origine, per proporzionalità, delle figure geometriche tondeggianti (pensate alla realizzazione di un bozzetto per disegnare un corpo umano, partendo dal viso con un ovale, passando alle braccia con ovali di grandezze diverse e così via). Il disegno finale sarà ricco, dettagliato, vario, quindi non bisogna pensare agli atti come a un limite, ma come un terriccio di ottima qualità nel quale coltivare la pianta dei propri sogni.

Facciamo un esempio, semplice, che possa rendere l’idea:

Un impiegato di banca vive la sua ordinaria vita in maniera assai monotona. Un giorno però, dopo miriadi di vessazioni da parte del suo direttore, si ribella e decide di continuare a lavorare nella sua filiale mettendo a punto, allo stesso tempo, una rapina.

Questa situazione, sviluppata, potrebbe tranquillamente essere un “Inizio” o “Primo atto”. Una situazione normale viene scombussolata da qualcosa e, al momento, il protagonista non ha ancora agito, ma sta pianificando.

Tra un atto e l’altro vi sono i così detti “Turning Point”, dei punti di svolta e di collegamento, in questo caso, tra il primo e il secondo:

L’impiegato, oramai convinto dell’idea di rapinare la banca, si documenta e studia tutto ciò che può essergli utile. Nel frattempo affina il suo piano in ogni dettaglio.

Questo può essere un Turning Point. Un punto di svolta, in questa specifica situazione “preparatorio”, che permette al protagonista di acquisire strumenti che gli saranno utili.

Inizia successivamente il secondo atto, con una fase chiamata “Midpoint” (punto di mezzo): in questa fase il protagonista è messo di fronte alle difficoltà, a tentativi di riuscita che non vanno a buon fine, incontra e si scontra con l’antagonista, vede a volte una soluzione al problema, ma si rivela illusoria. Nel nostro esempio potrebbe andare così:

L’impiegato di banca si rende conto che vi sono sistemi di sicurezza di cui non era a conoscenza. Cerca un “aiutante”, qualcuno di esperto che lo possa aiutare a realizzare il colpo, ma… in questo caso, l’aiutante si rivela anche “antagonista”, poiché questo personaggio prova a sabotare il protagonista per tenersi tutti i soldi.

Nel mezzo, solitamente, c’è un ulteriore Turning Point: sembra che non ci sia soluzione al problema:

L’impiegato scopre il piano del suo antagonista, ma non sa come fermarlo visto che oramai è tutto programmato.

Inizia il terzo atto e si giunge al famoso “Climax”, il punto di più alta tensione emotiva, la scena portante:

Durante il colpo, l’impiegato ha un’illuminazione e mette in atto un piano che gli farà “sconfiggere” il suo antagonista. Visto che voleva fregarlo, lo frega a sua volta.

In questa parte portante, il narratore rivela caratteristiche del suo personaggio che lo renderanno vincente rispetto all'antagonista (come in questo caso) o perdente (dunque si intuisce che l’antagonista avrà la meglio).

La fine, ultimo atto detto anche “Epilogo”. L’epilogo in sé non è obbligatorio, la storia potrebbe rimanere in sospeso e far intravedere diverse possibilità di fine vicenda, lasciare nel dubbio o “far capire che”, senza però palesare con certezza come va a finire.

Se l’epilogo è presente, leggeremo la fine della storia e i cambiamenti che sono avvenuti in conseguenza alle azioni del protagonista. Nella nostra storia, in cui il protagonista, inizialmente un semplice impiegato, si trasforma in tutto e per tutto in un rapinatore (e gli va anche bene), potrebbe finire così:

“L’impiegato ribelle” incastra il suo antagonista e riesce a dileguarsi col bottino. In una scena finale, lo “vediamo” godersi la nuova vita. Non del tutto però, perché sa che vivrà, nel suo caso, da “persona sospetta”, “scomparsa”, “in fuga”. Tutto quel che può pensare è che la sua partenza non passerà inosservata, dunque si domanda come andranno le cose in futuro.

Il senso della storia si fa strada proprio nell'Epilogo. Una sorta di “morale”, in questo specifico caso. Cambia anche l’interiorità del protagonista, poiché non sarà mai più la persona di prima. Nel bene e nel male.

martedì 8 settembre 2020

Dimensioni

eternità dimensioni il cammino lara aversano

C'è un posto, tra la Terra e l'Oceano,  in cui la dimensione della terra e dell'acqua si sfiorano, poi si abbracciano, per diventare infine un tutt'uno.

C'è un posto, tra quel luogo e il Cielo, in cui il bacio del Sole permette all'Aria, alla Terra, all'Acqua, di essere parte dell'Universo tutto e della sua energia.

C'è un posto, accanto a ognuno di noi, in cui l'Amore rende palpabile l'invisibile e così il legame con coloro che abbiamo sempre amato e magari, ora, non vediamo più con gli occhi, resta vivo e nitido, fino a che quegli occhi si incroceranno di nuovo, dando il via all'Eternità.

venerdì 31 luglio 2020

Tutto il superfluo

la spiaggia di the beach

Non credevo di trovare così tanta gente al mio arrivo o forse sì. In realtà non sapevo bene cosa aspettarmi. È così che succede quando una spiaggia, per assurdo, diventa famosa con un film hollywoodiano. Io ero lì per trovare ispirazione, come se andare in giro per il globo potesse farmi superare quel blocco che avevo. Ero un illuso o… forse no. Era un contesto felice e triste al tempo stesso. Pensavo al libro che tanto avevo adorato e che avevo divorato in tre giorni e pensavo al film che in adolescenza mi aveva fatto sognare. L’arte serve anche a questo, a far sognare, ma a volte è come un ossimoro. In questo caso lo era certamente. La spiaggia di Garland non era un luogo reale in cui l’uomo avrebbe messo i suoi sporchi piedi; quella scelta per il film – invece – lo era eccome. Un locale mi disse che non era poi così affollata, che ero stato fortunato, ma si lamentava, preoccupatissimo per le sue sorti. Ora mi sentivo in colpa per esserci andato. Provai a distarmi leggendo un libro, poi mi immersi in quelle acque meravigliose. “Non dovevano farlo” – pensai sott'acqua – “e io non dovrei essere qui”. Scrivere un libro non danneggia un luogo incontaminato, girarci un film si. La cosa più assurda era che avevano scelto davvero un posto che prima non era in pericolo e che adesso, per colpa nostra, lo era. Morale, etica, falsa morale, falsa etica. Il regista era stato bravissimo, non c’è dubbio, anche se come spesso accade i film tratti da un libro non sono all’altezza degli stessi. Sono sincero, davvero, avevo amato quel film, ma adesso la consapevolezza era diversa. Lo era? Ero lì e non dovevo esserci. Era diversa, certo, ma non abbastanza. A mia difesa posso solo dire che volutamente non usai la crema solare, per non lasciare la mia putredine in acqua. Il risultato fu ovviamente una scottatura, ma mi stava bene. Non dovevo essere lì. Un’area protetta, lo è per un motivo. A pensare che un tempo tutta la terra era così incontaminata, il cuore mi si stringeva in una morsa. Mi sentivo troppo in colpa per restare oltre. Mi alzai dopo solo due ore dal mio arrivo e raccolsi le mie cianfrusaglie stando attento a non lasciare nulla di strano in giro. Tornai a Phuket e mi diressi verso la città vecchia, a Thalang Road. Gli edifici sino – portoghesi accompagnavano i miei dubbi: “Forse un’idea ce l’ho”, pensai. Mi sedetti per una pausa a bere qualcosa, in silenzio e solo come sempre. Pensavo a coloro che vedevano in me un maestro nonostante la relativamente giovane età. “Chissà perché…”, mi dicevo. Lei apparse all’improvviso, inaspettata come la forza dei miei sensi di colpa su quella spiaggia paradisiaca. Immaginai il blocco di marmo dal quale sarei partito e al tempo stesso cercai di fissare nella mia testa confusa ogni dettaglio del suo corpo, del suo viso, del suo vestito leggero. Si sedette al tavolino di fronte al mio, ordinò da bere facendosi aria con un volantino e notò che la stavo guardando. Mi sorrise, ma non ebbi il coraggio di rivolgerle la parola. Era troppo, troppo bella per me. Certamente non lo sarebbe stata per tutti, ma per me era incantevole, tanto da togliermi l’abilità della parola.

Tornato a Roma, nel caos, la prima cosa che feci fu cercarla. Andai nel mio laboratorio, scelsi il blocco di marmo migliore e cominciai a togliere tutto quel superfluo che la divideva da me. Vedevo nei miei occhi il colore dei suoi capelli, di un rosso che mi pareva non aver mai visto prima. Vedevo le sfumature delle sue labbra, carnose e dolci. Vedevo la fantasia del suo vestito estivo, blu con dei fiorellini bianchi e l’ambra dorata della sua pelle che al ricordo mi sembrava brillare. Percepivo a ogni colpo di scalpello l’adagio del tessuto sulla sua pelle e mi sembrò di baciarla quando delineato il suo naso imperfetto e grandioso, mi trovai a ripulire la polvere dal suo viso. Era perfetta, l’avevo trovata o… forse no.

sabato 18 luglio 2020

Jack Kerouac: perennemente "Sulla strada"


Jack Kerouac
Quando si parla di Beat Generation è impensabile non parlare di "On the road", titolo originale di "Sulla strada" di Jack Kerouac. Anche perché l'espressione Beat Generation l'ha creata proprio lui, che però la intendeva in modo molto diverso da come è stata poi sentita e vissuta dalla maggior parte degli scrittori del movimento. Per Kerouac "beat" era "beato", aveva un significato spirituale. Per molti degli altri invece era un termine politico, cosa che Kerouac non considerava minimamente. Quando lessi "Sulla strada" capii al volo perché mi era stato detto che una persona che scrive lo deve assolutamente leggere. Jack Kerouac ha messo a nudo parte di sé stesso con questo libro, portando i suoi personali viaggi, le sue avventure sulla strada e le sue emozioni, negli occhi e nelle dita dello scrittore Sal. Rilevante quanto il protagonista è anche Dean, il più folle della situazione. Sono bastate pochissime parole a Kerouac per far capire che tipo fosse il caro Dean, ma questo in realtà vale per qualsiasi altro personaggio. Poche parole, dicono tutto. Partendo dai suoi appunti di viaggio, Kerouac ha scritto quest'opera nel giro di tre settimane. Tre settimane per un capolavoro intramontabile. Dean, nella vita reale, era lo scrittore Neal Cassady che pubblicò nel 1971 il suo "The First Third", in cui racconta tutta la sua storia (la prima edizione italiana fu pubblicata nel 1980 con il titolo di "Vagabondo" e la successiva fu nel 1998 con il titolo modificato in "I Vagabondi", n.d.r.). Se rimarrete affascinati dal personaggio di Dean e volete saperne di più, vi basterà leggere tutta la sua storia in questo libro che Neal scrisse tra il '48 e il '54. Kerouac ha uno stile unico, inimitabile, Kerouac. "Kerouac" usato come aggettivo per definire lo stesso autore è il modo più semplice e vero di descriverlo. Dovete leggerlo se non lo avete fatto o non potrete capire cosa intendo. Aveva un viso da attore hollywoodiano Jack, uno sguardo parlante e un "je ne se quoi" che mostrava in sostanza quel che scorreva nelle sue vene. Un po' di Francia, un po' di Canada, un po' d'America, un po' di questo e quello: ingredienti mescolati a regola d'arte. Così come la bellezza di un'infanzia felice, trascorsa "correndo giorno e notte per i campi e lungo le banchine del fiume", mescolata alla tragedia della perdita prematura del fratello proprio negli anni della fanciullezza. Fu proprio Jack a parlare di questo ossimoro: un'infanzia serena, ma colpita a fondo da un dolore come pochi. A soli undici anni scrisse la sua prima opera e non si fermò più. Era brillante, ottimo anche negli sport tanto che grazie a questi ottenne anche una borsa di studio. Tra la crescita in un ambiente cattolico e le vicissitudini familiari (tra cui anche i problemi del padre e poi anche della madre con l'alcool), a un certo punto Jack riuscì a spiccare il volo incontrando persone che sarebbero state importanti per tutta la sua vita. Nel '43, dopo 10 giorni di partenza per il servizio militare, gli fu diagnosticata una forma di schizofrenia per la quale fu definito "non pericoloso" - né per sé né per gli altri - ma che di certo non lo aiutò, soprattutto quando iniziò a bere e a fare uso di droghe. Nel '44, con l'incontro tra Kerouac, William S. Burroughs e Allen Ginsberg, nacque la base del movimento della Beat Generation. Fu dopo la morte del fratello Leo e la conseguente ulteriore sofferenza che Jack incontrò il giovane Neal, nel 1946. Jack aveva già avuto le prime conseguenze dovute all'abuso di droghe, ma a quanto pare poco gli importava. Viaggiò con Neal a lungo, scrisse e pubblicò "La città e le metropoli", visse come un “hobe” (termine usato per definire coloro che viaggiavano volontariamente con uno stile di vita da senzatetto) e poi con molti altri, in un avanti e indietro continuo tra avventure ed eccessi. Nel '51, tornato a casa dalla moglie, Kerouac finì "Sulla strada", fino a quel momento solo abbozzato in una prima stesura iniziata nel '48. Nel tempo sopracitato, con quella che definì essere la sua "prosa spontanea", mise ordine ai suoi appunti e definì quello che al tempo non fu solo un capolavoro letterario, ma un vero pugno in faccia a coloro che non volevano ammettere quanto la realtà fosse diversa dal classico sogno americano propinato a tutti. Dopo due giorni mise fine al suo matrimonio, durato solo sei mesi e iniziato fondamentalmente perché lei era rimasta incinta e non perché fosse un grande amore. Continuò a viaggiare, sperimentare, esagerare, lavoricchiare e scrivere. Nel '52 nacque sua figlia Albany, ma a causa delle sue dipendenze non riuscì a garantirle sempre il mantenimento dovuto. Albany ebbe una vita davvero difficile e morì a 44 anni per abuso di stupefacenti. Dire che la vita di Kerouac è stata caotica e tormentata, è ancor poco e se volete saperne di più vi consiglio di approfondire. Pubblicò comunque altre opere ed ebbe un periodo sereno intorno al 1955, ma non durò molto e l'anno dopo già era ripiombato nell'abuso di alcool e sostanze. Anche l'arrivo del successo con la pubblicazione nel '57 di "On the road", non lo aiutò a smettere di autodistruggersi. Tra il 1944 e il 1966 si era già sposato tre volte. Dopo altre pubblicazioni, declini, tentativi di risalita e nuovi declini, l'avvicinamento al buddhismo, i periodi a casa con la madre, poi di nuovo da solo, il viaggio in Italia, il ritorno dalla terza moglie... accadde quell'ultimo fatto che lo distrusse definitivamente: la morte dell'amico Neal, nel 1968. Se prima di allora non aveva dato limiti alle sue dipendenze, da quel momento in poi si può tranquillamente dire che cercò la morte in tutti i modi. La morte lo accontentò il 20 ottobre del 1969, raggiungendolo in maniera cruda, sanguinosa, sofferente, come lo era stata la sua intera strada. Provate a immaginare, voi che ancora non l'avete letto, cosa può un autore di così tanto talento, un tale genio e un tale tormento vivente, aver trasmesso nella descrizione di quei viaggi e soprattutto in che modo può averlo fatto. È Kerouac, se non lo leggi non lo sai.

sabato 11 luglio 2020

Il racconto e i suoi segreti (parte prima)

scrittura, racconto

Non tutti si chiedono da dove derivi il termine "racconto". Facendo una veloce ricerca però, vi renderete conto che è facile capire da dove venga questa parola. Riassumendo l’interessantissimo contenuto proposto da “Una parola al giorno” (cliccate per approfondire, consiglio la lettura integrale dell'articolo), l’etimologia di questo termine è davvero particolare. “Raccónto” da “raccontare” contiene in sé “contare” nel senso di “narrare”, collegato a sua volta a “computare” (latino) e rafforzato dal prefisso -ra.

Questo “computare” significa “contare” e nella nostra concezione è una parola apparentemente lontana per significato dalla narrazione. In realtà, come vedrete dal sito sopracitato che ha fatto l’esempio perfetto per rendere il concetto (e lo riporto così com'è) se parliamo di un “contaballe” sappiamo che si intende una persona che racconta bugie e non che le conta. Il legame sta nel fatto che il racconto è una narrazione calcolata; in parole semplici potremmo dire “inventata e organizzata”. Lasciamo ora questo aspetto, ma ribadisco, leggete se potete l’intero testo pubblicato dal sito da “Una parola al giorno” (link home).

Il racconto è una forma letteraria fenomenale. Da molti sottovalutata, è in realtà un ottimo modo per allenarsi a scrivere e migliorare, fino a che magari – dopo diversi racconti – potreste riuscire a creare un libro che li raccolga o trasformare uno di questi racconti in un romanzo, perché no? In scrittura creativa esistono molti esercizi che puntano a far sviluppare aspetti necessari alla stesura di un racconto e dunque anche di un libro intero. In effetti, il racconto, ha tutte le caratteristiche di una narrazione più lunga. La differenza è che essendo necessariamente più breve è anche strutturalmente più semplice.

Rispetto al romanzo, il racconto avrà meno personaggi e forse solo uno, se non nessun personaggio secondario. Sarà concentrato su un evento in particolare e di conseguenza non avrà sottotrame interne (o sarebbe un gran casino per il lettore!) e anche a livello temporale e spaziale sarà più limitato: non possiamo scrivere un racconto che comprenda anni di storia (possono essere ore, giorni, pochi mesi) e non possiamo parlare di troppi luoghi diversi o confonderemo il lettore.

Certamente molto fa la lunghezza del racconto stesso che, a livello tecnico, ha una suddivisione di questo tipo:

  • “Flash story” o “racconto brevissimo”
  • “Racconto breve”
  • “Racconto"

Alcuni dicono che un racconto possa arrivare sino a 20.000 parole, altri che debba fermarsi sotto le 8.000. In realtà credo che al di là della suddivisione sacrosanta e generale, la lunghezza possa variare per il “racconto” anche di molto, ma ciò che lo rende un racconto è soprattutto la struttura, come è impostato, qual è il suo fine. Storicamente però, è bene approfondire – leggendo e studiando – i racconti dei più grandi scrittori (ne vedremo alcuni).

Tantissimi scrittori che conosciamo - di libri anche lunghissimi - hanno sperimentato per tanto tempo e iniziato la propria carriera con la stesura e pubblicazione di racconti. Un tempo, se avete studiato un po’ la storia della letteratura lo saprete già, esistevano anche i racconti lunghi o romanzi brevi “a puntate”, pubblicati su giornali quotidiani (non dunque su riviste specializzate). Che bei tempi, aggiungo. 

L.A. Editing&Digital Marketing

mercoledì 8 luglio 2020

Giornalismo e Web: i fondamentali per iniziare

giornalismo e giornalismo web

Scrivi da un po’ e hai sempre sognato di collaborare con giornali online? O semplicemente vuoi aprire o hai aperto un blog che tratta di attualità piuttosto che di uno specifico argomento? (cucina, moda, fotografia, tecnologia etc.) Allora dovresti iniziare a studiare prima di tutto alcuni aspetti del giornalismo stampato.

Comune a ogni tipologia di scrittura è l’importanza di farsi capire. A differenza delle epoche passate, il lettore è sempre al centro e nel giornalismo ancora di più. In ambito giornalistico bisogna lasciare da parte tutto ciò che è superfluo e concentrarsi sul dare al lettore le informazioni o le risposte che cercava quando ha iniziato a leggere un determinato articolo. Si dice che per scrivere da giornalista sia necessario fare una sorta di “Rivoluzione Copernicana” poiché, come sopra detto, il lettore è tutto: è il nucleo, il punto fermo per chi scrive. Inoltre, chi vuole scrivere da giornalista, deve essere a conoscenza delle dieci regole fondamentali riportate di seguito.

La concisione: non divagare, non distrarre il lettore dal fulcro dell’articolo, non dare spiegazioni superflue e non rievocare fatti e/o concetti non essenziali per la tematica centrale. Inoltre, importantissimo è non scrivere in 30 parole quello che puoi scrivere in 20 e una volta raggiunte le 20 parole tentare di ridurle a 15. I lettori cercano l’informazione immediata, sul web ancora più che sulla carta stampata.

La precisione: attenzione ad utilizzare le parole con il giusto significato. Capita a volte di usare una parola con la convinzione che il termine voglia dire una certa cosa, ma poi controllando, si scopre che quella parola potrebbe non essere la più adatta, dunque non è precisa. La precisione è poi naturalmente necessaria nelle informazioni che si stanno trasmettendo e ovviamente nella correttezza grammaticale e di sintassi.

La semplicità: è il punto d’arrivo per un buon articolo. Scrivere in modo definito, chiaro, netto, senza troppi incisi e rimandi. Evitare, come per ogni buon testo, le ripetizioni ed evitare tecnicismi e complicanze inutili.

L'originalità: di fondamentale importanza è anche la ricerca di un proprio elemento distintivo, di una propria caratterizzazione e dunque di una personalizzazione degli scritti. Questo vale anche per la rielaborazione di notizie (ad esempio pubblicate in precedenza da un’agenzia stampa).

L'ascolto: nel giornalismo, è sostanziale ascoltare. Ascoltare gli altri giornalisti e aspiranti tali, ascoltare e documentarsi riguardo a tutte le notizie e informazioni disponibili e, nel frattempo, se possibile confrontarsi con altre persone.

La correttezza: citare le fonti ed essere trasparenti.

Il coraggio: molto semplicemente, il coraggio di difendere le proprie idee e opinioni.

Il rispetto: per tutti, sempre.

L'onestà: onestà intellettuale e nei confronti delle persone con le quali ci si confronta ogni volta.

La tempestività: in un mondo che corre veloce, la tempestività è essenziale, ma attenzione: tempestività non significa scrivere un articolo con atteggiamento precipitoso, anche perché non avrebbe la qualità desiderata. 

L.A. Editing&Digital Marketing