domenica 20 aprile 2014

Il Risveglio




Mi sono svegliato sdraiato nel mezzo di un prato, ho aperto gli occhi e la prima cosa che ho visto è stata la nuvola bianca sopra la mia testa. Il cielo: era certamente di un azzurro mai visto prima e il rumore soffice dell'aria leggera – che dei fili d'erba e dei fiori faceva sue mani – mi sfiorava il volto. Percepivo la luce, il calore del Sole, giungermi delicato sulla fronte e alzando gli occhi un po' all'indietro lo vidi la', bello, splendente più che mai, rinvigorito, più forte, puro.

Era tanto bello starmene lì a godere dei profumi, dei suoni, dei colori e del tatto lieto della serena natura, che poco dopo essermelo chiesto avevo già lasciato da parte il mio spontaneo domandarmi cosa ci facessi lì e perché. Non ricordavo nulla, ma al momento non sembrava essere un gran problema. Più me ne stavo lì, rilassato e senza preoccupazioni, più sentivo i miei sensi enfatizzati. Notai che il mio respiro era fresco come l'ossigeno che respiravo, l'aria era profumata di piante e stranamente i pollini non mi davano fastidio come al solito. Gli uccellini cantavano come nelle migliori giornate di primavera e mi sembrava di poterli capire; non decifravo il loro linguaggio "alla lettera", ma sentivo nel loro cinguettìo che erano felici. Continuai a guardare le nuvole passare sopra di me per un po' e poi, d'un tratto tornò il dubbio e mi alzai di scatto restando seduto; la terra era leggermente umida, di quell'umido che si riconosce la mattina.

- Dove sono? - mi chiesi ad alta voce.

Mi stupii. La mia voce non era roca come al solito e notai di non avere più l'insistente dolore alla gamba che da anni mi teneva mio malgrado compagnia. Osservai le mie braccia, le gambe e così mi accorsi che c'era qualcosa di straordinario in me.

- Com'è possibile? - mi richiesi.

La mia pelle, incredibilmente, non era la pelle raggrinzita dalla vecchiaia che ero solito vedere. Mi alzai da terra, senza faticare e intorno a me c'erano solo alberi e fiori. Sentii lo scrosciare di un torrente in lontananza e decisi di seguire il suo canto. Mi feci strada verso il suono dell'acqua e lo trovai, dietro a una fila di cespugli verdeggianti. Avanzai piano, notavo ogni dettaglio, le rocce nell'acqua, i pesci poco più in la', dove l'acqua era più profonda, il muschio, una rana e al di la' della riva altre piante e altri fiori. Cercai un punto in cui l'acqua fosse più ferma e con la giusta dose di luce per formare un effetto specchiante. Piano piano mi avvicinai: il mio volto... il mio volto era quello della gioventù! E dov'erano finiti i miei ottant'anni? Affermare che mi sentivo confuso è poco. Osservavo quel riflesso e mi tastavo il viso e pensavo che certamente stavo sognando, un fantastico sogno pensavo. Eppure sembrava tutto così reale, così nitido.

Mi guardai ancora attorno: possibile che fossi l'unica persona nei dintorni? Nel momento in cui stavo pensando a questo, sperando di non essere davvero solo in mezzo a tutto quel verde senza saperne nemmeno il motivo, sentii delle risate, delle voci: "Per fortuna..." pensai. In tutto quel pacifico frastuono uno solo era stato il pensiero costante: "Dov'è la mia Milena? Dov'è il mio amore?". Seguii le voci e le risa e giunsi a una collinetta; vi salii in cima e vidi un sacco di persone parlare, chiacchierare, bambini che correvano e giocavano, uomini e donne che ridevano, amici e famiglie. "Dov'è la mia Milena...?", la cercavo con lo sguardo in mezzo alla gente, dall'alto della collina e finalmente, la vidi e quanto era bella... Il suo viso era lo stesso dei nostri anni migliori, i suoi capelli scuri, i suoi occhi grandi e scuri, avevano ritrovato la salute; le spalle dritte, la carnagione dorata per natura che tanto mi era piaciuta quando ci siamo conosciuti. Mi sorrideva e mi guardava, mentre si faceva spazio tra le persone per raggiungermi. Nel mentre, vidi nella piccola folla anche il mio caro amico d'infanzia, chiacchierava con altri e rideva, niente inalatore tra le mani e l'aspetto sano di un tempo.

- James, amore mio... - disse la mia dolce moglie guardandomi come solo lei poteva fare - ... vieni con me.

Rimasi ammutolito e lei mi prese per mano; non sembrava essere confusa quanto me. Andammo a sederci poco più in la', con lo sguardo verso il Sole. La guardavo, non riuscivo al momento a proferir parola, ero incantato e lei pure mi guardava, ma nulla diceva. Dopo qualche istante le chiesi: "Siamo in paradiso?"; lei sorrise, come se la domanda le risultasse buffa e tenera, poi mi rispose:

- No, non siamo in quel paradiso, non quello che stai pensando per lo meno. Siamo sulla Terra, nello stesso posto dove abbiamo sempre vissuto.
- Ma com'è possibile? - chiesi – Cosa sta succedendo? E perché siamo giovani? Dov'è la città?
- Della città a quanto pare non abbiamo più bisogno amore mio. Mi sono svegliata poco prima di te e non so molto di più e nemmeno gli altri sanno molto ma molti di noi, io compresa, hanno la certezza – anche se non sappiamo perché – che le risposte arriveranno molto presto. So solo che non c'è nulla di innaturale in tutto questo, nulla di strano o fantasioso.
- Ma come fai a dirlo amore? Io sono così confuso... Felice ma confuso.
- Te l'ho detto, non so perché, so solo che è così.

Ci abbracciammo, innamorati come sempre e sempre di più. Avevamo già passato sessantanni della nostra vita insieme e saremmo rimasti uniti per sempre.

Decidemmo di stare lì, abbracciati a guardare quel maestoso paronama e anche se non capivamo bene perché, sapevamo che a breve tutti i nostri dubbi sarebbero stati chiariti. Anche io ora, accanto a lei, ero più tranquillo. Fronte contro fronte le diedi un bacino sul naso, poi senza pensieri ci sdraiammo sulla collina e ci addormentammo nuovamente, mentre gli altri continuavano a parlare.

Mi sono svegliato, di nuovo, ma stavolta ero a casa, sul divano e intravidi Milena che sfornava i biscotti appena fatti e li posava in un piatto. Era stato un sogno allora, come pensavo. "Che bel sogno però..." pensai.

Milena si avvicinò a me sorridente, mi portò una tazza di the e i biscotti.

- Grazie amore mio...
- Figurati tesoro...
- Sai... ho fatto un sogno bellissimo... Eravamo tutti giovani e sani, forti e la Terra sembrava essere rinata, incontaminata ed era tutto così reale...

Mentre mi ascoltava si sedette accanto a me e sorrideva, con quello stesso sorriso che nel sogno sembrava essere intenerito e come se, ancora una volta, avessi detto qualcosa di buffo. Eravamo telepatici da sempre, quindi sapevo che quel sorriso significava molto.

- Non era solo un sogno amore mio... - poi sorseggiò il the.
- Come? In che senso non era solo un sogno tesoro...?
- Non so perché... ma appena hai cominciato a raccontare mi sono convinta che il tuo non è stato solo un bel sogno. Ha un significato. Un giorno il mondo sarà migliore.

Sembrava così sicura... Forse era solo la speranza di poter vivere insieme ancora per millenni e magari per l'eternità, senza acciacchi, sempre insieme, sani e forti... Qualcosa però mi diceva, nel cuore, che quella sua sicurezza avesse un fondamento, anche se non sapevamo perché. Io sentivo il suo cuore gioire e questo faceva gioire anche il mio.

Si accoccolò a me sul divano, bevemmo un po' di the e mangiammo i suoi favolosi biscotti caldi che – quanto adoro questa cosa – avevano inebriato la stanza di un profumo speciale.

Fronte sulla fronte, le diedi un bacino sul naso.

Incrociare il suo sguardo, ogni giorno della mia vita...

"Che paradiso...", pensai.

mercoledì 2 aprile 2014

Recensione: "Giallo e Blu" di Ismar Gennari


Ritmo. Musica. Queste sono le due parole che secondo me rappresentano maggiormente il primo racconto di Ismar nel suo "Giallo e Blu". Quando l'ho letto, la prima cosa che ho pensato è che si percepisce nettamente e teneramente che l'autore, oltre che essere uno scrittore è anche un musicista. In effetti il primo racconto, "Applausi", parla di musica, dell'intimo rapporto tra il musicista e il suo strumento. Non è questo però il motivo principale per cui ho fatto questo pensiero. Non è la tematica in se a far comprendere che Ismar è un musicista, ma la musicalità, il ritmo delle parole, della sintassi; sembrano parole scritte su uno spartito come fossero note musicali e il che è meraviglioso. Gli applausi qui non sono la cosa più positiva, il protagonista preferisce, giustamente, la sincera unione tra se stesso e la musica che diviene veicolo di comunicazione con la natura, anche prima di suonare e dopo aver suonato, perché la musica è nella sua anima, è nell'anima del protagonista fin da quando era bambino ed è questo che gli permette di sentire ed ascoltare la natura che lo circonda. I suoi genitori preferirebbero per lui grandi applausi, ma gli applausi a cui loro sono abituati sono, con un gioco di parole, abitudinari e l'abitudine non fa parte del vero sentimento della musica.
"Era come in un quadro di Van Gogh. Titolo Giallo e Blu. Peccato che il maestro non l'abbia mai dipinto."
Queste le prime parole che appaiono nella prefazione. Perfette per rendere l'idea di quanto questa serie di racconti sia varia nelle emozioni e nei sentimenti, nelle visioni e nei punti di vista.
Ismar accompagna dolcemente i lettori, come per prepararli a ciò che verrà dopo. Inizia dolcemente, con i sentimenti puri della musica e della fotografia, narrata nel secondo racconto ("Bellezza") da un punto di vista eccezionalmente originale e colmo di emozione e stupore, per poi giungere a emozioni forti e crude, come quelle di un uomo condannato a morte o di uomini che uccidono. E poi la "routine", le malsane tradizioni da osteria, le tante persone e la solitudine, l'odio e la vanità e poi ancora la bellezza della musica e dell'amore, come per spezzare la cruda realtà di alcuni dei protagonisti coinvolti; la faccia A e la faccia B di una moneta, la sincerità e l'ipocrisia, il sacrificio, il sudore e le speranze, ma anche l'abbandono e la tristezza, l'assurdità e la tragedia. Tutte queste emozioni, questi sentimenti forti, che siano positivi o negativi, sono miscelati in questa raccolta con grande consapevolezza e padronanza. Grandioso.
Ho iniziato a racconarvi di "Giallo e Blu" con un accenno al primo racconto, cercando nel frattempo di non svelare troppo del resto e tentando di dare un'idea di quanto questi racconti siano vari e versatili, nei contenuti e nello stile; si perché anche lo stile cambia per certi versi da un racconto all'altro.
L'ultimo racconto, per chiudere, si intitola "Un Altro Anello". Non riuscireste a immaginare quanto sia fantastico. Leggerlo significa riuscire, attraverso le parole di Ismar, ad immedesimarsi in modo candido ed onesto nella grandezza di un magnifico abete rosso. Potrete sentire la sua forza, i suoi pensieri e la sua voce. La potrete sentire, perché Ismar l'ha sentita, e ha deciso di portarla a noi.
©Lara Aversano

venerdì 21 febbraio 2014

Recensione "Punti senza fine" - di Ismar Gennari


Di seguito una bellissima recensione di "Punti senza fine" pubblicata dallo scrittore emergente Ismar Gennari, autore dell'interessantissima raccolta di racconti "Giallo e Blu". Grazie di cuore Ismar!!!


"La prima volta ho fatto fatica ad apprezzare appieno “Punti senza fine"…Non so perché, ma non riuscivo a immergermi nel romanzo e a godere per intero della trama. Ho chiuso e ho ricominciato, approcciandomi diversamente, leggendo senza fretta, regalandomi il tempo di scoprire i fatti pagina dopo pagina. E tutto è cambiato.

"Punti senza fine" è un libro che racchiude in se la fragilità e la sensibilità di una ragazza alle prese con la scoperta del mondo, dell’arte, dell’amicizia e dell’amore. E’ un romanzo-diario che va letto aprendo più il cuore che non gli occhi, lasciandosi travolgere dall’empatia, trattando le pagine come fiori delicati, assaporandone il profumo parola dopo parola, scegliendo bene i tempi, scansando la fretta di finire.


Difficile? No, basta approcciarsi nella maniera più consona. Certo, i fan accaniti di Stephen King non troveranno qui pane per i propri denti, ma per una volta potranno riposare il palato con dei morbidi e dolcissimi Macaron… In particolare ho apprezzato molto la vena poetica di tutto il libro, poesia che l’autrice snocciola con stile e naturalezza, toccando delicatamente le corde dell’anima e suonando con esse note soffuse e sublimi.
 
Non posso non chiudere con una citazione dal capitolo “Autunno Urgente": "Le foglie secche si sciolgono nei loro stessi colori caldi; il rosso, il giallo, il verde scuro e sfumato riempiono la terra di scricchiolii sui quali i bambini inventano un gioco…" 

Vorrei tanto averlo scritto io…
Complimenti Lara!!!!!"

Ismar Gennari

giovedì 6 febbraio 2014

Lenti all'ira


A volte gli esseri umani si perdono davvero in sciocchezze. Le nostre relazioni umane, il nostro grande amore, il dialogo con un genitore o con entrambi, i punti di vista diversi per così dire, nel parlare con  un fratello, una sorella, un amico o amica... Si, a volte ci perdiamo proprio in un bicchier d'acqua; da una cosa futile cominciamo ad alzare la voce e il tono offusca l'ascolto e così, non parlando, urlandoci addosso a vicenda, non ci ascoltiamo e non ci capiamo. E' ovvio, come potremmo riuscirci? E così sprechiamo un sacco di energie e perdiamo il buon umore, perché in quel continuo sbraitare reciproco, l'uno e l'altra non si sentono più, nasce la lite, il bisticcio o quel che è. Quando poi siamo nervosi ed affannati dall'ira che solo al vuoto conduce, ci è impossibile ragionare e su tre cose che diciamo due non hanno senso e facciamo solo danni. Perché umani, io mi chiedo, non riusciamo a domarci in momenti così assurdi? Personalmente a volte ci riesco e altre no e rifletto... Siamo così fragili, è così fragile la nostra imperfezione... Tanto che mi chiedo come sia possibile che ci siano esseri umani così convinti di se, che bramano chissà quale potere e poi, come tutti, non hanno pieno potere nemmeno su se stessi. "Lenti all'ira" dovremmo essere, questo insegna Dio, per chi crede... e Lui poi, lo mettiamo sempre in mezzo, come se non avesse già abbastanza dolore nel cuore vedendo quanto i suoi scellerati figli siano stati, fino ad ora, incapaci di gestire il proprio libero arbitrio con un minimo di senso. La cosa più folle di tutto questo è che, nonostante tutto e per fortuna, c'è ancora un'umanità che merita di essere chiamata tale... Forse troppo stressata, forse non ancora pronta ad essere sempre "lenta all'ira", ma comunque "Umana".

mercoledì 25 dicembre 2013

Natale

Non lasciatevi abbagliare dai lustrini, amate la maglia senza firma che sia di buon cotone, amate l'artigianato e le tradizioni, la terra e i suoi frutti, gli animali, la natura e stimate coloro che se ne prendono cura. Amate i presepi fatti con amore per l'arte, frutto di mesi e mesi di passione, le festicciole dei piccoli paesi, senza grandi alberi o chissa' che. Amate il calore delle vostre famiglie sempre e la comprensione, il dialogo, siano tra i vostri principi di vita in ogni giorno dell'anno. Rispettate il prossimo e fatevi rispettare nel giusto modo, lottate per il vostro futuro e non mollate mai la presa. Continuate a sognare, non smettete mai... di sognare e sudate, nobilmente, per realizzare ciò che vi sta a cuore. Alle mani ruvide e sporche dei lavoratori, a chi passa momenti difficili, a chi è felice e a chi è triste, a chi è per strada, a chi cerca di difendere la propria casa, a chi ha fame, a chi a sete, a chi non a nessuno, a chi sorride ora con i propri cari, ai neo genitori che passano il primo Natale con il proprio bebè, ai genitori "da un po'" che gioiscono perché "siamo tutti riuniti", a tutti coloro che hanno bisogno d'amore e danno amore, a chi si sente solo perché la persona più amata e che più vi ha amato ora è parte di quell' "essenziale che è invisibile agli occhi"... Siate onesti sempre, umili sempre, nella giustizia, sempre. Fate di ogni vostro passo, un passo in avanti in più, per l'umanità. Buona vita e buon Natale a tutti voi...

Lara Aversano

*2013 / 2021

martedì 10 dicembre 2013

La giusta strada



Energia potente,
il colore fresco
del nostro nido.

Riflettiamo
sulle speranze,
creiamo
i nostri sogni.

Immagino ora,
Violette ed Iris,
campi dorati
e primavere.

giovedì 14 novembre 2013

Sempreverde


Tu che delle bacche di ginepro conosci l'acre sapore, ma t' accorgi anche che aghiforme ti guarda, sempreverde, aspettando i suoi fiori. Tu che desideri comunicare al mondo, che un po' lo ami e un po' lo temi. E ancora tu, che con granelli di sabbia e pietruzze tra le mani, osservi i colori e ti chiedi che uomini strani sono coloro che questa stessa purezza non notano neppure. Tu che nel cielo nuvoloso noti il normale grigiore, ma già vedi il Sole pronto a zampillare, fuori ed oltre, le nubi lacrimose. Tu, che ami luce e calore e nei battiti del cuore di coloro che ami trovi tutto ciò che ti rende vivo.

martedì 5 novembre 2013

Pa - ro - le


Le parole hanno una forza sorprendente, si fanno amare. Tant'è che oltraggiate dall'interlocutore sprovveduto, saranno difese da coloro che le sanno vestire.

martedì 1 ottobre 2013

"Siamo quelli che..."



Siamo quelli che ... si... hanno bisogno di lavorare per... vivere dignitosamente.

Siamo quelli che hanno bisogno di sperare, sognare, realizzare.

Siamo quelli che hanno bisogno di essere ascoltati, siamo quelli che vivono giorno per giorno, sognando di vivere sapendo per certo che la fatica, in futuro, sarà ripagata.

Siamo quelli che hanno nel sangue arte, inventiva e allegria, siamo quelli che "se davvero lo facessero fare a noi il Paese", pian piano si risolverebbe tutto.

Siamo quelli che ascoltano il tg con interesse; siamo quelli che ascoltano il tg con interesse e poi cambiano canale perché non ne possono più.

Siamo quelli che la sera, accoccolati ai nostri cari, continuano a sperare, a credere nella nostra capacità di essere forti, con gli occhi a volte lucidi, perché abbiamo bisogno di ridere.

sabato 7 settembre 2013

Versi d'oltre confine


Ruba il fuoco e lo fa suo,
prende in un balzo fogli d'aria
e li aggrada di versi sontuosi,
gioca con le onde di un lago
allietato da foglie brillanti,
sa vedere oltre le montagne,
oltre ogni confine o muro,
crede nell'essere inebriato
dalle scolpite gioie del cielo,
adora provare a descrivere
l'anima e i suoi sapori.
Il gusto della terra
si impregna nei suoi occhi
e può portarlo così
allo sguardo del mondo.

sabato 31 agosto 2013

"La vedo, la tua voce"


Era il silenzio assoluto; nemmeno il volo di una mosca nella testa di Giulietta. Eppure le era venuto il mal di testa per il gran frastuono. Le luci, i movimenti veloci delle persone, i semafori in continuo scattare di colori, la gente quasi accalcata nel camminare uscendo ed entrando da uffici ed edifici, i negozianti    all'opera, l'effetto sardina in metro. Proprio scendendo le scale per raggiungere la linea di metro che le aveva indicato mamma, notò a poca distanza un gruppo di studenti più o meno della sua età. Parlavano tra loro, scherzavano, forse urlavano nello scherzare perché il signore in parte a loro aveva abbozzato una strana espressione, poi bloccata dal suo improvviso sentirsi osservato, per quel nano secondo, proprio da Giulietta, nell'incrocio fortuito di sguardi. Era abituata a girare per città sconosciute, le era sempre piaciuto prendere il pulman o il treno e andare a visitare posti nuovi; spesso ci andava da sola perché diceva sempre che così "notava di più i dettagli", però le piaceva anche andare in giro con i suoi genitori nei fine settimana. Due personaggi pazzeschi i suoi. Li adorava. Sarebbe stato il primo giorno nella nuova scuola. Frequentava il liceo scientifico - il quarto anno - ed era un piccolo genio; sognava di diventare biologa marina e lo sarebbe diventata di certo. Arrivata a scuola si diresse tutta contenta verso l'ingresso e senza accorgersene urtò lo zaino posato a terra di un ragazzo. Non aveva visto ne lo zaino ne il ragazzo e tanto meno tutto ciò che aveva intorno. Gli studenti, i professori, il personale, non vedeva niente. Era tanto contenta di ricominciare la scuola dopo due settimane di fermo per il trasloco che non stava più nella pelle.

- Ehi! ehi! occhio! - aveva esclamato il ragazzo notando che Giulietta non si era accorta di nulla.

Jimmy si aspettava che si girasse, accennasse uno "scusa" o un sorriso. Niente. Giulietta aveva continuato imperterrita a camminare con passo deciso. Lui però era curioso, aveva capito che era nuova, non l'aveva mai vista prima ed era tanto carina che di certo l'avrebbe notata se non lo fosse stata.

- Ehi! - esclamò ancora sorridendo dopo aver preso lo zaino quasi correndole dietro - ehi! fermati! - voleva presentarsi ma Giulietta continuava a camminare veloce e sparì dietro un gruppo di persone appena entrata nell'edificio.

- Che modi... mi ha ignorato completamente. Non la mangiavo se si girava... bha...

Giulietta subito aveva trovato la sua classe. C'era solo la professoressa che la guardò  e subito chiese:

- Sei la ragazza nuova?
- Sssi.  - rispose lei piano, sorridendo.
- Siediti dove preferisci, dove sei più comoda ok?
- Si. Ggrazie. - Giulietta aveva già compreso che si trattava di una donna dolce. Le bastava guardare lo sguardo di una persona, le sue movenze, per capirlo.

Entrarono gli altri ragazzi. Giulietta si guardava intorno e loro la guardavano chiedendosi da dove arrivasse, qualcuno stranito, qualcun altro entusiasta.

Capì che non stavano facendo un gran casino. Doveva essere una classe abbastanza tranquilla.

Entrò un altro ragazzo ed era proprio Jimmy. Giulietta era girata verso la finestra, stava ammirando un po' persa le fronde degli alberi. Le trasmettevano un senso di pace infinita.

- Ehila... eccoti qui fuggitiva! - affermò appena entrato sempre sorridente.

Giulietta non si girò e lui le si piombò di fronte.

- Perché mi ignori? ti ho chiamato anche prima sai?

Giulietta stupita dalla sua apparizione improvvisa chiese:

- Ppuoi rripetere? ho perso un passagggio - rise.
- Come hai perso un passaggio? ... comunque, dicevo che mi hai ignorato anche prima, ti ho chiamato perché ho capito che sei nuova e nel passare
avevi urtato il mio zaino così volevo presentarmi.
- Ah, scusa, nnon ti ho visto... - disse dolce.
- Ho notato! eh eh! io sono Jimmy.
- Giulietta, piacere.
- La profe è uscita un attimo eh eh... qui parlano tutti, parliamo anche noi!
- Sssi, certo.

Le era passato il senso di frastuono. Il viso dolce del nuovo compagno di scuola l'aveva allietata.

- Posso chiederti una cosa? - propose Jimmy girando la testa per un attimo verso gli altri.
- Come scusa...? ho di nuovo perso il passaggio.
- Cosa... significa che perdi il passaggio? e ... scusa se te lo chiedo, è giusto per sapere... sento che parli un po' strano... come mai?
- Pperrdere il passagggio per me vuol dire che non ssono riuuscita a legggere le labbra del mio interlocuutore perché non era rivollto verso di me e uhm parlo sstrano perché nnnon mi sento. O meglio, non sento nulla! ah ah! - Giulietta si era messa a ridere di gusto, era sempre stata molto auto ironica. Aveva due occhi grandi azzurro cielo e quando rideva le si illuminavano ancor di più.
- Dunque sei sordomuta giusto? - sorrise Jimmy.
- Eh già, pperò non faccio ffatica nelle scuole normali. Leggo le labbra, ppreferisco.
- Beh, meglio così in effetti! - sorrise Jimmy - Beh, posso dirti subito una cosa allora.
- Cosa?
- Hai una voce splendida. - Jimmy era rimasto colpito ancor prima di averle parlato e ora ancor di più.
- Anche tu!  Ah ah! - rispose Giulietta ridente.
- Come anche io? e come fai a saperlo?
- La vedo, la tua voce. Non sso come spiegarlo, identifico la voce nei ggesti, nel modo in cccui una persona si muove, nnnegli occhi. Nello sgguardo e nelle eespressioni del vviso.
- Uau! che storia! eh eh...
- Eh ssi.
- E dimmi... cosa ti piace fare?
- Girare per ccittà che non conosco, legggere, sstudiare, balllare - ma solo per sfogare le enerrgie quando sono a casa e ... la musica, le vibrazioni della musica e ... la natura. Adoro tutto ciò che è oceano, mmare. Vorrei diventare biologa mmarina.
- Fantastico...
- E tu?
- Per ora sono intento a scoprirti... - sorrise e la professoressa entrò.

Giulietta si  era messa in prima fila per non perdere passaggi della lezione, Jimmy era dietro di lei e ancora la guardava. Lei gli fece segno verso la professoressa e poi accennò con la mano un "Dopo continuiamo".

La professoressa iniziò poco dopo a spiegare; sapeva che Giulietta era allo stesso punto del programma anche nella scuola che frequentava prima e che durante le due settimane di fermo aveva continuato a studiare con l'aiuto dei suoi vecchi professori che le inviavano materiale online. Sapeva anche che era un genietto, comunque si assicurò che lei si sentisse a suo agio e le disse di chiedere in qualsiasi momento qualsiasi cosa.

Era l'insegnante di inglese e stava leggendo in quell'istante la poesia di un autore che a Giulietta piaceva da matti. Una poesia meravigliosa.

La bella accoglienza della professoressa prima e di Jimmy poi ed ora la Poesia. Amava parecchio la Poesia.
- Che belle voci... - pensò.