venerdì 14 aprile 2023

“Mayday”: il Positive Punk dei Crancy Crock

 

copertina album Mayday Crancy Crock

Siamo ad aprile, è vero, ma io ancora mi sento felice se penso al 20 di Gennaio, una serata in cui i Crancy Crock hanno festeggiato i loro venticinque anni al Joe Koala di Osio Sopra (BG). Avevo già ascoltato il loro album, prima di sentire le belle novità anche dal vivo e, nel frattempo, direi che me lo sono mangiato, anzi, “smangiato” (fra un po’ il cd va in sciopero per “abuso d’uso”). Quella sera i ragazzi hanno riportato sul palco la loro storia: la gente era letteralmente impazzita (“la gente giusta”, come ha commentato Dario); salti, pogo, persone che volavano riuscendo a sfidare la forza di gravità, mani alzate, sudore e mancanza d’ossigeno (le pareti protestavano, era il pubblico a comprimerle, non viceversa). Alla fine, coi Crancy, è sempre una grande festa. Poi bisogna dirlo, Crancy Crock e Totale Apatia sono veramente e sinceramente una grande famiglia, di quelle belle davvero ed ogni volta che si trovano insieme, che sia per seguirsi a vicenda o per suonare, “si fa il botto”; non solo con l’energia e la musica, bensì con il bene vero che ci si vuole, le risate, le prese in giro, il dire, a fine serata: “No, ma non lo so cosa è successo stasera”, perché va sempre talmente bene l’accoppiata che succedono cose stupende. E quella sera la sezione ritmica dei Totale Apatia (Cresta e Ringhio) è salita sul palco per la versione Crancy di “Giorni Storti” (poi ci arriviamo). A me i Crancy sono sempre piaciuti, ma devo dire che ho apprezzato in modo particolare gli ultimi due lavori. Il penultimo “Ci vuol partecipazione”, album live registrato durante il Bergamo Strange Music Fest e, rullo di tamburi, quella meraviglia di “Mayday” (clicca per ascoltare). E qui arriviamo al succo.

“Positive punk”: ho deciso di coniare questo termine per i Crancy e per il loro “Mayday” perché l’album è pieno di carica positiva. Dirlo così è persino riduttivo, bisogna ascoltarlo ed è uno di quegli album che più li ascolti e più li ami. Se siete in un periodo scarico, negativo o triste, ascoltate “Mayday” ogni giorno come se fosse una prescrizione medica, perché – seriamente - sarà la vostra medicina. La prima traccia è “Basta piangere” che affronta a muso duro e dolce al tempo stesso le situazioni di stallo. “Basta piangere, basta lamentele. Ti sei trovato in trappola nella tua stessa rete”. A volte pensiamo di essere troppo stanchi, mentalmente oltre che fisicamente, per affrontare le sfide che la vita propone. In realtà, se ci fossilizziamo su questo, è come chiuderci in trappola da soli. Dunque “Niente tristezza, che è solo fine a sé stessa e dona a chi ti parla la superiorità”; si, perché poi, se non reagiamo come Rocky Balboa ai colpi incassati, se non ci rialziamo, diventa tutto un loop e poi arrivano pure i sapientoni a farti la morale (c’è sempre il sapientone/finto guru che vuole dirti come stare meglio quando hai un periodo buio. Peccato che di solito non sa nemmeno di cosa parla, perché nemmeno ti chiede come stai). Pone poi l’attenzione su quelle persone che diventano un po’ vittime di sé stesse, ma non si fanno mai le domande giuste. A volte le persone si sentono bersagli della vita, senza rendersi conto che – certo, molte volte accadono cose spiacevoli indipendentemente da noi – ma a volte, è proprio l’atteggiamento mentale che si mantiene a portare tristezza, rabbia e frustrazione. Bisogna prendere in mano la propria vita, lavorare su sé stessi, è questo il suggerimento del pezzo: cambiare, crescere, per fare del bene a sé stessi, alla propria esistenza e a coloro che abbiamo intorno e vicino. Arriva dunque l’esempio del “narratore”: “Non credi più alle favole, non credi più ai tuoi sogni, ma è un cambio di mentalità. Seppur colpito spesso, non hai mai smesso di credere in te stesso.” Per quante botte arrivino, tu rialzati sempre e credi in te. È una cosa che si può imparare o reimparare, non è necessariamente innata, anzi. Infatti anche Dario, nel testo, lo fa presente: “Io sono cambiato, tu puoi fare altrettanto. La strada stavolta la detta il tuo istinto. Alimenta quel fuoco che ti brucia dentro. Col muso nel sangue, sempre più infelice, la rabbia nel sangue dà forza alla voce. Adesso alza la testa, ne sei nato capace.” La rabbia nel sangue dà forza alla voce”: una delle frasi più belle dell’intero album. Contiene tanta, tanta, tanta roba. Musicalmente allegra, di un punk rock della più bella scuola, unisce alla base punk rock l’apertura di contaminazioni ben piazzate. “La guerra delle lancette” è un bel “quadro futurista”, uno sguardo alle lancette che scorrono, a tutti noi che sfiliamo e ci defiliamo come particelle impazzite; i giorni si susseguono uno dopo l’altro, togliendoci l’opportunità di vivere davvero gli istanti. All’inizio del brano, si sente subito nelle chitarre, quel tempo che scorre “uguale”, ma si sente anche il “suono di contrasto” che questa cosa non la accetta mica tanto e quindi via, la batteria inizia con il suo di tempo e Pongo conduce col basso di Gio alle varie dimensioni sonore delle chitarre di Dario e Toma, dal punk all’hardcore con tratti di colore che riescono a raccontare con la musica, come se fossero colonna sonora di sé stesse, le emozioni e le idee che il messaggio va a scaturire. Una narrazione in toto, testo e musica, in una miscela perfetta. Il tempo vola via e noi lo stiamo quasi a guardare. Quel che fa “La guerra delle lancette” è esortare il pubblico a non darla vinta a tutta questa frenesia. Dobbiamo lavorare, dobbiamo fare un sacco di cose, è vero, ma se lo desideriamo veramente, basta aprire un po’ gli occhi per rendersi conto di quanta meraviglia si può ottenere dalla vita, a partire dalle piccole cose, fino a quelle più importanti. È tutta una questione di coraggio in fondo, perché non è semplice fare i conti con sé stessi. Ci vuole, per forza, il coraggio: quello per ritrovarsi nel caos, quello che serve ad assaporare le cose genuine, vere ed anche la forza di volontà per ritagliarsi sempre un pezzetto di tempo per fare quello in cui crediamo: “Per non sprecare il tuo talento, cambia passo e vai più lento, ce l'hai il coraggio? Trovalo! Senti il sapore di ogni istante, osserva tutto attentamente, il tempo - un giorno - nacque libero! Il giorno nacque libero!”. E con quest’ultimo verso del ritornello, direi che non c’è altro da aggiungere.

Quello di quest’album è un punk rock gustoso, che fa riflettere senza pesantezza, che dona sempre all’ascoltatore uno spunto per darsi la carica e dirsi “Ma sai che questi ragazzi hanno proprio ragione?”. I Crancy del resto sono allegria pura, dei padri di famiglia che hanno saputo mantenere negli anni il gusto del gioco e la genuinità; al giorno d’oggi non è affatto scontato essere così. Sono sempre ragazzi, anche se uomini e sono sempre uomini, pur se ragazzi. E cosa significa essere un uomo secondo voi? Con “Mayday”, il brano di punta che dà il titolo all’album e primo singolo, i Crancy Crock ci dicono chiaramente cosa non è, un uomo. Di sicuro, un uomo non è tale per “la voce grossa” o perché fa “un’offerta da bravo cristiano, ma senza il coraggio di guardarsi in faccia”. C’è questa grave malattia nell’uomo, la violenza, che sembra dare a questi soggetti un senso di onnipotenza come dicono i Crancy stessi, ma alla fine si sa: “A volte sembra invincibile, ma tutti sanno che il mostro, alla luce del giorno, ha paura di me!”.  Ed è esattamente così: c’è un’enorme codardia nella violenza. “Mayday” richiama fortemente il tema della violenza sulle donne. Certo, il brano è contro ogni forma di violenza, ma credo che l’intento fosse mettere l’accento su quanto siano schifosi, codardi, insulsi, tutti quegli uomini che fanno del male, psicologicamente e fisicamente, alle loro compagne, fidanzate, mogli, figlie, sorelle. In quel che dovrebbe essere un circuito protetto e pieno d’amore, compare il mostro. Ricordate quel segno con la mano che è girato molto sui social e serve proprio per segnalare una situazione di pericolo? Se non ve lo ricordate, andate a rivedervelo e soprattutto, non siate indifferenti. Potrebbero usarlo una donna, un bambino o una bambina in pericolo, un uomo in difficoltà. Quel segno, è un “Mayday”: “Hey hey! È il mio turno per vincere, non stare a guardare, mentre lancio un altro Mayday!”.

Credo di poter star tranquilla nel paragonare i brani di quest’album e l’attitudine dei Crancy ai migliori Punkreas. In “Mayday” si sente più che in altri pezzi, questa bella scuola. “Un nuovo giorno”, ancora una volta ci esorta a prendere il controllo delle nostre vite. A volte “l’ospite nella nostra mente” è proprio la nostra incapacità di aprire gli occhi. La vita è una ed anche se a volte rischiamo seriamente di perderci, c’è sempre la possibilità di “stupirsi” ed evitare di perdersi senza ritorno. Lo stupore, la meraviglia, fanno del bambino un essere umano meraviglioso per natura e di un adulto che li sa mantenere un essere umano saggio. Vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Sembra solo una frase fatta ragazzi, ma è vero. Ogni giorno è prezioso, ogni momento. E attenzione! “Assaporare ogni momento non significa esser spento!”, vale a dire: non è che devi spegnere il cervello per vivere ogni momento come se fosse l’ultimo. Vivere non è questo. Passare il tempo a “non respirare”, non è una buona idea: “È un nuovo giorno, l'unico giorno che ho. Un nuovo giorno, è l'unico. Immerso in un istante, lentamente si migliora. Lasciare andare ciò che è stato e respirare ancora.” Tutto questo album affronta temi importanti, con un’attitudine tale da renderlo un mega inno alla vita. Questo brano è uno di quelli da imparare a memoria per cantarlo ai concerti a squarciagola. Così come “Vero”, di cui è uscito anche un bel video il 13 Marzo. Non servono grandi effetti speciali per fare un video genuino e significativo. E il video di “Vero”, così come il pezzo, è veramente pregno di significati. Il brano è una spinta, una carica, un “tu puoi”. Riprendendo un po’ il concetto di Rocky a cui ho fatto riferimento in precedenza, mi viene da proporvi la classica, ma efficace immagine della vita rappresentata da un ring: combattere, mettere all’angolo i “propri fantasmi”, raccogliere l’energia” ed iniziare a correre a braccia e cuore aperti verso i propri obbiettivi, senza curarsi di coloro che non capiscono e non capiranno mai: “I pregiudizi come cera si sciolgono e appare quello che presto tu diverrai. Il tuo fantasma è sconfitto in un angolo. Salta e spicca il volo”. Non importa cosa dice la gente, cosa pensa. Se ci sono soggetti che si permettono di giudicarti o di parlar male di te, mandali a fanculo e non starci nemmeno male perché come mi ha detto un caro amico un giorno “se qualcuno parla male degli altri è perché non può parlar bene di sé stesso”. Nel video, il grande esempio è quello della disabilità ed è vero, da molte di queste situazioni dovremmo imparare, ma so per esperienza – soffrendo di una malattia cronica dolorosa in forma molto severa – che non è semplice far comprendere quanto sia fondamentale il messaggio di questa canzone (e tutto quel che ne consegue) per sopravvivere a certe cose. A volte davvero, le persone passano il tempo a rimuginare su problemi per i quali basterebbe crederci, credere un po’ di più in sé stessi “per spiccare il volo”. Dunque, se i problemi che avete sono risolvibili e siete in perenne paranoia, pensate a quante persone ogni giorno combattono problemi non risolvibili e riescono comunque a raggiungere piccoli e grandi obbiettivi, a fare piccole e grandi conquiste. Mettetelo in un angolo, il fantasma di voi stessi. E se avete di bisogno di una spinta, anche qui, ascoltate tutti i giorni fino allo stremo “Vero” e vedrete che vi entrerà in testa.

E poi (e anche qui ci vorrebbe un rullo di tamburi… Alby, dove sei quando servi!?!) c’è "Lacrime di cemento". “Lacrime di cemento”, “Lacrime di cemento”, “Lacrime di cemento”: lo sentite, il peso?

Scrivere e comporre un brano su una tale tragedia e non finire, anche non volendo, nella banalità, nella gaffe, nell’eccesso in un senso o nell’altro, è estremamente difficile e i Crancy Crock, hanno fatto un lavoro eccezionale: non è melodrammatico, è tragico. Non è banale, è reale. È genuino, è forte, crudo, è una carezza a chi è restato ed è un pugno sulla mascella per chi se lo merita. Questo pezzo, per chi non lo sapesse, riguarda il crollo del ponte Morandi. È stato scritto e composto in onore delle sue vittime ed è un urlo, una richiesta di vera giustizia (certo non quella che vediamo tuttora a riguardo). Il timbro deciso, le sfumature fatte di una poetica dolce, il ritmo incalzante del punk rock. Punk-Rock, ci tengo a sottolinearlo perché ahimè molte persone confondono il punk e il punk rock. Non è la stessa cosa ragazzi/e. Il punk è punk, il punk rock è punk rock e in un brano come questo, più che in altri, è bene sottolinearlo perché fa la differenza dal punto di vista espressivo, emozionale. La fa o dovrebbe farla sempre, ma essendo l’argomento particolarmente difficile e delicato, ho preferito mettere i puntini sulle “i”.

E infine (non sono andata in ordine di tracce, fa niente?) arriviamo a “Giorni storti”, omaggio dei Crancy Crock ai fratelli Totale Apatia. A proposito, prima di parlare del brano, sappiate che il 22 Aprile Crancy Crock e Totale Apatia torneranno sullo stesso palco al Disaster di Crema (link evento e info qui) e davvero, non si può perdere una serata così. Dicevo di “Giorni Storti” ed anche qui mi torna la voglia di urlare a gran voce “Positive Punk!”. Perché? L’avete notata la piccola modifica del testo a inizio brano? No? Ok, allora anziché dirvela fate così: andate ad ascoltarvi l’originale dei Totale Apatia, pubblicato nell’album “Generazione di Fenomeni” nel 2015 e poi andate ad ascoltarvi la versione dei Crancy Crock. Io trovo che sia stato meraviglioso quel tocco. Meraviglioso e all’insegna ancora una volta della positività. No, non ve lo dico! Ve lo andate ad ascoltare! L’originale dei Totale Apatia è stupenda, ha un approccio diverso perché è ovviamente stata scritta con intenti diversi, dunque come fare a renderla propria? L’hanno fatto e davvero alla grande. Velocizzata di un bel po’ rispetto all’originale, è – in questo caso – più punk che punk rock. C’è poi un’altra chicca (questa ve la dico, l’altra no, no, no) che riguarda sempre una modifica nel testo. Sorrido pensando a persone che sull’associazione di pezzi di cui vi sto per parlare hanno creato persino delle leggende metropolitane. “Facce tristi”, Crancy Crock, pubblicazione del 2006 riproposta in forma rinnovata e live in “Ci vuol partecipazione” (2021). Un brano musicalmente e anche per il testo completamente diverso da “Giorni storti”. Entrambi pezzi fantastici e molto amati nei repertori delle due band. Si narra che un dì, i due autori di testi, stessero parlando della sorta di assonanza di concetti che c’è tra i due titoli Facce tristi – Giorni storti e in effetti questa chiacchierata c’è stata, una chiacchiera tra amici, l’empatia, musicale e personale, in sostanza. Nella versione di “Giorni storti” dei Crancy Crock, troviamo un bel “Facce tristi” cantato a squarciagola che è letteralmente perfetto. Chi segue i Crancy se ne sarà accorto subito, però magari si è chiesto il perché di questa “associazione”. Beh, ora lo sapete. Alla registrazione del brano ha partecipato anche Russu, dei Totale Apatia. L’idea iniziale era quella di fare uno scambio brani per cui entrambe le band avrebbero rifatto un brano dell’altra e l’avrebbero inserito nel “primo album in uscita” dopo che ne avevano parlato. Ahimè i Totale Apatia avevano progetti che si sono dilungati e sono stati posticipati nel tempo per diversi intoppi esterni, dunque la loro versione di… chissà quale sarà il pezzo? non è ancora arrivata, ma intanto… potete godervi questa fantastica versione dei Crancy Crock di “Giorni storti”. Mi auguro davvero di sentire al più presto un brano dei Crancy Crock rifatto dai Totale Apatia, perché l’affetto, la stima, tra queste due band, è davvero cosa rara.

Crancy e Totale vi aspettano il 22 aprile e qui sotto tutti i link per rimanere sempre aggiornati. Al prossimo live!

Facebook - Crancy Crock

Instagram: @crancycrock

Website: www.crancycrock.it




sabato 25 febbraio 2023

Priorità ✔

Fare un'analisi degli elementi.
Trovare il jazz. Vivere il rock.
Fissare il tempo traditore e prenderlo in giro.
Amare il tempo prezioso e con lui danzare.
Sentire la temperatura di un'opera,
strappare fuori dal cassetto tutti i sogni.
Notare le sopracciglia quando sono stanche
e gli acquazzoni di emozioni.
Percepire le dita come se fossero su un piano, quando battono i tasti.
Ascoltare un pezzo gustoso, 
mangiarlo a gran morsi e farlo tuo.
Definire "vagabondo" e "corteccia".
Ridere di sé, piangere di sé, ridere di sé.

venerdì 3 febbraio 2023

Yokoano: "Il mio cielo nero" e "La musique" que "creuse le ciel"

Il 27 Gennaio è finalmente uscito l'atteso nuovo singolo degli Yokoano, "Il mio cielo nero".  Il 27 Gennaio. Ed io, che sarò presa pure per matta magari, ho visto un certo peso persino nella data di uscita (personale interpretazione, chiaramente).

Le sonorità di questo brano mi fanno venire i brividi. Ammetto di aver pianto più di una volta ascoltandolo. Come ho scritto anche a Dani (Dani, "Danno", Daniele Marceca, ammettendo che non conosciate lui, la sua carriera venticinquennale e la meraviglia degli Yokoano, visto il variegato pubblico di questo blog... andate, cercate, ascoltate.), "ho immaginato le persone, i visi sporchi di polvere, la fame e la Fame, lo sguardo al cielo, la consapevolezza, la speranza, la rabbia, le domande, il senso di abbandono" proseguendo col dirgli che la trovo "Dolce-onesta-cruda-toccabile al tatto" e che "i 7 cuori", posti come commento sulla pagina Instagram, degli Yokoano non erano casuali. E non lo erano (pian piano, ci arrivo...). Non ne abbiamo parlato però, nei termini in cui ne sto per scrivere ora. Quel che è arrivato a me, quello che ho pensato, visto, sentito, eccolo qui.

Dario, Fry, Mattia. Nel dare vita agli Yokoano, Dani, non poteva trovare compagni di viaggio migliori. Un mix perfetto di provenienze, esperienze, poetiche diverse e che al tempo stesso hanno così tanto in comune. Il pezzo è evocativo, molto. Come ogni brano di grande valore, può essere recepito in tanti modi diversi, a seconda di chi ascolta, di chi sente. Così è con tutta l'arte. Così è per un dipinto, una fotografia, una poesia, un libro intero. In questo brano vedo mille storie, tanto che potrei mettermi a scrivere un libro di racconti che le racchiuda tutte; sarebbero profondamente diverse e profondamente simili. Quante volte vi siete domandati: "Perché succede questo (a me, al mondo...)? Perché l'umanità è capace di così tanto odio? Cosa c'è, oltre questo cielo? E se c'è qualcosa, qualcuno, ci ha forse abbandonato?". Queste domande se le può porre chiunque abbia provato una qualche forma di dolore o chiunque, in ogni caso, non riesca ad essere indifferente rispetto a tutta la merda che ci circonda. In questo brano, io, però non vedo la storia di un singolo individuo o meglio, ce la vedo, ma in quanto Essere Umano. Può perfettamente vestire le esperienze di vita di molte persone, ma le lacrime che vedo qui dentro, sono tanto tragiche e crude da rendermi inerme di fronte alla bellezza del messaggio che mi arriva e terrorizzata per il sangue che contiene, come l'involucro di tutte le vite che sono e sono state spezzate, annullate, calpestate, da esseri che certo non si possono definire umani.

Il 27 Gennaio, pensavo, era proprio il giorno della memoria. Lo è ogni anno, da tanti anni. Ogni volta le immagini, gli "speciali in tv", le testimonianze, "i discorsi", ricordano quanto è successo. Beh, in questo brano vedo la potenza, grandiosa, di un "mi metto in quei panni" e "cosa avrei pensato/ sentito, cosa mi sarei chiesto?". Anche se è solo nella mia testa, non fa niente, il fatto è che mi ha portato a pensare a questo. E questo, va poi al di là della Shoah stessa, perché ahimè l'umanità non ne ha mai abbastanza. Prima e dopo nella storia, in passato ed oggi, nel presente.

"Dicono che sia importante restare liberi, ma il padre (o Padre?) delle mie memorie" (quante memorie, storia, speranze e fede, aveva il popolo ebraico?), mi ha dato buca all'improvviso"; provate a pensarci: non è la cosa più umana del mondo questo senso di abbandono? anche per chi, come il popolo ebraico, aveva ed ha una solida e storica memoria del divino? "E dicono che sia importante restare liberi dentro, ma libero è il dubbio del passato che è padre di chi ti ha abbandonato". È il grido di dolore di ogni uomo, donna, bambino, bambina, anziano ed anziana, morto o sopravvissuto, nel dirsi che solo se si è stati abbandonati, è possibile accadano certe cose. "Ed io, io non so niente di questo cielo, non so niente di questo cielo nero, non so niente di questo cielo. Ed io, io non so niente di questo cielo, non so niente di questo cielo nero, non so niente di questo cielo...". Cosa sappiamo? Cosa sentiamo? Cosa vediamo intorno a noi? Anche l'abitudine è orrore. Ho immaginato il viso di un ragazzino o di una ragazzina, i capelli quasi rasi, il volto sporcato dalla sofferenza e dalla fame, con degli occhi così belli, di un azzurro ghiacciato, ma così tristi e pregni di lacrime, seccate, perché di lacrime non né aveva più; l'ho immaginato/a col viso verso il cielo, non molto distante dal filo spinato, con la speranza di un bambino e la consapevolezza di uomo: "Sopravviverò? Morirò qui? Qualcuno ci aiuterà?". "E dicono sia la madre del coraggio, quell'infinita corsa al colle della paura": sarò pazza, ma io qui vedo il coraggio e la dignità, anche quando la dignità qualcuno te la distrugge, di andare incontro alla morte. E dio, quanto vedo quelle fosse e quei corpi. Così come vedo in tutto ciò la storia che in un modo o nell'altro continua a ripetersi (guardate, cosa abbiamo attorno... quanto c'è di diverso...?). "Ma il padre delle mie memorie,  mi ha dato buca all'improvviso. E dicono che sia importante restare liberi dentro" e si, dico, ma "provaci tu", sembra dire implicitamente  qualunque sia la reale ispirazione del brano. E di nuovo quel dubbio, che spacca l'anima: "ma libero è il dubbio del passato, che è padre di chi ti ha abbandonato. Ed io, io non so niente di questo cielo, non so niente di questo cielo nero, non so niente di questo cielo. Ed io, io non so niente di questo cielo, non so niente di questo cielo nero, non so niente di questo cielo". Non so niente, di questo cielo, ripete. Non so, niente, di questo cielo. Solo so che è nero e che "Non vedo niente oltre a questo cielo". E di nuovo, il dolore più profondo, la perdita della speranza, anche della più piccola, infinitesimale, che quel ragazzino potesse avere o che quella giovane madre, può aver perso nel deserto o in mare (e tornano "Le Onde" in questo senso) e… quel ragazzo di vent'anni che non sa perché, ma sta combattendo una guerra che non ha mai voluto, perché le guerre non le combattono mai coloro che scelgono di farle. E quel padre che si trova improvvisamente senza famiglia, in chissà quale luogo del mondo in cui mitragliatrici, terroristi, mercenari, arrivano e fanno fuori chiunque, lasciando brandelli di persone, esseri umani, al loro passaggio. Sono così tanti, gli orrori del mondo. E Dani poi lo grida, lo sfogo di quel ragazzino dagli occhi di ghiaccio, di quel ragazzo, di quella madre, di quel padre. Lo urla al cielo, con quella voce unica e meravigliosa che ha. "Dicono che sia importante" è anche il sottofondo della prima parte nel ritornello finale e poi, ancora un grido di dolore e di rabbia, uno sfogo, un "Perché?". "Non vedo niente oltre questo cielo". La culla musicale di queste parole, quasi protegge, la memoria di quel ragazzino, come a chiedere di non fare solo "speciali e discorsi", bensì di mettere la parola fine una volta per tutte, all'orrore che è "l'abitudine del mondo". Faccio un bel respiro, ci vuole. Penso che la primavera arriverà e in primavera anche gli Yokoano fioriranno di nuovo. Ah, ecco: ora l'avete capito il perché dei sette cuori, no? Fate un bel respiro, ci vuole dopo un articolo così. Grazie ragazzi, di nuovo. Qualunque sia il motivo per cui avete dato vita a questo pezzo. Aspetto fremente il secondo singolo perché come scrisse il mio amato Baudelaire, "la musique creuse le ciel". La musica spacca il cielo. E così sia.

domenica 8 gennaio 2023

Pablo Bacchetti e i Bambini Dell'Asilo


Pablo Bacchetti e i Bambini Dell'Asilo


Presentarvi Pablo non è cosa semplice. Chi conosce già la sua storia e la storia dei Bambini Dell'Asilo è al corrente di tutto o quasi, quindi non c'è bisogno di spiegare quel che avverrà il 4 febbraio 2023 alla Latteria Molloy di Brescia e quel che è accaduto fino ad ora. Vorrei tentare di raccontare a chi non sa di questo meraviglioso e fragile poeta e musicista, il motivo per cui ancora oggi, tante persone, lo sentono vivo. Del resto lo è, con la sua musica, le sue poesie, i suoi disegni. Nemmeno io ho avuto modo di conoscerlo o di vivere i Bambini Dell'Asilo nel periodo di attività, eppure la magia di questo spirito irrequieto che era Pablo, mi ha travolto come se lo avessi conosciuto, più di vent'anni fa, insieme ai suoi compagni d'avventura, Billi ed Ernesto.

Pablo Bacchetti è nato a Salò il 3 febbraio del '75 ed è cresciuto a Vestone (BS). Ha sempre avuto in testa i Bambini dell'Asilo, sin dalle scuole medie, ma non ha trovato subito le persone giuste e così, mentre scriveva ed immaginava il suo sogno, per qualche anno ha fatto parte di altre band, fino a che finalmente "ha incontrato i suoi Bambini Dell'Asilo", come racconta la sorella Alice. In realtà Billi (Roberto Rassegna) e Pablo, già si conoscevano ed avevano suonato insieme in altri progetti. Alle superiori poi, è arrivato Ernesto (Folli, n.d.r.) e tra loro c'è stato un vero e proprio colpo di fulmine, tanto che Ernesto si è messo a studiare batteria proprio per poter suonare nei Bambini Dell'Asilo. Il nome l’hanno scelto ispirandosi alla celebre canzone di Vasco e in particolare alla frase "i bambini dell'asilo stanno facendo casino", il che la dice lunga sullo spirito fanciullesco, ribelle e desideroso di dire la propria tipico di un’età come la loro.

Nascono così i BDA e i tre ragazzi portano i loro pezzi per la prima volta in un live, all'Auditorium di Vestone nel settembre del 1994. Seguiranno naturalmente anche altri concerti, tra i primi anche il ben riuscito evento all'Altaquota di Carpenedolo (BS). Quel che segue è un pot-pourri di live, incontri, amicizie, emozioni forti. Tutti coloro che hanno suonato con i Bambini dell'Asilo li ricordano con grande stima e affetto. C'è chi li avrebbe "adottati in blocco", come dice Franci Omi nello splendido articolo/testimonianza che trovate qui e che vi consiglio di leggere per intero, scoprendo così anche la carriera artistica di Francesco stesso. Tutti coloro che hanno conosciuto Pablo sono tuttora innamorati del suo talento e tuttora, pensandoci, rivivono ogni cosa con la stessa emozionalità che hanno avuto in quegli anni. L'anima di Pablo era difficile, complessa, profonda. Non era certo un ventenne qualunque o non sarei qui, nel 2023, a scrivere di lui.

A guardarlo ora, in fotografia o nei pochi video che girano, vedi un ragazzo giovane, dolce, che si sa divertire, ma anche un ragazzo che ha qualcosa in più e che cela una profonda insofferenza anche quando sorride. Da quando ho ascoltato i pezzi dei BDA, letto i pensieri e le poesie di Pablo, le testimonianze di persone che lo hanno conosciuto, da quando ho visto i suoi disegni, le pagine della Smemo piene di parole, disegni e graffi, riesco a immaginare il suo sguardo come se ce l'avessi di fronte ed è strano, in fondo, perché come dicevo non l'ho vissuto. Eppure Pablo, con il suo talento tormentato, ha ancora questo effetto sulle persone. 

Realizzare un sogno, creare una band a cui pensavi e sulla quali facevi progetti da anni, iniziare a incidere il primo album sul serio, dopo aver raggiunto già i cuori di tantissime persone. Il tutto grazie a pezzi che giravano su una semplice cassetta prima (registrati in sala prove con una grande radio) e su una demo poi, una versione "più pulita", realizzata grazie a Francesco e al cugino Davide “Dade” Mahony (musicista e produttore). Sono tutte belle emozioni, intense e appassionate, che chi ha una band che fa pezzi propri conosce bene. Eppure, qualcosa in Pablo non andava per il verso giusto. Alternava periodi di tranquillità, in cui era sereno, entusiasta, sognante ed energico, a periodi in cui i suoi turbamenti si leggevano chiaramente sul suo bel viso e nei suoi occhi scuri. Periodi nei quali si perdeva, ma dai quali è sempre tornato, fino a un certo punto.

Franci Omi, nell'articolo di cui sopra, scrive che persino la sera in cui hanno registrato la demo, Pablo sembrava felice e al tempo stesso turbato. Pensavano fosse per un piccolo incidente avuto con un'altra auto prima di entrare a incidere i pezzi, ma - Francesco scrive - "la storia futura avrebbe dimostrato che forse non era solo per quello". Fatto è che grazie alla demo, nel giro di un anno i Bambini Dell'Asilo sono diventati un punto di riferimento della scena bresciana e coloro su cui si accentravano le attenzioni di tutti nell'ambiente musicale della provincia e non solo.

Dopo il concerto all'Altaquota tutti erano felici ed entusiasti per quel che avrebbe portato il futuro. Tutti tranne Pablo che, il giorno seguente, chiamò Francesco dicendogli che avrebbe voluto smettere di suonare perché il live gli creava troppa agitazione; era molto giù di morale, ma Billi ed Ernesto, che lo conoscevano da anni, sapevano che dopo momenti di esaltazione e gioia, Pablo tendeva ad avere momenti di sconforto anche pesanti, solo che poi se ne andavano così com'erano venuti. In effetti, così successe anche in quel caso e i BDA, dopo una pausa, ricominciarono a fare le prove. Passava, insomma, dalle fasi creative, agitate, iperattive, a fasi di completo buio. Quel che è certo è che l'arte (e soprattutto la musica) era il suo modo per comunicarlo, per comunicare tutto. Si vedono, si sentono, nelle parole e nella voce, la sua sofferenza, la rabbia, la non accettazione di determinate cose e al tempo stesso la voglia di cambiamento, l’ironia e il sarcasmo. Me lo immagino come un bel tipetto, che quando stava bene non riusciva a star fermo un attimo per tanta era la creatività che il suo spirito e la sua mente generavano. Una mente che andava a mille all’ora, piena di idee ed entusiasmo. 

I momenti di equilibrio purtroppo erano sempre più rari e brevi, ma le cose peggiorarono seriamente quando in macchina Pablo investì un motociclista procurandogli dei danni abbastanza seri. A quanto si sa, non era nemmeno stata colpa sua, ma al di là di chi potesse essere stato a causare l'incidente, questo evento per lui fu un colpo fortissimo. Iniziò a scrivere sempre meno, anche se sempre meglio. 

Me lo vedo, ora, che sorride, scrive, suona, mentre osserva tutto quel che sta accadendo con orgoglio, libero da qualsiasi sofferenza, forse un po’ nostalgico, ma felice. Come potrebbe non essere felice, adesso, vedendo quanto amore, negli anni, è stato dimostrato a lui e ai Bambini Dell’Asilo? E quanta ammirazione, quanti segni positivi hanno lasciato nelle vite delle persone, in così poco tempo.

Riprendiamo, però, con la storia: in quel periodo Francesco e la sua band "Il Grande Omi" erano sotto contratto con il C.P.I., il Consorzio Produttori Indipendenti nato dalla fusione dell'etichetta "I Dischi del Mulo" con la casa di produzione "Sonica Factory". Pablo aveva mostrato picchi di creatività e voglia di fare, come quando una notte gli aveva fatto sentire "Diva", registrata al volo in quel momento e arrivata a noi grazie alla prontezza del fonico Carlo dell’Asta, che viveva ai tempi con Francesco e la sua compagna. Francesco, in seguito, fece ascoltare i pezzi dei ragazzi a Gianni Maroccolo, che per chi non lo sapesse è stato uno dei fondatori del C.P.I., insieme a Massimo Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti dei C.C.C.P., con Giovanni Gasparini, Marzio Benelli e Gianni Cicchi.  Se volete capire meglio di cosa si tratta cercate semplicemente su Google. Nonostante in quel momento l'etichetta non fosse nel suo miglior periodo ed avesse diversi problemi con la Polygram, Gianni mostrò grande interesse. Anche lui era stato conquistato da Pablo e dai Bambini Dell’Asilo.

I Bambini Dell'Asilo, con Omi e Carlo dell'Asta (fonico, come dicevo, e collaboratore della band di Francesco), si spostano dunque, per iniziare la pre produzione del loro primo album. I ragazzi, come per il demo tape, lavorano benissimo e tutto è molto veloce. Iniziano prima Billi ed Ernesto, poi Pablo registra le chitarre e, nonostante sia giù di corda, fa un gran lavoro. Il giorno dopo, dopo due tracce, Pablo molla la chitarra, annuncia che la tensione per lui è troppa e che non avrebbe mai più suonato.

Billi ed Ernesto si preoccupano, ma pensano sia un momento passeggero, com’ è già successo in altre occasioni; tutti tornano a casa, in attesa del momento migliore per riprendere e definire gli ultimi dettagli dell’album.

Il giorno dopo, però, Pablo non c’è più e il gelo avvolge un mondo in un lampo. L’album dei Bambini Dell’Asilo si ferma lì, dove Pablo lo aveva lasciato, congelato anch’esso, immobile.

Qualche tempo dopo, suo padre Mauro Bacchetti (compositore e musicista), fa in modo che l’album venga pubblicato. Alice lo aiuta con gli aspetti più formali, come l’iscrizione dei brani alla SIAE. La musica dei Bambini Dell’Asilo, così, non smette mai di suonare.

Tanti sono i pezzi inediti, rimasti su cassette e demo, senza la possibilità di farsi sentire e così accade che oggi, nel 2023 (iniziando mesi e mesi fa), Gianluca Braga, uno dei cari amici ed estimatori di Pablo e dei Bambini Dell’Asilo, in collaborazione con la Latteria Molloy di Brescia, crede sia il momento di fare una festa per lui e per rendere giustizia a quei magnifici pezzi rimasti inascoltati. Così, avviene una magia. Ventidue band partecipano a un enorme progetto in onore dei BDA e di Pablo. Ad alcune band viene proposto di reinterpretare brani editi dei BDA (dal loro primo ed unico album, postumo) e di riarrangiarle a seconda del proprio stile e delle proprie emozioni. Altre band hanno l’onore di portare alla luce brani inediti. Totalmente inediti. Rimasti solo su cassettine registrate alla meno peggio in sala prove, mentre venivano create e di cui erano nate le basi. I testi di Pablo, le melodie, i primi abbozzi ritmici di quando una band va in sala e inizia a mettere giù un pezzo.

A queste ventidue band si aggiungono altri due progetti musicali e tutti loro incidono i pezzi. Ventiquattro canzoni dei Bambini Dell’Asilo, dunque, saranno racchiuse in un album realizzato come tributo e omaggio ai BDA, alla loro storia e all’arte di Pablo. E mentre il tutto è in lavorazione, tante persone si muovono per continuare nell’organizzazione dell’evento. Sabato 4 febbraio, esattamente il giorno dopo il compleanno di Pablo, ventidue band si esibiranno sul palco della Latteria Molloy, per festeggiare la continuità, eterna, del talento. Per ricordare il viso fanciullesco di Pablo e la sua immensa profondità. Per rendere giustizia a brani rimasti praticamente inascoltati e rendere omaggio ai Bambini Dell’Asilo con tutti i pezzi che saranno portati sul palco, in quella che sarà certamente una serata da pelle d’oca e che, se ci sarete, non potrete dimenticare mai. Io di certo la porterò sempre con me, ne sono certa sin da ora, lo so già. L’energia di Pablo regna tra le note di ogni basso, ogni chitarra, si adagia dolce tra le sue parole, nel canto di ogni cantante che le pronuncerà. L’energia di Pablo è in ogni colpo di rullante, di tom, di piatto. L’energia di Pablo è, e sempre sarà, in ogni battito.

 

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lunedì 26 dicembre 2022

Al moro di una terra

 

donna, terra, fiori, il viso di una donna che nasce dalla terra

Ma vale, questo, una fiamma spenta? Dovremmo cercare, ogni tanto, di guardare l'orizzonte sul serio, fisicamente. Che le linee di una luce si spostano veloci, che il tempo scandito è un'enorme bugia e la più terribile realtà. Lasciamo la stazza, pensiamo alla grandezza. Che l'infinito è ovunque, pure qua. Lasciamo le occhiaie da parte, sgraniamo gli occhi all'essenziale. Al moro di una terra, al volo di una perla, al timbro di una pancia, al vento oltre la stanza.

mercoledì 16 novembre 2022

Anima calma

 

immagine astratta, colori, rosso, giallo, albero, polmoni, radici, nuvole, cosmo

S'incendia senza bruciare, cammina.
E a volte brucia senza fiamma, se cade.
Rosa rossa e nera, si trattiene
con muse di foglie e radici.
È grotte che si fanno strada
tra la testa e il cuore,
fino agli antri più profondi,
tra i capelli e la pancia,
tra le costole e la punta dei piedi.
È gli occhi verso nuvole
arancio nere, bianche luminose
e grigie, accese, accecanti e buie.
È braccia che si muovono negli elementi,
anima inquieta nella pace,
tempo scandito da pezzi di cementi.
È la forza della luce del tutto
e la gravità che la inghiotte senza pietà.
È il senso, il non senso e la verità.

sabato 12 novembre 2022

Metà

metà, boccoli, viso, poesia, donna

Sono un corvo nero per metà
e un respiro bianco per metà.
Sono un cristallo di neve,
bianco per metà
e un gabbiano nero
che cerca un oceano migliore.
Respira, è tutto normale.
Con uno scacco
vola via, diventa freccia.
Con uno scatto sfreccia,
diventa matto, il migliore di tutti.
Sono un punto mobile, per metà.
Sono un'esclamazione
imperdibile, per metà.
Ma tu respira, è tutto normale.
Fai andare quel diaframma,
impara a respirare.

mercoledì 9 novembre 2022

I Piccoli Bigfoot "Tra Bergamo e il Far West"

 

Piccoli Bigfoot Tra Bergamo e il Far West

"Tra Bergamo e il Far West" è il piccolo capolavoro (piccolo solo perché è un EP di cinque pezzi e perché "i Bigfoot sono Piccoli") dei - mi ripeto, lo so - Piccoli Bigfoot. Il titolo del mini album è perfetto, perché non solo riprende parte del testo di uno dei pezzi, ma rappresenta in un tragitto immaginario fantastico, quello che è musicalmente. È un cantautore, il Piccolo grande Bigfoot che ha dato vita a questo progetto, ma non è comune, anche quando lo conosci di persona (chi lo ha avvistato lo sa). I suoi testi sono una meraviglia che si staglia tra ironia, profondità, giochi di parole da Cappellaio Matto (scusate, da Piccolo Bigfoot matto), allegria, tristezza che si prende in giro, tematiche importanti trattate con dolcezza, simpatia, rispetto e voglia di far sentire la voce di personaggi palpabili e persino amore. Iniziamo dal principio, come si dice: "la Bella" dei Piccoli Bigfoot è una di quelle che belle o meno è sempre Bella, perché "arriva al fosso" con un peso e se ne libera. Si libera dalle maschere e finalmente fa vedere al mondo chi è realmente. I panni e la cenere, che ricordiamo come scene di un'andata tradizione, prendono un significato molto, molto più profondo. Tutta la storia della sua vita, le esperienze che l'hanno formata, le sconfitte, i dolori e le gioie, tutto ciò che l'ha resa una donna capace di sbattersene di tutto e tutti, le danno lo slancio per tornare in mezzo alla gente a viso scoperto, messa a nudo senza timori, pronta a dire basta e a urlare al mondo il suo amore: la donna che la rende felice, che la fa ridere, con la quale vuole passare la sua esistenza. Smette così di sprecare fiato con chi non comprende e forse mai lo farà. Finalmente, al fosso trova refrigerio lavando le ferite, bruciando le cicatrici con l'acqua per mostrarle al mondo con l'orgoglio di una guerriera, determinata a difendere la sua libertà. Arriva poi un'altra bella ed anche se è molto diversa, anche lei ha sofferto tanto. Tanto da essere "La più bella che c'è". Un inno, una coccola, un abbraccio, alla propria città. Bergamo, che con Brescia è stata epicentro di un terremoto devastante con la pandemia del Covid, è straziata da tutto quel dolore, dalle vittime, dal  silenzio assordante. Una città che di suo è meravigliosa e che, in compagnia ed unione alla Leonessa, braccetto e braccetto, ha affrontato qualcosa che solo chi ha visto e vissuto, può comprendere davvero. Tutta l'Italia è stata travolta, ma le condizioni delle due province in quel periodo, sono davvero difficili da descrivere. Non si percepiva solo nelle grandi città, lo si percepiva e vedeva tra le strade di paesi minuscoli ed ogni sirena era un dolore forte come una spada conficcata nel cuore. Il Piccolo Bigfoot lo sa bene e sa che la sua cara Bergamo si rialzerà, quindi le scrive. Mano nella mano con Brescia, con la quale sarà capitale della cultura 2023, Bergamo si è rialzata e anche se ferite, l'Aquila e la Leonessa, hanno ridato vita a se stesse. Ascoltatela e basta  questa canzone forte e delicata e, magari, non dimenticate. "Prima gli immigrati", il terzo pezzo dell'EP, in realtà parla di miriadi di cose ed è il culmine dell'adorabile sottigliezza dei giochi di parole da cappellaio di cui accennavo: "Prima i partiti, poi gli arrivati" o "Prima compro l'oro, poi compro loro". Giochi di parole che non sono solo giochi di parole. Sono tutti schiaffi ben piazzati, crudi e dolci, di quelli che svegliano un po' chi si sta addormentando quando non è il caso. "Se se se": dolce, amara, romantica, vissuta, commuovente, verace. Sono parole che per forza ti senti dentro, pensando a tutti i se che a volte passano per la testa se ti ci metti, ma alla fine il tempo passa, quindi basta restare ai "Se". Senza dirlo, ci consiglia poeticamente di evitare di accumularli. La vita è una sola, non perdiamocene dei pezzi. Infine, anche se le adoro tutte, la mia preferita: la "Sindrome di Peter Punk". A parte il fatto che rivela le origini musicali del Piccolo Bigfoot ora cantautore (che non ha perso in questa veste alcuni aspetti tipici del pensiero, quello giusto e non cazzaro, del punk), è un brano che - porca miseria! - ti entra dentro. Potrebbe sembrare solo "nostalgico", ma non lo è. Da questa strana sindrome magari non è necessario guarire del tutto, anzi, è un po' come lo spirito bambino da mantenere vivo perché senza che gusto c'è? ma è anche la consapevolezza della crescita, della maturazione, delle domande importanti. È come un passaggio, dall'adolescenza all'età adulta o "da quando sei bambino" a quando capisci che è sacro mantenere in te lo spirito bambino, perché solo continuando a sgranare gli occhi, potremo vivere a pieno. Ed ora, dopo tutte queste parole, vi dico solo di ascoltare, di sentire. Oh, i Piccoli Bigfoot sono quattro, ma sono uno. Insomma, sono/è, tutte e due le cose. Se non c'è un po' di mistero e confusione, non è, non sono, i Piccoli Bigfoot. Mi auguro che arrivi presto un album, perché questo EP, per me personalmente, ha l'asticella già molto alta e chissà... cosa verrebbe fuori da un album vero e proprio. In fondo, "Tutti i migliori sono matti".

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mercoledì 2 novembre 2022

Lucciole

lucciole

Anime castrate ovunque. Le vedi che si aggirano con gli occhi vuoti, infertili per l'incapacità di meravigliarsi ancora. E poi ci sei tu, una stella che splende perpetua, che non muore mai, nonostante tutto e tutti, anima bella. Lucciole tormentate dall'intermitenza, quelli come noi, che non molliamo davanti all'indifferenza. Che fatica, che Bellezza, che Meraviglia.

venerdì 28 ottobre 2022

Che importa del tuo male cronico?


Che importa del tuo male cronico,
è cronico, cosa vuoi che cambi?
Che importa, se così tanti
trattano tanti
come un numero
e di quelle miriadi
tra noi e voi,
la differenza è che siamo
addirittura numeri invisibili?
In fondo, che ne sapete voi,
di quanta è la forza
che ci mettiamo per sorridere.

sabato 22 ottobre 2022

Veleno


immagine bianco e nero, occhi scuri con una luce naturale a forma di cuore in entrambi


Dritto, di pancia, si sente,
il filtro amaro e sottile
del veleno che si abbatte sulla carne,
della mole di buio che si frantuma
d'un colpo, come un pugno nello stomaco.
Gli occhi del dolore, hanno un cuore dentro.